La notte di San Giovanni – parte diciottesima

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Raul e Gina, dopo aver fatto colazione, fecero il breve tragitto che li separava da Cattolica in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. La giornata si preannunciava calda e soleggiata col cielo terso e senza un alito di vento. Deborah, seduta sul sedile posteriore, osservava i due amanti. Pareva che fossero a corto di parole e la tensione era palpabile.

Lesse sul volto del ragazzo la preoccupazione di qualcosa che non riusciva ad afferrare pienamente. Si domandò cosa lo crucciava da mostrarlo con tanta chiarezza.

“É vero che Gina ha fatto avance esplicite. In modo diretto e senza tanti giri di parole gli ha detto che vuole uscire con lui. Però non credo che sia questo il motivo sufficiente a metterlo di cattivo umore. Cosa dunque?” si disse Deborah.

Erano appena entrati nell’abitato di Cattolica, quando Raul riacquistò l’uso della parola.

“Ti lascio a qualche isolato prima dell’albergo” fece il ragazzo, accostando al marciapiede.

“E Giuseppe?” disse Gina, amareggiata, perché la voleva scaricare senza tanti complimenti.

“Lo porta Monica. Anzi le telefono per avvertirla”.

“Dunque stasera non ci vediamo?” chiese la donna con la voce un po’ tremula.

Raul non rispose, mentre armeggiava col telefono.

“Monica?”

“…”

“Vesti Giuseppe e accompagnalo all’hotel Admiral. Sua madre lo aspetterà nella hall” e chiuse la comunicazione.

“Non hai risposto alla mia domanda” fece Gina, che immaginò il motivo. Non aveva nessuna intenzione a uscire con lei ma non rinunciò all’ultimo assalto disperato, prima di alzare la bandiera bianca.

“All’Arena Sole stasera danno un film, che ho perso, quando è uscito” fece la donna, osservando l’espressione del volto di Raul, che non tradiva il minimo interesse.

“Harrison Ford e l’ultimo episodio della saga di Indiana Jones. Il regno del teschio di cristallo” aggiunse, aspettando una risposta che non arrivò.

Deborah sussultò. Quel titolo risvegliò in lei qualche reminiscenza. Si parlava di Maya ma era ambientato nell’America del Sud. Aveva una trama incredibile al limite del surreale dove tutto ruotava attorno a un misterioso teschio di cristallo dai poteri sopranaturali. “É quella la chiave di volta che aggancia questi due amanti con la storia che sto vivendo?” si disse, prima di ascoltare la proposta per la parte finale della serata.

“Al termine della proiezione si spostiamo al Nuovo Fiore per gustarci uno di quegli splendidi gelati che offrono” concluse Gina nella speranza di smuoverlo dal diniego della frequentazione serale.

“Ho un impegno stasera” disse Raul rimanendo nel vago. “Poi Harrison Ford, proprio non riesco a sopportarlo” mentì per dare maggiore forza al suo rifiuto.

“Ho capito. Dovrò andarci da sola, se trovo una babysitter per Giuseppe” disse Gina, scendendo dall’auto, seguita da Deborah.

Non un bacio di commiato. Non una semplice carezza. Solo una sbattuta violenta della portiera lato passeggero. La donna si allontanò velocemente, mentre Raul sgommava con violenza.

Deborah stava dietro a Gina, quando vide un bambino che le correva incontro.

“Mammina! Mammina!” urlava pazzo di gioia, mentre poco discosta stava una ragazza minuta dai capelli stopposi per la salsedine. Sembrava quasi un’adolescente di quattordici o quindici anni, che stava trasformandosi in donna. In costume da bagno con il pareo variopinto, avvolto sui fianchi acerbi, stava immobile con uno zaino della Nike in mano. Il seno era appena accennato, come lo può essere nell’età della prima pubertà.

Gina lo prese in braccio, baciandolo. La ragazza si avvicinò senza fretta.

“Mamma, questa è Monica. É una gran…” cominciò Giuseppe senza riuscire a concludere la frase. La madre gli aveva chiuso la bocca con un bacio.

“Signora, questo è lo zainetto di Giuseppe. É un bambino dolcissimo” fece Monica, allungando la mano.

“Grazie, Monica. Mi dovrò sdebitare con te per aver accudito a Giuseppe”.

“Ma è stato un piacere. Non ha mai fatto un capriccio. Un bambino davvero delizioso” disse la ragazza, prima di allontanarsi.

“Mamma, vorrei andare da lei anche stasera! Dormire con lei nel suo letto. É stato molto divertente” fece il bambino, che camminava a fianco della madre.

“Non è possibile. Mi ha fatto un piacere, tenendoti per una sera. Se oggi fai il bravo, puoi venire nel letto con me” disse Gina con poca convinzione, alquanto infastidita dall’affermazione del figlio.

“Uffa! Non è la stessa cosa!”

Mentre loro si infilavano nella hall dell’hotel, Deborah si ritrovò al culmine della festa. Al suo fianco stava Alex, che non pareva essersi mai mosso da lì. La confusione regnava sovrana, mentre tutti si spostavano vocianti verso il centro del paese per assistere ai fuochi pirotecnici. La ragazza non disse nulla e seguì il flusso della folla.

“Hai parlato con la signora?” fece Alex, prendendola sottobraccio.

“No. A proposito di cosa?” disse Deborah colta in contropiede da quella domanda.

Una breve risata scandì il tempo prima della risposta.

“Ma come? Non volevi ascoltare la storia del teschio che hai comprato?”

“Sì ma”.

“Dunque non conosci il significato simbolico del teschio?”

“Direi di no. A dire il vero non comprendo nemmeno le connessioni con questa notte dove tutti pensano solo a far baldoria!”

Deborah si fermò e guardò dritta negli occhi Alex. Cominciavano a darle sui nervi tutti questi misteri. Da quando era arrivata a San Giovanni in Marignano si era trovata coinvolta in avvenimenti che sfuggivano al suo modo di essere razionale. Eppure in mezzo a tutti quegli eventi c’erano dei riscontri concreti: il teschio era reale, i bacili pure. Il resto invece no. Sembravano più il frutto di fantasie sfrenate che di una realtà solida e autentica. Percepiva la destabilizzazione della sua personalità, come se si fosse decomposta in molte anime differenti tra loro.

“Che ore sono?” chiese a Alex, riscuotendosi dalla sue riflessioni.

“Mancano pochi minuti a mezzanotte” fece il ragazzo, osservando l’orologio che aveva al polso.

“Non è possibile!” esclamò la ragazza.

“Perché?”

“Solo pochi istanti fa il campanile ha battuto dieci rintocchi”.

“Forse hai conteggiato male il segnare delle ore” disse Alex, diventando serio.

Deborah scosse il capo ma non voleva impegnarsi in un duello col ragazzo sul tempo. ‘Non è possibile che esso rallenti o acceleri seguendo il ritmo della festa’ si disse, fermandosi nel centro della piazza, appena in tempo per vedere l’apertura dei fuochi artificiali.

Alex le circondò le spalle con le sue braccia, mentre lei docilmente lasciò fare.

“Bum! Bam!” Le girandole scoppiettavano allegre nel cielo, rischiarandolo di verde, di rosso, di giallo e di bianco in un impressionante caduta di braci rossastre.

Deborah si perse nuovamente nel tempo e nello spazio.

La conferenza stampa di Dorland aveva chiuso la stagione delle analisi. Anna era pentita di aver ceduto al dio denaro, disobbedendo alle richieste di Mike.

“Però senza quel pacco di dollari non avrei saputo dove sbattere la testa per sbarcare il lunario” si disse la donna, comodamente seduta in prima classe sul Jumbo Jet della Pan-Am durante il viaggio da New York a Londra.

Deborah viaggiava accanto a lei e ascoltava il suo respiro e intuiva i suoi pensieri. Ancora una volta si stupiva di queste capacità, che non le sembrava di avere mai posseduto. ‘Se queste facoltà le avessi avute a disposizione prima, sarei una giocatrice di basket di primo livello. Invece’ si disse con un sorriso amaro. Intuire quello che l’avversaria avrebbe voluto fare, le avrebbe consentito di usare strategie differenti nel gioco. Sarebbe stata in grado di anticiparne le mosse e di rimanere un imprevedibile folletto per le avversarie. Sospirò e pensò che sarebbe stato bello se al suo ritorno a Milano avesse conservato queste capacità.

Anna si rilassò chiudendo gli occhi per un breve sonno. Avvertiva l’aura misteriosa del teschio nascosto tra i bagagli della stiva. Ripensava a questa esperienza americana, tanto diversa da quelle vissute molti anni prima nella foresta pluviale del Belize. Sognò il padre adottivo, alto e taciturno, che amava profondamente. Gli mancava. Era un vuoto che non era riuscita a colmare.

“Scusami, Mike ma stavo finendo i soldi che mi avevi lasciato. Da questo momento in poi il teschio rimarrà chiuso dentro la sua teca trasparente nel salotto e nessun’altra mano, fuorché la mia, lo toccherà”. Erano questi i pensieri che la donna, ormai avanti negli anni, faceva del dormiveglia, mentre sotto di lei c’era la distesa grigia dell’oceano Atlantico.

Si pregano i signori passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza. Stiamo entrando in un’area di turbolenze‘. Era la voce asettica di una hostess che comandava di assicurarsi al sedile. Dopo non molto Deborah percepì che l’aereo stava gemendo sotto la sferza di venti gelidi e impetuosi. Il cielo era diventato buio. L’apparecchio si muoveva come se una mano l’avesse afferrato per scuoterlo con vigore. La ragazza si guardò intorno smarrita, cogliendo negli sguardi degli altri passeggeri paura e angoscia. L’unica che continuava imperturbabile a dormire era Anna, che pareva rassicurata dalla protezione del teschio.

“É forse la maledizione del teschio che ha scatenato la furia degli elementi?” si domandò, sentendosi in pericolo.

Il comandante si scusa coi passeggeri ma siamo incappati in una vasta area di perturbazioni violente. Atterreremo a Gatwick con circa mezz’ora di ritardo‘.

La donna al suo fianco continuava a dormire placidamente senza avvertire la tensione che stagnava nella cabina.

Il tempo non passava mai, mentre i passeggeri erano sempre più impauriti.

“Ci scommetto che se sapessero che nella stiva dei bagagli c’è il teschio di cristallo uguale a quello del British Museum si sentirebbero ancora più inquieti” fece tra sé e sé Deborah.

Come la perturbazione era giunta senza alcun preavviso, così cessò di colpo, lasciando il posto a un cielo stellato privo di luna.