La veglia di Halloween 1910

Erano volati i due giorni che avvicinavano la sera di Halloween tra passeggiate romantiche per le strade che attraversavano Holland Island, incuranti degli sguardi malevoli degli isolani, e la preparazione per la festa pagana.
Dan aveva notato un senso ostile nei visi delle persone che incontravano tanto che aveva meditato più di una volta di prendere il primo postale e tornare velocemente a Deal Island.
“Deal Island è senza dubbio un piccolo villaggio dove gli stranieri sono visti con occhi non proprio benevoli. Però non manifestano così chiaramente la loro ostilità come qua. Eppure poche miglia, un braccio di mare nemmeno troppo profondo, li dividono. Nonostante questa quasi contiguità fisica sembrano due mondi separati da un vallo oscuro e incassato che impedisce il mescolarsi delle persone tra loro. Qui io sono uno straniero e, come tale, il diverso che vuole prendersi senza il permesso una persona di loro proprietà. Dunque sono l’intruso da scacciare, da allontanare”.
Erano questi i pensieri ricorrenti che aveva esternato più volte a Angie al loro ritorno nella casa vittoriana. Però lei aveva sempre alzato le spalle come se la questione non la sfiorasse nemmeno oppure fosse una mera considerazione senza che la riguardasse minimamente.
“E’ solo invidia questa ostilità palese nei tuoi confronti. Ma soprattutto sono io il loro bersaglio. Non ho mai legato con questi zoticoni, a parte un paio di ragazze, che hai conosciuto a Deal Island durante la festa di Mabon. Questa antipatia è stata sempre manifesta, anche contro mio padre, reo di essersi stabilito qui con una moglie che loro consideravano inadeguata o di livello inferiore. Fingevano dinnanzi di essere amici, ma poi parlavano male, raccontavano le cose più assurde. Però non potevano nulla perché lui era ricco, molto di più di loro, e dei loro commenti non gliene importava nulla”.
Era stata questa la risposta all’ennesimo quesito, posto da Dan mentre alla vigilia di Halloween si apprestavo a completare le decorazioni della casa e della tavola.
“Perché la consideravano inadeguata?” le chiese, mentre finiva di intagliare una zucca dentro alla quale sarebbe finita una grossa candela rossa.
Angie non ne avrebbe voluto parlare in quel momento, ma ormai il sasso era stato gettato e non poteva tirarsi indietro.
“Mia madre era una donna nativa di qui, discendente dal popolo degli algonchini, che prima del nostro arrivo erano i proprietari e gli abitanti di queste terre. Dunque lei aveva diritto di risiedere qua, perché lei e i suoi avi vi hanno sempre abitato. Ma ai loro occhi era una selvaggia, come se loro fossero le persone più acculturate di questa terra. Non ho mai capito il motivo per il quale i vecchi abitanti fossero considerati dei selvaggi. Dunque era l’erede di un nemico che aveva combattuto contro di loro strenuamente in difesa del diritto a vivere, possedere e governare queste zone. E questo non è stato mai perdonato. Lei è rimasta sempre in silenzio accanto a mio padre, accettando le loro meschinità senza mai ribellarsi una sola volta. Io sono diversa, sono orgogliosa di essere irlandese come mio padre, mia zia e i miei nonni. Ma percepisco che quel poco di sangue algonchino, che mia madre mi ha trasmesso, mi danno la forza e il diritto di comportarmi su queste terre come se mi spettassero per privilegio e non in virtù e per la forza del denaro. Ecco perché li disprezzo e non li tengo in considerazione, a parte qualche eccezione”.
Nello scandire queste parole la voce e il viso di Angie si è alterato assumendo una fierezza e una determinazione che potevano incutere paura.
Dan l’osservava e comprese il motivo per il quale aveva percepito che lei aveva una personalità forte e un carattere libero, trasmessole da degli antenati altrettanto fieri: era il senso di indipendenza degli algonchini e la testarda tenacia degli irlandesi, che lei promanava. Questi tratti la rendevano ancor più desiderabile e le donavano un fascino che non aveva trovato riscontro in altre donne, più malleabili e remissive ma meno dotate di temperamento. In un certo senso sentiva un’attrazione che mai aveva provato prima.
Le prese una mano e la strinse con vigore senza dire nessuna parola. La conosceva da poco e ne conosceva solo alcuni aspetti e forse nemmeno quelli principali, ma intuì che sarebbe stata una persona eccellente da frequentare, perché sotto quella scorza dura e orgogliosa si celava anche un’anima dolce e passionale.
La preparazione continuò in silenzio, rotto solo da qualche richiesta puramente formale: “Mi allunghi quella zucca”, “Dove metto questa candela?” oppure “Che te ne pare?”
Sembrava che il gelo fosse calato tra loro, congelando pensieri e parole.
Lei ripensava a quanto aveva detto e in un certo senso ne era pentita.
“Però se non lo dicevo ora, quando glielo avrei dichiarato che mia madre era un’algonchina? Ma forse dovevo tenere un tono più umile, meno orgoglioso. Volare più basso. Forse non ha gradito molto questa mia filippica, perché mi è sembrato che abbia cambiato atteggiamento. Non parla più, sorride a stento, è garbatamente educato. Non cambierò mai!”.
Angie rifletté su questo e cercò un modo per rompere quell’atmosfera fredda che aleggiava nella stanza. Si muoveva con precisione, organizzava la tavola con molto gusto e perfettamente allineata con la ricorrenza di Halloween. Una tovaglia scura sulla quale spiccavano i piatti bianchi senza decori e due zucche svuotate e intagliate. Il tutto con semplicità.
Nella stanza ne aveva sistemato altre quattro con dentro un cero di colorati diversamente negli angoli. Dal giardino aveva recuperato un piccolo arbusto che assomigliava apparentemente a un albero e sul quale aveva appeso qualche dolcetto.
Era venuto il momento di andare in cucina per preparare il pranzo.
“Mi tieni compagnia mentre preparo qualcosa per cena?” gli chiese con tono gentile.
Dan annuì, la seguì e si sedette accanto al tavolo, mentre l’osservava a cucinare, a mescolare i vari ingredienti.
Alcuni piatti erano già pronti e cotti, altri no. Mise della nuova legna nella stufa per scaldare per bene il forno e il piano di cottura, mentre Dan si preoccupò di tenere desto il fuoco del camino. Sul tavolo in una terrina era stato preparato l’impasto per le frittelle di zucca, mentre la torta di Jack o’Lantern era pronta per essere infornata.
“Conosci la storia di Jack o’Lantern?” gli chiese rompendo il muro di silenzio che si era creato.
“No”.
“Mentre preparo lo sformato di zucca, te la racconto”.
E cominciò. Era una storia curiosa che aveva sentito da piccola raccontata da nonna Caitlin, quando l’andava a trovare per Natale. Era anche un modo per far comprendere come lei ci tenesse alle sue origini.
“Fa parte della tradizione irlandese. E’ il dolce tradizionale per Halloween..”.
“Mi sembra che questa festa qui in America sia stata introdotta dagli irlandesi quando intorno al 1850 sono arrivati in gran numero. Molte delle feste hanno provenienze lontane, tipiche delle varie popolazioni che si sono stanziate qui e poi diventate patrimonio comune” chiese Dan.
“Si. Anche i miei nonni arrivarono con quell’ondata di migranti. La spaventosa carestia delle patate in Irlanda di quegli anni obbligò moltissimi irlandesi a migrare in America per non morire di fame e di stenti in patria. Questi portarono con loro la tradizione di Halloween e di Jack o'Lantern, ma le rape non erano così comuni come in Irlanda, così le sostituirono più che egregiamente con la zucca. Questa ricorrenza si è diffusa rapidamente anche qui e nessuno ricorda più da dove ha avuto origine”.
E riprese il racconto.
“Era un fabbro irlandese, un ubriacone taccagno, che ebbe la sventura di incontrare il Diavolo in un pub nella notte di Halloween. Jack era ubriaco e stava per cadere nelle mani del Diavolo, quando riuscì ad imbrogliarlo offrendo la sua anima in cambio di un'ultima bevuta ..”.
“Beh! fin qui nulla di nuovo o di insolito. Il solito baratto ..” interruppe Dan.
“.. Il Diavolo si trasformò in una moneta da sei pence per pagare l'oste, ma Jack riuscì velocemente a metterla nel borsellino. Poiché teneva in tasca anche una croce d'argento, il Diavolo non poté tornare alla forma originaria. Jack lo lasciò andare via a patto che questi gli promettesse di non reclamare la sua anima per i successivi dieci anni. Il Diavolo accettò di malavoglia, ma non poteva fare altrimenti. Dieci anni dopo Jack lo incontrò di nuovo mentre camminava lungo una strada di campagna. Era tornato per reclamare la sua anima, ma lui, riflettendo velocemente, gli disse: «Verrò, ma prima potresti prendermi una mela da quell'albero?». Il Diavolo, non vedendo pericoli in quella richiesta, balzò sulle spalle di Jack per prendere la mela. Lui tirò fuori un coltello e intagliò una croce sul tronco dell'albero. Questo lasciò il Diavolo a mezz'aria, incapace di raggiungere Jack o la sua anima né di scendere a terra ..”
“Mi sembra alquanto ingenuo questo Diavolo .. Sembra un sempliciotto. Già dieci anni prima era stato beffato, adesso ci ricasca di nuovo” disse divertito Dan.
“In effetti è proprio così. Ma si sa che il Diavolo fa le pentole ma non i coperchi” e Angie rise di gusto.
“Ma proseguiamo. Non immaginerai mai come andò a finire. Jack gli fece promettere di non tornare mai più per reclamare la sua anima e il Diavolo acconsentì. Nessuno tramanda come sia riuscito a tornare di nuovo a terra! Ma non ha importanza. Quando morì, anni dopo, non fu ammesso in cielo, a causa della sua vita dissoluta, da ubriacone e truffatore. Così si recò all'entrata dell'inferno, ma il Diavolo lo rimandò indietro perché aveva promesso di non prendere mai l'anima di Jack. «Ma dove posso andare? », chiese Jack. «Torna da dove sei venuto! », gli rispose il Diavolo ..”
Dan stava ridendo di gusto nell’ascoltare la storiella.
“Mai visto o sentito che un diavolo rispetti la parola data! Solo gli irlandesi sono capaci di pensarlo..” e giù un’altra risata.
Angie fece una smorfia di disappunto ma riprese la narrazione come se niente fosse. D’altra parte come dargli torto, questa battuta ci stava pienamente.
“Ma la strada del ritorno era buia e ventosa. Jack implorò il Diavolo di dargli almeno una luce per trovare la giusta via. Quello, spazientito, gli gettò un carbone ardente che proveniva dalle fiamme dell'inferno. Per illuminare il cammino e per non farlo spegnere dal vento, Jack lo mise nella rapa che stava mangiando. Da allora fu condannato a vagare nell'oscurità con la sua lanterna, fino al Giorno del Giudizio. Jack o'Lantern da allora è il simbolo delle anime dannate. Per ricordarlo si prepara una torta in suo onore per chiudere degnamente il pranzo di Halloween e placarlo qualora si fosse presentato alla porta”.
“Perché intagliamo le zucche con un cero dentro? Non aveva usato una rapa Jack in quel vecchio e buffo episodio?” chiese serio.
“Sì. Ma ascolta. C’è un’altra versione e poi capirai il motivo delle zucche con il ghigno di un uomo. Secondo un’altra tradizione Jack o'Lantern era una sentinella o un uomo che portava una lanterna durante i suoi giri di perlustrazione. La gente credeva che nella notte di Halloween gli spiriti ed i fantasmi abbandonassero le tombe per ricercare il calore delle loro vecchie dimore. Queste persone, timorose di essere visitate dai fantasmi di vecchi proprietari, si mettevano in costume per spaventare questi spiriti sulla strada del ritorno. Lasciavano anche del cibo ed altri doni vicino alla porta, in modo da placare gli spiriti e da non far distruggere loro né le case né i raccolti. Poi in seguito anziché invitarli a proseguire il loro cammino. iniziarono a intagliare e dipingere delle facce nelle rape in cui mettevano delle candele illuminate, sperando che il simulacro di un'anima dannata potesse farli scappare e ritornare da dove erano venuti. In America la rapa non è comune come in Irlanda, quindi per mancanza della materia prima si è cominciato a soppiantarla con la zucca, che qui cresce in abbondanza. Quello che vediamo rappresenta la faccia sogghignante del furbo fabbro. E’ diventata l'icona più famosa di Halloween”.
Il clima era diventato disteso e le ansie erano sparite.
Angie si muoveva con rapidità e precisione in cucina, sfornava i piatti pronti da essere gustati, preparava la sfoglia per la sfogliata di porri e zucca, friggeva le frittelle dolci, mentre continuavano a chiacchierare dell’Irlanda, del Maryland e di loro.

Dubbi e pensieri

Ellie chiude il diario e gli occhi per pensare, riflettere su quello che ha letto, su quanto sta facendo. E si domanda se è la sua volontà che la spinge verso gli obiettivi che in qualche modo sono simili a quelli che si era proposta Angie oppure se sono solo coincidenze fortuite e apparentemente uguali.
Lei si è sempre sentita distante dalla bisnonna, che non ha conosciuta e della quale ignora tutto fuorché quel poco che ha letto o ascoltato. Però le sembra troppo limitato o quanto meno è una visione parziale e forse poco oggettiva.
Il nonno Pat ha sempre sostenuto che la madre le assomigliava terribilmente.
“Ma sarà vero?”
E’ questa la domanda ricorrente in queste giornate da quando è tornata a Holland Island a osservare lo sfacelo della casa che fu della bisnonna.
Una strana frenesia l’ha colta al ritorno, come se il desiderio di conoscere l’abbia costretta a ricercare il diario, a leggerne le pagine, a percorrere una strada che mai avrebbe pensato di prendere. Si è calata nel ruolo che a suo tempo è stato di Angie, auspicando di trovare anche lei il suo Dan. Quasi non si riconosce più, tanto si è sentita modificata interiormente con pensieri che fino a pochi giorni prima mai avrebbe pensato e nemmeno sfiorato.
Osserva fuori dalla finestra, mentre appoggia i gomiti sul vassoio. E’ come in trance: scruta ma non vede, rimugina ma non ricorda, legge ma le parole volano via.
Si scuote dal torpore nel quale si è calata. Adesso il sole è più alto nel cielo, che rimane di un azzurro slavato, solcato da piccole nuvole grigie.
Controlla l’ora. Sono le otto e tra poco Susan sarà alla porta a suonare. Oggi sarà una giornata difficile, non perché sarà complicata ma perché non avrà tempo per le riflessioni che hanno accompagnato il risveglio.
“E’ inutile perdersi dietro a mille fantasie. Il tempo per mettere tutto in ordine prima dell’arrivo di Annie è limitato. Ci sono molte attività da svolgere. E non so ancora se ci riuscirò. E’ tempo d’alzarsi e farsi trovare pronta. Per tutto quello che ci sarà da organizzare da oggi ai prossimi due giorni non basta la volontà. Serve agire” e detto questo si dirige verso il bagno.
Riesce a malapena a lavarsi e mettersi un filo di trucco che il campanello squilla imperioso, annunciando l’arrivo di Susan.
Le dà le prime istruzioni, mentre lei si dirige in cucina. Deve comporre la lista di quanto non ha trovato ieri, di quello che ha ritardato l’acquisto perché non urgente.
Depenna quello che c’è già in casa. Rimane comunque un bel elenco di cose da acquistare presso il centro commerciale di Crisfield. Non pensava che fosse così lungo.
“Quattro cose? Mi sembra che siano molto di più” dice rabbuiandosi.
La mattina vola senza che lei se ne accorga. Al suo rientro trova un biglietto di Susan che l’informa che tornerà alle due. Deposita le grandi borse di carta sul tavolo e si siede nuovamente a riflettere. Sembrano un mantra queste riflessioni, che alimentano dubbi nuovi e non risolvono quelli vecchi.
Si guarda intorno smarrita: i sacchetti della spesa, il lavello ingombro di stoviglie da lavare, il salotto che pare un campo al termine di una battaglia e un languore che sale dallo stomaco.
Le viene voglia di piangere, ma alla fine è consapevole che è stata lei a cacciarsi in questa impresa da sola. Quindi è inutile compiangere se stessi. E’ meglio cominciare a darsi da fare, agire senza troppi piagnistei.
“Da dove cominciare? Se resto qui, alle due arriva Susan senza che io abbia combinato nulla di buono! Dunque..”
Come rianimata da un misterioso ricostituente, sistema le cose comprate, sgombra il lavello e si prepara una pizza surgelata. Il tutto a tempo di record o così almeno le sembra.
Il pomeriggio trascorre velocemente, mentre lei è intenta a cercare lenzuola, federe e asciugamani per gli ospiti. Controlla che le due stanze siano sufficientemente accoglienti, che i bagni di servizio siano in ordine e non manchi nulla. Decide che domani tornerà a Crisfield per acquistare altre salviette, perché quelle che ha non la soddisfano. Non avendole usate per molti anni, sono ingiallite sui bordi e avrebbero necessità di essere lavate e stirate. Però il tempo è poco e questa ulteriore attività non è stata contemplata.
Le riflessioni e i dubbi non sono spariti, ma semplicemente relegati in un angolo, quasi dimenticati. L’impegno di seguire Susan, di verificare che non manchi nulla non le hanno concesso il tempo di soffermarsi sui timori e sulle considerazioni  di quanto sta facendo.
Ormai è sera: può rilassarsi in poltrona e concedersi il lusso di fare il punto della situazione dopo una giornata snervante e faticosa.
“Ancora una mezza giornata e la casa è pronta ad accogliere gli ospiti. Le prove di pranzo per il momento sono un piccolo ricordo lontano nel tempo, ma ora riaffiorano minacciose. Domani mi dedicherò alla preparazione di qualche piatto. Se non sfrutto Susan, chi potrei avvelenare?” e una risata gioiosa e liberatoria esce finalmente dalla sua bocca.
Si dice che, se è stata impegnativa, domani non sarà di meno, come dopodomani. Non ha voglia di prepararsi qualcosa da mangiare e decide di telefonare al ristorante per ordinare la cena.
Utilizza ancora il vassoio scoperto casualmente stamattina e si pone ancora la domanda: “A chi era appartenuto?”
Lei non ricorda di averlo mai visto tra le mani dei genitori, quindi è sicuramente datato. Comincia a fantasticare.
“Forse era di Angie. Sì, era suo e con questo ha servito la colazione a Dan! Sarebbe splendido! Ancora qualcosa che mi conduce a lei”.
Però si chiede come vorrebbe che fosse il suo Dan? Non ha le idee precise, sono confuse, una specie di patchwork vivente, dove ogni pezzo è tratto da un uomo diverso. Il naso di John, gli occhi di Tom Cruise, il mento di Patrick, il carattere di ..
“E’ possibile?” si chiede mentre sorseggia un bicchiere di vino bianco.
“No, stai andando oltre! L’uomo ideale non esiste! Ma come faccio a riconoscerlo tra mille? Eppure alla high school ci ho provato, ma tutto è stato inutile, frustrante e indisponente”.
Ripensa a John, il primo amore, e ai tratti del viso.
“Il primo amore?” e ride di gusto.
“Forse il primo sogno a occhi aperti! Lui manco mi ha …Lasciamo perdere. Io sbavavo e lui nemmeno si accorgeva di me come se fossi stata un fantasma. Ma cosa aveva di speciale per attrarmi? Forse se lo capisco, riuscirò a trovare il mio Dan”.
Si sforza, si concentra, ma il risultato è deludente e la domanda rimane senza risposta.
Si sente esausta con gli occhi che si chiudono per la stanchezza e la tensione accumulata nella giornata.
Gettati gli avanzi della cena nella pattumiera, lavate le poche stoviglie utilizzate, si spoglia e si infila sotto le coperte.
In un amen si addormenta profondamente, mentre il sogno continua.

Il sogno continua

Ellie si sente turbata ed eccitata allo stesso tempo, non riuscendo a percepire ciò che appartiene alla realtà estrapolandolo dal sogno.
Accende la luce per controllare l’ora. Sono le sette di mattina e la giornata inizia ad albeggiare. Si preannuncia serena come quelle precedenti. E ripensa che anche cento anni prima c’era il sole al risveglio dei due amanti.
“Troppe coincidenze per essere vere” conclude la ragazza sorridendo.
La notte non è stata troppo rigida, ma si avverte che l’autunno sta entrando di prepotenza e che è opportuno tenersi coperti per non prendersi un’infreddatura più noiosa da guarire in questo periodo.
Cerca con lo sguardo la copertina di pelle marrone del diario senza trovarlo immediatamente. Si domanda dove può essere finito. Continua l’esplorazione finché non lo scova tra le pieghe del copriletto di cotone.
“Ecco dov’è finito” e lo recupera per leggere qualche altra pagina. Ormai è sveglia completamente, ma ritiene che sia decisamente presto per alzarsi. E poi non ne ha troppa voglia. Sta bene al caldo sotto le coperte.
“E se preparassi la colazione da consumare mentre leggo? Sì, mi sembra una buona idea e poi anche Angie al risveglio..” e sorride, mentre infila la vestaglia per ripararsi dal freddo della mattina.
Le sembra strano rifare i medesimi gesti compiuti dalla bisnonna cent’anni prima, ma le vengono naturali pensarli ed eseguirli. Ancora una volta ripercorre non con la fantasia ma con la concretezza delle azioni il percorso di Angie.
Recupera da una dispensa un vassoio con le gambe, che non pensava nemmeno lei di possedere. Si domanda a chi era appartenuto, ma non ha voglia di imbarcarsi in lunghe congetture. Le è sufficiente averlo trovato senza troppi perché su di chi è.
Riempito con tazze e piatti, con la caffettiera fumante e le brioche calde, si accinge a proseguire la lettura, mentre sorseggia il caffè nero senza zucchero e pilucca due paste surgelate, scovate nel freezer e riportate in vita dal microonde. Il vassoio si trasforma in un piccolo tavolino dove pone anche il diario.
Si sistema ponendo il cuscino, che non è di piuma d’oca ma di quelli ergonomici in schiuma di lattice naturale, tra la schiena e la testata del letto. Sorridendo si dice che qui cominciano le prime discrepanze con la bisnonna: lei usava prodotti naturali che adesso sono un pallido ricordo. Il materasso non è più di lana di pecora, ma di materiale sintetico e non necessita più del materassaio. Si chiede come funzionava l’operazione: era un itinerante oppure possedeva una bottega. Una domanda  che rimarrà senza risposta e che abbandona subito.
L’accensione dell’impianto per riscaldare avviene in automatico alle sette tutte le mattine e in breve riesce a mitigare l’aria raffreddatasi nel corso della notte. Quindi non corre il rischio di prendersi un’infreddatura come la bisnonna per riattizzare il fuoco e dare tepore alla stanza.
Ellie pensa a queste piccole differenze e sorride, ma è conscia che sono passati troppi anni da quando Angie stava sul quel letto con Dan. I tempi sono cambiati, solo i gesti e i pensieri sono rimasti pressoché immutati.
Aggiusta la posizione del corpo per mettersi comoda, pone il diario su un piccolo leggio sul vassoio e mentre beve il caffè riprende la lettura.
 
Era la vigilia di Halloween e il cielo era ingrigito coperto da nuvole alte che formavano un tappeto quasi omogeneo plumbeo e malinconico. Il vento gelido spirava dal mare e non prometteva nulla di buono.
Angie e Dan stavano facendo una breve passeggiata per Holland Island ben coperti da pesanti cappotti di lana.
Lui portava un cappello a larga tesa che ondeggiava pericolosamente pronto a spiccare il volo per una raffica più impetuosa. Era un Borsalino grigio di feltro, di pelo di coniglio, importato direttamente dall’Italia e comperato a Baltimora l’inverno precedente in un elegante negozio del centro città. Quel copricapo era una grande novità per Deal Island, perché gli uomini più importanti e facoltosi portavano solamente uno Stetson, la versione elegante dei cappelli da cowboy. Questo aveva prodotto molta curiosità, invidia e desiderio di acquistarne uno simile. La novità e l’originalità dell’oggetto era un fattore importante per la piccola comunità di Deal Island. E di ciò ne era consapevole Dan.
Lei aveva un’elegante cappellino bianco, ornato con dei fiori freschi e legato sotto il mento. A stento racchiudeva i riccioli rossi che facevano capolino fino a coprire il collo. Questo copricapo veniva usato solo nelle gradi occasioni e questa lo era.
Erano una bella coppia elegante e di classe. Lui alto e slanciato, dal portamento fiero, lei bassa di statura e dalla corporatura minuta ben nascosta sotto una pesante mantella di lana.
La loro apparizione aveva già suscitato le prime pettegole osservazioni e gli sguardi curiosi degli abitanti dell’isola.
Si domandavano chi era quell’uomo del tutto sconosciuto e perché dimorasse nella grande casa vittoriana anziché nell’unica pensione presente in loco.
Inoltre nelle chiacchiere che oscillavano tra la curiosità e una riprovazione un po’ ipocrita dicevano che non poteva essere un parente perché non aveva i tratti caratteristici dei Fairbanks. In conclusione era un interesse più pruriginoso che un desiderio di conoscere l’esatta natura dell’accompagnatore di Angie.
Però a lei questo non importava, anzi le dava la soddisfazione di esibire un uomo molto diverso dagli altri isolani come se fosse un trofeo da sbandierare.
Si chiedeva anche se il loro rapporto che stava progredendo con lentezza e tra piccole incomprensioni potesse durare e trasformarsi in qualcosa di più.
Non aveva compreso pienamente se lui fosse contento di essere lì con lei, di dividere la giornata, se fosse interessato. In certi momenti le sembrava di sì, poi la visione virava al brutto, al negativo come se Dan fosse allettato solo dal fatto di fare all’amore.
Quest’ultimo pensiero le metteva i brividi, perché la sua esperienza in questo campo era praticamente nulla. La sua speranza era quella di non rimanere gravida prima che lui non si fosse dichiarato apertamente con l’ovvio matrimonio riparatore.
Scacciò queste riflessioni, come se fossero una fastidiosa mosca, e continuò a parlare con naturalezza e vivacità.
“Voglio godermi questi momenti. Mi sento felice e appagata. In pochi giorni ho cancellato anni di solitudine. Sarà quello che Dio vorrà”.
Angie sempre aggrappata al braccio di Dan camminava speditamente ignorando i sorrisi malevoli dei vicini.
“E’ una giornata grigia e fredda. Questo vento gelido sembra che abbia delle mani provviste di mille aghi, tanto è pungente. Ma accanto a te, non percepisco nulla, perché mi infondi sicurezza e calore” gli disse mentre passeggiavano sulla strada che costeggiava le acque grigiastre e increspate della baia.
“E’ singolare e mi pare strano essere qui con te.” le rispose “Tre giorni fa non l’avrei pensato. Anzi era un’ipotesi talmente remota che non mi sfiorava minimamente. Ragionavo che sarebbe stata una vacanza noiosa, monotona e quasi ..” e qui lasciò cadere il discorso.
Non voleva riaccendere i malumori della donna. Tutto sommato trovava gradevole la sua compagnia pur riconoscendo che il carattere non difettava.
“Quasi..? Cosa volevi dire col quasi?” gli domando con tono un po’ risentito.
“Nulla, nulla”.
“Non credo che metta nel discorso un quasi senza un preciso motivo” insistette Angie.
Dan cercava di prendere tempo per trovare le giuste parole per non irritarla.
“Ascoltami con attenzione. Non ti conoscevo come invece ti conosco ora. Non sapevo quale vita pubblica si svolgesse sull’isola e quali persone avrei incontrato. In conclusione era un grosso punto interrogativo che mi instillava qualche dubbio. Invece devo convenire che tu sei una donna squisita, risoluta e avvezza a gestire la propria esistenza con molta intelligenza. Per me è stata una scoperta sorprendente che ha confermato l’intuizione iniziale. Qui i ritmi sono scanditi secondo precise cadenze, senza frenesia. Le persone mi appaiono cordiali senza nessuna curiosità come se badassero a loro interessi senza curarsi dei forestieri. Il clima generale mi appare buono. E non sono affatto pentito di trascorrere con te diverse giornate. Le prime sono volate via in un baleno e stasera ci aspetta una serata invitante”.
La tensione che aveva preso Angie adesso stava scemando man mano che Dan parlava.
Il lungo discorso le appariva sincero e non frutto di particolari convenienze.
“Avevo temuto che volessi dire..” e si interruppe brevemente prima di riprendere il ragionamento “Ora tutto mi è chiaro. Quel quasi era semplicemente una maniera per esternare il dubbio della tua volontà di avere accettato il mio invito. Non pensiamo più e godiamoci queste ultime ore di luce, passeggiando e respirando l’aria frizzante di salsedine”.
E si strinse ancora di più al suo uomo, perché ora aveva qualche certezza in più.

La conversazione

Nella stanza l’aria si era intiepidita per effetto del cammino acceso da Angie. La legna crepitava con schiocchi improvvisi mentre mille falliste si alzavano sopra le fiamme. La brina gelata che aveva orlato fino a pochi istanti prima le finestre cominciava a sciogliersi in molti rivoli d’acqua che scivolavano silenziosi come minuscoli torrenti in miniatura.
Le pesanti tende di broccato rosso erano state scostate lasciando entrare un pallido sole che illuminava la scena occupata dal grande letto di ottone nel centro della camera. Un tempo aveva accolto i genitori di Angie. Adesso ci dormiva lei.
Era molto più ampio del consueto, comodo e accogliente. Le due testate di ferro erano decorate con vistosi disegni di fiori che rallegravano l’austerità della stanza. Il mobilio era ridotto all’essenziale. Un tavolo di legno massiccio stava nell’angolo più vicino al cammino con sopra una specchiera. Un enorme armadio in noce lavorato con grandi fregi occupava la parete di fronte alla finestra, mentre due comodini inglesi in radica di rovere filettati con decori in ottone facevano bella mostra ai lati del letto.
Angie aveva rinnovato di recente i materassi con morbida e calda lana di pecora, alti due spanne, pronti ad accoglierla caldi e avvolgenti. Anche i cuscini, dalle proporzioni inusuali e riempiti di candide piume d’oca, avevano subito analogo trattamento tanto che la testa appoggiava con piacere su quel soffice mondo, favorendo l’approdo al mondo dei sogni.
Con regolarità secondo un rituale ormai codificato veniva eseguita l’operazione di disfare i materassi, programmandola un anno per l’altro, attesa come il segnale della bella stagione. A primavera il materassaio provvedeva ad aprirli, ad arieggiarli e a ridare la giusta consistenza ai fiocchi, pettinandoli con cura per eliminare i nodi che si erano formati giorno dopo giorno dal precedente intervento. Era un’attività che richiedeva il bello stabile e spazi asciutti intorno. Nel giardino un’enorme tavola, appoggiata su due cavalletti, ospitava i materassi, che venivano sventrati e svuotati del loro contenuto che finiva su un telo di lino grezzo a prendere il sole e l’aria frizzante della bella stagione. Venivano poi riempiti e ricuciti a mano con arte e precisione così che al termine del lavoro apparivano come se fossero nuovi. Queste lavorazioni duravano un paio di giorni. Erano momenti di gioia che venivano vissuti con intensità da Angie. Un rito irrinunciabile che scandiva il passare del tempo.
Lei, sistemati i cuscini contro la testata del letto, si tirò fin sotto il mento le lenzuola di lino, ricamate con le sue cifre A e F che spiccavano nette sugli angoli, e la coperta di pecora come se la stanza fosse ancora gelida. Era un modo istintivo per nascondersi alla vista di Dan come se fosse un rigurgito di pudore dopo la notte trascorsa freneticamente.
Lui, deposti i vassoi con i resti della colazione sul tavolo, si accinse a parlare di sé, ad ascoltare quello che lei aveva intenzione di dire.
“Sembra singolare, e in effetti lo è, ma non conosco nulla di te” cominciò Angie, prevenendolo nell’iniziare il discorso.
Lui, con le mani intrecciate dietro la nuca e appoggiato comodamente alla testata, sorrise e replicò con calma.
“Perché forse io so qualcosa di più?”
Angie arrossì leggermente a quella risposta ironica e pungente, perché in fondo se le era veramente cercata. Però in qualche modo aveva rotto il ghiaccio dopo il risveglio mattutino e la colazione silenziosa.
Fingendo di raccogliere la frecciata proseguì.
“Hai detto che hai seguito la raccolta delle mele. Dunque sei un proprietario terriero. Ma questa unica attività ti permette di vivere agiatamente?” domandò con la fronte corrugata per il dubbio che stava aleggiando nella sua mente.
Lui rifletté un attimo prima di rispondere.
“No. No di certo!” disse ridendo di gusto “Se non avessi altri proventi, vivrei di stenti. Diciamo che questa è un hobby e nulla più. Un bel divertimento stare all’aria aperta insieme ai contadini, vivere insieme la loro giornata. Quasi tutto il ricavato lo regalo a loro, che hanno accudito con amore le piante. La rendita maggiore, in realtà, mi proviene dalle grandi piantagioni di tabacco, la cui qualità è molto apprezzato dalle industrie del nord, dai grandi produttori del fumo. Si trovano sulla costa occidentale della baia e sono l’eredità dei miei bisnonni, che hanno avuto la lungimiranza di acquistarle dai powhatans per pochi spiccioli. Ora sono una miniera d’oro. Io preferisco vivere a Deal Island piuttosto che vicino alle piantagioni. Ho una persona fidata che lavora per me e fa sì che tutto proceda per il meglio”.
A Angie il pensiero corre alla madre, l’enigmatica Wina, che era una powhatan silenziosa e discreta. Dentro di lei scorre anche sangue algonchino che ha mitigato l’accesa irruenza irlandese. Delle sue origini di mezzosangue decise di non parlarne, di sorvolare. Ci sarebbe stato un momento più propizio per dirlo, adesso reputava che fosse troppo rischioso e prematuro.
“Mio nonno è arrivato da Wicklow, la capitale dell’omonima contea, dopo la grande carestia del 1849, stanziandosi a Baltimora. Wicklow è una cittadina vicino a Dublino, ma non l’ho mai vista. La nonna Caitlin l’ha sempre descritta come una città di case di legno colorate con tanti piccoli giardini, immersa in una pianura verde smeraldo. E’ un minuscolo puntino, lontano nel tempo e nello spazio. Mi sono sempre ripromessa di attraversare l’Atlantico per scoprire le radici della mia famiglia. Ma questo non credo che ti interessi..”
“E perché no? Mi sono chiesto da chi avevi ereditato questa folta chioma rossa, anche se dei tratti del viso sembrano tipici degli algonchini. Questa dicotomia mi ha incuriosito sin dal primo momento che ti ho vista. Ho provato delle sensazioni diverse dai soliti incontri con le donne della regione. Un quid di mistero e luminosa bellezza fusi insieme. Mi sono detto che non potevi avere delle discendenze dai vecchi abitatori di questi luoghi e non mi sono sbagliato. Dunque hai sangue irlandese nelle vene! E si vede e si sente! Ma…vivi da sola in questa grande casa?”.
Dan non osava domandarle come viveva visto che non lavorava e apparentemente non aveva proprietà a parte l’abitazione.
“Si, il nonno e la nonna erano fieri delle loro origini. Hanno fatto fortuna a Baltimora, come mio padre nel suo lungo peregrinare nella baia. Questo mi permette di vivere di rendita con le loro eredità, se questo era il tuo dubbio nascosto..”
“No, no! Non voglio essere frainteso!” si affrettò a dire cercando di fugare ogni dubbio “Sono stupito che tu viva da sola in questa grande casa, che mi sembra sproporzionata alle tue esigenze. Non ho mai dubitato che tu te lo possa permettere! Però trovavo singolare che una donna sola …”
Angie lo fulminò con gli occhi, perché metteva in discussione che una donna potesse vivere da sola in una casa dalle proporzioni generose, come se fosse unica prerogativa per i maschi. Giudicò impudente quell’accenno come se lei avesse qualcosa da nascondere. Qualche segreto inconfessabile.
“Forse pensi che abbia avuto un marito o preferisca le donne? Non credo visto lo stato in cui ero prima di stanotte” e tacque indispettita rintanandosi ancora di più sotto le lenzuola.
Dan comprese di avere avuto un atteggiamento maldestro verso questa donna dal carattere battagliero e dolce ma aspro allo stesso tempo. Aveva capito che non era come le altre donne conosciute più remissive ma meno decise nel difendere le proprie ragioni. Era questo tratto del carattere di Angie che aveva solleticato la sua curiosità, le sue attenzioni. Le prime sensazioni erano dunque confermate, mentre cresceva in lui lo stimolo ad approfondire la conoscenza.
Si rendeva conto in ritardo che non avrebbe dovuto usare quel linguaggio, ma ormai la frittata era fatta. Adesso doveva solo recuperare quel feeling che si era interrotto così bruscamente. Allungò una mano per sfiorarle il viso prima di ricominciare a parlare, ma lei lo allontanò infastidita come si fa con una mosca.
“Ti porgo le mie scuse per le parole malaccorte che ho usato. Non era mia intenzione mettere in discussione la tua sincerità. Di questo me ne dispiaccio. Spero che tu le accetti”.
Angie lentamente riemerse dal lenzuolo, sollevandosi leggermente, mentre abbozzava un timido sorriso.
Quell’uomo, più anziano di lei, le piaceva perché le ispirava un senso di pacata fiducia. Però non aveva gradito quelle insinuazioni. Doveva imparare a misurare le parole se voleva continuare la relazione che in qualche maniera stava vagheggiando con la fantasia.
Non voleva cedere subito e accettare le scuse che stava porgendo. Doveva fare ancora per un po’ l’offesa senza tirare troppo la corda per poi sciogliersi pian piano e ripristinare quel senso di intimità e complicità che c’era stato fino a qualche istante prima.
Rimase in silenzio sempre ben coperta. Solo il viso spuntava fuori ed era corrugato come se delle nubi foriere di pioggia minacciassero tempesta.
Dan si avvicinò lentamente per capire se la situazione poteva essere riportata al bello stabile. Lei si scostò in maniera impercettibile, lasciando però che le sfiorasse la guancia con la mano.
Incoraggiato da questo atteggiamento si fece più vicino con decisione. E questa volta Angie non si mosse, ma aspettò che i due corpi venissero in contatto.
“Sei ancora offesa?” le sussurrò con dolcezza nell’orecchio.
“No! Ma le tue parole mi hanno deluso”.
“Vedo di rimediare” e appoggiò le labbra sulle sue.
 
Ellie percepisce il dolce calore di quel bacio e si sveglia all’improvviso.
“E’ stato solo un sogno oppure una visione di qualcosa già visto, un Déjà vu in piena regola?” si dice come se le mani di Dan fossero ancora sul suo corpo.
Rabbrividisce non per il freddo per quello che ha visto e sentito e si domanda se anche lei troverà il suo Dan.

La preparazione della festa

Il primo tentativo per la preparazione degli ossicini dei morti ha dato esito positivo, anzi decisamente superiore alle sue aspettative. Le sembrano ottimi sia nella forma sia nel gusto tanto che li ha mangiati tutti, quelli della prima infornata. Sembrava a contratto: uno dopo l’altro come le ciliegie.
“Calma!” si dice mentre la musica di Springsteen continua a martellarle il cervello “Se continui così, sembri Penelope che disfa alla notte quello che fa durante il giorno e non prepari nulla. Va bene assaggiarne qualcuno, ma tutti è troppo!”.
E’ soddisfatta dei risultati, percepisce lo svanire lento ma deciso dei timori di non riuscire a combinare nulla di buono. E’ rinfrancata. Cambia il soggetto delle sue prove e si accinge a lavorare sulle zucche per produrre degli involucri vuoti da riempire con candele o altro e ottenere quanto basta per confezionare la torta di O’Jack.
I risultati sono incoraggianti a metà. Se riesce a estrarre pezzi di polpa più di quanto non le servano per la torta, non altrettanto bene funziona la preparazione di quelle vuote da usare come decorazioni per la tavola o per l’ingresso.
Una nel tagliare la parte superiore per svuotarla è diventata tutta sbilenca, inservibile. E adesso giace mesta in un angolo della cucina. L’unico servizio che può offrire è contenere dolcetti o stuzzichini per l’aperitivo a mo’ di coppetta. Un’altra si è sbriciolata mentre tentava di creare naso e bocca, avendo toppato nell’aprire i fori giusti. Erano troppo grandi e vicini fra loro. Un’altra ancora si è spaccata, perché c’ha messo troppo vigore col coltello nel tentativo di raschiare l’interno il più possibile.
Guarda mortificata il disastro che ha combinato. Era la prima volta che si cimentava in questo esercizio, ma comprende che la manualità non fa per lei. Eppure ricorda come quelle che adornano le vetrine siano perfette senza una sbavatura o un segno fuori posto. E riflette ad alta voce.
“Avevo tre zucche, ora ho tanta polpa e zero involucri. Che voglia oppure no è meglio sospendere per mancanza di materia prima. Mi sa che forse è meglio comprarne alcune già pronte per l’uso. Faccio meno fatica, si presentano ottimamente ma non mi sento soddisfatta per nulla. Però basta barare un po’ e fingere quel poco che basta e il gioco è fatto. Ora si va a nanna. Domani si cominciano le grandi pulizie! Devo essere in forma e non addormentarmi sulla scopa elettrica”.
La grande euforia di poco prima per i risultati dei biscotti lascia il posto allo scontento di non essere riuscita a ottenere dalle zucche svuotate quello che la sua immaginazione aveva già visto. Eppure non vorrebbe darsi per vinta.
“Domani compro un’altra zucca e con calma e pazienza la lavoro. Ci devo riuscire!” dice mentre si avvia alla camera da letto.
Prima di addormentarsi ha intenzione di leggere ancora qualche pagina del diario. Ha lasciato i due amanti al risveglio mattutino dopo la notte d’amore ed è curiosa di conoscere gli sviluppi.
“Chissà cosa si dicono! Sono veramente interessata di conoscere meglio la bisnonna”.
Si sistema sul grande letto di ottone, che il nonno ha detto che era appartenuto a Angie.
“Forse è quello dove si è consumata quella notte lontana cento anni fa” ragiona ad alta voce con un misto di invidia e curiosità.
Un brivido scivola silenzioso sulla schiena, mentre pensa che ci sono sempre punti di contatto tra lei e la bisnonna: il diario che sta leggendo, la voglia di festeggiare Halloween, il letto nel quale dorme.
E’ un magnifico pezzo di fine ottocento che ha destato l’interesse di qualche cacciatore di ricordi del passato, finti antiquari, che sono solo intenzionati a fare un buon affare per loro e naturalmente non per lei. Però ha sempre rifiutato le offerte, perché trova il letto magnificamente comodo, più ampio di quelli moderni sempre più piccoli. Le testate sono di un bel ottone lucido decorate con immagini floreali, è molto più alto del normale, tanto che pensa che se cade si fa decisamente male. Ha dovuto cercare tra mille difficoltà un artigiano che le preparasse un materasso e i cuscini su misura. Analogamente ha faticato non poco per trovare lenzuola, federe e altri accessori adatti alle loro dimensioni generose. Quando ci pensa, le vengono ancora i sudori freddi, mentre riflette che ne dovrebbe fare accortamente un po’ di scorta per il futuro. Quelli che lavorano su misura in questo campo diventano sempre più introvabili e costosi: una razza in via di estinzione.
Le sembrano strani tutti questi pensieri così distanti tra loro ma stranamente intrecciati da un filo logico invisibile.
Legge delle pagine della bisnonna e le viene in mente di organizzare una festa.
“Con che cosa?” si domanda “Usando il menù di cento anni fa e il suo ricettario!”
Scuote la testa perché è incredula di come l’influenza di Angie su di lei sia sottile, quasi subdola. Però non è finita, perché ripercorre tutte le difficoltà per trasformare un letto chiuso nel sottotetto, coperto di polvere ed eccessivamente grande in quello nel quale dorme adesso.
“E’ vero. Ha subito un restauro che l’ha riportato agli antichi splendori. E’ stato costoso, ma la soddisfazione di possederlo non ha prezzo!”.
Il vecchio diario dalle pagine ingiallite e rese fragili dal trascorrere del tempo è sempre aperto sul suo grembo, mentre la mente continua a divagare correndo dietro a mille pensieri. Non riesce a concentrarsi su uno in particolare, ma si mescolano impetuosamente tra di loro.
Sente le palpebre farsi pesanti con una stanchezza psicologica che la invitano a dormire. Chiude quei preziosi fogli, custoditi da una copertina di pelle, un tempo marrone, ma adesso un beige smorzo e slavato, deponendoli sul comodino.
E si addormenta senza avere nemmeno la forza di spegnere il paralume.
La mente continua a rimuginare quello che ha letto, quello che ha fatto nella giornata in un turbinio incessante di immagini senza tempo e senza spazio.
Non è più a Princess Anne, almeno questa è la sensazione, ma in una località che è forse Holland Island. La casa è diversa, ma non assomiglia a quella delle foto che custodisce gelosamente in una cassettina di legno. Gli arredi sono un kitsch di moderno e vecchio che non danno la dimensione del tempo. Li trova orribili con accostamenti pacchiani. Quelli moderni sembrano dozzinali, quelli più vecchi sono un miscuglio di fine ottocento e stile floreale. Le immagini scorrono veloci come fotogrammi impazziti senza dare il tempo di fissarsi nella mente.
“Dove sono?” si chiede un po’ inquieta, frastornata da quelle visioni incessanti.
“Chi sono quelle persone che si trovano con me? Non le conosco, non so chi siano”.
E il sogno continua tra sprazzi di chiaro e buio inquietante. Sembrano le luci del presepe che simulano il giorno e la notte.
Continua a vagare tra stanze vuote e altre piene di nuove persone sconosciute.
“Cosa cerco? Ma dove sono?”
Un filo d’angoscia le prende il petto mentre il respiro diventa più affannoso. Scorge una porta semi aperta dal quale traspirano delle scie luminose. Si avvicina e percepisce delle voci: sono un uomo e una donna.
Sbircia dalla fessura e vede il suo letto ricoperto di pelli di pecora, mentre ode il crepitare del fuoco. Le parole non le riconosce, perché sono un bisbiglio troppo tenue.
Apre la porta e osserva due persone vicine che parlano tra loro. La riconosce: è Angie. Lui non ha la percezione di sapere chi sia. Forse è Dan o forse no. Loro non sembrano curarsi di lei, perché continuano a parlare come se fosse un fantasma evanescente.
Si avvicina e ascolta, mentre il sogno continua.
Angie parla sottovoce e comincia a chiacchierare.
Ellie resta in piedi accanto al letto.

Halloween 2010

Nella casa in pietra di Princess Anne Ellie si guarda intorno: tra un paio di giorni la vecchia amica Annie sarebbe arrivata col marito e il cognato. La tranquilla solitudine che si era costruita negli anni sarebbe stata travolta dall’ingresso di tre persone con le quali avrebbe dovuto condividere stanze e rumori.
Si chiede perché ha avuto quel moto spontaneo e istintivo, invitandola a casa sua. Adesso è pentita, ma l’influsso della lettura del diario le ha acceso la fantasia di ripercorrere le orme di Angie di un secolo prima. Percepisce l’intimo dissidio tra quella parte di lei che la vorrebbe fuori dal guscio e l’altra che le vorrebbe imporre di restare indifferente al mondo esterno.
Tra dubbi e pentimenti, tra eccitazione e paure sente tutto il travaglio dentro di sé e la diversità tra lei e Angie anche se il nonno diceva il contrario.
Eppure comprende che è lontana nel tempo e nello spirito e, a parte il colore dei capelli, tutto è differente.
“Sarà vero?” si interroga con un pizzico di incertezza.
“Sarà vero che la bisnonna mi assomiglia nel carattere? Da quello che leggo non so…  Però..Il nonno Pat ha sempre detto che siamo due gocce d’acqua. La percepisco vicina e lontana allo stesso tempo. Lei appartiene a un mondo che io ho conosciuto solo attraverso il suo diario. Mi sembrano atmosfere rarefatte, avvolte nelle nebbie di un tempo che fu. E’ naturale perché io sono figlia degli anni novanta e sono cresciuta con altri stimoli. Ma perché il nonno ha sempre sostenuto il contrario? Cosa glielo faceva supporre?”
Sono le molte domande che si pone e alle quali pospone sempre al dopo la risposta. Adesso non ha tempo di ricercare dentro di sé le parole giuste e i pensieri coerenti ai suoi dubbi, ci sono altre priorità da soddisfare in questo momento.
“Devo ripulire la casa, rendere le stanze confortevoli, preparare il menù per Halloween, addobbare tavola e sala. Dunque non c’è tempo per trastullarsi in domande senza risposte sui motivi della somiglianza con la bisnonna. Ora la precedenza è da dove cominciare”
Non ha mai organizzato nulla in vita sua. Nemmeno una festa di compleanno, quindi si trova spaesata. Eppure pensa che Angie c’è riuscita in due soli giorni e in ben altre condizioni.
“Anch’io ci riuscirò in due giorni! Sono forse da meno della bisnonna?”
Prende carta e penna, sedendosi alla scrivania tenta di fare un promemoria di quello che deve fare con tante cancellature, frecce e rimandi. Alla fine fa una bella palla di carta del foglio pieno di scarabocchi e del tutto illeggibile, lanciandola nel cestino di fianco. Ne prende uno nuovo e comincia a scrivere ordinatamente, imponendosi di essere rigorosa.
“Telefonare a Susan per le pulizie – urgente” è il primo appunto scritto in stampatello, perché si noti bene.
“Fare la lista degli ingredienti”, ma si sofferma pensando se sarà in grado di cucinare.
“Non l’ho mai fatto per degli ospiti! Come posso sapere se quello che preparo è mangiabile? Di solito non preparo mai nulla di strano.. e poi … c’è un ristorante comodo a due passi…Dovrò fare qualche prova. Chi sarà la cavia? Sì, sì! Invito Susan a colazione e lei sarà l’assaggiatrice! Eureka! Risolto il problema.. E se non si ferma?..Tentar non nuoce!”
E’ euforica e chiama immediatamente Susan, che diventa il perno delle prossime decisioni. Le altre voci le aggiungerà poi, perché a suo parere questi due punti condizionano le restanti azioni.
“Bene, bene! Susan è disponibile a venire per i prossimi tre giorni ad aiutarmi nella sistemazione della casa. Non ha garantito di fermarsi a colazione, perché ha addotto mille impegni che sono saltati. Sarà, ma sono convinta che si ferma e non una volta sola! Sì,sì! Si ferma, perché è troppo curiosa di conoscere le motivazioni di tanto fervore! Ora lista della spesa!”
Ellie è galvanizzata, ricopia in bella grafia l’elenco degli ingredienti da comprare, esce e va al drugstore, che è sempre aperto.
“Se manca qualcosa, pazienza. Lo acquisterò domani. L’importante è avere almeno quelli per una voce del menù”.
Non trova diversi componenti, ma non si demoralizza. C’è tempo per completare gli acquisti.
“Domani faccio un salto a Crisfield per trovare il resto. Vediamo… per i biscotti ho tutto, anche per la torta non ci sono problemi. Direi che con questo basta e avanza! Credo che sia un buon test! Stasera posso preparare gli ossicini dei morti, così domani mattina li provo a colazione. Sì, sì! Susan li mangerà mentre rigoverna la casa! Al lavoro!”
Si precipita in cucina e comincia la preparazione.
Accende lo stereo a tutto volume per ascoltare il cd preferito, quello live di Bruce Springsteen “Live in New York City”. Le note violenti di «Born in the U.S.A.» si alternano a quelle più morbide di «The river» in un mix che le piace molto. Mentre è indaffarata nel selezionare e pesare i vari ingredienti, si ritrova a canticchiare il ritornello di «Two hearts».
«Two hearts are better than one
 Two hearts girl get the job done
 Two hearts are better than one»
Si ferma un attimo perché fino a quel momento della sua vita ha ascoltato questo CD e mai ha cantato le parole della canzone. Ha fischiettato, quello sì, il motivo, ha seguito il tempo con movimenti involontari del piede sinistro, ma mai si era comportata come stasera.
Pensa alle ragioni, ma non trova nulla, nessun appiglio plausibile. Scuote la testa e riprende a canticchiare, mentre allinea sul tavolo gli ingredienti.
“Devo pesare 200 gr. di mandorle tritate, poi 200 gr. di zucchero, 30 gr. di burro. Mi piacciono le varianti invece del burro userò la margarina. Dicono che fa male. Una volta dicevano il contrario. Chi se ne frega! Però in compenso si mescola con più facilità. Ah! stavo dimenticando anche i 200 gr. di farina”.
Cerca la bilancia, che come al solito non si trova.
“Faccio a occhio oppure m’impegno nella ricerca?” e alla fine decide di cercare questo strumento.
“Con esperienza zero andare a spanne può essere pericoloso. Meglio cercare questa stramaledetta bilancia!”
Dopo qualche borbottio di disappunto la trova ancora chiusa nell’involucro originale pronta a pesare i vari componenti.
Prende tre chiodi di garofano, che riduce in polvere, pestandoli energicamente con un cucchiaino. Trita finemente le mandorle e mette sul piano di lavoro tutti gli ingredienti aggiungendo un pizzico di cannella in polvere, un albume, la scorza grattugiata di mezzo limone.
Con molta energia li mescola molto bene fino a formare un composto ben omogeneo.
E’ soddisfatta del risultato ottenuto e si congratula per essere riuscita nell’impresa di ottenere qualcosa che a prima vista sembra prossimo al risultato ottimale.
Adesso viene la parte più complicata: stendere l’impasto nello spessore giusto per poi ricavare con lo stampino a forma di ossa tanti biscotti da cuocere.
“Beh! finora ci sono riuscita. Facciamo qualche prova prima di ottenere il risultato prefissato. Dunque vediamo …” e prende un grumo dal piano e comincia a stenderlo.
“La bisnonna non ha indicato lo spessore esatto, limitandosi a dire che la pasta deve essere alta all’incirca un dito”.
Osserva il suo che è esile.
“Quello di Angie com’era? Boh! Qui procediamo a vista. L’altezza sarà ..Intanto cominciamo a stenderla, poi per l’altezza decido al momento”.
Dopo una decina di tentativi infruttuosi riesce ad ottenere una decina di biscotti a forma di ossa che apparentemente sembrano ottimali.
Nella ricetta di Angie c’è scritto di imburrare una teglia e mettere nel forno caldo per una ventina di minuti.
Però non è convinta, perché secondo lei c’è il rischio che si brucino con qualche difficoltà a staccare i biscotti dal fondo. Quindi decide di consultare qualche sito di cucina su Internet per avere maggiori lumi.
Trasporta il PC in cucina e comincia con pazienza a cercare l’imbeccata adatta.
“Ecco! Carta forno da mettere sul piatto del forno! Così non corro il rischio di bruciarli sotto! Poi altro consiglio scaldare il forno per dieci minuti prima di mettere a cuocere i biscottini a 170°. Il tempo? Dicono per 20 minuti circa. Beh! qui vado a vista. Quando mi sembrano ben dorati li prendo fuori. E poi.. Non sto facendo prove ed esperimenti? Forza Ellie! Il tempo passa e rischi di passare la notte in bianco!”.
Così comincia a cuocere i primi ossicini dei morti.

La prima volta

La mattina li accolse abbracciati nel letto senza che lei provasse vergogna di giacere con una persona che non era suo marito.
Era sveglia da un po’ di tempo, mentre annusava il profumo della pelle che produceva in lei una sensazione di benessere e tranquillità che non aveva mai assaporata.
“Come potevo?” si domandava allegra “Come potevo se è la prima volta che dormo con un uomo e, per giunta, seminudo? Come potevo sapere che produce un sapore che mi sta saturando le narici col suo odore, se è la prima volta?”.
Rifletteva su questo e su quello che era accaduto durante la notte senza cambiare minimamente idea perché secondo lei doveva essere fatto senza tentennamenti o ripensamenti.
Anche se in certi momenti si era sentita impacciata, non pronta, del tutto inesperta, adesso tracciando un bilancio con calma, percepiva soddisfazione senza nessun rimpianto. Anzi l’unico era che aveva perso tempo prima con le sue paure.
Era stata un’esperienza stimolante che aveva affrontato senza timori e con molta risolutezza. Determinazione che nasceva da sensazioni delle quali non ne conosceva le origini.
Non si spiegava il motivo, perché solo poche ore prima aveva pensato che fosse scandalosamente peccaminoso che una donna facesse l’amore con un uomo senza il vincolo del matrimonio. Per questa ragione aveva sempre biasimato e condannato i comportamenti delle amiche. Lei aveva ritenuto che fossero di facili costumi quando passavano di letto in letto con la medesima disinvoltura di un cambio di vestito. Tutto questo modo di pensare adesso le sembrava capovolto tanto che le appariva normale che una donna e un uomo facessero sesso indipendentemente dallo status anagrafico, sospinti solo dalle emozioni che i loro corpi trasmettevano.
La sera precedente aveva cambiato opinione, stimolata solo dall’istinto che le faceva reputare che Dan fosse effettivamente la persona giusta. Un’intuizione che neppure lei era stata in grado di spiegare razionalmente. Questa sensazione era nata più dalla pancia che dalla testa e aveva cancellato tutti i timori, che l’atto trascinava con sé, tutti i tabù, che avevano condito la sua esistenza fino a quel momento, in conclusione tutto quello che le aveva impedito di esprimere la sua essenza di donna a 360 gradi.
Erano ondate di pensieri che si erano infrante nella sua testa dal momento nel quale aveva deciso di concedersi a Dan.
Da questo momento doveva difendere il suo uomo, legarlo a sé e convincerlo a vivere con lei a Holland Island.
Le difficoltà che apparivano all’orizzonte le infondevano una feroce determinazione a perseguire gli obiettivi e la decisa consapevolezza che ci sarebbe riuscita.
“Come?” si domandava, mentre avvertiva che lui si stava svegliando.
“Buongiorno, Angie” disse con la voce ancora confusa dal sonno.
“Buongiorno, Dan!” rispose con un bacio sulla guancia.
“Riposato bene? Oggi sembra una giornata luminosa per la luce che trapela dalla finestra”.
“E’ sempre sfavillante quando ci sei tu!”
Angie si strinse più forte al quel corpo seminudo per trasmettere le sensazioni che provava.
Percepiva un tale calore che le permetteva di vincere il gelo e l’umido della stanza. Il fuoco del cammino era spento da molto e le ceneri erano fredde. Uscire dalla avvolgente protezione delle pelli di pecora si rischiava di prendersi un accidente, ma lei aveva immagazzinato tanto calore che non avrebbe avvertito lo sbalzo termico.
Si alzò velocemente per riaccendere il fuoco e riscaldare la stanza.
“Torna qui! Vuoi morire dal freddo? Al fuoco ci pensiamo più tardi!” le disse preoccupato.
Lei si girò e scuotendo la testa rispose sorridente che non percepiva l’aria pungente e ci avrebbe messo un amen.
Le finestre erano ricoperte di una sottile brina, che impediva la vista esterna, e riflettevano il rosso delle fiamme che iniziavano a crepitare. Il tiraggio del cammino non era perfetto mentre un filo di fumo invase la stanza, che ben presto sparì.
Angie tornò a rifugiarsi sotto le pelli, mentre qualche brivido aveva smorzato la calura di poco prima.
Dan l’accolse fra le sue braccia per riscaldarla, mentre le baciava l’incavo del collo. Rifletteva sulla stranezza che solo poche settimane prima non la conosceva, ma ancora in quel momento sapeva ben poco o nulla di lei.
“Cosa?” si domandava.
“Cosa conosco di questa donna? Il nome, Angie. Dove abita, Holland Island. Lo stato anagrafico, nubile. Sicuramente nubile, visto che era ancora vergine. Ma per il resto è nebbia, come spesso c’è da queste parti in questo periodo. Però devo ammettere che stimola la curiosità, di fare chiarore tra i fumi nebbiosi che ci circondano. Non si può affermare che sia una bellezza travolgente con quel corpo minuto sormontato da una criniera fulva. Ma trasmette qualcosa di indecifrabile e nel contempo di interessante. Certamente ha una personalità spiccata che trasuda da ogni poro, come ha dimostrato stanotte. Ha affrontato la sua situazione con una risolutezza che difficilmente è riscontrabile in una donna nel suo stato. E’ vero. Era impacciata, ma non si è persa d’animo, né si è fatta prendere dall’ansia. Non ha mai smarrito la volontà di superare ogni difficoltà, di vincere la battaglia ingaggiata con il proprio corpo. Senza dubbio ha confortato le impressioni del primo incontro: una persona dal carattere forte. Cosa provo? Per il momento nulla a parte la grande simpatia che suscita in me. Arrivato a quarant’anni, smaliziato da diverse avventure, non posso pensare che sono stati sufficienti pochi attimi per scoprire dei sentimenti travolgenti verso di lei! Per il momento sento una buona attrazione verso Angie che dovrò consolidare in questa settimana di vacanza oppure dovrò ammettere che mi sono sbagliato”.
Questa lunga riflessione aveva distratto la mente di Dan, mentre la teneva ben stretta a sé, pur senza dare l’impressione di essere svagato e appagato dal sesso notturno. Percepiva che Angie era nuovamente pronta, ma era riluttante a spingere sull’acceleratore, non voleva rovinare tutto con la precipitazione. Si sarebbero state altre occasioni più adatte. Voleva lasciarle la percezione che doveva essere lei a cercarlo. Questa soluzione rappresentava ai suoi occhi una buona strategia a garanzia che lui si comportava da perfetto gentiluomo senza approfittare dello stato e del desiderio che lei stava provando.
Era concentrato nei suoi pensieri, quando Dan sentì la voce di Angie.
“Sento un po’ di languore! Scendo a prepararci la colazione. Tu puoi restare qui al caldo. Un caffè nero e forte va bene? C’è qualche dolcetto già pronto per stasera e del pane dolce alle uvette che metto a scaldare vicino al fuoco” e infilata la pesante vestaglia da camera bordata di candido pelo di agnello si diresse verso la cucina a passo svelto.
Lui consultò il grosso orologio da taschino che stava appoggiato sul tavolino accanto al letto. Segnava le dieci. Si sistemò meglio sotto le grandi pelli di pecora che riparavano dal freddo della stanza, che  si andava lentamente riscaldando.
Osservò il grande cammino posto sulla parete di fondo, dove la legna secca crepitava in mille falliste rosseggianti. Percepiva benessere, si sentiva a proprio aggio come se quella abitazione, quella camera le fossero appartenuta da tempo. Non si considerava un ospite, sia pure di riguardo, ma il padrone di casa che aspettava di fare la colazione mattutina.
Strana sensazione! Eppure era quello che avvertiva.
Era immerso in questi pensieri piacevoli, quando udì la voce squillante di Angie.
“La colazione è pronta!” mentre deponeva sul letto con delicatezza un vassoio di legno con le gambe tra loro.
Il profumo del caffè si mescolava con l’odore dei dolcetti e del pane dolce. Un miscuglio invitante che stimolava l’appetito.
“Uhm! Che profumo! Deliziosi questi dolcetti a forma di ossa umane! Li hai preparati tu?” chiese con la bocca piena.
Angie sorrise e annuì mentre sorseggiava una tazza di caffè nero.
Dan si versò un’altra abbondante porzione di caffè, che gradiva molto e cominciò a parlare.
“Sembra strano, ma in realtà non lo è per niente, perché non conosco nulla di te”.
Angie rise replicando: “Perché forse ho conoscenza chi sei, cosa fai, dove vivi? So solo che vivi a Deal Island in una bella casa e forse hai un fondo dove coltivi le mele. Non mi pare che sia molto. Diciamo che siamo in pareggio sulle reciproche informazioni”.
Lui rovesciò il capo ridendo di gusto, perché in fondo si era meritato quella risposta.
“Bene, comincio io a parlare e poi tu. Però prima finiamo la colazione” disse serio e sorridente.
Terminata la colazione e deposto il vassoio accanto al letto, si sistemarono per bene per iniziare la reciproca conoscenza.