Ellie

Ellie sta ritta sulla punta dell’imbarcazione che solca quel tratto di baia che da Wenona porta a Holland Island. Sono poche miglia, ma le sembrano una distanza enorme.
Il vento gelido le sferza il viso come le lame dell’erpice frantumano le zolle del campo appena arato. Però lei non sente le punture sulle guance.
Lei è avvolta nella cerata gialla con le mani ben salde sul parapetto, attenta a non scivolare nelle acque grigiastre della Chesapeake Bay, dove l’enorme estuario del Potomac si confonde con l’Atlantico.
Vuole osservare per l’ultima volta la grande casa vittoriana, che sta lentamente agonizzando, divorata dalle maree e dall’incuria degli uomini, prima che la furia delle onde invernali non completino il loro lavoro.
La casa è disabitata da molti decenni dopo aver conosciuto dei fasti migliori ormai ricordi. Però per lei è sempre stata una meta di pellegrinaggio nel periodo estivo per osservare quel fazzoletto di terra che emerge tra fondali bassi nel mezzo della baia come un faro in prossimità della costa. Non c’è pescatore, né amante del mare che non conosca quell’isolotto posto in mezzo a tanti altri, come il punto di riferimento preciso dell’immenso estuario del fiume che attraversa Washington. Adesso però le cose stanno cambiando e tra non molto quel riferimento sarà il tema dei loro racconti ai figli, ai nipoti.
Ricorda con nostalgia i racconti del nonno, il pastore protestante della piccola comunità che ha popolato l’isola all’inizio del novecento. E’ rimasta sempre affascinata da quei 160 acri che hanno sfidato il mare in tempesta e il gelido vento invernale, quando da piccola stava intorno al camino ad ascoltare le mille storie, che Stephen Powell le narrava.
Adesso l’isola dei suoi sogni non c’è più, perché anche l’ultimo relitto umano sta per cedere sotto i colpi impetuosi delle onde in tempesta.
Ha sempre sognato di acquistare quel lembo di terra che lei ha trasformato in una sorta di paradiso terrestre, ma il mare lentamente se la sta mangiando. E lei non può più farlo. Sarebbe fatica sprecata come quella dell’omonimo del nonno che ha lottato per quindici anni prima di gettare la spugna.
“Ho letto che la colpa è nostra, perché i mutamenti climatici hanno innalzato il livello delle acque. Sarà vero?” si domanda mentre la piccola lancia continua ad avanzare lentamente nella gelida baia, illuminata da un pallido sole di fine ottobre.
Le onde s’infrangono sulla prua, mentre l’imbarcazione vibra verso l’alto per scendere verso il basso, seguendo il moto ondoso delle acque, mentre Ellie continua ad osservare innanzi a sé alla ricerca dell’isola dei sogni.
Voli di gabbiani intrecciano disegni aerei eleganti e precisi sopra la sua testa, ma lei cerca sull’orizzonte grigio il segno che tra non molto non vedrà più. Ormai si confonde col bianco sporco delle onde e lo scuro della terra sommersa come un tutt’uno cielo, acqua e terra.
Stringe le spalle in segno di resa, mentre il vento fa scivolare di sbieco una lacrima che scende sul viso.
L’ultima volta è stato in agosto, quando di ritorno dalle vacanze, è tornata su Holland Island. Le acque erano di grigio verde che riflettevano il sole alto nel cielo, mentre su quella piccola striscia di sabbia e acquitrini, popolata da enormi pellicani, si ergeva ancora malinconica quella casa vittoriana.
Sembrava una scommessa il suo svettare sull’isola, perché era rimasto l’unico ricordo che segnalava una presenza umana ormai passata.
Aveva letto qualche giorno prima la sparata in prima pagina su Washington Post che l’isola non c’era più. Un groppo alla gola l’aveva tenuta avvinta con gli occhi su quella fotografia: una casa di sghimbescio mestamente ripiegata su se stessa, circondata da onde che s’infrangevano contro come se fosse uno scoglio in mezzo al mare.
Era stata male, incapace di darsi una ragione sul perché l’uomo non sia riuscito a strappare quel lembo di terra alla natura.
Vede in questo emblema la sconfitta sua e di coloro che hanno creduto di vincere la scommessa. Così ha organizzato questa uscita perché il ricordo non sia solo una fotografia.
La lancia si avvicina lentamente a riva tra le spume bianche delle onde, mentre la casa sembra un gigante morente.
Osserva e ricorda quello che il nonno ha narrato prima di morire.

Ellie e il suo sogno

Ellie sta ritta sulla punta dell’imbarcazione che solca quel tratto di baia che da Wenona porta a Holland Island.
Il vento gelido le sferza il viso come le lame dell’erpice frantumano le zolle del campo appena arato.
Lei sta avvolta nella cerata gialla con le mani ben salde sul parapetto attenta a non scivolare nelle acque grigiastre della Chesapeake Bay, dove l’enorme estuario del Potomac si confonde con l’Atlantico.
Vuole osservare per l’ultima volta la grande casa vittoriana, che sta lentamente agonizzando, divorata dalle maree e dall’incuria degli uomini.
La casa è disabitata da decenni dopo aver conosciuto dei fasti ormai ricordi.. Però per lei è una meta di pellegrinaggio nel periodo estivo per osservare quel fazzoletto di terra che emerge tra fondali bassi nel mezzo della baia come un faro in prossimità della costa.
Ricorda con nostalgia i racconti del nonno, il pastore protestante della piccola comunità che ha popolato l’isola all’inizio del novecento. E’ rimasta sempre affascinata da quei 160 acri che hanno sfidato il mare in tempesta e il gelido vento invernale, quando da piccola stava intorno al camino ad ascoltare le mille storie, che Stephen Powell le narrava.
Adesso l’isola dei suoi sogni non c’è più, perché anche l’ultimo relitto umano sta per cedere sotto i colpi impetuosi delle onde in tempesta.
Ha sempre sognato di acquistare quel lembo di terra che lei ha trasformato in una sorta di paradiso terrestre, ma il mare lentamente se la sta mangiando.
“Ho letto che la colpa è nostra, perché i mutamenti climatici hanno innalzato il livello delle acque. Sarà vero?” si domanda mentre la piccola lancia continua ad avanzare lentamente nella gelida baia, illuminata da un pallido sole.