Il Borgo – Capitolo 6

La giornata soleggiata e calda rendeva ardua la salita alquanto ripida e disagevole, perché la ricca vegetazione spontanea tratteneva il calore senza lasciar spirare un refolo di fresco.

Ci manca molto?” disse Giacomo, sbuffando e sudando copiosamente.

Chi lo sa!” rispose in un sussurro Eva, che si era fermata a riprendere fiato.

Dammi il tuo zaino” le disse premuroso Marco, mentre le baciava una guancia.

Laura proseguiva in silenzio verso il borgo. Voleva vederlo apparire dopo l’ennesima giravolta, sbucare come un fantasma in attesa di essere scoperto. Percepiva un non so che di emozione mista a curiosità. Si chiedeva cosa le sarebbe comparso e come avrebbe reagito di fronte al silenzio di quelle pietre che fino al 1960 erano ancora vive.

Cosa mi racconteranno quei ruderi? Quali storie mi sussurreranno i sibili del vento che entrano dalle porte divelte dall’indifferenza degli uomini? Percepirò vita o morte camminando tra cumuli di pietre malinconiche e erbacce rigogliose?”

Laura continuava di buona lena senza avvertire il peso dello zaino e della strada tutta buche e pietre, anelando solo di arrivare e assaporare il profumo del borgo abbandonato.

I tre compagni avventura ripresero il cammino, dopo averla persa di vista tra la folta erba e i grandi cespugli che avevano ridotto il viottolo a uno stretto sentiero.

Sembra presa dal sacro fuoco di Indiana Jones la nostra guida. E’ partita innestando la quarta e ci ha seminato lungo questo tratturo ripido e tortuoso” disse con voce affannata Eva, che pareva a ogni istante di bloccarsi e dire «Basta!».

E sì, Eva. Hai azzeccato il paragone. Indiana Jones e le sue avventure pazzesche! Ma non dobbiamo ricercare l’arca perduta o mitici tesori ma solo vedere un borgo abbandonato” disse Giacomo sbuffando e detergendosi il sudore che colava impietoso lungo la schiena.

Mi sembra di intravvedere dei ruderi sulla nostra destra. Forse siamo arrivati. Finalmente! Non aspetto altro che mettermi all’ombra di qualcosa e bere con frenesia. Più che una gita questa è una marcia forzata!” esclamò con impeto Eva, sorretta per un braccio da Marco, che ascoltava in silenzio le chiacchiere dei due compagni di strada.

Laura, svoltata l’ultima curva, vide un arco di pietra e una strada vagamente lastricata. Si fermò a osservare la vista.

Ecco, Castiglioncello” esclamò come un novello poeta che innalza un inno al mito. Prima di addentrarsi, respirò profondamente e fece vagare lo sguardo. Un muro a secco con grossi blocchi di pietra ricoperti dalla patina del tempo e dell’incuria umana con erba e arbusti che si ergevano padroni.

Una sensazione di forte emozione la pervase, mentre continuava a scrutare in silenzio questi ruderi fatiscenti. L’arco lasciava intravvedere solo uno spicchio del resto, mentre cumuli di pietre crollate ingombravano il sentiero. Lo sguardo percorse il muro, in più punti sbrecciato e parzialmente crollato, sul quale avevano attecchito delle piante spontanee.

La testa era un tumulto di pensieri, il cuore pulsava come un metronomo impazzito. Non si accorse che gli altri componenti di questa pazzesca avventura l’avevano raggiunta e contemplavano taciturni lo sfacelo di quei ruderi.

Cosa facciamo?” disse Marco rompendo la calma silenziosa. “Entriamo o facciamo il periplo intorno al muraglione?”

Laura si riscosse dal torpore meditativo nel quale era caduta e gli sorrise.

Entriamo” replicò senza aggiungere altro muovendosi con cautela oltre l’arco, seguita dai compagni.

State attenti. Qui si rischia di ricevere in testa qualche pietra o scheggia di legno. Non consigliano di avventurarsi negli interni degli edifici” aggiunse come monito agli altri.

Non ti preoccupare. Facciamo attenzione. Ci tengo a tornare a casa tutto integro” disse tutto allegro Giacomo.

Camminarono con circospezione lungo quella strada che passava tra edifici diroccati e cumuli di macerie. Stavano in silenzio per ascoltare la voce del borgo, che rimaneva ancora muto.

Laura” cominciò a parlare Giacomo che pareva il più ciarliero della comitiva. “Quest’ispezione che fine ha?”

Non lo so. Francamente non ho le idee chiare” rispose la ragazza muovendosi con cautela e osservando con cura gli edifici.

Marco era leggermente indietro perché aveva estratto dal suo zaino l’immancabile Canon Eos 500 e stava fotografando ruderi e scorci di paesaggio.

Eva pareva essersi ripresa dalla fatica della salita ma restava in religioso silenzio. Si domandava in quale pazzesca avventura si stava cacciando. Pensava che il borgo fantasma che l’aveva attirata sulla pagina di Facebook fosse in condizioni migliori. Qui non c’era un tetto integro: erano tutti sfondati e crollati a terra. Le porte erano moncherini marci che penzolavano tristemente sui supporti. Le finestre non esistevano. Cumuli di pietre e legni marci erano all’interno dei pochi muri rimasti in piedi. Scosse la testa. «Non capisco cosa ci sia da recuperare e come fare» rifletteva amaramente osservandosi intorno.

Credo che abbiamo visto a sufficienza” disse Giacomo, interrompendo un silenzio che stava durando da diversi minuti. Si udiva solo il frinire delle cicale e il volo di qualche insetto. Anche il vento aveva smesso di parlare come se volesse origliare le parole dei ragazzi.

Ho notato che da quell’arco si intravvede una piccola spianata. Possiamo metterci li a riposarci e fare il punto della situazione.

Come per un tacito accordo si trovarono fuori dal borgo seduti sull’erba all’ombra di un piccolo arbusto.

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