Il Borgo – Capitolo 32

L’inverno fu rigido molto di più rispetto all’anno precedente con copiose nevicate anche oltre i canonici mesi di gennaio e febbraio.

Laura fremeva di cominciare i lavori di aprire il cantiere nel Borgo ma il tempo non era propizio. Il gruppo usò quei mesi di inattività per risolvere le grane burocratiche e preparare i piani per quando, il clima permettendo, avrebbe potuto operare sul campo.

Alla fine di novembre del 2009, dopo l’ultima visita al Borgo, scrisse al sindaco di Fiorenzuola spiegando il loro progetto e chiedere un incontro. Così sabato 5 dicembre Laura e i cinque compagni si ritrovarono sotto casa sua per affrontare il viaggio verso il comune toscano.

Mai stato a Firenzuola” affermò Giacomo. “Che strada prendiamo?”

Ci sono tre possibili soluzioni” disse Mattia mostrando tre mappe di Google con tre percorsi differenti. “La più veloce è prendere l’autostrada del sole fino a Pian del Voglio e poi da lì una provinciale che in pochi chilometri ci porta a destinazione. La seconda è quella della vallata dell’Idice e scollinare al passo del Giogo”.

Il ragazzo fece una pausa per osservare i compagni di viaggio ma non notando alcuna variazione nei loro visi, proseguì.

E’ il passo che il vecchio del Borgo ci ha citato durante il suo racconto. Però quella più corta ma apparentemente più disagevole perché rimane sui crinali dell’Appennino è quella per Pianoro e Loiano”.

Sarà più lunga ma è più sicura. Io punterei sull’autosole. Con le coperture come siamo messi?” chiese Marco. “Io sono da scartare. Ho solo gomme normali. Non mi fido. Non danno neve ma solo pioggia. Però ..”.

Io monto pneumatici termici” rispose pronto Mattia.

Anch’io” confermò Giacomo.

Siamo a posto. Due macchine sono sufficienti per fare un viaggio tranquillo” disse Marco, che con Eva e Betta salì sull’auto di Giacomo, mentre Laura faceva compagnia a Mattia.

Mentre i ragazzi discutevano sulla strada da prendere, Emma era dietro la finestra a spiarne le mosse. Non li aveva ancora visti tutti insieme e non conosceva i loro nomi. Quindi era curiosa di individuare Mattia, perché Giacomo l’aveva intravvisto un mese prima. Il terzo ragazzo non sapeva come si chiamava ma immaginava che fosse con la sua ragazza.

E’ quello che ha i fogli in mano oppure l’altro che dà di spalle?” si chiese affannata. “Sono differenti fisicamente tra loro ma tutto sommato paiono ispirare fiducia”.

Sospirò perché il suo intuito non l’aiutava.

Vieni, Ernesto, vieni” chiamò a gran voce il marito.

Che c’è?” rispose di malagrazia, disturbato nella lettura del quotidiano sportivo. “E’ successo qualcosa?”

No. Volevo farti vedere gli amici di Laura”.

Sono interessanti?” domandò un po’ scocciato.

Non ti va di vedere chi frequenta nostra figlia?” replicò delusa dal comportamento del marito.

Uffa, arrivo” disse deponendo il giornale sul divano. “Dove sono?”

Ma laggiù vicino a quelle macchine! Dove vuoi che siano?” affermò con tono alterato per l’atteggiamento di Ernesto.

E chi sono?”

Quello coi capelli corti è Giacomo …”

Ah! Quello che fa la corte alla Laura?” domandò aguzzando la vista.

No. E’ Mattia l’ultimo ..”

E’ Giuseppe chi è?” domandò stranito e confuso.

Un amico” rispose senza correggerlo.

E Marco chi sarebbe?” disse indicando con la testa il gruppo di ragazzi.

Non lo so. Non ho capito se è il biondo o il moro …” rispose delusa per la sua incapacità di individuare il ragazzo.

E le due donne?” chiese ignorando la risposta di Emma.

Quella più minuta coi capelli castano scuri è la compagna di Giacomo …”

Perché questo pretendente convive con quella donna?”

No. Cosa hai capito? Stanno insieme ma non credo che convivano. L’altra, la rossa, non so chi sia…”.

Tutto qui?” disse sbuffando.

Beh! Mi sembrano dei bei ragazzi educati. Non mi pare una cattiva compagnia. Questo mi fa stare un po’ tranquilla. Ma chissà chi è Mattia …”

Ho visto abbastanza” disse energicamente Ernesto allontanandosi dalla finestra.

Emma rimase a osservarli sperando di catturare il viso di Mattia, finché non li vide partire.

Ora ho capito chi è!” esclamò soddisfatta. “E’ il più alto di tutti. E’ il moro. Speriamo che sia un bravo guidatore e riporti sana e salva la Laura a casa stasera”.

Vide partire il gruppo per una destinazione che non conosceva e finalmente si staccò dalla finestra per tornare alle occupazioni abituali.

Short stories – Le mutandine cremisi

La short stories di questa settimana appartiene a me per soli due snodi, gli altri quattro sono di tre autori diversi

Mi incanto spesso con lo sguardo nel vuoto. Osservo il tramonto. Colmo di quel suo tratto rosso che mi separa dai giorni. Di accecato sguardo,inciampo lento sui pensieri crudi della vita. Camminavamo insieme,io e lei,quando dei nostri tanti passi tracciavamo una sola orma,e di futuro l’unica impronta. L’eyeliner le scorreva sul viso,come un fiume di parole avvolto da lacrime. Aveva dipinto il pianto, su una tela che incorniciai per sempre. La ebbi più volte di nascosto ma non la amai. Quelle sue mutandine di pizzo cremisi,a colorare contorni di labbra celate,fra gambe dischiuse di gonna nera, parlavano più delle parole. Qualunque cosa indossasse la rendeva unica. L’abito lungo da sera. Quell’aria da donna viziata. I suoi tacchi alti. Le sue innumerevoli maschere. Così non vivevo della fugacità del tempo, né vivevo mai la verginità di ogni suo peccato. Ero ingegnosamente felice. Aveva curve in posti dove le altre donne non hanno nemmeno i posti. Nutrivo il desiderio di un suo seno come il suo latte nutriva le esigenze di un bimbo. Prima che si abbandonasse alla notte, fra luci soffuse, me la lasciavo danzare nel sangue. Scavalcai stanze certe, pur di poterla raggiungere. È come se mi dovesse rubare un sogno. L’avrei spinta al muro e baciata fino a farle perdere il respiro ma oramai il muro era fra noi… “Ho tacchi troppo alti perché io possa correrti dietro, e un’autostima altrettanto alta per poterti correre dietro scalza…” mi disse. Io non volevo essere baciato dalla fortuna. Volevo andarci a letto. Io e Lei.. … E ora immobile, sul ciglio della vita, colgo spicchi di luna, fra stelle che scorrono,e sogni che sfuggono. Le rubai il tempo,ma mi catturarono le sue promesse. É nella prigionedel rimorso che vivo l’ergastolo del suo ricordo… Frammenti d’animo, su negativi di memoria… (by Gianni Bagnoli)

“Staremo assieme finché dura!” questo era il patto, a volte sembra che si dicano queste cose solo per rendersi più malinconici quando cala la sera, e arriva la fine.
Ed è beffardo il tempo: le sue parole erano chiare per quanto si lasciasse scorrere tra le labbra quel senso ingenuo, ambiguo che sembra lasciare la parvenza che qualcosa si possa ridestare come un morto quando tutto è compiuto. Ma i miracoli non esistono, e quel che più è vicino al miracolo è il caso, rassodato da un pacco consistente di volontà. Alla fine diciamocelo non c’è sempre la speranza che duri in eterno? Eppure forse lì capii che avrei potuto amarla, solo quando mi mise quel muro dinanzi: io non vedevo più la stessa stradina percorsa più volte, su di lei, in lei, in me, assieme e sempre con estremo piacere nelle lunghe ore della notte, ma vedevo l’ oblio. Era il gusto salino del sudore spremuto dalla sua pelle nella zona che sosta tra la sua spalla e il suo collo? Era il suo rossetto rosso tenue che si intonava con i colori dei suoi occhi scuri? NO. Era la sua incertezza che mi faceva fremere. (by Lucilla Malaugurio)

Era quell’indumento intimo che mi faceva impazzire. Il pensiero del cremisi che affiorava tra le pieghe dell’inguine non mi faceva dormire. Era un sogno ricorrente, una
fantasia continua.
“Mentre adesso stringo Anna fra le mie braccia e le sussurro parole dolci all’orecchio, mi sembra di abbracciare lei e mormorarle quelle parole. E sono preso dall’ansia senza controllo”.
“Che hai” mi dice la compagna.
“Nulla. Ma mi piacerebbe regalarti delle mutandine color cremisi”.
“E un colore che odio” replica scostandosi dalle mie braccia.
“Eppure ti starebbero benissimo”.
“No” e fa il gesto di alzarsi dal letto, di fuggire lontano da me. “Non me le metterò mai!”.
Allora mi riabbandono alle mie fantasie e sogno amplessi irrealizzabili. Le sollevo la gonna con lentezza facendo scivolare le mani su quelle gambe glabre e lisce come il velluto. Lei freme impaziente.

“Aspetta” le dico. Scorgo il pizzo cremisi e poi tutto il resto. Sposto un lembo. Lei inarca la schiena per farsele sfilare. Adesso è mia. La sento ansare. Il cuore accelera. Lei urla di gioia e di piacere.
Sento un botto di una porta. Mi sveglio. Sono solo. (by orsobianco9)

Anna se ne era andata, iniziava il lavoro alle 8 quel giorno presso una nuova azienda di architettura in città. Conosco Anna da quasi 5 anni, è una brava compagna e amante, sempre presente e premurosa. Viviamo da un anno in un mini appartamento. Vivere con lei mi ha fatto capire come spesso la realtà sia diversa da come la si immagina. Maledetta immaginazione, io ne ho fin troppa e non sempre riesco a buttarla sul lavoro. Disegno fumetti e faccio l’operaio part time. Con Anna anche il sesso non andava male, ancora ci cercavamo e non mi potevo lamentare ecco… Ho quasi 34 anni e da qualche tempo mi chiedo se potrò mai conciliare l’amore con il sesso. A volte li confondo, quello che sento per Anna è forte, è un sentimento che credo sia amore, ma… perché poi cerco altro altrove?! Vorrei essere felice così. Dopo aver fatto tutto l’elenco delle cose positive di me e Anna una voce mi stuzzica dicendomi “è solo razionale, non sarà una lista della spesa sulle qualità che ti renderà completo!” ma allora cosa?! Con Anna posso pensare a costruire qualcosa di duraturo… perché tra me e Anna funziona alla fine, sì ci sono i soliti scazzi chiaro..ma chi non ne ha!?
Vorrei prendere e andarmene via da qui… mi alzo guardo fuori dalla finestra…il cielo è ricoperto di nuvoloni grigi, si sta preparando a piovere… il cielo piange, dentro di me la tormenta si placa un po, perché quando si piange dentro e fuori piove ci si sente cullati e compresi.
Mi alzo ed inforco la mia matita carboncino, allontano le scartoffie dalla scrivania e lascio che la mia mano segua il corso del foglio, come se fossero i suoi seni e i suoi fianchi…se solo le urla di piacere si potessero disegnare la mia testa non sarebbe sempre pronta ad esplodere. (by Lucilla Malaugurio)

Driiiiiin. Suona il telefono. E’ Anna che mi chiede se sta sera ho voglia di uscire fuori per cena. “Dai amore, hanno aperto un nuovo ristorantino indiano. Andiamoci! E fammi felice questa volta…che ti costa!”
Non ho voglia, ma decido di accontentarla. Anna è permalosa e contraddirla comporterebbe un’intera serata di rancorosi silenzi.
Oggi proprio non sono in me, non ho lo stimolo per fare nulla. Riprendo in mano il carboncino e continuo a tracciare forme di donna e intanto fantastico, sogno, provo a toccare il cielo con un dito (o meglio, con una mano..) mentre immagino la mia ragazza “mutande cremisi” vestita come una danzatrice del ventre, con tanti veli semi trasparenti, sempre color cremisi, svolazzanti sui suoi morbidi fianchi. Un bustino a balconcino che lascia ben poco alla fantasia, quei suoi occhi da felino che intriganti mi fissano.
Quanto vorrei averla di fronte, in carne e ossa, e possederla. Ancora una volta, e poi ancora…ogni orgasmo con lei era un biglietto d’ingresso per il paradiso. Non era una ragazza spinta o porca, anzi, Anna forse è molto più aperta di lei, però quei suoi ingenui modi di provocare mi davano alla testa, mi facevano vedere le stelle.
Vorrei rivederla, davvero. E’ la cosa che più vorrei in questo momento… (by Maria Adelaide Carnazza)

Aveva ragione Anna. Una serata diversa serviva per scaricare quella tonnellata di cattivi pensieri che vagavano per la testa. Era felice. Non smetteva di parlare di Marco, il gran capo, di Antonio, il giovane di studio e di chi so io, tanto il nome l’avevo dimenticato. Solo un dettaglio non ero riuscito a cacciarlo via: erano le mutandine cremisi. Ormai erano un’ossessione, un farneticare senza scampo. Ormai lo sapevo: queste mitiche mutandine Anna non le avrebbe mai indossate, nemmeno se l’avessi legata. Piuttosto si sarebbe uccisa. Me l’aveva detto. “Mutandine color cremisi non le metterò mai!” mi aveva urlato in viso l’ultima volta che quasi implorando glielo avevo chiesto. Sembrava una belva, era fuori di testa. Non avevo mai osato chiederle i motivi di questa avversione, temendo che mi piantasse su due piedi. Però devo scoprirlo prima che diventi una malattia. Stasera non mi pare la serata adatta. Allegra e felice per il nuovo lavoro, per i nuovi colleghi che trovava simpatici. No, non era il caso di turbare quest’atmosfera gaia. Tornati nel monolocale, Anna mi trascinò in camera. “Basta disegni!” disse scompigliandoli tutti, mentre ero costernato perché avrei faticato a rimetterli in ordine. Fu un’orgia di piacere. Si mise sul dorso e cominciò a parlare. “Ho visto la tua eroina con le mie fattezze e le mutandine cremisi. Stasera sono in vena di descriverti i motivi del mio odio. Avevo 16 anni. Avevo comprato degli slip cremisi per una festa in campagna. Ubriaca di alcol e fumo, Luca mi prese, le strappò e mi violentò. Ero ancora vergine. Ci vollero anni per riprendermi. Ma forse un giorno le metterò per te”. (by orsobianco9)

Il Borgo – Capitolo 31

Emma stava cucendo dei bottoni di una camicia in sala sul divano accanto a Ernesto, che come di consueto era profondamente immerso nella lettura del quotidiano sportivo.

Chissà com’è Mattia” esordì all’improvviso, rompendo il silenzio della sera.

Chi?” disse alzando gli occhi al di sopra del giornale.

Mattia. Il nuovo amico del cuore di Laura” affermò dolcemente la donna.

Ma non si chiamava Giovanni?” replicò l’uomo, riabbassando gli occhi sull’articolo che stava leggendo.

No, Ernesto. Si chiamava Giacomo”.

Volevo ben dire Giacomo. Perché non è più il fidanzato della Laura?” domandò leggermente stupito e un po’ innervosito dalle continue interruzioni di Emma.

Non era il fidanzato, Ernesto. Solo un amico” rispose paziente la donna. “Poi ora non è più come ai nostri tempi. Ti ricordi quando sei venuto per la prima volta a casa mia per conoscere i miei genitori?”

Qualche grugnito superò la barriera del giornale prima che l’uomo chiudesse il foglio e lo deponesse sul tavolino di fronte.

Ma questo … Ma … Mi … insomma questo benedetto ragazzo chi è?” domandò sorpreso. “Ma quanti ne cambia? Io ti ho preso senza tante storie. Ci siamo fidanzati ufficialmente e poi sposati. Certo che ricordo quel giorno. Se non fossi venuto …”. Fece una sospensione nel discorso, perché stava aggiungendo «magari non fossi venuto! Sarebbe stato meglio!» ma poi continuò senza esternare il pensiero. “Se non fossi venuto, i tuoi genitori, anzi tua madre, che è sempre stata un’impicciona …”.

Ma no! La mamma voleva solo conoscerti e chiederti se avevi intenzioni serie!”

Ma che dici, Emma! Tua madre è come tutte le suocere. Voleva ficcare il naso dappertutto! Non andava bene niente. Come vestivo, come parlavo! E se non l’avessi cacciata da questa casa, avrebbe imperversato anche qui! Altro che curiosa!”

La moglie capì che si stava innervosendo parlando della madre ed era più prudente tornare al discorso iniziale molto più neutro e senza punti pericolosi.

Mi piacerebbe conoscere Mattia. Ma Laura difficilmente ce lo presenterà. Tu non sei curioso?”

Ernesto si grattò in testa, passò la mano sul viso e poi rispose.

Conoscere Mario …”.

Si chiama Mattia” lo corresse la moglie con pazienza.

Uffa Marco o Mario, che differenza fa! E’ pur sempre il fidanzato della Laura” rispose visibilmente inquieto. “No, no! Non ci tengo a conoscerlo! Tanto ne cambia uno al giorno come se fossero dei vestiti! Alla fine conoscerei tutti i ragazzi della città! E poi ricordo come stavo male quel giorno! Seduto sul sofà che pareva foderato di carboni ardenti. Non vedevo l’ora di scappare … invece ero lì, inchiodato sul letto del fachiro, a rispondere all’interrogatorio di tua madre, quel cerbero vestito da angioletto. Ma il tuo povero papà come faceva a sopportarla? Io l’avrei mandata a quel paese trenta secondi .. anzi non l’avrei nemmeno sposata!”

In primo luogo Mattia non è il fidanzato. Adesso il ragazzo si chiama amico …”

Allora Giuseppe è l’altro fidanzato?” la interruppe Ernesto che ricordava quanto detto pochi istanti prima dalla moglie.

Ma no! Giacomo era solo un amico …”.

Mi hai appena detto che non si chiama più fidanzato ma amico. Ma quanti fidanzati ha la Laura?” sbottò innervosito perché pareva che si divertisse a confonderlo.

Emma si allungò baciandolo.

Sei sempre il solito, Ernesto! Per questo ti ho sposato e non ti cambierei con nessun altro” esclamò la donna prima di aggiungere qualcosa che ebbe l’effetto di un sasso nello stagno. “Però non vorrei conoscerlo solo il giorno prima del matrimonio …”.

Perché la Laura si sposa senza dire nulla?” domandò sospettoso.

Ma cosa hai capito?” gli domandò sorpresa.

Quello che hai appena detto che Marcello lo conoscerai solo fra qualche giorno alla vigilia del matrimonio …” replicò con tono stizzoso.

Ma no. Non si sposa nostra figlia, ammesso che usi ancora sposarsi. Adesso si convive. Torna pure a leggere Stadio. Non ti disturbo più con le mie chiacchiere” concluse Emma con un sospiro, perché aveva notato che la conversazione stava prendendo un piega che non le piaceva.

Rifletteva che con Ernesto non si poteva fare un discorso serio, perché lui, sempre immerso nella lettura del quotidiano sportivo, si confondeva, non ricordava i nomi, storpiandoli. Convenne che non era il caso di chiedere il suo parere su Mattia, perché non avrebbe compreso che si trattava di chiacchiere in libertà. Sospirò e riprese ad attaccare i bottoni.

Allora non capisco quello che dici …” concluse, riprendendo il giornale piegato sul tavolino.

Borbottò qualcosa e pensò che con Emma non si poteva parlare di nulla, perché era sempre vaga e timorosa nell’esprimere i pensieri. Gli sembravano messaggi confusi e criptici quelli che faceva sull’unica figlia. «Meno male che ne abbiamo solo una» rifletté rilassato, prima di tornare a leggere le ultime notizie del Bologna.

Mentre i genitori discutevano su di lei, Laura stava andando all’appuntamento con Mattia in centro.

Short stories – 2154

Questa settimana presento un short stories messa su 20lines dove solo l’incipit non è mio. Diversamente dal solito la pubblico integralmente. Una storia al futuribile ma forse non troppo.
 
Giunse un’epoca in cui le disparità della nostra specie si acuirono nonostante tutte le lotte, tutte le ribellioni, tutte le conquiste dei secoli precedenti per abolirle. Giunse un’epoca in cui il mondo ripiombò nel caos, nel disordine e nella miseria e il 10% della popolazione si rifugiò su stazioni spaziali lussuose e paradisiache, nuovi ed autentici mondi lontani dal nostro, divenuto inabitabile e sovrappopolato. Il governo del pianeta stabilì nuove leggi sull’immigrazione cercando di fermare la fuga di molte persone che continuamente tentavano di arrivare su queste stazioni spaziali, per preservare il lusso e il benessere per i pochi privilegiati, senza guerre, senza povertà, senza malattie… (by Re Edoardo I)
 
“Dobbiamo imbarcarci per Minosse” disse Anna, una formosa donna al suo amante.
“Come” rispose spaventato.
“Non importa come, ma tu ci devi riuscire” replicò spazientita.
L’uomo si strinse nelle spalle, perché sapeva che era più facile passare dalla cruna di un ago che i varchi dell’astrostazione di Megalopoli, l’unica abilitata a voli interplanetari. Anna se ne era andato sculettando sotto gli occhi cupidi di diversi uomini dagli occhi arrossati per il continuo bere di sarkipede, una bevanda estratta dalle alghe del mare e che producevano effetti allucinogeni. Matt scosse la testa e pensò che uno di queste volte quegli uomini che bivaccavano giorno e notte sui marciapiedi e le panchine del Central Park se la sarebbero fatta lì incuranti delle persone che passavano. Lo sapeva ed era ben conscio che nessuno avrebbe mosso un dito. Quando finalmente la sagoma dai capelli rossi della sua amante scomparve all’orizzonte, si mosse per tornare a casa.
Era appena entrato, quando il videotelefono galattico prese a vibrare dicendo: «Per Matt Demon c’è una chiamata entrante. Il chiamante non vuole dichiarare la sua identità. Cosa faccio? Apro la comunicazione oppure la respingo?». “Chi sarà mai la persona che vuol mantenere l’anonimato?” si chiese gettando la giacca sul divano ad acqua. Il videotelefono continuava imperterrito la sua litania. Matt incuriosito da tanta insistenza gli comandò «Apri la comunicazione e metti il vivavoce con registrazione della chiamata». “Matt Demon apre in vivavoce con registrazione. Parlate” (by orsobianco9)
 
“Caro sono io” disse una voce che riconobbe subito.
“Cosa c’è?” le chiese.
“C’è un intoppo”.
“Quale?”
“Non posso venire su Minosse”.
“Hai cambiato idea?”
“A dire il vero, no. Ma per un gruppo di uomini, sì”.
Stava per dire qualcosa, quando udì una voce impastata di alcol «Fatti da parte. E’ il mio turno». Rabbrividì. Dunque le sue fosche previsioni si erano avverate prima di quanto immaginasse.
“Quando pensi di essere libera?” le domandò.
“La fila è lunga” rispose sconsolata.
“Dove sei esattamente?”
“Forse nelle viscere della metropolitana”.
“Il volo per Minosse è fra 6 ore. Prova a sveltire la coda servendone due o tre per volta”. “Ci proverò. Ma non so se sarò in condizioni presentabili” ammise sospirando.
Era arrabbiato con Anna. Voleva partire per Minosse subito, aveva smosso mari e monti per ottenere due pass d’imbarco per un volo diretto e adesso lei era quasi spacciata, perché dubitava che l’avrebbero lasciata libera tanto facilmente.
“Devo trovare un’altra compagna di viaggio e chieder il cambio del nome”.
Chiamò Lucia, l’amante di scorta, meno appetibile di Anna ma con prestazioni non male. “Ciao. Ho un pass per Minosse. Sei libera?”
“Per te mi libererei di tutto, compresa la prima pelle”.
“Prepara un bagaglio leggero. Max 20 once. Ti passo a prendere tra due ore”.
“Ma non porto nulla!” esclamò esterrefatta.
“Non importa. Comprerai il resto a Minosse”.
“Ma là mi dicono che tutto costa il doppio”.
“Pazienza”.
In effetti Anche per Matt era un peso ridicolo ma chi gli aveva fornito i pass era stato categorico. Chiamò il taxi-disco per raggiungere la astrostazioine. Aveva appena recuperato Lucia, quando il videotelefono galattico riprese a vibrare. “Una chiamata non dichiarata per Matt Damon”. (by orsobianco9)
 
“Matt!” udì una voce disperata, senza vedere nulla. “Aiutami!”.
“Non posso. Mi sto imbarcando per Minosse” e chiuse la conversazione.
“Chi era?” chiese Lucia.
“Anna” rispose l’uomo con noncuranza. “Ora prepariamoci all’imbarco” le disse.
“I signori astronavigatori in partenza per Minosse sono pregati di mettere il bagaglio nel cilindro 3 e entrare nella cabina di lievitazione 21”. Eseguite le istruzioni si ritrovarono col bagaglio fra i piedi e distesi in una capsula a due posti.
“Sono emozionata” disse Lucia.
“Primo viaggio?” le domandò.
“Primo in tutto. Non vedo l’ora di arrivare” rispose entusiasta. Dalle cuffie sentirono il messaggio di benvenuto del comandante e le ultime istruzioni. “Allacciate le cuffie stereofoniche, restate distesi e respirate con molta lentezza. La partenza è prevista tra 3 nanosecondi e l’arrivo, salvo tempeste intergalattiche tra 9 anni luce”. Un brivido percorse la schiena di Matt. Nove lunghi anni immobile e disteso. Tacque e ascoltò la musica cacodeifonica del 2154 fino allo sfinimento. Lucia gli teneva la mano ma rimase in perfetto silenzio per i nove lunghi anni. Se non fosse stato per le cuffie sarebbe stato perfetto. Nessun suono a ottundere la mente e le orecchie. In un lampo si domandò se Anna fosse riuscita a tornarsene a casa con le sue gambe. Al rientro da Minosse l’avrebbe saputo.
“Il comandante vi saluta. Siete arrivati su Minosse in perfetto orario. Buon soggiorno. Vi aspetto per il prossimo viaggio intergalattico”. Un perfetto sistema di lievitazione mentale sbarcò Matt e Lucia sul pianeta più distante dalla Terra. Una città futuribile apparve ai loro occhi. (by orsobianco9)
 
La città era avvolta in una cupola trasparente e tutti viaggiavano col pensiero. Ogni tanto c’erano degli scontri mentali e qualcuno ne usciva ammaccato. Si chiamava il 3018 e una elilevoambulanza li raccoglieva. Li intubavano e li sparavano direttamente al futuro-hospital, dove robot femmine fungevano da assistenti. Le infermiere erano sconosciute. Robot etero o ermafroditi operavano col laser. La malasanità esisteva anche su Minosse. Ogni tanto il software si avariava e sbagliavano o diagnosi o interventi. Se ti andava male rimanevi storpio con una pensione da fame, così morivi prima. Se ti andava bene, avevi un funerale interspaziale di lusso. Tutto a carico del IGAMSI.
“Cosa significa quella sigla strana?” chiese un giorno Lucia passeggiando per i giardini volanti di Minosse.
“E’ meglio non saperlo. SI ovvero Salute Infausta” le rispose, sedendosi su una panchina sospesa a 3000 piedi.
“E’ possibile uscire da Minosse per visitare il pianeta?”
“Certo ti infili nel taxi-tubo. Metti quattro galli e mezzo nella feritoia e punti il dito sulla carta planetaria. In un amen ci finisci”.
“Potremo andarci un giorno” gli disse.
“Certamente, Lucia. Prendiamo un duotaxi-tubo a due posti”. A Matt cominciava andare stretto Minosse, perché essere sempre in contatto telepatico era faticoso come fare sesso. Fare sesso era davvero complicato. Dovevano tenersi stretti, anzi legarsi con apposite cinture. Non ci poteva dimenare troppo o urlare, né fare petting. Solo una sveltina veloce veloce e poi a rifiatare. Morale non si faceva nulla.
“Torniamo sulla terra” le disse un giorno. “Sono stanco di questa vita monotona. Mai nulla di interessante”. Detto e fatto. Furono sparati per nove lunghi anni luce verso Megalopoli. (by orsobianco9)
 
Tornato sulla Terra, a Matt parve che non fosse cambiato nulla, come se fossero passate poche ore da quando Anna gli aveva richiesto aiuto. Molti runner continuavano a correre imperterriti per i viali di Central Park, venditori ambulanti di cianfrusaglie erano sempre fermi agli angoli. Robot-poliziotti si aggiravano per le strade. Insomma tutto immutato. Eppure aveva fatto un lungo viaggio verso Minosse, aveva soggiornato per un tempo indecifrabile e aveva rifatto il tragitto inverso. Si chiese se avesse fatto un lungo sogno. “Ciao, Lucia” le disse al videotelefono.
“Ciao! Quale misterioso motivo ti stimola questa chiamata?”
“Volevo sapere …”.
“Cosa? E’ un secolo che non ti fai vivo e vuoi sapere qualcosa da me?”
Matt deglutì vistosamente, perché qualche conto non quadrava più. Stava per dirle «Ma come ci siamo lasciati all’astrostazione di Megalopoli non più di 2 ore fa», quando balbettò qualcosa, una scusa puerile. “Niente. Volevo invitarti stasera al ristorante Exoticum per una cena in stile vintage”.
Una bella risata risuonò nei timpani. “Mi vuoi prendere in giro? Sono secoli che fai vita ritirata. E poi Anna … Non è questo il motivo della telefonata”.
“In effetti …” cominciò balbettando. “Mi sento strano come se vivessi un sogno …”.
“Fa una seduta psicoanalitica. Potrebbe risolvere i tuoi problemi”.
Matt incapace di connettere era seduto sul divano dei pensieri, quando il videotelefono cominciò a vibrare. “Anna Moore chiama Matt Damon. Apro?”. “Sì” rispose vedendola sul display arrabbiatissima. “Dove sei stato disgraziato? Sono due ore che ti aspetto alla porta Est di Central Park”. Fu il colpo di grazia. (by orsobianco9)
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