Capitolo 25

Giacomo accompagnò Giulia nella trattoria, che distava cinquanta passi dalla Porta degli Angeli, al fresco sotto un pergolato di uva. Ormai era pomeriggio col sole che allungava le ombre e l’ora del desinare era scaduta da tempo: i tavoli erano quasi tutti vuoti coi resti del pranzo, mentre gli ultimi commensali stavano finendo di pranzare. L’oste, che aveva notato tutte le attenzioni del corpo di guardia verso la coppia, immaginò che fossero importanti personaggi di corte e li accolse con grandi inchini e con un ampio sorriso di circostanza, mentre li faceva accomodare in un tavolo sistemato in un posto di riguardo. Non usò le stesse cortesie verso altre persone che si erano affacciate speranzose di essere accettate per consumare il pranzo.

“E’ un grande onore avervi qui nella mia umile trattoria. Cosa posso servirvi?” chiese con deferenza e falsa umiltà il furbo trattore, mentre dispiegava sul tavolo una ricca tovaglia bianca ricamata.

“Subito una brocca di acqua fresca e del vino. Il migliore che avete e che non sia taroccato” replicò con cipiglio duro Giacomo, che era infastidito dai modi falsamente servili dell’uomo.

“Messere, il nostro vino è genuino. Mi offendete, pensando che sia adulterato” rispose con tono indignato, rabbuiato nel viso.

“Sarà meglio per voi! Abbiamo fame e sete. Portateci quanto di meglio esce dalla vostra cucina. A quest’ora non abbiamo preferenze”.

“Sarà un onore per me farvi assaggiare l’eccellenza dei nostri piatti” replicò asciutto l’oste. Si allontanò in silenzio un po’ scuro in viso, mentre la coppia cominciò a parlare sottovoce tra loro.

“Madonna Giulia. Sono veramente dispiaciuto che abbiate dovuto attendermi così a lungo ma i contadini ingaggiati per asportare la terra volevano essere pagati. Pensate! Non si fidavano delle promesse del nostro eccellentissimo Duca! Una vera mancanza di rispetto!” disse Giacomo accalorandosi un pochino, mentre rifletteva che tutto sommato avevano ragione. La donna gli prese una mano stringendola, mentre annuiva a queste parole, che la lasciavano indifferente. Ben altri pensieri frullavano per la testa, mentre lo osservava con cura. Le piaceva il modo di porgersi, di trattare le persone e lo trovava bello.

“Mio Messere, parliamo di cose più piacevoli. Di noi, di questo fine aprile così luminoso, della carrozza dalle tendine rosse, del nostro beneamato Duca” replicò guardandolo con due occhi ardenti.

“Avete ragione. Perché tediarvi col racconto di questi avvenimenti di così basso livello?” chiosò contento di avviare il discorso su altri binari più familiari e meno scivolosi.

Nell’attesa dei piatti caldi l’oste portò un vassoio finemente decorato, dove sopra stavano salami di porco inuestiti, vari tipi di mortadelle gialle dall’aspetto poco invitante, pezzi di persciutti e sommate con pane bianco di latte intorto e pagnotte nere con lo spacco centrale ancora fumanti. Giacomo osservò il piatto e selezionò con cura qualche tocco di quello che assomigliava vagamente al prosciutto che conosceva. Il profumo non era niente male e il pane appariva appena sfornato. La fame vinse la diffidenza verso quei salumi diversi dai suoi ricordi, mentre cominciava a mangiare.

“Madonna” cominciò aprendo un nuovo fronte di conversazione. “Vi trovo deliziosamente affascinante. Ma ditemi. Avete detto che siete nel cerchio delle dame di Laura d’Este. Vivete a corte? Non riesco a immaginarvi come dama di compagnia. Non so il perché ma vedo per voi un futuro diverso”.

Giulia rise delicatamente mentre spezzava un pezzo di pane bianco.

“No, non vivo a corte anche se qualche volta mi trattengo negli appartamenti di Madonna Laura. Però sono presente alle feste e alle serate organizzate nella sua dimora, mentre nel periodo estivo la seguo in una delle delizie per qualche settimana. Avete ragione, quando affermate che non mi vedete come dama di compagnia. Però la vicinanza presenta qualche vantaggio”.

Mentre parlavano, arrivò un fumante vassoio con pesce di fiume, variamente cotto, accompagnato da verdura fresca di stagione.

Giacomo e Giulia continuarono a conversare su molti argomenti durante il pranzo, finché sul finire non colse l’occasione per parlare sul vero obiettivo della sua venuta fin lì.

“Madonna Giulia, al termine di questo delizioso pranzo. Io mi devo trattenere qui, non prima di avervi accompagnata dove desiderate. Devo visitare le fondamenta della porta, perché qualcuno ha sussurrato che ci sarebbero sorprese. Fa parte delle mie incombenze. Però..”.

“Mio Messere, volentieri vi tengo compagnia nella vostra visita, perché fino a domani sono libera senza nessun impegno. Mi incuriosisce vedere all’opera un ingegnere del Duca, sempre che la mia presenza non vi sia d’impiccio” replicò sorridente, accarezzandogli le mani.

“Non osavo chiedervelo, Madonna Giulia. Sapervi al mio fianco mi fa molto onore e piacere. Siete sicura di volermi seguire? Non vorrei costringervi contro natura” chiese Giacomo con un tono soddisfatto.

“Messere, stare al vostro fianco mi procura gioia. Non avete osservato con quale deferenza le guardie mi hanno trattata? Come se fossi la vostra sposa” replicò con gli occhi luccicanti.

Pagato il pranzo, nonostante le insistenze contrarie dell’oste, la coppia si diresse nuovamente verso la Porta degli Angeli per il sopralluogo alla ricerca del cunicolo segreto.

Non dovete lottare troppo per vincere le resistenze del capitano del corpo di guardia per il permesso di scendere nella zona delle fondazioni. Dotati di una lampada a olio percorsero con cautela una stretta scala a chiocciola fino al punto più basso della porta e da qui cominciarono a esplorare le varie stanze che si aprivano su un lungo corridoio, finché non trovò una porta che dava su un passaggio basso e stretto. Lo percorse per qualche decina di passi ma poi rinunciò. Troppo pericoloso per la donna e per gli spiacevoli incontri che stavano facendo. Mentalmente conteggiò quanti passi lo dividevano dalla scala, imprimendosi la mappa dei locali sotterranei prima di riemergere alla luce del sole, che ormai era basso sull’orizzonte.

“Mio Messere, ora sono io che vi faccio la proposta di rimanere ospite stasera del mio palazzo. Così potete rendervi presentabile” domandò con tono ironico la donna.

“Veramente avrei altri impegni per la sera ..” replicò come per dare un peso maggiore a quello che avrebbe aggiunto dopo la sospensione. “Però rinuncio volentieri a tutto e vi faccio compagnia. A una Madonna come voi non si può negare nulla”.

Giacomo pensò che la notte sarebbe stata calda come il sole di luglio e questo lo intrigava non poco.

Nel padiglione i servitori si affaccendavano per servire il loro signore e la sua ospite. Laura si sentiva frastornata da tutto quell’andirivieni di portate e camerieri, perché non era abituata a essere servita e riverita come una principessa. All’inizio aveva provato una sensazione di disagio che era sparito non troppo in fretta come se il blocco psicologico dentro di lei si fosse sciolto gradualmente. Quel temuto potente sembrava meno orso di quello che si raccontava in giro. Era gentile e premuroso, mentre si adoperava per stemperare la sua sensazione di ansia. Si mostrava anche una persona romantica per come parlava e la trattava. La ragazza rifletté che pochi lo avevano conosciuto bene ma molti ingigantivano dei sentito dire.

Bloccata nel parlare, arrossiva per un nonnulla e il cibo rimaneva in gola, perché si rifiutava di scendere nello stomaco. Solo una cosa non aveva mai smesso di fare: era guardarlo fisso negli occhi senza tentennamenti. Tra una portata e l’altra, tra un segno di incitamento e una carezza Laura aveva trovato l’ardire di pronunciare qualche parola.

“E’ un posto splendido questo. Mi sembra di vivere in mezzo a una bella favola, dove in sogno penso di essere al vostro fianco, mio Illustrissimo Signore. Ma quello che mi darà vertigini è che al risveglio tutto sparirà e mi ritroverò accanto al camino spento”.

Alfonso la guardò, scosse il capo e replicò serio.

“Siete sicura che questo sia un sogno? Voi potete toccare con mano perché non sono un fantasma”.

Poi dopo la risposta esplose in una risata sonora per le affermazioni quasi ingenue di Laura, che gli piaceva sempre di più. Gli pareva che fosse una donna molto più matura della sua età e dotata di uno spirito acuto e osservatore. Però il tratto della personalità che più lo convinceva era quella sensazione di pulito misto a genuina sincerità che metteva nelle parole, pronunciate sempre senza mai distogliere lo sguardo. Era un aspetto che non aveva mai incontrato prima, perché o erano troppo altezzose oppure sembravano servili e dimesse come se avvertissero il peso del potere e del prestigio della sua persona.

“Mio Signore” disse con tono allarmato la donna. “Non volevo dire che voi siete un fantasma ma più sinceramente che non riesco ancora a capacitarmi di essere di fronte a voi, tanto da temere che stia facendo un bellissimo sogno”.

Il Duca rise nuovamente al goffo tentativo della ragazza di spiegare quello che era chiaro senza mezzi termini. Era proprio questa sorta di autentica e fresca ingenuità che lo attraeva sempre di più. Rappresentava una ventata di freschezza nella sua esistenza tanto intensa tanto da rischiare di esserne travolto.

Il suono melodioso di due liuti, invisibili agli occhi accompagnava queste schermaglie come se fossero due giovani amanti.

“Venite, Madonna” disse con gentilezza, prendendole la mano. “Usciamo a fare una passeggiata per il giardino. Ho qualcosa da mostrarvi”.

Si alzarono, uscendo dal padiglione verso il parco ricco di alberi e di laghetti, dove l’acqua scorreva placidamente.

“Non abbiate timore se vedete delle bestie feroci, ghepardi e leopardi. Sono libere di muoversi nel parco”.

Laura aveva sentito delle voci su questi animali dalla pelliccia maculata e dall’andatura flessuosa ma il pensiero di fare un incontro con loro le mise angoscia. Cercò di nascondere il terrore che le piegava le gambe, mostrando un coraggio che non possedeva.

Si fermarono nei pressi di un laghetto dove spuntavano i fiori di una pianta acquatica che non aveva mai visto in precedenza. Alfonso con una verga si divertiva a muovere l’acqua, mentre lei si specchiava tra i gorghi e i cerchi che il Duca si dilettava a produrre.

“E’ un posto delizioso ricco di animali e di fiori” disse con tono entusiasta e quasi sognante. “Un vero ambiente da favola”.

“Ma come ve lo immaginavate questo luogo?”

“Esattamente così. O forse un qualcosa in meno”.

Passeggiarono e conversarono a lungo, finché il sole non cominciò a trasformare il cielo in una tavolozza rossa, quando rientrarono nella delizia.

“Mio Signore, è stata una magnifica giornata” disse con un leggero inchino.

“E voi una deliziosa presenza” rispose garbato mentre faceva un cenno verso la carrozza dalle tendine rosse. “Sarete riaccompagnata alla vostra dimora. Conto di rivedervi presto. E’ stata una piacevole giornata, quella che abbiamo trascorso insieme”.

Al rientro a casa, Laura fu assalita dalla curiosità di Paola che le pose mille domande.

“Madre, è stata una giornata lunga. Vorrei ritirarmi col vostro permesso nella mia stanza. Domani vi risponderò in maniera esaustiva. Ora sono troppo frastornata per parlare con chiarezza”.

Però prima dovette rintuzzare gli attacchi delle amiche e le molte domande di Paola. Salita nella sua stanza, dopo essersi lavata sommariamente per non cancellare il profumo del Duca, si coricò, continuando il sogno interrotto brevemente dalle parole della madre.

La giornata aveva lasciato un segno tangibile.

La strada pare ..

La strada pare più vuota stasera:
manca qualcosa.
La via pare percorsa da un vento gelido stasera:
soffia con maggiore violenza.
I colori sembrano essere più freddi stasera:
sono come gli esseri di questa terra.
Ho freddo
e cerco riparo in una casa,
senza tetto, senza pareti,
senza te.

Capitolo 24

Alfonso le prese la mano e la riportò sul bancale, sedendosi accanto a lei. Gli occhi brillavano nell’ammirare la grazia e la semplicità di Laura, che indossava un abito leggero da popolana, che metteva in mostra il seno acerbo. Il duca amava circondarsi di cose preziose e belle e la giudicava come tale. Osservandola con cura percepì che l’impressione di molti mesi prima era ben appropriata, perché, se nei panni ruvidi di lavoro aveva mostrato un fascino che contrastava l’algida avvenenza delle dame di corte, adesso con il vestito della festa trasudava di charme che conquistava il cuore.

Lui era un ruvido uomo di arme che apprezzava la bellezza femminile e non solo, perché, sfruttando il potere che deteneva, non mancava di passare da un letto all’altro senza troppe sottigliezze. Non faceva differenza tra una dama di corte e una donna che svolgeva il mestiere più antico del mondo, purché fosse bella e disponibile. Questa superficialità nei rapporti gli stava costando caro vent’anni prima, perché aveva contratto coi fratelli Ferrante e Sigismondo la sifilide. Era riuscito a guarire quasi miracolosamente dalla malattia, che l’aveva portato a un passo dalla morte, mentre il fratello Sigismondo aveva avuto la vita segnata per sempre e ancora adesso stava lottando per sopravvivere.

Con Lucrezia i rapporti non erano più quelli iniziali né i timori, che lei potesse sviarsi o tradirlo, erano più attivi. Era conscio di averla domata con gravidanze a ripetizione, tanto che la salute della Duchessa era diventata cagionevole e fragile come un vetro di Murano. Era riuscito a imbrigliarla e renderla innocua come se avesse stipulato un contratto che valeva in assoluto con lei. Gli serviva come immagine, perché i ferraresi l’adoravano per quello che faceva per loro. La stimava perché gli aveva portato in dote potere e ricchezze, perché aveva assicurato al ducato degli eredi, che avrebbero allontanato le mire papali sui suoi possedimenti. Però tutto finiva lì. Adesso aveva necessità di qualcosa di fresco, di giovane e Laura incarnava queste aspettative.

Ricordava, mentre osservava la donna che stava al suo fianco, che Lucrezia era stata piacevolmente docile e pieghevole ma come le canne di fiume che sotto la sferza del vento si piegavano e non si rompevano, anche quella moglie non desiderata e in un certo senso temuta aveva fatto uso della flessuosa passività femminile, che col tempo l’aveva sconcertato e irritato più di una volta, per difendersi da lui. Gli sembrava sempre più spesso e senza troppe finzioni di fare all’amore con un pupazzo piuttosto che con una donna tanto si dimostrava distante e distaccata.

Non conosceva i motivi ma percepiva che con Laura sarebbe stato totalmente diverso. Dopo due mogli, una Sforza, morta poco dopo il matrimonio, e una Borgia, che era ormai sfiorita, desiderava una donna semplice che potesse amarlo per quello che era e per la sua personalità massiccia e forte, apparentemente ruvida ma che era capace di grandi slanci e generosità verso gli altri. Dunque la vedeva deferente e umile mentre trasmetteva una grande determinazione attraverso quei grandi occhi scuri.

Immaginò che non sarebbe stata una passeggiata, perché già una prima volta gli aveva tenuto testa, guadandolo senza abbassare lo sguardo o timori reverenziali, rispondendo senza esitazioni e con voce ferma alle domande che le aveva posto. Questo gesto di sfida, nemmeno troppo occulto, anziché irritarlo lo aveva attratto. Amava le sfide e la tenzoni ma nessuna donna aveva mai osato sfidarlo prima di lei.

“Eccola qui, dunque” rifletté Alfonso mentre continuava a tenerle la mano. “Potrei prenderla con la forza ma trasmette una calma interiore che mi inibisce. Devo conquistarla e con lei anche il suo rispetto”.

Batté le mani per richiamare l’attenzione del paggio che stazionava fuori dal padiglione.

“Ho fame” disse asciutto.

Giacomo, raggiunto il posto di guardia, vide immediatamente la morella nera che tranquilla brucava l’erba del prato. Un palafreniere la condusse con lentezza verso di lui, che dissimulò con una certa fatica l’ansia e l’inquietudine della prossima cavalcata.

“Ecco la cavalla, Messer Giacomo” esclamò il giovane, indicando la cavalcatura.

Un brivido percorse la schiena dell’uomo, che per distrarre l’attenzione di chi lo circondava osservò la donna al suo fianco come per porgerle le sue scuse.

“Madonna Giulia, mi spiace dover lasciarvi qui sola e senza il pranzo promesso. Mi rincresce ma se ..”.

“Vi prego, Messere. Non preoccupatevi per me. Vi aspetterò fedele e paziente, come una sposa, in quel padiglione. Al vostro ritorno passeremo in trattoria” replicò sorridente e soddisfatta di aver trasmesso l’impressione agli astanti che fosse la legittima moglie. Si dava un contegno e si sforzava di tenere un atteggiamento come se lo fosse.

Giacomo con l’aiuto del palafreniere montò a cavallo col cuore che pompava in maniera esagerata e poi tenendo le redini si mise al piccolo trotto sugli spalti erbosi delle mura cittadine.

Si rallegrò che in effetti era veramente docile e che non poteva sbagliarsi nella direzione. Si domandò come avrebbe dovuto agire, qualora avesse avuto la necessità di farla voltare.

“Devo tirare le redini a destra o sinistra? E per fermarla, quali azioni devo compiere? L’importante in questo momento è non cadere dalla sella. Per il resto ci penserò. Una cosa per volta. Non avrei mai immaginato che sarei dovuto andare a cavallo”.

Dopo un tempo che gli apparve infinito e dopo aver risposto a molti cenni di saluto di persone a lui completamente sconosciute, arrivò in prossimità di un enorme ammasso di terra che si ergeva imponente sull’orizzonte. Era molto più impressionante di quello che ricordava nella sua epoca.

“Ma di quanti metri si innalza dal piano di campagna? Ops! Il metro non è ancora stato inventato. Forse ora si usano i piedi di Ferrara, perché mi pare di ricordare che nell’ingresso sud del Castello ci fossero delle misure e le relative diciture” rifletté nell’osservare quella enorme montagna di terra brulla e scura.

Il cavallo si fermò come se avesse percepito questa istanza dalla mente di Giacomo, mentre lui era concentrato su quella visione tanto diversa dai suoi ricordi. Era piacevolmente soddisfatto per il fatto che era arrivato fin lì senza problemi, quando vide venirgli incontro delle persone che si sbracciavano per richiamare la sua attenzione.

“La pace è finita. A quali altre incombenze dovrò sottostare?” si interrogò ansioso, mentre sbigottito scrutava chi gli stava venendo incontro.

Voci concitate si mescolavano tra loro, mentre lui captava solo frammenti di parole.

“Messer Giacomo, per fortuna .. Ci sono dei problemi .. La porta di Sotto .. Abbiamo trovato .. E’ una Madonna .. Il docile ..” erano i brandelli che giungevano a lui.

Avrebbe voluto scendere di cavallo ma il timore di una figuraccia lo costrinse a rimanere in sella.

“Messeri, parlate uno alla volta. Altrimenti non vi capisco” disse con voce chiara e autorevole, facendo zittire i più esagitati.

Uno, vestito più elegantemente degli altri, si avvicinò al cavallo e gli fece segno di scendere. Un piccolo flash gli sovvenne, ricordando in qualche film western come il protagonista con agilità balzava dalla sella e con un piccolo salto Giacomo si calò dalla cavalcatura che rimase docile e tranquilla a brucare l’erba dello spiazzo.

“Dunque ditemi. Quale problema vi affligge da richiedere il mio intervento?”

“Messere, come sapete il nostro eccellentissimo Duca ha costretto i contadini del contado che si estende fuori delle mura fino a Ponte Gradella e verso San Martino di venire coi loro carri per portare la terra estratta dal fossato per creare la grande montagna che sta di fronte a voi. Ora si dà il caso che abbiano deciso di tornare sulle loro terre, perché non sono stati saldati i fiorini promessi” disse tutto d’un fiato.

“Per quale motivo sono stati negati i fiorini promessi?” domandò con cipiglio autoritario Giacomo.

“Sono finiti i soldi” ammise l’uomo, abbassando il tono della voce.

“E io che dovrei fare? Mettere mano alla borsa per pagarli?”

“Beh! sarebbe la soluzione ottimale ma dubito che si possa attuare. Voi dovreste parlare con loro e promettere che ..”

“Promettere cosa?”

“Promettere che presto saranno saldate tutte le spettanze”. E aggiunse di non preoccuparsi per la cavalla.

Aggrottò le sopracciglia e osservò l’assembramento di persone che stavano di fronte a lui a una decina di passi. Rifletté che una promessa non sarebbe costata nulla, memore dei suoi tempi. Erano solo qualche parole rassicuranti, ma che poi il mantenimento sarebbe stato problematico, perché, se erano finiti gli scudi, difficilmente sarebbero comparsi all’improvviso.

“Una bella gatta da pelare” si disse in silenzio. “Prima il Duca mi ordina un sopralluogo ben sapendo che mi sarebbe stato negato in virtù degli ordini impartiti alle sue guardie. Ora sono alle prese con degli scioperanti che reclamano il dovuto, e non hanno delle facce rassicuranti. Era molto meglio la mia epoca. Si scioperava e basta. In questa si rischia la vita”.

Trasse un profondo sospiro prima di arringare quel piccolo assembramento riottoso e poco incline ad ascoltare delle vuote parole.

“Messeri” cominciò. “Messeri tornate alle vostre occupazioni. Non posso saldare le vostre spettanze, perché nessuno mi aveva informato di questo. Ma al mio rientro ne parlerò con nostro eccellentissimo Duca delle vostre giuste lagnanze ..”.

Un mormorio preoccupante iniziò a salire da un gruppetto che stava in disparte, quasi staccato dal resto. Giacomo inghiottì la saliva e fissò quello che pareva il capopopolo con uno sguardo che non prometteva nulla di buono. Doveva mantenere un certo contegno se voleva tornare da Dama Giulia in buona salute.

“Non ho la bacchetta magica per fare i miracoli, né ho la zecca dietro la schiena per coniare le lire marchesane. Se volete andare, andate pure. Sapremo rimpiazzarvi con altri lavoranti meno rumorosi di voi. E ..”.

“E i nostri soldi?” replicò un omaccione poco rassicurante.

“Passate nei prossimi giorni. Con me non ho una lira ..” e si interruppe, prima di dire una corbelleria. Ma si riprese in fretta. “Non posso dare quello che non ho. Dunque chi non vuole proseguire il lavoro se ne può andare. Gli altri riprendano lo scavo. Deve essere finito in fretta. Non oltre la fine dell’estate”.

Il silenzio calò sullo spiazzo erboso, mentre qualcuno si staccò e si allontanò. Giacomo chiamò verso di sé chi lo aveva accolto e sottovoce gli disse di prendere nota di coloro che non proseguivano i lavori.

“Saranno liquidati dopo tutti gli altri” e andò verso la morella nera, fingendo disinteresse e sufficienza verso di loro, mentre dentro tremava dalla paura.

Salendo a fatica, disse alla cavalla: “Ora portami docile da Dama Giulia che mi sta aspettando”.

Si avviò per ritornare alla Porta degli Angeli, dove era partito.

Briciole di poesie

Pubblico delle briciole di poesie, brevi flash che illuminano la mente
VIII
Scende la notte e non si fa silenzio
la tranquillità notturna è rotta da un acuto ronzio:
è la sua voce, la più stridente.
IX
Nella tranquillità della notte
la scorgo bellissima.
X
A sembianze di dee
mille donne popolano questo paese di fate.
XI
Da un sogno dorato
in un cielo senza stelle
scendi dalla nuvole
e vieni con me.
XIII
Il rumoroso silenzio è interrotto
dal brusio del mio cuore.

Capitolo 23

La carrozza dalle tendine rosse attraversò la Porta degli Angeli, salutata dal corpo di guardia, e proseguì in un nugolo di polvere sul ponte di legno che scavalcava il canale Gramicia. Un fitto bosco l’accolse e l’inghiottì velocemente fino all’ingresso della delizia, dove trovò un piccolo esercito di paggi e servitori pronti ad accoglierla.

Laura avvertì che si era fermata ma non osava scostare la tendina per osservare fuori. Sapeva rispettare le consegne.

“Sono arrivata oppure è solo una sosta provvisoria?” si domandò curiosa ma timorosa per quello che le aveva intimato l’uomo che le aveva fatto compagnia per un breve tratto di strada. Però la curiosità prevalse per un attimo sul rispetto degli ordini e scostò un lembo della tendina rossa sbirciando fuori. Poi la lasciò ricadere al suo posto, restando immobile. Aveva intravvisto un gran movimento intorno alla carrozza con paggi e servitori in frenetico movimento. Le era stato sufficiente un rapido sguardo per dedurre che il posto le era completamente sconosciuto ma sembrava l’eden terrestre tanto era ricco di fiori e di alberi rigogliosi.

Col cuore che galoppava per le emozioni rimase ferma, aspettando gli eventi, mentre udiva uno scalpiccio di passi e un gran strepitare di voci sovrapposte provenienti dall’esterno. Vide la maniglia girare lentamente mentre uno spiraglio di luce si insinuava, illuminando l’interno.

“Madonna”. Una voce aggraziata l’accolse prima che potesse scorgerne il viso e la mano che la invitava a scendere.

Per un attimo gli occhi non esaminarono nulla, abbagliati dall’improvvisa luce dopo il tragitto nella penombra. Scese con cautela dalla carrozza sorretta da mille mani. Un senso di sgomento e di piacere la pervase: le pareva di vivere un sogno. Il posto era da favola, molto di più di quello che aveva fantasticato con le amiche, che non avrebbero mai condiviso con lei questo spettacolo.

Un paggio tenendola per mano l’accompagnò verso un grande padiglione posto in mezzo a un prato colorato di rose e altri fiori primaverili. Scostò un lembo e la fece accomodare.

“Madonna, gradite qualcosa?” chiese premuroso, mentre Laura si sistemava su un bancale con schienale ricoperto di morbidi cuscini.

“No, grazie”.

Il ragazzo sparì velocemente in silenzio, mentre si udì il suono di un liuto che inondava di musica l’interno. Si osservò intorno ma non notò nessun musicante. Nella luce incerta nella quale era immersa dedusse che fosse appostato all’esterno alle sue spalle e che quindi suonasse per lei.

Laura si sentiva inquieta nell’attesa di vederlo, perché sapeva che sarebbe apparso quanto prima, mentre si domandava come avrebbe reagito alla vista di lui. Era nel contempo anche eccitata, perché le emozioni e le sensazioni erano troppo intense per essere tenute a freno.

Fuori si ascoltavano voci concitate e grande movimento di persone senza che lei potesse vederle. Poteva solo intuire che stava arrivando, perché all’improvviso tutto quel frastuono cessò di colpo.

L’apertura del padiglione fece comparire un uomo non molto alto e con una folta barba nera ma decisamente affascinante, molto di più di qualche mese prima, quando lo aveva visto per la prima volta.

Si alzò di scatto per andargli incontro ma una voce potente, profonda e decisa la fermò: “Restate dove siete”.

Quello fu il primo impatto e le tremarono le gambe.

Giacomo e Giulia erano all’incirca a metà di Via dei Piopponi, quando videro arrivare di gran carriera un cavaliere.

“Messer Giacomo! Che fortuna vedervi” urlava approssimandosi sempre di più, finché non si fermò dinnanzi a loro, che erano stupiti da questo incontro.

“Messer Giacomo, vi stiamo cercando in tutta Ferrara, perché dovete recarvi immediatamente al baluardo della Montagna. E’ richiesta con urgenza la vostra presenza. Nella vostra casa la camariera personale ci ha detto che eravate al Castello dal nostro eccellentissimo Duca. Ma lì nessuno sapeva dove eravate diretto dopo la vostra uscita” disse senza fermarsi un attimo con la voce in affanno per la veloce galoppata.

“Il baluardo della Montagna? E dove sarebbe? Conosco solo il Montagnone, che è tutto fuorché una montagna” rifletteva Giacomo senza lasciar trapelare le sue perplessità su questa richiesta.

“Veramente ..” cominciò ma fu interrotto subito dal cavaliere.

“Al posto di guardia è pronta una cavalla docile e veloce che vi porterà in un baleno al baluardo ..”.

L’uomo quasi sbiancò dalla paura, perché non aveva mai cavalcato. Stava per aprire bocca, quando la guardia ducale proseguì.

“Non dovete aver timore: la morella nera, che vi sta aspettando impaziente, vi condurrà senza quasi la necessità di usare le redini. E’ la cavalla prediletta della nostra amata principessa Laura”.

“Non abbiate paura, Messer Giacomo” disse Giulia rimasta in silenzio fino a quel momento. “La cavalla è veramente docile. Si lascia guidare senza la necessità degli speroni. Madonna Laura la cavalca senza preoccupazioni. Lei è una cavallerizza assai scarsa, perché preferisce guidare la carretta” soggiunse con un leggero sorriso beffardo.

“E va bene” replicò rassegnato al peggio. “Ma voi, dama Giulia cosa farete durante la mia assenza? Vi avevo promesso un pranzo ma vi sto abbandonando senza nessuna certezza che possa onorarvi”.

La guardia affermò che Madonna avrebbe alloggiato al fresco nel padiglione, riservato per gli ospiti di riguardo, accanto alla porta, prima di avviarsi velocemente verso il posto di guardia.

“Sono mortificato” disse con tono contrito per dissimulare l’ansia che stava crescendo dentro di lui.

“No, Messer Giacomo. Aspetterò il vostro ritorno e poi ci recheremo in trattoria. Mi sono sentita importante al vostro fianco. La guardia ha creduto che fossi la vostra sposa. Se fosse vero..” e sospirando, si strinse maggiormente a lui, mentre riprendevano il cammino verso la Porta degli Angeli.

“Dunque tra i miei compiti c’è anche quello di badare alle fortificazioni. Scopro sempre nuovi tasselli della mia vita. Però spero che il baluardo della Montagna sia quello che ricordo” rifletté velocemente.

“Avere una così bella e giovane Dama al mio fianco mi riempie d’orgoglio come sapere che voi sospirate per non essere la mia consorte”aggiunse galante ad alta voce.

Adesso doveva capire come si sta a cavallo senza cadere rovinosamente, mentre osservò un palafreniere che si avvicinava con una bella morella nera di piccola taglia.

“Almeno non è imponente come pensavo. Ma questo non mi aiuta di certo”.

L'orologio segna l'ora

L’orologio segna l’ora.
Che ora è?
E’ l’ora di andare,
non puoi indugiare ancora.
Caro orologio, fermati un poco,
mi piace tanto rimanere qui.
Non posso,
non posso.
Sono condannato a girare in eterno.

Capitolo 22

Un capitano della guardia ducale si parò dinnanzi minaccioso, intimandogli di fermarsi. Giacomo acconsentì prontamente, perché la missione era delicata e non doveva far trapelare i motivi delle sue ricerche.

“Dove state andando? Chi siete?” domandò scortesemente, mentre due guardie lo affiancavano.

“Al rivellino nord. Forse è proibito? Sono l’ingegnere del Duca e dovrei controllare ..”.

“Controllare cosa? Non sapete che quell’area è interdetta a tutti per ordine del nostro eccellentissimo Alfonso I? Nessuno può avvicinarsi o penetrare quell’area senza il permesso scritto del nostro amatissimo Duca”.

Giacomo rimase basito e senza parole. Il duca non consentiva a chicchessia di entrare nel rivellino nord o persino di avvicinarsi ma gli aveva ordinato di procedere alle verifiche dello stato dei passaggi segreti e di costruirne uno nuovo. Gli sembrava una follia, ben sapendo che nessuno sarebbe riuscito a rompere il vincolo senza uno scritto di Alfonso. L’impresa gli sembrava impossibile e ineseguibile per raggiungere le soluzioni richieste. Si trovava in un vicolo cieco.

“Se non posso attivarmi, senza un permesso scritto, per la verifica, come riuscirò a soddisfare la commessa ricevuta?” si domandava Giacomo senza ottenere una risposta soddisfacente.

“Comprendo pienamente le vostre disposizioni e la loro applicazione, ma come faccio a rispettare la commessa del nostro eccellentissimo Duca?” chiese Giacomo, abbassando il tono della voce a semplice sussurro.

“Gli ordini sono ordini e li faccio applicare alla lettera. Quindi voi chiedete al nostro amato Duca il permesso scritto per controllare …Non so cosa, visto che non avete avuto l’accortezza di comunicarmelo” replicò austero e deciso il capitano delle guardie ducali.

“Non lo sapete perché mi avete interrotto la spiegazione. Dunque dovrei controllare la stabilità del rivellino nord, perché sono giunte al nostro amatissimo duca delle informazioni su possibili crolli del manufatto per via di certe crepe notate in una parete” disse inventandosi una scusa più che plausibile per le orecchie del capitano.

Detto questo senza aspettare una risposta, che non sarebbe mai pervenuta, si girò incamminandosi verso l’uscita che dava in Piazza de’ Pollaioli per il rientro a casa. Non poteva tornare dal duca per farsi rilasciare un permesso di accesso, che di certo non glielo avrebbe concesso, perché, se questa fosse stata l’intenzione e se la missione avrebbe dovuto svolgersi alla luce del sole, di sicuro glielo avrebbe firmato al termine del colloquio e non successivamente. Doveva trovare un’altra strada per percorrere i due cunicoli e rispettare l’impegno imposto senza troppe discussioni. Quello che lo preoccupava maggiormente era la costruzione del terzo cunicolo da eseguire in gran segreto.

“Come? E dove trovo maestranze fidate alle quali affidare il compito di costruirlo?”

Era immerso in questi pensieri per nulla allegri, quando udì una voce familiare chiamarlo. “Messer Giacomo! Messer Giacomo!”

Alzò il capo, facendo fuggire tutti i cattivi pensieri che lo stavano accompagnando da qualche minuto, e girò il viso in direzione di quel suono gradevole che gli ricordava qualcosa di piacevole.

“Oh! Dama Giulia! Che piacere rivedervi1 Come state? Sempre più bella e attraente!” disse con stupore misto a galanteria, mentre l’uomo si avvicinava alla ragazza per baciarle la mano.

“Sempre galante, Messer Giacomo. Siete un vero signore. Peccato che ..” rispose civettuola la donna, accettando complimenti e baciamano.

“Lasciatevi ammirare! Siete un toccasana per gli occhi e per lo spirito”.

“Solo quello?”

“No! Anche per il corpo!” replicò sorridente e sornione. “Sto andando alla Porta degli Angeli per via dei Piopponi. Posso avere la grazia della vostra compagnia? Nelle vicinanze c’è una trattoria, L’Abbondanza, dove si mangia divinamente. Potremmo fermarci sotto il pergolato a pranzare vista l’ora. Avrò questo onore, dama Giulia?”

La ragazza sembrò pensarci un po’ ma in cuor suo aveva già deciso di accettare l’invito, perché Laura d’Este non era di buon umore nella giornata odierna per via del suo malessere di donna. “E’ intrattabile oggi come capita sempre quando ha il suo ciclo. Ma oggi è meglio girarle alla larga. Irascibile com’è si rischia qualcosa. Mi sembra più piacevole la compagnia del Messere e poi ..” rifletté sorridente, mentre accettava il braccio che le porgeva Giacomo.

Rispose con un cenno del capo che era più chiaro di un «Sì», mentre allegra si incamminava al fianco dell’uomo.

“Non vi ho più rivista dopo la grande nevicata di gennaio. Ho sperato di vedervi con vostra cugina Ginevra. A proposito. Come sta? Ha superato il lutto della vedovanza?”.

“Ginevra? Sta bene, almeno l’ultima volta che l’ho vista. Ora è a Mantova alla corte di Francesco e Isabella Gonzaga, perché al termine della vedovanza convolerà a nozze con Aloiso Gonzaga. Vi ricorda sempre come un uomo arguto e gentile, che le ha donato istanti di grande felicità e serenità”.

Continuarono a chiacchierare mentre lentamente percorrevano via dei Piopponi, dove in lontananza si vedeva la Porta degli Angeli, quando Giulia esclamò sorpresa.

“Ma quella è la carrozza ducale! Quella che usa il nostro amatissimo Duca per i suoi spostamenti verso le delizie. E al di là della Porta c’è quella di Belfiore. E’ strano, vista l’ora. Però le tendine rosse impediscono di vedere chi ospita. C’è lui in persona o qualcun’altra, che non desidera essere riconosciuta”.

“Perché strano? Non ci trovo nulla di singolare. Oggi è una giornata calda che merita di essere trascorsa all’aria aperta” replicò cautamente Giacomo, che non ricordava che fuori delle mura ci fosse una delizia estense. Nella sua epoca c’era solo un grande parco urbano senza ruderi antichi.

“Però vedo che siete ben informata sull’uso della carrozza. Forse ..” e fece una pausa per non irritare la compagna.

“No! No! Messer Giacomo. Non è come pensate voi” replicò ridendo, mentre si stringeva con maggior vigore all’uomo. “Vivendo a corte, i pettegolezzi si sprecano. E tutte hanno raccontato storie incredibili su quella carrozza dalle tendine rosse. Quanto di vero ci sia non lo so ma le chiacchiere girano e si agitano come bandiere al vento. Però Laura d’Este, una cugina del nostro amatissimo Duca, afferma che il cugino la usa per questi scopi e io le credo”.

Giacomo e Giulia continuarono a conversare mentre la carrozza li superò, allontanandosi verso la Porta.

All’interno Laura avrebbe voluto osservare fuori ma le era stato proibito. “Tenete sempre le tendine tirate e non mostrate il vostro viso. Potrebbe essere pericoloso” le disse Bernardino de’ Prosperi, prima di scendere all’inizio di via dei Piopponi. E lei non replicò, rispettando il divieto.

Curiosità mista a timore cresceva dentro di lei, perché intuiva chi l’avrebbe accolta nella delizia.

Foglie portate dal vento

Foglie, portate dal vento
sull’aria dorata dal sole
volano via.
Tutto fugge e rifugge dal mondo.
Foglie, portate dal vento
sull’aria dorata dal sole
parlano di cose lontane.
Tutto scorre e fluisce.
Foglie, portate dal vento
sull’aria dorata dal sole
vagano qua e là
alla ricerca del tempo passato.
Tutto appare e scompare ai nostri occhi.
Il senso, i sensi,
impregnati di nitidi ricordi,
sembrano impazziti.
Impazziti per che cosa?
Tutto fugge e rifugge dal mondo.
Tutto scorre e fluisce.
Tutto appare e scompare.
Solo una cosa non va:
il mio ricordo per te.