Short stories – Lacrime

Continua la serie delle Short stories a più mani. Oggi propongo un incipit non mio e il resto della storia che ho confezionato. Buona lettura
-Sei una bastarda egoista.
Credevi di averle finite, le guance che hanno fatto male per giorni. Sono scese come non credevi possibile, come avevi visto succedere solo nei film. Occhi spalancati, nessun singhiozzo, solo questo calore lungo il viso, i vestiti che si bagnano, il sale sulle labbra, il naso che lotta per farti respirare. Non ti aspettavi quel sms che le fa uscire di nuovo dai tuoi occhi stanchi.
Una bastarda egoista perché gli vuoi bene. Perché non resistiti e continui a dirglielo che gli vuoi bene. Forse lo fai troppo spesso, ma tu gli vuoi bene sempre, cosa vuoi che siano dieci, quindici messaggi al giorno contro quei millequattrocento minuti al giorno in cui lo pensi. Come fa a non capire?
Bastarda egoista saresti se decidessi di eliminare la sua distrazione. Torna dal lavoro a piedi e attraversa un passaggio pedonale stretto e malconcio, che serve una sola piccola palazzina con pochi inquilini. Il martedì rientra dopo le nove di sera.
Accarezzi la sciarpa di seta che lui ti ha regalato a Natale dello scorso anno. Leggera, resistente…te l’ha regalata lui e tu gli chiedesti quando mai ti sarebbe servita…te ‘ha regalata lui: sapeva che ti sarebbe servita.
-Non sono una bastarda egoista. Vuoi che lo diventi? lo posso fare per te
Ora aspetti la sua risposta, le lacrime che spariscono in un sorriso (by Francesca Frabetti)
La risposta tardava mentre la mia mente era in subbuglio. Perché? Perché? Domande, ancora domande. Quando avrei smesso di pormele? Mai, perché vivevo solo di questo. Non c’era posto dentro di me per qualcosa di diverso.
Mi sembra di impazzire, vorrei piangere ma gli occhi sono secchi come se si fossero prosciugati ma forse a secco sono rimasta io.
Guardavo lo smartphone. Solo messaggi insulsi, baggianate da facebook, tweet inutili ma manca all’appello solo il suo.
Riscrivo? Si è andato perso nel web? No, aspetto con ansia mentre monta dentro di me la piena di lacrime. Che sciocca! Lui è troppo vecchio per te perché possa continuare a scriverti. L’avrai annoiato con quelle frasi infantili e puerili con le quali lo hai tempestato.
Io vivo a Milano, lui a Parma. Un ora di frecciarossa o di macchina ci divide ma ho l’impressione che abbia mentito. Ho solo sedici anni e non credo che i miei mi lascerebbero partire per una località vicina ma sconosciuta senza domandarmi chi vado a trovare. Però lui potrebbe venire senza problemi. Così lo potrei stringere e baciare. Potrebbe coccolarmi e accarezzare. Gli ormoni sono in subbuglio, la testa pare avere la febbre. E se mi dicesse «Arrivo tra un’ora» sarei pronta? Non lo so ma il messaggio tarda e le lacrime scendono.
Lo sento vibrare, lo guardo. E’ lui. Lo apro e lo leggo. Mi siedo e lo rileggo.
«Tra due ore sono in Piazza Duomo. Ti aspetto».
E adesso che faccio? (by orsobianco9)

Sono le due del pomeriggio, lui mi aspetta alle quattro in Piazza Duomo. Oggi è domenica e nessuno saprebbe nulla di nulla. Non dovrei dare spiegazioni a nessuno.

Che faccio? Rispondo «Sì. Alle quattro di fronte al Duomo» oppure «No. Non ci sarò». Ho voglia di vederlo ma si meriterebbe la seconda risposta.

-Sono però una bastarda egoista! E quindi rispondo Sì! Comincio a prepararmi, mentre la mia risposta è già partita. Le lacrime sono diventate dei sorrisi euforici. Apro l’armadio per cercare qualcosa di carino, che gli faccia dire «Cazzo, quanto sei bella!» ma lo so che non me lo dirà mai. Mi vuol vedere soffrire ma non importa. Percepisco già il suo sguardo su di me, i brividi che mi provocheranno le sue mani sulla mia pelle, le sensazioni che il mio corpo sentirà quando mi bacerà. Guardo l’ora.

-Cazzo, sono in ritardo. Mi devo sbrigare. Tra quindici minuti devo uscire per prendere la linea gialla. Cosa mi metto? Rovisto, non trovo nulla che mi piaccia o di adatto alla circostanza. Velocemente infilo jeans e camicetta azzurra su mutandine nere e reggiseno bianco, quello a balconcino. Potrei farne a meno per quei due pomi acerbi e piccoli che sono i miei seni ma a lui piacciono le donne formose. Rido a questo pensiero perché sono tutta spigoli e basta. Infilo due ballerine ma forse sarebbe stato meglio un tacco 9, che non possiedo. Il mio metro e sessanta sfigura accanto al suo metro e ottanta. Per baciarlo devo mettermi in punta di piedi e non è sufficiente. Ma non importa. Gli voglio bene anche se lui finge di non volermene. A questo pensiero una lacrima riga il pfard.

-Porca miseria! Non ho tempo per sistemarlo. Devo correre se voglio essere alle quattro davanti al Duomo. (by orsobianco9)

Sono affannata dalla lunga corsa. Prima per prendere la linea gialla e poi per salire in superficie e arrivare in Piazza Duomo. Non lo vedo. Guardo l’ora. Sedici e dieci.

-Per dieci minuti di ritardo è già andato via? Non posso crederci. Le lacrime scendono copiose sulle guance. Sono affranta. Mi ero fatta bella per lui ma una piccola risata cancella l’amarezza di non vederlo.

Bella? Quanto sei vanitosa Anita! Mi dico mentre le lacrime continuano a scendere senza posa. Mi aggiro inquieta tra la folla della domenica pomeriggio. Sento un «Perché piangi?». Mi volto arrabbiata.

-Chi, cazzo si permette di dirmi questo? Non vedo nessuno se non un ragazzino magro e brufoloso. Lo fulmino con gli occhi e se fossi una maga sarebbe già cenere ma resta lì irridente a guardarmi.

“Perché piangi?” mi richiede.

-Fatti i cazzi tuoi! Gli rispondo a muso duro.

“Posso consolarti!”

-E chi vuol essere consolata?

“Dai vieni con me!” e allunga una mano verso di me. Mi sposto all’indietro, non voglio essere sfiorata da quel moccioso. Voglio solo lui ma non c’è.

“Non sono infetto” insiste sorridente mostrando una dentatura poco invidiabile, storta e per nulla pulita. Sento un brivido ma non di piacere. Mi giro e mi muovo. Lui mi segue e continua a parlare. Si affianca e tende la mano verso la mia.

“Sei bella! Come ti chiami?” mi domanda con quel sorriso storto. Fingo di non aver sentito. Non mi va di essere abbordata da sconosciuti, tanto meno da un ragazzino che ha appena finito lo svezzamento. Mi domando perché Simone se ne è andato. Poteva aspettare almeno dieci minuti.

“Come sei scontrosa” dice avvicinandosi ancor di più. “Alberto. Al per gli amici” continua. -Ma chi se ne frega se i tuoi amici ti chiamano Al. Cammino svelta verso il Duomo. Penso di rifugiarmi là, quando sento vibrare lo smartphone. (by orsobianco9)

Mi fermo. Leggo il messaggio ‘Arrivo tra un ora’.

-Porca miseria! In ritardo è lui! E ora che faccio?

“Chi è che ti scrive?” domanda petulante Al.

Ma fatti i cazzi tuoi, vorrei rispondergli ma taccio e riprendo a camminare verso l’ingresso del Duomo. Guardo l’ora. Sono le sedici e trenta. Tra un’ora significano le 17 e 30. Nemmeno il tempo di dirci «Ciao» e devo riprendere la linea gialla. A fine ottobre le giornate sono corte e fa buio presto. Non posso rientrare troppo tardi senza insospettire i miei. Le lacrime riprendono a scendere.

“Ti ha piantata?” dice il ragazzo, vedendomi triste.

Mi volto dall’altra parte e entro decisa in chiesa. Egli mi segue standomi sempre al fianco. Comincio a innervosirmi. L’interno è scarsamente illuminato come il solito, quando non ci sono funzioni. Qualche spira di sole filtra dai finestroni. Sento freddo. Sono vestita estiva ma avrei dovuto mettermi qualcosa di più pesante. Per lui sarei venuta anche nuda e non avrei percepito nulla. Solo il suo calore. Mi fermo davanti a un altare laterale. Anche il ragazzo si arresta di fianco a me. Sembriamo due innamorati ma col fischio che lo siamo. So che si chiama Alberto e basta. Avrà quindici o sedici anni. Un bambino. Mi metto a ridacchiare, pensando ai miei sedici anni come se fossi una donna matura.

“Perché ridi?” mi sussurra in un orecchio. Non resisto e sbotto.

-Ma fatti i cazzi tuoi! Una donna si gira e mi fissa male. Divento rossa. A volte sono dannatamente sboccata. E qui sono nella casa del Signore. Dico un atto di dolore, storpiandolo non poco, perché non lo ricordo. Mi avvio all’uscita sempre seguito come da un’ombra da Al. (by orsobianco9)

La luce di ottobre mi fa strizzare gli occhi umidi di pianto, quando esco sul sagrato del Duomo. Non riesco a scrollarmi dal fianco questo intruso che continua a parlare. Guardo l’ora. Appena le 17. L’attesa è lunga. I minuti appaiono lunghissimi, il tempo si è fermato. Ho la lacrima facile ma il pensiero di lui è troppo forte. Lo so che è tutto effimero. Simone ha ventidue anni. Troppi per una ragazzina di sedici. Ci siamo conosciuti in rete un anno prima e ho mentito sull’età. Per Natale mi ha spedito il regalo: una sciarpa di seta rossa, che accarezzo quando penso a lui. Ho inventato mille scuse per non incontrarlo e coprire le mie bugie. Oggi non ho resistito. Sono pazza di lui. Lo voglio, lo desidero. Vorrei essere nel letto con lui ma devo solo sognare.

“Non mi vuoi dire come ti chiami?” dice per l’ennesima volta questo scocciatore.

-No! Rispondo secca.

“Perché?”

-Sono fatti miei. E ora lasciami in pace. Sto aspettando il mio ragazzo. Dico mentendo. Voglio solo liberarmene.

“Quando arriva?”

-Ma che t’importa?

“Mi piacerebbe vederlo in faccia, quello sfigato!” Divento paonazza dall’ira e dalla vergogna. Mi sposta ma mi segue come un’ombra. Il tempo scivola lentamente ma non passa mai. Mi giro e lo vedo o almeno credo che sia lui.

-Come farà a riconoscermi? Gli vado incontro.

“Ciao, Anita! Quanto sei bella!”

-Ciao Simone. E mi allungo in punta dei piedi per baciarlo. Una lacrima scende sul viso. (by orsobianco9)

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