Capitolo 11

Giacomo, salito sulla carrozza che l’attendeva sul viale principale illuminato da numerose torce, disse al cocchiere: “Alla casa della contessa Giulia” con la speranza che questa indicazione fosse sufficiente.
Mentre udiva lo scalpiccio confuso dei cavalli che trottavano lenti verso Ferrara, cullato dal dondolio un po’ scomposto della carrozza, si abbandonò a mille pensieri.
“Ghitta mi sembra troppo impertinente e poi mia moglie ..” e un largo sorriso affiorò sul viso su questo aspetto. “E poi Isabella mi sembra un po’ acida. Se non voleva correre rischi, sostituiva Lorenzo con un altro servitore. Invece mi ha fornito una giovane ragazza come domestica personale. Valle a capire le donne. Però devo ammettere che è meglio una serva disinibita a un servitore dalle tendenze non chiare”.
Un leggero sorriso increspò le sue labbra, subito smorzato da altri ragionamenti. La mente corse alla contessa Giulia e alla giovane vedova della quale aveva già dimenticato il nome. Però era un pensiero che frullava subdolo nella testa. “Sono l’ingegnere del Duca”. Quale era il significato di questa affermazione non l’aveva ancora scoperto.
Un brivido percorse la schiena di Giacomo  riflettendo che non era assicurato che fosse all’altezza dei compiti richiesti. Scacciate queste considerazioni moleste, si concentrò sulla serata che si annunciava interessante, molto di più di quella che avrebbe condiviso, rimanendo a casa con la moglie saccente e per nulla attraente.
Il tempo volò e si ritrovò, quasi senza accorgersene, nel cortile del palazzo, illuminato dalle molte fiaccole poste sulle colonne che lo delimitavano. Un servo l’aiutò a scendere, mentre un altro prese il mantello prima di indicargli la scalinata di marmo che portava al piano nobile. Giacomo si fermò un attimo per imprimere nella mente lo spettacolo offerto dalle luci delle candele che in gran numero rischiaravano i gradini rosati. «Sono di marmo di Verona» concluse mentre affrontava i primi scalini.
Prima di avviarsi fece un ultimo paragone tra il palazzo che ricordava dei suoi tempi e la visione attuale, ammettendo che il confronto dello stato presente era vincente. Dopo pochi passi udì un suono familiare, una voce femminile che lo salutava con calore
“Messer Giacomo!”.
“Dama Giulia” rispose al saluto con un largo sorriso, alzando lo sguardo verso di lei.
Una splendida donna, al cui fianco stava una signora vestita di nero che lo lasciò a bocca aperta per la bellezza che spandeva, lo aspettava in cima alla scalinata. Riconobbe immediatamente nella vedova, la persona che nella mattinata era la compagna della contessa.
Questa vista accese il desiderio di Giacomo che si affrettò a raggiungerle. Un pensiero passò veloce nella mente dell’uomo. «Sono solo sogni incantati oppure è una realtà concreta?».  Era un dubbio legato al fatto che si era ritrovato in un secolo che non gli apparteneva e che doveva esplorare istante per istante per ricomporre la propria identità, del tutto differente da quella che aveva conosciuto fino a poco tempo prima.
Dunque quella sottile eccitazione che la visione delle due donne aveva originato era un aspetto che doveva tenere sotto controllo per non incappare in brutte sorprese.
Si affrettò a salire, percorrendo i pochi gradini che lo dividevano  dalla padrona di casa per rendere omaggio a entrambe.
“Dama Giulia. Siete uno splendore, se non fosse che ..”.
“Che cosa messer Giacomo? Volevate dire che, se non foste sposato, mi corteggereste?” disse con un tono che non lasciava dubbi. Trasmetteva un messaggio inequivocabile «Fattevi avanti, senza remore o tentennamenti. Accetterò la vostra corte. Non m’importa se siete sposato».
L’uomo sorrise compiaciuto, annuendo per confermare di averlo raccolto, mentre prendeva le mani delle due donne per rendere loro omaggio.
“Vedo che anche ..” e fece una pausa di sospensione alla ricerca del nome in qualche angolo della mente.
“Anche la cugina, Ginevra, ha deciso di concederci la sua gradita presenza” venne in soccorso di Giacomo che stava annaspando coi nomi.
“Madonna Ginevra, il nero vi dona molto” concluse osservandola in una maniera che non sfuggì a Giulia. L’aveva letteralmente mangiata e spogliata con gli occhi.
“Devo fare attenzione o la bella cugina mi soffia il bocconcino” rifletté ingelosita. Non si aspettava un approccio così diretto.
La padrona di casa fece strada accompagnandoli al tavolo dove gran parte degli ospiti stava già banchettando.
“Messer Giacomo, anche voi qui?”. Erano tutte facce sconosciute e ancor di più era quello che l’aveva chiamato. Accennò a un sorriso e un gesto della mano per ricambiare il saluto, ma non osava aprire la bocca. «Non saprei cosa dire» disse fra sé e sé, mentre rispondeva ad altri saluti, ignorandone i nomi. I suoi gesti parevano più di sufficienza che veramente sentiti con l’anima.
“Di sicuro domani il nostro Duca saprà dal quel pettegolo di Bernardino de’ Prosperi che il suo ingegnere era mio ospite a palazzo” bisbigliò senza farsi notare troppo Giulia. Ancora una volta si era salvato in extremis, anche se ignorava il ruolo del personaggio a corte.
Giacomo era stato collocato in mezzo alle due donne: Giulia a destra e Ginevra a sinistra e osservava compiaciuto queste due bellezze delicate e tanto diverse.
“Sono splendide entrambe e meritano più di un pensiero, a costo di sfidare le ire di Isabella. Però ho l’impressione che non sarà facile districarsi senza suscitare gelosie tra di loro. Sono cugine ma paiono rivali, almeno per stasera. Giulia ha trasmesso senza equivoci un messaggio. Ginevra pare più contratta, ma qualche bicchiere di vino presto la scalderà”. Erano i pensieri dell’uomo diviso sulle scelte, perché alla fine doveva scegliere o rischiava di perderle entrambe.
Un servitore riempì i calici con un vino dal colore giallo miele. Giacomo si chiese che bianco fosse senza profferire parola.
“Brindo a voi, dolci Madonne, che allietate la vista col vostro splendore”.
“Sembrate un poeta, messer Giacomo” cinguettò Ginevra.
Giulia si rabbuiò un attimo prima di sfoderare il miglior sorriso che aveva in serbo.
“La vostra presenza è per me un grande onore che diletta gli occhi e che riempie il mio animo di gioia. Il vostro spirito nobile e sensibile si manifesta con le parole. Ricambio il brindisi con molto piacere” replicò Giulia, accostandosi a Giacomo.
Un breve sorso per individuare il vino prima di riprendere le galanterie. “Ottimo questo Trebbiano! Deliziosamente profumato come i fiori che mi circondano” disse accennando a chi gli stava di fianco.
Aveva intuito fin dal primo istante che sarebbe stato l’oggetto del contendere delle due dame. Una soddisfazione intima affiorò nella mente dell’uomo che mascherò abilmente. Non aveva ancora deciso su quale delle due avrebbe puntato.
La serata si preannunciava intrigante.

A Chiara

Il limpido mare
si specchia nei tuoi occhi,
che hanno un meraviglioso colore:
l’azzurro soffuso del cielo.
Sfioro una morbida e vellutata pelle,
che brilla,
come le nevi eterne, candide e pure,
che risplendono
sotto pallido sole d’inverno.
 

Capitolo 10

Laura mangiava svogliatamente, mentre i genitori continuavano a discutere sulla visita del Duca. Ascoltava con la mente volata verso altri lidi e rispondeva con dei sì e dei no più o meno azzeccati. Quei discorsi l’annoiavano. Per lei erano senza sugo.
“Vi vedo distratta” disse la madre rivolgendosi a Laura.
“Vi sembra?” rispose abbassando gli occhi. “Ascolto le vostre parole e imparo cose nuove sul come comportarsi in quelle situazioni”.
Paola scosse la testa come per affermare che non ci credeva a quelle frasi, che avevano il sapore di circostanza e non dettate dalla testa.
“Madre, pensate che possa esserci una nuova opportunità?” continuò la ragazza nel tentativo di ricucire lo strappo.
“Quello che è perduto, è perduto e le buone occasioni o si prendono al volo oppure sono andate per sempre. Credo che questa sia volata via con il battito delle ciglia”.
Il padre ascoltava, annuendo col capo per sottolineare quello che la moglie stava dicendo. Di certo era stata una buona occasione ma non poteva biasimare la figlia, perché si interrogava quali prospettive future ci sarebbero state se si fosse mostrata più calda e appassionata.
“Forse è stato meglio così” rifletteva Francesco ascoltando il dialogo tra madre e figlia. “Forse avrebbe raffreddato gli ardori del Duca con un comportamento più sfacciato. E poi fra qualche giorno sarebbe passato per provare il cappello. E allora ..”.
Laura ascoltava a occhi bassi quello che la madre diceva senza replicare o giustificare l’atteggiamento tenuto.
“Quale era il comportamento giusto da seguire? Mostrarmi per quello che non sono oppure essere me stessa? Tutte, a cominciare dalle amiche, hanno pontificato che loro sarebbero state più intraprendenti. Ma io dove lo acquisto il coraggio? Al mercato di Piazza di San Crespino? Vado in chiesa a San Paolo e ascolto prediche dal prevosto sui facili costumi delle donne, come se fosse tutta loro colpa. Quando mi confesso devo sudare non poco per convincere il confessore che sono ancora vergine e non faccio né penso atti impuri. Eppure sembra che questo non sia una virtù ma un peccato capitale”.
La ragazza non ascoltava più le parole della madre ma era immersa nei suoi pensieri, distaccata dal mondo terreno.
“Col vostro permesso, mi ritiro nella mia stanza. Domani dovrò lavorare duramente per recuperare il tempo perduto oggi con la visita del Duca”. E si alzò senza aspettare l’assenso dei genitori.
La madre la guardò male con degli occhi che parevano incenerirla.
“Perdita di tempo? La visita del Duca è stata un onore per la nostra famiglia. Tutta Ferrara parla di noi. Vostro padre diventerà il berrattaio di corte dopo l’ordine del Duca. Ritiratevi pure ma non farete mai strada nel mondo che conta” rispose acida Paola.
Il padre sorrise e con un cenno del capo le concesse di andare nella propria stanza.
Percorsa una ripida scala di legno, Laura si preparò per la notte, anche se era appena passato l’imbrunire. Si sentiva stanca, agitata ed eccitata. Desiderava raccogliere le sue idee senza sentire il cicaleccio fastidioso di sua madre.
“E’ una madre amorevole ma a volte mi preferirebbe che scaldassi il letto di qualche facoltoso signore di Ferrara. Per ricavarci cosa? Un figlio illegittimo? Qualche scudo o fiorino d’oro? Mi sembra poco e mi dà l’idea di essere una donna di malaffare, che si fa pagare le sue prestazioni. Invece vorrei essere amata e riamare a mia volta. Però paiono una strada in salita i miei desideri”.
Dopo queste ultime riflessioni, cadde in un sonno profondo.
 
Si trovava in un posto sconosciuto dove spiccava un imponente palazzo e un giardino curato. Laura era disorientata, camminava senza riuscire a trovare una via per uscire da quel labirinto verde. Tutto appariva uguale e diverso allo stesso tempo. L’angoscia stava montando e il cielo da azzurro andava colorandosi di grigio. Cominciò a correre fino a rimanere senza fiato, accasciandosi sul sentiero. Le veniva da piangere, mentre sopra di lei il grigio virava al nero.
“Tra pochissimo pioverà” pensò sollevando lo sguardo, mentre qualche lampo violaceo percorreva la volta sopra di lei.
La ragazza temeva i temporali come il topo è atterrito dal gatto. Il cuore prese a battere a mille per la sensazione di affanno che stava salendo.
“Devo trovare la via di uscita o rimarrò annegata sotto il temporale estivo”.
Stranamente le sembrava che il tempo corresse tanto che l’inverno aveva lasciato il posto all’estate. Strana percezione temporale era la sua. Giorni e settimane che duravano lo spazio di un battere di ciglia.
Le prime gocce bagnarono l’abito leggero di lino che indossava. Non ricordava di averne mai posseduto uno. Però adesso copriva il suo corpo. Era un vestito con un’ampia scollatura a U, che lasciava intravedere quel seno acerbo appena modellato. Due maniche a sbuffo consentivano di mostrare le braccia, mentre appena sotto il seno partiva un’ampia gonna che arrivava fin quasi a terra.
Altre gocce caddero su di lei e la veste cominciava ad aderire al corpo, lasciando intuire cosa stava sotto. L’ansia si era tramutata in terrore, mentre si aggirava in maniera sempre più frenetica alla ricerca dell’uscita.
Si trovò sbarrata la strada da un uomo dai lineamenti forti, vestito come un soldato, che l’afferrò e la trasse a sé.
“No!” urlò con quanto fiato aveva in gola.
Adesso vedeva tutto buio, mentre udiva del trambusto prima che una candela tremolante illuminasse la scena.
“Cosa c’è?”. Era una voce familiare.
“Perché state urlando?” le chiese apprensiva la madre.
“Nulla, madre. Solo un brutto sogno”.
“Tornate pure a letto. Nessuno mi sta minacciando” continuò Laura con le parole impastate dal sonno e dalla paura.
Tornato il buio, si rannicchiò sotto le coperte e cominciò a pregare prima di riaddormentarsi di nuovo.

Senza titolo -Poesia n.ro 7

Grande è il mare,
deserta è la spiaggia.
La cupa distesa rintrona
nell’opprimente silenzio della notte.
Voci lontane rimbalzano
veloci sull’onda.
Il ritmico battere dei remi
sembra l’ultimo saluto,
che madre natura offre
in questa tribolata vita.

Capitolo 9

Cristoforo Messisbugo era indaffarato a correre tra il piano nobile e le cucine al pianoterra per sovraintendere al banchetto che la contessa Giulia Bevilacqua aveva organizzato per l’apertura del Salone d’Onore dopo gli ultimi lavori di pittura sul soffitto..
Non andava bene niente. In cucina le cuoche non preparavano i piatti come voleva lui.
“Quello stagnatello deve stare ben coverto. Se no, il bollore dell’acqua non è giusto per la minestra di Diamante” imprecava con la cuoca che aveva dimenticato coprire la casseruola.
“Quel capretto deve essere sbollanzato prima di togliere la pelle” urlava agitando il coltellaccio con la serva che doveva scuoiarlo.
Non andava meglio nell’apparecchiatura della tavola. La tovaglia non cadeva bene, i candelabri non erano disposti come si doveva, le bacinelle per lavarsi le mani erano insufficienti. Un piccolo disastro per lui così meticoloso nella cura dei particolari.
“I coltelli con le sue forzine non sono sistemati come vi ho insegnato! E dove sono i pironi? E i coltelli per trinciare? E i cucchiari per la minestra?” urlava inseguendo il domestico addetto alle posate, che fuggiva terrorizzato.
“Quei mazzoli di fiori sembrano buttati lì per caso” imprecava, aggiustando la loro disposizione, mentre la ragazza addetta ai fiori si mimetizzava tra le altre domestiche.
Era tutto un gridare, un rincorrersi, un controllare la lista delle vivande, degli oggetti della tavola, dei vini e di quanto serviva per un banchetto secondo le sue precise regole.
Era pignolo e iracondo, se non venivano rispettate le sue istruzioni. Però forse lo sarebbe stato anche se venivano seguite a puntino tutte le sue raccomandazioni. La confusione regnava sovrana con serve e servitori che si agitavano come tante marionette i cui fili erano mossi da mani inesperte.
Mentre fervevano i preparativi per il convivio, che sarebbe cominciato tra qualche ora, in un tripudio di voci cacofoniche, la contessa Giulia era nelle sue stanze con la cameriera personale che l’aiutava a prepararsi per la serata. Il caotico bailamme delle cucine non la sfiorava, né udiva il veloce scalpiccio di chi trasportava stoviglie e tovaglie dal piano terra al salone.
Anna, la cameriera personale, la stava pettinando contando una lieve filastrocca mentre con rapidi colpi di spazzola lisciava la lunga capigliatura scura della ragazza.
“Mi fai male” disse stizzita agitando le mani, come per difendersi da un nemico invisibile.
“Mi spiace, mia signora, ma nei capelli si sono annidati dei diavoletti che non vogliono andarsene” replicò bonaria e paziente. “Stasera dovete essere bellissima per essere la regina del banchetto”.
Giulia a queste parole si quietò e pensò a messer Giacomo, perché  quell’uomo la intrigava moltissimo, le piaceva anche se era a conoscenza che era già sposato. Quando l’aveva visto nella sala di lettura, non aveva resistito dal contattarlo e l’aveva trovato misteriosamente delizioso. Rifletté sullo stato dell’uomo, non libero sentimentalmente.
“Perché forse non ha mai tradito la moglie? Di sicuro l’avrà fatto. E lei è casta e pura? E quando la duchessa Lucrezia l’ha invitata a palazzo Costabili per i banchetti in onore dei suoi ospiti, si è forse comportata come una moglie fedele e irreprensibile?”.
Sapeva come andavano a finire quei convivi quando la duchessa chiamava a raccolta tutte le donne sposate della corte per rendere omaggio agli ospiti e al seguito. Nessuna di loro aveva mai parlato direttamente di quello che avveniva ma le voci correvano e non erano certamente benigne.
Il solo pensare a questi eventi l’aveva eccitata ancora di più. Stasera era lui l’ospite d’onore, del tutto ignaro di essere stato nominato tale da lei. Era intenta in queste riflessioni, quando fu distolta dalla voce di Ginevra Rangoni, una cugina di quarto grado, rimasta vedova da pochi mesi e ospite della sua casa.
“Cugina, non siete ancora pronta?”
Giulia si girò lentamente verso di lei e l’ammirò nella veste nera della vedovanza che faceva risaltare pienamente la bellezza sensuale della donna. Era uno schianto e sicuramente stasera al banchetto avrebbe ricevuto molte proposte. Si domandò se avrebbe rispettato il lutto oppure no.
“Ginevra, non vedete?” rispose asciutta con un bel sorriso. “Al banchetto mi offuscherete con la vostra bellezza. Sono quasi gelosa di voi e della vostra bellezza. Se fossi un uomo, vi corteggerei finché voi non avreste ceduto ai miei desideri”. E allargò le braccia per accoglierla.
“Cugina, mi fate arrossire con le vostre parole. Lo sapete che sono vedova da poco e sarebbe sconveniente cedere alle lusinghe degli uomini. Forse fra qualche mese, quando ..”.
Una breve risata accolse queste ultime parole.
“Nel buio della stanza non vi vede nessuno. Basta essere discreti nel raggiungere le camere da letto e poi ..” replicò la ragazza mimando i gesti dell’incedere furtivo. “Se il corteggiatore è anche un gran amatore, potete raggiungere l’estasi dei sensi. Le occasioni perdute sono perse per sempre” disse ammiccando verso la cugina, che ricambiò l’abbraccio.
Tra loro l’intesa era perfetta.
 
Il Duca si era ritirato nel suo appartamento. Stasera non aveva molta intenzione di visitare Lucrezia. L’avrebbe lasciata in pace. Però il viso di Laura continuava a danzare dinnanzi agli occhi. Tirò un cordone per richiamare l’attenzione del segretario che sentiva armeggiare nella stanza accanto. Un bussare discreto annunciò il suo arrivo.
“Bernardino” esordì Alfonso. “Mi dovete nei prossimi giorni eseguire una commissione”.
“Quale, vostra grazia?” chiese umilmente Bernardino de’ Prosperi.
“Dovete condurre una ragazza nella delizia di Belfiore”.
Il segretario rimase perplesso, perché non era consuetudine incaricarlo degli intrighi amorosi del Duca.
“Non è detto che la fanciulla accetti” disse incerto per smarcarsi da questo compito.
“E’ vostro dovere persuaderla” replicò in maniera tale che non ammetteva repliche. E lo congedò, ritirandosi nella camera da letto.
Fu una notte agitata dallo spettro di Laura che danzava dinnanzi agli occhi di Alfonso come un folletto impazzito. Il Duca la rincorreva nel labirinto verde del Verginese senza mai raggiungerla. Si sentiva prostrato, stanco e accaldato nonostante le rigida temperatura.
Si svegliò di soprassalto sbarrando gli occhi.
“Quella ragazza mi ha stregato” e riprese il sogno interrotto.
 
Giacomo ragionava su quello che aveva imparato in questa mezza giornata. Doveva organizzare le sue attività sulla base di queste informazioni per non commettere dei passi falsi. Non era semplice inventarsi dei ruoli in un mondo che non conosceva.
“Dunque ho una moglie, che si chiama Isabella. Una cameriera personale di nome Ghitta. Un fratello, Ercole. E pare che sia l’ingegnere del duca. Ma quale duca? Stasera sono stato invitato da una contessa simpatica e bella, della quale ignoro tutto. Non so dove siano le stanze di mia moglie. E’ possibile?”.
Ghitta lo lavò e l’asciugò con cura senza troppi imbarazzi. Anzi con malcelato piacere. Giacomo percepì un’eccitazione crescente verso questa ragazza spigliata e semplice. Però non aveva molto tempo a disposizione perché l’attendeva un viaggio verso la città, sicuramente non agevole.
“Madonna Isabella mi aspetta nelle sue stanze?”.
“Si, messere” rispose asciutta la ragazza mentre l’aiutava a infilarsi la calzamaglia pesante.
“Siete impertinente” disse l’uomo ridendo. “Se non avessi fretta ..”.
“Cosa mi farebbe?” domandò maliziosa, mentre gli porgeva il corsetto elegante di velluto e lana.
“Ne riparliamo domani”.
“Peccato. Sarei molto curiosa di conoscere perché sono impertinente” e continuò a lisciarlo tra le gambe.
“Ora basta. Andiamo da Madonna Isabella” troncò deciso.
Ghitta l’accompagnò fino alla porta prima di ritornare nelle stanze del padrone.
“Madonna Isabella” salutò Giacomo entrando. “Desideravate vedermi?” e salutò anche altre due donne che tenevano compagnia alla moglie.
Isabella distolse lo sguardo dalle carte che aveva in mano e si girò con lentezza verso l’uomo.
“Sì” rispose seccata da quell’intrusione che le aveva interrotto la concentrazione.
“Avete un nuovo servitore personale. Anzi una nuova serva, Ghitta. Ha preso il posto di Lorenzo, richiamato alle armi dal Duca. E’ una ragazza giovane e inesperta. Vi raccomando ..”
Giacomo sorrise senza mostrare apertamente quanto fossero fallaci le affermazione della donna.
“Vi raccomando di badare a lei come a una figlia. La casa è già troppo piena di bastardini da mantenere ..”
“Certamente, madonna Isabella” la interruppe l’uomo. “Sarà mia premura tenerla lontana dai servitori e metterla sotto la mia ala protettrice. Nessuno oserà sfiorarla”.
“Questo vale anche per te, messer Giacomo” concluse secca la donna.
“Ora se ..” riprese Isabella.
“Ho compreso il vostro messaggio. Tolgo il disturbo e torno a Ferrara” e senza attendere risposta uscì velocemente dalla stanza.
La carrozza lo stava aspettando.

A Lu

A Lu
Si deve avere un’amica invisibile
a cui parlare
durante le ore silenziose della notte
e durante le passeggiate nei parchi

Capitolo 8

Laura non condivideva tutto l’entusiasmo del padre per la visita del Duca. Le pareva eccessiva e non aveva mancato di rimarcarlo.
“E’ un uomo pieno di fascino” diceva fra sé e sé. “Ma perché dovrei volare alta? Mi ha osservato per bene, quasi spogliandomi. Anzi spogliandomi completamente come se volesse valutare come sono. Però lui è il Duca e io Eustochia. Cosa posso pretendere? Che lui ripudi la bella Duchessa, quella Borgia, di cui raccontano meraviglie? Io sono nulla al suo confronto”.
Seduta vicino al tavolo di lavoro, continuava a cucire un berretto rosso con la stessa cura con la quale curava la sua persona. Muoveva con grazia e decisione un ago ricurvo di legno ormai consunto dall’uso. Non si decideva a gettarlo e sostituirlo con uno nuovo. Sembrava che fosse affezionata come se fosse una persona.
La madre, Paola, era accorsa alle grida del marito e girava inquieta e agitata per la stanza che funzionava da laboratorio.
“Dimmi, Francesco” diceva scossa dall’emozione. “Dimmi, Francesco. Sei sicuro che fosse il Duca in persona? Non era forse la sua controfigura, che voleva prendersi gioco di te?”.
Il padre in preda ancora all’emozione per quella visita inaspettata balbettava confuso delle parole senza senso.
“Calmati!” implorò la moglie. “Calmati! Non si capisce nulla”.
L’uomo, afferrata la brocca dell’acqua fresca, ne versò un po’ in un boccale di stagno prima di cominciare a parlare.
“Certo che sono sicuro, Paola! Era lui in persona accompagnato dalla sua scorta personale. E poi dopo avermi richiesto un cappello da sfoggiare per l’imminente carnevale, dovevi vedere come adocchiava la nostra Eustochia. E lei ..”.
“E lei cosa ha fatto? Come si è comportata? Dimmi, Eustochia ..” volgendo lo sguardo verso la figlia. “Cosa avete detto al nostro Duca?” ripeteva come un mantra la madre.
Laura alzò gli occhi dal berretto, rimase con l’ago a mezz’aria e inspirò tutto quello che poteva entrare nei polmoni. Poi sospirò come per giustificare quello che stava dicendo.
“Nulla. Assolutamente nulla. Cosa dovevo fare o dire? Mi ha chiesto ..” replicò la ragazza spalancando gli occhi.
“Cosa vi ha chiesto? Non farmi morire per il non sapere”.
“Cosa ho detto? Laura Dianti detta Eustochia. Che altro dovevo dire?” ammise sconcertata.
La madre alzò gli occhi al cielo e, accasciandosi su uno sgabello ingombro di stoffe e pelli, rimase senza parole. Rifletté che il Duca aveva rivolto la parola alla figlia che aveva risposto semplicemente col proprio nome senza rendergli omaggio o tentare di mostrarsi gentile.
“Non avete reso omaggio al nostro Duca che è entrato nella nostra umile dimora? L’avete forse irritato? Vi sarete dimostrata scorbutica come al solito, immagino. Non vi capisco. Non accettate le proposte di matrimonio che facoltosi commercianti vi fanno. Siete fredda col nostro Duca! Pensate di diventare novizia come Lucrezia, vostra sorella?”.
“No, madre” replicò pacata la ragazza. “Non penso di diventare novizia come mia sorella ma di trovare un buon partito che mi voglia bene. Di certo questo non sarà il Duca che è maritato con la Duchessa”.
Paola stava replicando, quando Antonio, il ciabattino della bottega accanto, mise la testa dentro la stanza.
“Dimmi, Francesco. Era il nostro Duca quello che è sceso dalla carrozza ducale pochi istanti fa? E’ entrato qui?” domandò curioso di conoscere i motivi della visita, provando un filo di invidia.
“Certamente. Mi ha ordinato un cappello per il prossimo carnevale” replicò soddisfatto, sperando di avere accontentato la morbosità di sapere.
Il ciabattino mosse un passo verso l’interno osservandoli bene in viso alla ricerca di altre informazioni, che la risposta aveva taciuto.
“E come lo vuole?” incalzò deciso a conoscere tutti i dettagli.
Nel mentre anche il fratello, Bartolomeo, fece irruzione nella bottega.
“Padre ..” disse concitato. “Padre, tutto il quartiere parla che il nostro Duca ha fatto visita alla nostra dimora. E’ vero? L’hai  visto da vicino? Com’era?”.
Francesco preso tra due fuochi non sapeva cosa rispondere, mentre altri popolani entravano nella stanza che ben presto fu incapace di contenerli tutti.
“Calma! Calma!” urlò Paola per sovrastare il rumore delle parole di tutti quegli abitanti della via.
Laura, impaurita da tanto affollamento, guadagnò in fretta le stanze più interne per sottrarsi alla curiosità popolare.
“Tra non molto dovrò sottostare al fuoco delle domande delle amiche che vorranno sapere, conoscere e punzecchiarmi, perché l’invidia sarà forte” rifletteva mentre si sedeva in cucina.
La stanza guardava un piccolo orto bruciato dal gelo, accessibile da un ingresso che dava su un viottolo che conduceva alle mura cittadine. Udì un picchiare deciso sulla porta che si apriva sull’orto.
“Eccole che arrivano!” disse rassegnata la ragazza, alzandosi malvolentieri ad aprire l’uscio.
“Dimmi, Laura”. Furono le prime parole che la investirono, mentre il solito gruppetto di amiche faceva irruzione nella cucina senza aspettare di essere invitate a entrare.
“Non farci morire dalla curiosità!” implorò Giulia, la figlia del maniscalco.
“Se fosse vero!” pensò la ragazza. “Non sareste qui a domandare per soddisfare la vostra invadenza morbosa di sapere come è andata”.
“Non essere reticente!” incalzò Eleonora. “Ci hanno detto che sei stata invitata a corte per carnevale!”.
“E’ vero che il Duca ti ha baciato la mano?” continuò Anna, girandole intorno.
“Tra un po’ scoprirò che ho fatto anche sesso col Duca..” rifletteva infastidita Laura.
“Dicono che ti sei appartata con lui nel retrobottega. E’ un grande amatore?” chiese in maniera sfrontata Marfisa, quasi arrossendo per l’audacia delle sue parole.
“Come voleva dimostrarsi. Sono già stata a letto col Duca” pensò ridendo.
“Non essere muta. Vogliamo conoscere tutti i particolari” ricominciò Giulia.
“Domani ti presenterai a Palazzo Ducale per prendere servizio?” sbottò come ultima Violante. “A che ora ci vai? Posso accompagnarti?”.
Laura cominciò a ridere senza ritegno, gettando nello sconforto le amiche.
“Ma vi sembro una che ha fatto tutto quello che si mormora? Nessun invito a Corte né a Palazzo Ducale! Semplicemente ha ordinato a mio padre un berretto carnevalesco!”.
La delusione si dipinse sul volto delle ragazze.

La bambina dei sogni di Carlo Menzinger [O.T.]

«La bambina dei sogni» è l’ultimo romanzo di Carlo Menzinger, che dimostra ancora una volta il suo eclettico stile di scrittore.
E’ un romanzo dal genere incerto o, per meglio chiarire il concetto, è un multigenere. Potrebbe essere un urban fantasy, perché contiene elementi tipici del fantasy come Oberon, il re delle fate, oppure Elena, una bambina dai poteri sopranaturali, condito da pizzichi di thriller-mystery per le situazioni usuali del genere, con larghe parti di introspezione psicologica dei personaggi. Insomma molti ambienti mescolati tra loro che possono piacere a una grande platea di lettori dai gusti dissimili.
Curato nei particolari e nei dettagli, gli avvenimenti si susseguono secondo un preciso filo logico e, bella sorpresa, sempre credibili pur in presenza di eventi non spiegabili razionalmente. In ogni momento del romanzo è in grado di catalizzare l’attenzione del lettore, tenendo desta la loro attenzione col ritmo incalzante della narrazione. Ma quello che riesce bene all’autore è quel senso di sospensione tra sogno e realtà, dei quali si fatica a riconoscere la sottile linea di confine.
Lascio al lettore curioso di scoprire il finale, per non togliere il gusto di conoscere e di capire il senso dell’intero romanzo.
Carlo Menzinger ha Avuto la felice idea di affiancare al classico libro cartaceo, che sponsorizzo in pieno, perché è veramente ottimo da tutti i punti di vista, il formato elettronico (epub e pdf) con la formula del copyleft.
Questo è l’indirizzo per saperne di più del romanzo
https://sites.google.com/site/carlomenzinger/home-1/home/la-bambina-dei-sogni

Il petalo e la rugiada

Il petalo e la rugiada

Riproduzione riservata

Sul petalo

scivolano leggere

le gocce della rugiada.

Si raccolgono,

si disperdono,

scendono a terra.

Un minuscolo uccello

si disseta

nel tuo calice.

Un raggio di sole

buca la coltre di nubi

e illumina

il fiore.