A me stesso

Scruto ansioso la strada
in attesa del responso.
Il tempo passa,
il tempo vola.
Gli occhi frugano tra la folla
alla ricerca del tempo perduto.
Perché tutto tace?
Perché la folla zittisce
e osserva solo me?
Che cosa ho fatto?
La strada prosegue
oltre la curva,
che si staglia in lontananza,
e prosegue senza di me.
Perché non mi aspetta?
Perché la folla se ne va?
Scruto ansioso la strada
alla ricerca del mondo,
che va sparendo.
Il tempo non si ferma,
il tempo travolge.
Lo sguardo cerca tra la folla
la sua vita.
La folla tace e si ritrae.
Mi sento sperduto,
mi sento osservato.
La strada continua
oltre quella curva,
oltre la siepe,
che delimita il mio mondo.
Passo la vita errabondo,
ed isolato nel mondo,
limitato nello spazio.
Cerco il mio responso
tra la folla che evita la mia persona.
Cerco lo scopo dime stesso
nella gente che scansa il mio corpo.
Cerco lo spazio oltre la siepe
che à delimita la mia vista.
Il tempo avanza e la vita s’accorcia
ed io mi sento sempre più solo,
sempre più meschino, sempre più limitato.

Foglie portate dal vento

Foglie, portate dal vento
sull’aria dorata dal sole,
volano via.
Tutto fugge e rifugge dal mondo.
Foglie, portate dal vento
sull’aria dorata dal sole,
parlano di cose lontane.
Tutto scorre e fluisce.
Foglie, portate dal vento
sull’aria dorata dal sole,
vagano qua e là
alla ricerca del tempo passato.
Tutto riappare ai nostri occhi.
Il senso, i sensi
impregnati di vividi ricordi,
sembrano impazziti.
Impazziti per che cosa?
Tutto fugge e rifugge dal mondo.
Tutto scorre e fluisce.
Tutto appare e scompare.
Solo una cosa non va:
il mio ricordo per te.

Nell'azzurro cielo…..

Nell’azzurro cielo
tu sei immersa.
Nella vivida aria del mattino
tu mi appari come un’aurora.
Ma tu chi sei?
Ma tu che cerchi?
Il radioso sorriso del mondo
si specchia nei tuoi occhi.
Ma tu chi sei?
Ma tu che vuoi?
All’alba, quando il cielo
biancorosato si tinge d’azzurro,
all’alba, quando il cantore
assonnato per la lunga veglia notturna
s’addormenta,
tutto mi sembra di favola.
Pure tu, dolce fantasma dei miei sogni,
per un attimo appari reale,
umana persona che soffre,
che ride, che parla
della mia sorte.
Il mio destino,
la mia esile vita
legata al tenue filo
dell’inconscio,
giace nelle tue mani.
E’ tutto un attimo,
è tutto uno sfavillio,
che scorre, che fluisce
or veloce, or lento,
al ritmo di una primordiale cantilena,
nata col sorgere del sole,
morta col tramontare del sole:
è così…
una lieta alternanza amara
della luce col buio.
E quando tutto tacerà,
e quando il dì si farà notte,
ascolta:
la rumorosa vita s’è chetata,
tutto è silenzio,
più nulla si sente.
E così tutto finisce:
non più lieta alternanza amara
di suoni e di luci,
non più cieco dinamismo
d’una umanità egoista,
ma solo e per sempre
silenzio e quiete.

Cala la sera

Cala la sera,
scende la noia:
è scomparsa la vita.
A tratti s’ode il rumore smorzato
della vita che va.
A tratti si sente il richiamo angoscioso
della vita che va.
E’ bella la sera, …
è bella la sera,
perché tutto zittisce.
Solo un tenue mormorio
s’affera:
è il timido richiamo
dell’essere con l’essere,
è il sottile legame
del soggetto col soggetto,
è l’ultimo vincolo
della persona con la persona.
E’ bella la sera,…
è bella la sera,
perché tutto appare
più chiaro, più limpido,
perché anche il sogno
può divenire realtà
e la realtà sogno.
E’ bella la sera, …
è bella la sera,
perché l’ombra rincorre
la propria ombra
in un incessante gioco
di girotondi senza fine.
Io amo la sera,
perché finalmente posso sognare
ed essere contento.

Il sole sta calando sui rossi tetti

Il sole sta calando sui rossi tetti,

penetrando con gli ultimi raggi nella stretta via,

dove il gatto per l’ultima volta si stende

a cogliere ancora, prima di tornare sui tetti

a contemplare il cielo stellato e la pallida luna,

gli ultimi attimi di luci del sole morente.

La via s’anima ancora, mentre le prime ombre

incutono paura ai fanciulli, che giocano sul selciato.

E’ un’emozione frettolosa, piena di ansie,

perché si vuole tornare prima di sera

accanto al focolare spento,

che riposa ancora per poco nella penombra incipiente.

Le lampade si confondono con il cielo,

acquistando una luminosità via via più intensa,

mentre il crepuscolo tremolante si va spegnendo.

E l’aria diventa greve ad afosa per un attimo,

pesando sugli abitatori di questo lembo di terra,

non propriamente felici, ma sereni e tranquilli.

Tutto si assopisce in un vellutato silenzio,

interrotto qua e là dal rauco stridore delle rondini

che innalzano al cielo il loro grazie,

per avere volato felici negli ampi spazi ancora una volta.

Dalle finestre esce un sospiro appena accennato,

velato dalla malinconia, impregnato dalla tristezza,

mentre le sfere dell’orologio proseguono inesorabili.

Lassù le stelle osservano con occhio amoroso,

perché nulla venga a turbare la pace del quartiere,

ultimo tempio aperto alla speranza e alla felicità.

La luna inonda con la luce carpita ad astri lontani

la stretta via che si insinua serpeggiante

nel cuore della città sonnolenta, che aspetta

il rinascere del sole per riprendere la vita troncata dalla sera.

Ad una ad una tutte le stelle scendono

dopo il faticoso perigrinare sulla volta celeste

e salutano di sfuggita la via, che va animandosi.

Quando la luce si confonde di nuovo con le lampade

E il gatto dopo aver girovagato per i tetti,

scende a dormire sul focolare spento,

allora il padrone si sveglia e va.

Coi primi raggi di un timido sole la pace estiva

si spezza, i rumori stridono

con la natura pacifica della via.

Tutto torna alla luce del giorno,

mentre nel cielo rondini intrecciano nuovi voli,

e i tetti ricevono nuovo calore.

La strada torna ad illuminarsi con la luce del sole.

Tutto torna alle sue naturali attività:

i gatti a rubare i raggi dorati,

gli uomini a sudare sul duro e faticoso lavoro,

la natura a riprendere l’incessante generazione di vita,

e la via ad essere un qualunque lembo di terra,

confuso in una città, che è dispersa su una verde piana,

solcata da un limaccioso fiume

e bruciata dall’ardente sole d’estate.

Così la felicità della notte torna a disperdersi

nell’infelicità di tutti.

La nuova casa (Parte seconda)

Così iniziò la lunga ricerca dapprima nella città attuale, poi in quella di origine. La città attuale era cara, carissima e non consentiva con le disponibilità economiche di acquistare una buona casa nel centro storico a meno che non si andasse a stare in periferia tra caseggiati anonimi. Allora la ricerca si spostò sulla città di origine, che era più a buon mercato. Non è stata molto facile: la disponibilità di immobili era buona, non altrettanto la qualità. A Giuliana piaceva una casa ricavata dalla ristrutturazione di una vecchia casa colonica con annessa chiesetta e fienile. Paolo non era molto convinto per qualche misteriosa intuizione. Non era disposta male, su due livelli, ma l’ingresso era angusto e secondo lui doveva essere modificato. I due bagni non lo convincevano: erano stretti e lunghi ed uno era cieco. A Giuliana piaceva la chiesetta prospiciente la casa, era sconsacrata e sarebbe stata trasformata in un ufficio o un monolocale. La trattativa era andata avanti per diversi mesi, poi s’era arenata sul prezzo non proporzionato al valore dell’immobile. La casa è ancora in vendita: non ha trovato acquirenti o meglio degli estimatori. Paolo aveva avuto ragione a considerare il prezzo troppo elevato.
Poi abbiamo trovato una casa immersa nel verde, molto particolare, situata vicino alla città. Dalle finestre si può osservare la campagna ben curata, coltivata ad erba medica e frumento: un autentico spettacolo. La posizione è tranquilla e priva di rumori, non sembra nemmeno che a pochi chilometri scorra un traffico convulso. Nel periodo invernale gabbiani ed aironi bianchi e cinerini svernano nei campi. A Paolo piace molto, come a Giuditta. Secondo lei ci sono troppo insetti ed animali (lucertole e rospi) e spesso si agita molto.
Dopo il gran giorno tutto questo era ormai un ricordo. La parte più faticosa del trasloco doveva ancora venire. Si doveva svuotare cantina e garage, pieni zeppi di altri sei o sette traslochi. Sembravano un pozzo di San Patrizio, non finivano mai di vomitare qualcosa.
Poi la fatica di vuotare gli scatoloni nella nuova casa, di riempire i mobili vuoti, di riordinare tutto quanto. Le soluzioni studiate a tavolino non andavano bene, si dovevano trovare nuove disposizioni. Sembrava la tela di Penelope: si creava, si disfaceva. Quante volte le cose riposte si prendevano e poi si riponevano di nuovo.
Eravamo tutti stanchi, troppo stanchi.
Un sabato nebbioso andammo in centro per distrarci un po’ dopo l’ennesima settimana di fatiche. La città era illuminata ed addobbata, perché tra qualche giorno sarebbe stato Natale. Il traffico era caotico e trovare un parcheggio era problematico, così Paolo le lasciò sull’angolo della via che portava nella piazza più bella della città, quella prospiciente la cattedrale e si mise alla ricerca di un posto dove parcheggiare. Finalmente lo trovò, non era molto comodo ed era distante dal punto di incontro.
Pazienza, bisognava aver pazienza, non sempre era possibile parcheggiare vicino. Con passo svelto si avviò verso il grande magazzino, dove avrebbe incontrato Giuliana e Giuditta. Faceva freddo, perché la nebbia penetrava nelle ossa col suo carico di umidità, ma Paolo non sentiva nulla.
Appena varcata la soglia si sentì chiamare, si volse e vide una signora che lo fissava un po’ incredula.
“Sei tu M….?” disse con un filo di voce.
“Si”, rispose Paolo, che non ricordava quel viso e quella voce.
“Sono Marinella. Marinella S…, Ti ricordi di me?” Pronunciava quelle poche parole con ansia e piena di speranza.
Paolo allora ricordò, anzi un fiume di ricordi gli tornarono alla mente. “Si, adesso ricordo! Come stai? E’ tanto tempo che non ci vediamo!”
Lei lo incalzò con più sicurezza: “Dove sei stato?” e guardando la mano vide la fede e proseguì “Sei sposato?”
“Ho girato per l’Italia ed ora sono tornato. Si, sono sposato ed ho una figlia ormai grande.”. Paolo pronunciava queste poche frasi, mentre nella sua mente ricordava lei ragazza con cui aveva avuto una breve ma intensa storia. “E tu?”, proseguì ben sapendo che si era sposata tanti anni fa, poco tempo dopo che la loro relazione era terminata.
“Sono divorziata. Ho avuto un figlio dal quel romagnolo”, disse con tono carico di rancore “ e sono nonna. E tu?”
“No, non sono nonno.”, Paolo avvertiva nelle parole di Marinella un misto di delusione e di rimpianto e voleva concludere il loro colloquio, “Mi ha fatto molto piacere averti rivista e scusami se non ti ho riconosciuto subito.”.
Si stringessero la mano e si salutarono.
Paolo raggiunse Giuliana e Giuditta che stavano osservando la scena, mentre Marinella percorse pochi metri all’interno del grande magazzino, fingendo di interessarsi a borse ed altri articoli. In realtà osservava dove andava e chi incontrava. Lo guardò con un pizzico di invidia, forse lo aveva sempre amato, pentita di averlo lasciato tanti anni fa. Poi uscì e se ne andò via, dopo aver guardato per l’ultima volta con molta attenzione.
Si sentiva sola e forse avrebbe voluto riannodare quel vecchio contatto, che le ricordava tempi felici.
Giuliana chiese chi quella signora e Paolo gli disse “E’ Marinella. Marinella S… quella della fabbrica di liquori M. Mi ha riconosciuto dopo oltre quaranta anni di lontananza. Evidentemente non sono cambiato molto.”
Mentre parlava Paolo pensava “proprio ieri sera ho aperto il quaderno delle vecchie poesie e sicuramente ci sono anche quelle che avevo scritto per Marinella.”.
Lentamente ed infreddoliti dalla cappa nebbiosa si avviarono verso casa senza più ripensare a quel incontro fortuito e singolare.

(Fine)

La nuova casa (parte prima)

Tutto cominciò per caso. Era una fredda sera di Dicembre tra Natale e Capodanno, Paolo stanco per la lunga giornata si sedette al suo tavolo e ripensò agli ultimi tempi.
Ormai erano diversi mesi che la sera lo coglieva stanco e non sempre, anzi quasi mai, poteva sedersi al suo tavolo a pensare e rilassarsi con le sue occupazioni preferite.
Abitava ora in una bella casa, silenziosa e nuova, dopo essere tornato nella sua città. Stava pian piano riscoprendole sue radici, riallacciando i ricordi sfilacciati dal tempo.
Pensava e ricordava questi ultimi mesi, così intensi e snervanti. Dapprima la preparazione del trasloco delle sue cose e dei suoi ricordi. La vecchia casa era piena di scatoloni vuoti da riempire. Con metodicità si toglievano gli oggetti dai mobili, si incartavano e si riponevano negli scatoloni, avendo cura di numerarli ed indicare sull’esterno la loro provenienza: libri dalla libreria nera, piatti dal mobile nero, vestiti dall’armadio bianco.
Sembrava un rituale e di sera Paolo si toglieva la polvere dai vestiti e dalla bocca, secca e arida, stanco ed assonnato. Così andò avanti per diverse settimane e gli scatoloni sembravano sempre insufficienti a contenere tutto e crescevano di numero. “Dove li metterò nella nuova casa?”, pensava preso dallo sconforto, “Non c’è posto per tutto, dovrò eliminare molte cose e con loro anche i ricordi associati!”
Con molta tristezza Paolo caricava nella macchina tutto quello che non intendeva portare con sé e lo depositava nella discarica pubblica.
Quanti viaggi! Quanta fatica! Quanto dolore nel disfarsi dei ricordi! Quale gioia nel ritrovare il vecchio quaderno di poesie, scritte tanti anni prima, quando era ancora un ragazzo! E le vecchie tempere ancora belle e brillanti, che sembravano uscite dalle pennellate di ieri, tanto erano attuali e colorate!
Poi arrivò il gran giorno. La mattina di buon ora gli uomini del trasloco erano venuti a smontare i mobili, a imballare le ultime cose, a raccogliere la moltitudine di scatoloni, che erano lì silenziosi e malinconici durante l’attesa di essere trasportati nella nuova casa.
Il trasloco fu veloce e si consumò entro mezzogiorno. Paolo chiuse il portone di casa, prese la macchina e si diresse verso la nuova casa, dove avrebbe atteso il camion con i suoi ricordi. Arrivò velocemente senza aver consumato il pasto: non aveva fame.
La vecchia casa era ormai deserta. Era un edificio nel centro storico della città nella piazza più bella circondata da alberi maestosi e carichi di storia. Aveva soffitti alti. Quanto erano alti! Che sofferenza quando si doveva cambiare una lampadina, appendere una nuova luce! L’ingresso dava su una stanza enorme dal soffitto affrescato con decori invernali dai pavimenti a mosaico colorati con un bellissimo disegno centrale. Di fronte alla porta appariva un camino di marmo bianco. Sulla sinistra si accedeva ad un’altra stanza, anch’essa ampia e spaziosa come la precedente. Questa ultima aveva un’acustica particolare e l’avevamo chiamata “la stanza della musica”.
A Giuliana piaceva, anche se vi trovava mille difetti. Era buia (le piante da appartamento dopo poco morivano). La vista dava su case con intonaco ormai scolorito e un tantino fatiscente. La strada stretta mandava molti rumori soprattutto di sera. Eravamo assediati dalle installazioni dei condizionatori, che non erano rumorosi, ma sollevavano molta polvere. Poi i piccioni sporcavano i davanzali. A lei piaceva.
Aveva però il pregio di essere al centro della città: si scendeva e si era in centro a passeggiare fra piazze e portici. Non c’erano molti servizi, ma tutti quelle che servivano e comodi sotto casa.
Una volta l’anno, per il patrono della città, eravamo sommersi da mille rumori festanti, da mille odori, che si mescolavano tra loro in un guazzabuglio di sensazioni ora piacevoli ora sgradevoli. La gente si accalcava fra le bancarelle a comprare qualcosa di inutile, da accatastare insieme con quelli degli anni passati: era una tradizione e guai a non osservarla! Anche noi, sull’ora di mezzogiorno passavano in rassegna le bancarelle variopinte ed odorose, quando la calca umana era intenta a mangiare. Questo anno abbiamo comprato quattro cuscini rosso fuoco, da portare nella nuova casa. Paolo ha comprato un bonsai, sperando di portarlo nella nuova casa, ma non ha resistito fino al trasloco. Poi siamo andati per la visita nella Cattedrale a pregare il Santo Patrono e ricevere l’ultima benedizione.
In quella casa dagli alti soffitti affrescati non potevamo più restare: troppo costosa. Non era nostra e desideravamo acquistarne una dove trascorrere i restanti anni della nostra vita da lasciare in eredità alla figlia come nostro ricordo.

(Continua)

Cos’è il bacio?

Cos’è il bacio?

E’ il dolce sapore di te

che penetra dentro di me.

E’ la passione,

che brucia dentro di noi.

E’ l’amore che sboccia,

che cresce

come una pianta

nel verde prato del desiderio.

Sono istanti

brevi ed intensi,

che non vorremmo mai

che finissero.

La ricerca del bacio

Il bacio cosa è? Cosa rappresenta nella vita di tutti noi? E’ un mistero e nemmeno troppo, perché chi non ha baciato almeno una volta nella sua vita qualcuno? Nessuno e le statistiche dicono che tra quelli dati e quelli ricevuti siamo a quota ventimila (mi domando come hanno fatto a contarli? Sono andati a spanne oppure hanno fatto i guardoni? Boh! A saperlo!).

Chi non ricorda il primo bacio dato o ricevuto? Quando è stato, lo ricordate? Io ricordo l’emozione e il cuore che andava a mille (dicono che un bacio accresce il ritmo cardiaco fino a 150 battiti. Insomma non si può baciare in santa pace senza essere scrutati, misurati, esaminati?). Ricordo ancora il sapore dolce della saliva della ragazza, che eccitava i miei sensi, mentre nella penombra risuonavano le dolci note di “Diana” di Paul Anka.

Il bacio è un antico rito, che risalgono al 1500 a.C. tra le scritture vediche degli indù.

Il bacio è anche un segnale di amore tra i genitori e i figli oppure di appartenenza ad un clan.

Però soprattutto è il suggello di amore tra due persone.

Che tristezza sapere che il bacio è stato scrutato, esaminato, valutato, classificato e soppesato.

Sola

La poesia è di un poeta cinese, Won Han, vissuto nel 628 d.c. sotto la dinastia di T’Ang e trovata su un vecchissimo numero di EPOCA.

Intorno a me

limpido e silenzioso

è il vasto spazio.

La brezza tepente sfoglia

i fiori.

sull’orlo dello stagno.

E la terra

è arrossata

dai loro petali. 

Siedo e sogno

di te, mio amore

così lontano,

e, improvviso

una perla, una lacrima

mi cade sulla mano

suggellando la triste

anima amante

Fin dalla prima volta che l’ho letta l’ho trovata bellissima.