Le amiche si confidano

Silvia si era chiusa nel suo bilocale nei pressi della Stanga e non aveva alcuna intenzione di vedere qualcuno, né tanto meno di parlare. La settimana che stava finendo era stata orribile e non era ancora terminata.
Si era litigata due giorni fa ferocemente con la madre, che disapprovava la relazione con Gianni ed erano volate parole grosse, nonostante la sorella avesse tentato inutilmente di mettere pace tra loro. Ormai aveva capito che la frattura tra loro era insanabile e quindi meno la vedeva meglio era.
Se ne era andata dalla casa materna due anni prima dopo l’ennesimo litigio con la madre che l’avrebbe voluta più docile nell’ascoltare i consigli e meno impulsiva nelle decisioni e nelle scelte. Aveva un temperamento irrequieto e cocciuto accompagnato da una personalità volitiva e decisa, che a tutti costi voleva rendersi indipendente ed autonoma.
La madre, un donnone un po’ manesco, dal carattere autoritario e dispotico non amava essere contraddetta e non accettava repliche, perché l’ultima parola doveva essere sempre la sua. Caratterialmente era peggiorata vistosamente dopo che il marito stanco delle angherie e dei continui litigi tra loro anche per i particolari più insignificanti e banali della loro vita in comune era fuggito lontano da Padova in una località sconosciuta, mentre lei era rimasta sola con due figlie ancora bambine da crescere e con tutti i problemi del vivere quotidiano. Qualcuno diceva che l’avevano visto imbarcarsi per l’America, altri affermavano che con barba e capelli tinti viveva con un’altra donna più abbordabile di questa. Di sicuro nessuno, comprese moglie e figlie, sapeva dove fosse finito, perché sembrava essersi volatilizzato come nebbia al sole.
La sorella, più anziana di Silvia di un paio d’anni, un po’ furbescamente, un po’ opportunista non affrontava mai la madre direttamente, fingendo di ascoltarla e di assecondarla per poi fare l’esatto contrario.
Silvia invece, sospinta dal carattere non docile e orgoglioso, replicava senza paura, finendo col litigare in continuazione. Quindi man mano che cresceva e soprattutto che acquistava indipendenza economica, gli scontri diventavano sempre più frequenti ed aspri, finché non se ne andò anche lei. Con grande sacrificio ottene un mutuo dalla banca per comprare un bilocale in località Stanga, che non era una zona di gran pregio perché era assediata da un traffico convulso e nevrotico ed era zeppo di uffici del terziario, che si riempivano alla mattina per svuotarsi verso sera. Però l’appartamento aveva il pregio di essere vicinissimo al posto di lavoro raggiungibile anche a piedi e di non costare eccessivamente.
Con regolarità andava a trovare la madre e la sorella, perché dopo la loro prima visita aveva deciso di bandirle dalla propria casa per evitare di sentire critiche astiose sulla posizione del bilocale, sugli arredi, su qualsiasi oggetto presente nell’abitazione. Però nonostante le più buone intenzioni l’incontro finiva regolarmente con una fuga precipitosa prima che degenerasse in baruffa. Due giorni fa la tattica della ritirata strategica non aveva funzionato e il contrasto si era trasformato in lite, tanto che era mancato pochissimo che venissero alle mani. Poi ancora innervosita e contrariata per la litigata con la madre aveva rotto burrascosamente con Gianni a coronamento di una settimana di passione e tensioni in ufficio. Certamente non era un periodo brillante per le relazioni interpersonali tanto che pensò di essere vittima del malocchio di qualche combinazione astrale.
Quel sabato voleva essere lasciata in pace ed era infastidita da quel continuo trillare del telefono che impietosamente la cercava. Si rifiutò testardamente di guardare sul display il nome di chi la cercava, mentre voracemente, distesa sul letto, mangiava barrette di cioccolata in continuazione.
Non le sembrava il caso di ingurgitare altre calorie visto il sovrappeso che aveva accumulato giorno dopo giorno, ma doveva placare la fame nervosa che si era impadronita di lei.
Era ormai sera, quando si decise di dare un’occhiata distratta ed indispettita al display dopo che per l’ennesima volta la suoneria insistente del telefono le aveva lacerato i pensieri.
“Cavoli" esclamò mettendosi ritta “Ma è Micaela che mi cerca! Cosa sarà mai successo vista l’insistenza con la quale mi ha cercato nel pomeriggio”.
“Ciao. Cosa è capitato di tanto grave per cercarmi con tanta insistenza?” disse un po’ risentita rispondendo alla chiamata.
“Dove ti sei nascosta? Perché non volevi rispondere?” replicò stizzita Micaela.
“Ti metti anche tu a farmi prediche e darmi ordini?” rispose Silvia con tono bilioso ed incollerito.
“Calmati, non intendo litigare anche con te” riprese Micaela un po’ più conciliante “Volevo solo ragionare sul mio rapporto con Matteo. Però il tuo atteggiamento non troppo disponibile mi induce a pensare che forse è meglio rimandare ad altro giorno la chiacchierata”.
“Scusami," disse con voce più addolcita ed affabile “ma ho passato giorni terribili. Oggi volevo smaltire tutta l’ira che avevo dentro di me. Però forse parlare mi farebbe bene. Cosa ne pensi dell’idea di venire da me per trascorrere il resto della serata insieme? Non sono in condizioni presentabili per uscire. Però una buona pizza e una birra posso ordinarle e poi tante ciaccole tra noi ci faranno bene”.
“Okay" rispose rinfrancata Micaela “E’ una buona idea e di ciaccole ne dobbiamo fare molte. Tra mezz’ora sono sotto casa tua. Ciao”.
 
Micaela tra un triangolo di pizza e l’altro le raccontò la mattinata tempestosa trascorsa tra i banchi di Piazza delle Erbe compreso il brusco ritorno a casa.
Voleva comprendere per quale misteriosa chimica si sentiva attratta da Matteo, ma nello stesso tempo provava fastidio stare con lui. Le sembrava di impazzire perché la parte razionale della sua personalità le suggeriva di lasciarlo perdere e di concentrarsi sugli esami e la tesi, mentre istintivamente si sentiva sedotta dai suoi modi garbati e dolci.
Il suo atteggiamento le ricordava quel carmine di Catullo studiato al liceo “Odi et amo” che recitava così
 

Odi et amo

quare id faciam,

fortasse requiris

nescio, sed fieri sentio

et excrucior

 
“Silvia, ” disse un po’ affranta nella voce, un po’ incerta nella scelta delle parole “devi spiegarmi perché io non provo odio verso Matteo, ma solo senso di fastidio e nello stesso tempo sentire la sua voce mi rende fragile ed incapace di dire no. Stamattina quando mi ha proposto di trascorrere le vacanze insieme, la parte di me che prova fastidio si è ribellata all’altra metà che mi stimolava a rispondere affermativamente. Non capisco più nulla. Non riesco a guardarmi allo specchio senza litigare con la mia immagine”.
Mentre Micaela parlava due minuscole gocce umide scivolavano silenziose dalle ciglia verso le guance lasciando dietro di sé una minuscola traccia colorata.
Le due amiche cominciarono a scavare dentro di loro alla ricerca delle risposte che con tanta ansia cercavano nelle parole, che si scambiavano l’un l’altra, come un ininterrotto gioco psicologico.
Certezze non ne trovavano ma motivi di riflessione, si.
(Capitolo 7)

La lite (versione uno)

Matteo stava riaccompagnando a casa Micaela dopo aver sostato a lungo in Prato della Valle in una fresca serata di fine settembre. Stranamente dopo una giornata calda la sera si presentava fresca ed arieggiata.
Il tempo che era stato bello per tutto il giorno stava volgendo al brutto come la conversazione tra i due giovani.
Fecero una prima sosta dopo aver oltrepassato la spaccatura nelle mure cittadine nelle vicinanze della pista di pattinaggio.
Micaela non sopportava più l’insistenza di Matteo, si sentiva oppressa e privata della propria capacità decisionale.
Voleva troncare quel rapporto diventato intollerabile per la gelosia di Matteo, per il morboso innamoramento fino a diventare una specie di incubo diurno e notturno.
“Matteo” esordì Micaela “stai diventando insopportabile. Non riesco a respirare liberamente senza sentire il tuo fiato su me, senza provare un vago senso di minaccia”.
Matteo la guardò incattivito e si spostò di lato appoggiandosi alla ringhiera che separava la pista dal pubblico.
“Io ti amo” replicò con voce tremolante per la rabbia “Ti amo, come mai ho amato nessun’altra. Non ti voglio perdere perché sei parte di me. Non comprendi i mei sentimenti?”
Micaela lo guardò e vide scattare il verde pedonale. S’affrettò a superare la strada per incamminarsi in Via Acquapendente verso casa.
Matteo come impazzito restò per un attimo fermo ed incredulo di essere lasciato lì come uno stoccafisso, poi si riscosse e si avviò a rincorrerla, ma il rosso aveva dato via libera alle auto impazienti di scattare e volare via.
Lei nel frattempo a passo svelto percorreva la via sotto le chiome dei grandi platani che contornavano la strada.
Suo malgrado dovette aspettare il prossimo verde utile prima di lanciarsi all’inseguimento di Micaela.
Come un forsennato la raggiunse e la strattonò per un braccio per fermare la corsa.
Lei si divincolò e gli urlò “Vattene! Non voglio più vederti!”, mentre tutti si giravano ad osservare il litigio tra i due giovani.
“No, “ replicò rabbioso “non me ne vado. Non mi puoi piantare così”.
L’alterco durò molti minuti, mentre dalle finestre alcune donne osservavano, commentavano e scuotevano la testa, finché Matteo furibondo e rosso per l’ira non decise di andarsene senza salutare.
Micaela riprese la corsa infilandosi in una via laterale e poi in un’altra, e un’altra ancora cercando di far perdere le sue tracce, finché non vide l’insegna “ALIMENTARI” sopra un negozio.
Prontamente entrò non prima di aver guardato a destra e a sinistra e dietro nel timore di scorgere la sagoma di Matteo.
Era il tipico negozio di alimentari anni sessanta senza vetrina e col banco disposto frontalmente all’ingresso alla cui sinistra c’era il posto per la cassiera, ora desolatamente vuoto.
Il bancone era in armonia col resto dell’ambiente. La parte bassa era in legno color mogano ormai consunto dagli anni, quasi all’altezza degli occhi stava la vetrina che mostrava disposti ordinatamente salumi, formaggi e piatti pronti. Il tutto sormontato da una mensola di vetro con pacchi pasta ed altro intervallati tra loro per consentire al cliente di vedere il proprietario ed Piero mentre li servivano. Le donne erano costrette a rovesciare il capo per vederli il viso in una posizione innaturale. Ai due lati estremi facevano bella mostra due affettatrici a volano Berkel B114 rosse, che erano sfuggite alla modernizzazione che le pretende tutte rigorosamente elettriche. Quasi centralmente stavano altri due pezzi di antiquariato alimentare due bilance Bizerba con fondo scala di 2 kg,
In bella mostra sul bancone penzolavano gli insaccati,mentre alle spalle disposti ordinatamente stavano scatolette e bottiglie che si specchiavano nello specchio con la pubblicità dei salumi Negroni.
Nel posto della cassiera troneggiava un vecchio registratore di cassa manuale ormai dismesso perché il regime fiscale imponeva quelli che erogavano lo scontrino fiscale ben mimetizzato alle spalle del proprietario.
Di fronte alla vecchia cassa stava la cella frigorifera con la porta dello stesso legno della parete con lucidi meccanismi cromati.
Accatastate ordinatamente lungo la parete libera stavano confezioni di acqua minerale gassata o naturale di marche diverse accanto ad una mini enoteca.
Delle vecchie lampade riadattate e riconvertite all’elettricità illuminavano l’interno senza sfarzo e luccicanti luci.
Non meno fuori moda era anche l’esterno con una banale insegna metallica, che sormontava l’ingresso. “ALIMENTARI” troneggiava in blu sul fondo bianco, mentre qualche traccia di ruggine affiorava qua e là come piccoli fiori spuntati dalla neve.
Posizionato in una delle vie laterali e meno trafficate del quartiere era sempre pieno di donne che pazientemente facevano la coda per essere servite da Piero.
Gli altri esercenti della Madonna Pellegrina guardavano con invidia Sgorzon con suo negozio antiquato ed anonimo ai loro occhi sempre affollato di clienti e dai pingui incassi. Loro si erano svenati per ristruttuare i loro esercizi, ma la cassa era sempre più vuota.
Il segreto stava in pochi ingredienti: il modo professionale ed accattivante del proprietario e di Piero, i prodotti di livello eccellente e spesso unici che erano in vendita e soprattutto Piero con la sua carica dirompente di umanità che sapeva cogliere e percepire tutte le sfumature delle clienti.
Non erano infrequenti i litigi tra le clienti pur di farsi servire da Piero, che aveva sempre la battuta pronta per smorzare le tensioni.
“Bone, tose” diceva sempre in dialetto che piaceva anche a quelle donne che faticavano a comprendere il veneto.
Lui si divertiva con loro che sgranavano gli occhi perché non comprendevano la parlata veneta di Piero.
“Volete la traduzione in tricolore?” e grandi risate accompagnavano questa battuta, mentre loro un po’ impacciate ma felici di stare al centro dell’attenzione generale annuivano soddisfatte.
Circolavano anche diverse dicerie sul conto di Piero fra le clienti. Un pettegolezzo che andava per la maggiore era che una di loro fosse stato colta dal marito, mentre era a letto con lui.
Mentre si rivestiva e per nulla intimorito lo aveva apostrofato male dicendo “Non vali niente a letto. Parola di tua moglie. Se tu sapessi fare il tuo mestiere, lei non sarebbe a letto con me”. Naturalmente tutte si interrogavano per scoprire chi era, ma tutte negavano di essere la donna incriminata.
La sera in cui Micaela entrò casualmente nel negozio di Piero e lo conobbe lei ascoltò l’ennesima versione ormai condita di ulteriori piccanti particolari su questa voce, accedendo la curiosità di lei sulle qualità amatorie di Piero.
(bozza di capitolo)

La lite (versione due)

Nella prima domenica di settembre si teneva a Monselice la tradizionale Giostra della Rocca, un evento in costume che richiamava nella cittadina patavina un gran folla di turisti e curiosi. Era un classico appuntamento molto sentito nella zona.
Matteo da quando aveva intrapreso la professione di informatico si recava lì per installare sovraintendere all’installazione di tutte le apparecchiature informatiche necessarie al buon svolgimento della manifestazione. I primi anni erano stati entusiasmanti muoversi, aggirarsi senza vincoli tra figuranti, contradaioli festanti e protagonisti delle gare.
Però quest’anno passata l’eccitazione della novità non provava più gli stimoli iniziali, perché ora gli sembrava routine. Pensando di fare cosa gradita ad Micaela e sperando che la giornata fosse più piacevole, la invitò ad accompagnarlo.
Partirono di buon’ora con la macchina di Matteo sotto un bel cielo azzurro, limpido e senza nubi. Lei era allegra perché poteva assistere a questo evento da una postazione privilegiata, il palco d’onore, per il pass che lui le aveva procurato.
Durante il viaggio ci furono i primi screzi, che diventarono crepe nel corso della giornata.
Matteo era nervoso per la domenica sprecata. Anche Micaela ci mise del suo per creargli ulteriori grattacapi e malumori, tanto che bisticciarono su tutto dal mangiare a come si erano vestiti.
Così la giornata che sembrava promettere bene, cominciò a rannuvolare con nubi nere e cariche di pioggia, come gli umori dei due giovani che volsero al brutto, anzi alla tempesta.
Micaela vestita leggera disse di avere freddo e voleva tornare subito a Padova prima della pioggia, mentre lui doveva controllare che per la cerimonia finale con le premiazioni attesa per le 18 tutto filasse liscio senza intoppi. Lei stava imbronciata sul palco d’onore completamente estranea alle grida di giubilo della contrada vincitrice il Palio dei Santi, aspettando solo il momento di riprendere la strada di casa.
La tensione cresceva fra i due ragazzi mentre cominciarono a volare parole pesanti come i goccioloni che il cielo stava dispensando.
Finalmente bagnati ed infreddoliti Matteo e Micaela si immisero sulla statale Adriatica per rientrare a Padova.
Lui era incattivito perché non era soddisfatto per i troppi intoppi informatici, che avevano costellato la giornata, ed era stressato dalle lamentele continue di Micaela, che non stava zitta un secondo.
Lei con la camicetta bagnata ed appiccicata al corpo e i sandali distrutti si lamentava in continuazione perché era colpa di Matteo se si trovava in quello stato. Starnutiva e soffiava in continuazione il naso.
“Mi hai fatto prendere un accidente” disse mentre l’ennesimo starnuto inondava il parabrezza della macchina.
“Dovevi vestirti più adeguatamente” replicò lui irato ed arrabbiato per la pessima idea di averla invitata durante l’esecuzione della sua attività professionale.
Fuori infuriava un violento temporale, mentre Micaela era sempre più petulante ed indisponente, finché arrivati al semaforo della Paltana lui non aprì la portiera mettendola sulla strada senza proferire una parola.
Passato un primo momento di sbigottimento coi capelli ridotti a tagliatelle cominciò a tempestare il vetro della macchina perché voleva risalire e ripararsi dalla violenza della pioggia. Però lui quando scattò il verde mise la prima e sparì verso Padova.
Micaela incredula rimase lì sul ciglio della statale sfiorata pericolosamente da macchine e corriere senza comprendere se l’acqua che scorreva sul viso fosse pioggia o lacrime..
A questo punto incamminarsi verso la città sarebbe stata pura follia, quindi attese il rosso e si avvicinò ad un auto che aveva alla guida un uomo dalla corporatura abbondante.
Bussò al vetro e disse: “Il mio ragazzo mi ha abbandonata qui sotto il temporale e non so come arrivare a Padova”.
“Sali” rispose garbatamente mentre apriva la portiera per farla accomodare.
Micaela gocciolante e tremante per il freddo inondò il sedile con l’acqua che colava dai capelli e dal corpo come una fontana.
“Micaela ” si presentò starnutendo in continuazione.
“Piero” rispose mentre ripartiva in direzione di Padova “Bello scherzo ti ha fatto il tuo ex”.
(bozza di capitolo)

Riconoscimento

Ho ricevuto il premio dall’amica Jul, http://argeniogiuliana.splinder.com/ una donna con molto buon senso e soprattutto dotata di autentica intelligenza, che ringrazio per la stima che ha dimostrato nei miei confronti.

Grazie Jul per avermi onorato nuovamente della tua amicizia e considerazione.

A questo punto dovrei distribuire il premio ricevuto ad altri blogs da me giudicati meritevoli. Il fatto è che gran parte di essi sono stati già premiati svariate volte e questo mi mette in imbarazzo.

Quindi ho deciso di non nominare nessuno.