La melagrana

Il rosso frutto
matura al sole  dell’autunno.
Si spacca
lungo la buccia rugosa
e lascia intravvedere
dei chicchi rubini.
Un merlo
si appoggia
e ruba un chicco rubino,
come tu hai colpito
il mio cuore.

Balloons

Ballons_in_cielo




Nella nebbia mattutina,
che lentamente sale
dai campi
tra le case,
osservo
un puntino colorato
che spunta
nel cielo azzurro.
Poi d’incanto
un altro,
un altro ancora
e il cielo si riempe
di colori.
In quei palloni
rotondi e rumorosi
con appesa una cesta
vedo l’immagine riflessa
del tuo volto,
che vaga allegra
ora a destra
ora a sinistra,
si innalza
e si abbassa.
Sono lì con il naso all’insù,
sperando di vederti,
ma il balloon se ne va
ora silenzioso,
ora sgassando
perdendosi sull’orizzonte

Il frutto

Se tu fossi un frutto,
lo raccoglierei
con delicatezza
e lo porrei
al centro del tavolo
in bella mostra.

Buskers – Artisti di strada

Si odono
da lontano le note.
La città è invasa.
Uomini e donna
sciamano felici,
si fermano,
ascoltano,
fotografano.
Aprono l’ombrello,
piove.
Chiudono l’ombrello,
ha smesso.
C’è allegria e felicità
nelle vie della città.

 

Simona – Bollicine04

Era 25 Settembre del 2004. Il gran giorno era arrivato. Vasco Rossi concludeva il suo tour per l’Italia a Catanzaro. Tutta la Calabria e la Sicilia era in fibrillazione per il suo arrivo.
Simona era trepidante per l’evento, come c’era una grande attesa tra gli amici e le amiche Rossella, Paula, Nino, Stefano e ancora altri tanto che l’elenco diventava lunghissimo.
Questo era il secondo mega concerto di Vasco che si accingeva ad ascoltare. Quattro anni prima appena ventenne fece una lunghissima fila per acquistare i biglietti, tanto che i ricordi affioravano netti: come aveva corso per essere tra i primi della fila, come aveva dovuto lottare per convincere i suoi genitori a lasciarla andare! Suo padre diceva che al concerto c’era solo una massa di drogati, ma lui non aveva voluto ascoltare la frase “Papà, tra i drogati c’ero anch’io!”.Voleva dire una cosa a chi le aveva fatto ascoltare Vasco per la prima volta, quando ancora quasi non sapeva dire il suo nome: " CIAO MA’! ".
Lei voleva riascoltare “VOGLIO UNA VITA…CHE NON E’ MAI TARDI! DI QUELLE CHE NON DORMI MAI!!!”.
A Simona come ritornavano i ricordi, come si ripresentava tutto quello che era, che aveva fatto, la verità su tutto e una versione di lei  che era quella reale, fuori degli schemi: sembrava che qualcosa la spingesse avanti, una voglia di ridere incredibile, una gran voglia di correre, come aveva corso otto anni fa per comprare i biglietti del primo concerto.
Non vedeva l’ora che il gran giorno venisse per poi ricominciare a far scorrere fiumi di parole sul suo diario, per poter vivere di rendita come l’altra volta per un concerto che avrebbe durato nella sua testa almeno per un anno!
L’aspettativa era grande, talmente grande che la sera prima Simona non riuscii a dormire. Alla mattina presto presero il treno per Catanzaro per giungere all’Area Verde ed essere là presto (l’ingresso era gratuito), per goderci gli ultimi istanti dei preparativi di Vasco e della sua Band e per prendere un buon posto d’ascolto. Era emozionata come la prima volta!
Il tour 2004 iniziato a Latina il 30 maggio terminava a Catanzaro il 25 Settembre e la scaletta comprendeva 29 canzoni tra cui “Bollicine, ma mancava “Vita spericolata”, che era la sua canzone simbolo, perché tutta la sua vita era stata vissuta sempre di corsa, per schizzare via a prendere i treni, che passavano una sola volta.
Simona e i suoi amici raggiunsero il posto e si sistemarono per bene nella attesa dell’inizio del concerto insieme a tanti altri giovani e meno giovani venuti ad ascoltare il mitico Vasco.
Vasco attaccò con “Cosa vuoi da me” seguito da “Fegato, fegato spapolato” scaldando la platea.
Mentre il concerto si snodava con un susseguirsi delle canzoni, il cielo diventava sempre più imbronciato e minacciava pioggia a catinelle. Sarei riuscita ad ascoltare “Bollicine” prima del diluvio universale per annegare tutti questi peccatori venuti ad ascoltare Vasco, personaggio scomodo e fuori degli schemi?
Simona continuava a guardare il cielo preoccupata, finché le note e le parole della canzone non riecheggiavano nella vasta area.

“….

  bevi la coca cola che ti fa bene

  bevi la coca cola che ti fa digerire

  con tutte quelle, tutte quelle bollicine …

Poi dal cielo cominciò a scendere la pioggia sempre più forte e Simona come aveva corso per non beccarsi tutta la pioggia insieme agli amici, esattamente nello stesso modo per prendere treni che sapeva che passavano una sola volta, sempre, comunque, pensando che la sua vita fosse davvero SPERICOLATA!
Bagnati, ma felici ripresero il treno per casa, Simona lo era in modo particolare, perché aveva potuto riascoltare dal vivo il suo idolo, il suo mito, perché aveva voglia di correre, di non fermarsi mai.
Quest’anno non si era fermata mai per davvero. Dapprima era arrivata la laurea in lingue straniere con il massimo dei voti, poi era riuscita a strappare ai suoi genitori il consenso per frequentare a Milano un master di Marketing e Comunicazione presso una prestigiosa Università e di conseguenza a traslocare e vivere lì per almeno un anno e infine il concerto di Vasco.
Si sentiva inquieta, perché si era persa fra tante parole, scritte e dette, sue e degli altri, diventando poi pensieri sempre più complessi e, alla fine, incubi.
Se, però, si guardava bene dentro di sé, quelle parole le hanno fatto bene solo per un pò, ma adesso era il momento di smettere, perché la incatenavano a quello che era stato, mentre doveva cominciare a pensare che anche oggi era già passato.

Era arrivata a queste conclusioni  riascoltando durante il viaggio di ritorno dal MP3 le canzoni dei Pink Floyd nell’album THE DIVISION BELL. Si rivedeva a diciassette anni, seduta davanti allo stereo, ascoltando queste canzoni, e pensando al suo futuro, visto che di passato ancora allora non poteva parlare. Erano passati sette anni, un pò di passato l’aveva, e proprio per quello “I knew the moment had arrived for killing the past and coming back to life”.
Così capiva che stava inseguendo non un sogno ma un’ossessione  che nel frattempo si era persa dietro i pensieri, che le avevano solo riempito la testa ( e il cellulare) di parole che nella vita reale non servivano.
Ancora “I feel persecuted and paralized” diceva fra se e sé Simona, mentre ripensava a lui, il sogno che inseguiva da tanto tempo, e pensava “Credo sia arrivato il momento di smettere di farmi condizionare dai discorsi di chi  in fondo di me non si preoccupa, TORNO SU ME STESSA! Quello che spero è di rimanere su questa posizione.”.
Si preoccupava un pò di quegli incubi, ma poteva chiamare il suo guardiano dei sogni, che ultimamente si era un pò distratto e disse mentalmente “Deve essere difficile lavorare con me, ma i suoi occhi scuri bastano per calmarmi. A volte sparisce, ma, almeno, non mi riempie la testa di  concetti stupidi.”.
Il giorno dopo si ritrovarono tutti da Billé a gustare gli ultimi gelati di una lunga stagione estiva e a parlare del concerto del giorno precedente, della fuga precipitosa sotto il diluvio universale, che puniva quel popolo di miscredenti, che idolatrava come un Dio il mitico Vasco. Era la giusta punizione verso tutti questi trasgressori, che della trasgrezione facevano uno stile di vita.
Poi la lunga passeggiata sul lungomare a parlare del futuro, di cosa ci riservava il domani, dei sogni e delle speranze, insomma di tutto quello che dei giovani parlano quando si frequentano.
I giorni successivi passarono veloci nella preparazione dell’imminente viaggio a Milano. Simona era impegnata nel trovare un posto dove alloggiare nei primi tempi in attesa di trovare poi una sistemazione meno provvisoria. Doveva comprare del vestiario adatto al clima rigido del Nord, perché lì a Messina non le servivano, insomma per prepararsi a quella lunga trasferta tanto sognata, ma anche tanto temuta.
“Riuscirò a resistere lontano da casa? La nostalgia mi assalirà? Come reagirò a svolgere tutti quei compiti, che ora minimante mi sfiorano?”, questi erano i suoi pensieri, i suoi dubbi, ma non li diceva apertamente, perché voleva dimostrarsi di essere in grado di superare qualsiasi avversità.
Così Simona passava le sue giornate, finché il gran giorno non arrivò. Salutò tutti gli amici, la mamma, che non era contenta di vedere partire la figlia per posti lontani, dopo aver visto allontanarsi il figlio per la carriera militare. Sentiva la casa vuota, svuotarsi di tutti gli affetti ed era triste.
Simona sapeva di dare un grosso dispiacere, ma la voglia di avviarsi per affrontare questa nuova avventura era talmente grande da superare anche l’affetto che provava per lei. Prese il treno e partii per il lungo viaggio attraverso l’Italia verso nuovi orizzonti.

 

Poesia d'autore

Traendo lo spunto da due versi di Emil Dickinson è uscita la seguente poesia.
E’ stato un gioco, che mi ha divertito.

Incipit

Se io dicessi non aspetterò?
Se io rompessi il carnale cancello e, oltrepassato, fuggissi da te!

Tu non mi rincorrerai
e mi lascerai andare via.
Ti amo,
ma tu non sei altrettanto fedele
da desiderarmi.
Il mio cuore batte,
i battiti diventano sempre più flebili.
mentre fuggo da te!
No,  non ti aspetterò ancora!
Come iniziò,
così è finita
la storia tra me e te.
Vedo volare alte nel cielo
le nuvole che disegnano
il disincanto per un amore
che è naufragato dentro.

Mal di pietre

Mal di pietre di Milena Agus

 Alcune sere stavo discettando dottamente sull’italiano e le sue regole con una carissima amica sarda, perché ormai quasi più nessuno scrive in modo sintatticamente grammaticalmente corretto racconti e romanzi.
Quando mi dice che una scrittrice sarda, Milena Agus, ha scritto un racconto ‘Mal di pietre’ in modo quasi impeccabile dal punto di vista linguistico e mi invitava a leggerlo.
Spinto dalla curiosità ho fatto un passaggioin libreria per acquistarlo, con una certa difficoltà non essendo più una novità.
Sabato pomeriggio e sera non avevndo niente di interessante da fare, li ho dedicati alla sua lettura. Come era ovvio la lettura del ‘bugiardino’ di quarta pagina di copertina non raccontava il vero e faceva balenare quali scenari piccanti, che in realtà non ci sono per niente.
La domenica mattina ho letto che il libro era arrivato secondo al Premio Campiello riportando le interviste con la scrittrice. Diceva che “scriveva per insoddisfazione” e “ha descritto una perdente, che non sapeva di essere felice”.
Sembrano più affermazioni ad uso mediatico che corrispondenti al suo pensiero.
Si scrive per due motivi
1 – si scrive per mestiere e guadagnarsi da vivere (come ha detto la vincitrice);
2 – si scrive perché la mente elabora quello che i cinque sensi trasmettono.
Vie intermedie per me non esistono. Nel primo caso nascono romanzi e racconti ineccepibili dal punto di vista strutturale, ma aridi e privi di sentimenti e commercialmente ineccepibili. Nel secondo la difficoltà consiste nel esprimere le sensazioni nel modo corretto in maniera tale che possano essere compresi; però è un prodotto difficle da piazzare.
Ergo nessuno scrive per insoddisfazione. Così come una perdente (o un perdente) non potrà mai essere felice, sarebbe l’equivalente del dire ‘mi do le martellate sulle mani e dico che è divertente’.
Chiusa questa lunga parentesi, torniamo al libro. Ci sono due universi uno femminile, perdente e negativo, ed uno maschile, un po’indecifrabile, ma che sembra il vero protagonista del racconto.
La voce narrante del libro è la nipote della nonna paterna, che dovrebbe essere la reale protagonista. Accanto a lei ci sono la bisnonna paterna, la nonna materna, la madre e le prozie.
La madre sembra vivere in un mondo tutto suo fatto di sogni e al servizio del marito, musicista di fama. L’unico sussulto è quando va alla ricerca del padre mai conosciuto.
La bisnonna è una donna bisbetica e gretta come lo erano un tempo nelle realtà rurali. Non desta nessuna compassione.
Le prozie sono caricature di donne specialmente nell’episodio dell’incontro con la futura moglie del nipote.
La nonna materna, attorno cui ruota l’intero libro, è una figura scialba che si illumina solo quando fa “le prestazioni” al marito e al Reduce. E’ la classica perdente, che accetta il suo ruolo senza protestare, ma che sia felice senza saperlo, quello mai. E’ un vero peccato, perché la scrittrice avrebbe potuto scavare maggiormente la psicologia.
La nonna materna desta più ammirazione perché ragazza madre in un periodo e in un contesto sociale troppo antiquato ha la dignità di andarsene dal paese e vivere una esistenza modesta di lavoro a fronte alta.
I veri protagonisti sono il nonno paterno e il Reduce, che potrebbe essere lui il vero nonno materno; sempre presnti anche quando non sono citati. Entrambi hanno grande dignità e signorilità in ogni momento della loro esistenza. In particolare il nonno paterno sa e non dice nulla, supera gli ostacoli e le difficoltà senza darsi mai per vinto. E’ riconoscente verso il suo prossimo. Una figura sicuramente positiva.
Il Reduce, che dovrebbe avere reso felice la nonna durante il breve amore alle terme, aleggia sempre a mezz’aria come un fantasma. La lettera che è trovata dalla voce narrante è un momento molte felice, che suggella il libro.
In conclusione è un libro fresco e bello, che mostra uno spaccato del mondo sardo nel bene e nel male, dall’impianto non tradizionale,. Merita di essere letto (costa solo 12€) e può stare tranquillamente nella biblioteca (è piccolo e sottile e non occupa molto spazio).