Guarda un po’ cosa mi succede

dal blog di Book and negative. Award annuale
dal blog di Book and negative. Award annuale

Si dà il caso che qualcuna ha pensato bene di attribuirmi questa nomination, cogliendomi di sorpresa. Messo con le spalle al muro, la Sturm und Drang, sì proprio quel gruppo culturale tedesco che annoverò tra gli altri Goethe, Schiller, Klinger e altri giovincelli, ha avuto la geniale ma forse pessima idea di mettermi in un ristretto elenco di blogger.

Che fare? Accettare o rifiutare? Cosa mi aspetta se rifiuto di proseguire la catena? Ecco cosa mi aspetta:

mi merito di conseguenza lo sfigoso, il Bitch Please Award.

Camillo Bensdo di Cavour ti guarda torvo
Camillo Bensdo di Cavour ti guarda torvo

Dunque con la pistola alla tempia vi spiego con logorroiche parole in cosa consiste questo premio. Dei blogger pare tre ridotti a due, che scrivono su Book and negative delle facezie come appare nella INFO

Book and Negative s’è trasformato nel corso degli anni. Oggi è un blog personale d’approfondimento, definizione che trovo sia calzante. Cosa si approfondisce su queste pagine? Un po’ di tutto: cinema, cultura, società, narrativa

Dicevo che questi signori hanno pensato bene di proporre il loro personale award, Boomstick Awards, con cadenza annuale a partire dal 2012 e segnalare sette blogger cazzuti e meritevoli. Da qui parte una catena che la Sturm und drang ha voluto omaggiare. Come precisato dalle regolette, non matematiche, che graziosamente vi sottopongo.

Passiamo alle regole:
1 – i premiati sono 7. Non uno di più, non uno di meno. Non sono previste menzioni d’onore;
2 – i post con cui viene presentato il premio non devono contenere giustificazioni di sorta da parte del premiante riservate agli esclusi a mo’ di consolazione;
3 – i premi vanno motivati. Non occorre una tesi di laurea. È sufficiente addurre un pretesto;
4 – è vietato riscrivere le regole. Dovete limitarvi a copiarle, così come io le ho concepite.

A questo punto ho lustrato il diploma di laurea, alquanto impolverato. L’ho appeso al muro e mi sono cominciato a strappare i capelli in testa. Vedo che qualcuno e qualcuna sghignazza, perché sono nelle peste. Begli amici che mi ritrovo. Tuttavia con un sussulto di orgoglio, smisurato e pomposamente messo in mostra, comincio con la parte più difficile, ovvero scremare dal lotto di persone che seguo i sette magnifici sette blogger.

Quindi abbiate pietà di me.

Comincio.

Il primo è Stephy, una simpatica blogger con cui ho condiviso una bella avventura. Scrivere una storia al buio è stato emozionante.

Il secondo è La Dona e le sue simpatiche parole sparse. Ma non solo quelle. Viaggiate e leggerete.

Il terzo si legge e si riflette. Tutto tace propone le sue intime riflessioni. Come darle torto?

Il quarto sono le poesie piene di pathos di Soliloquio. Non le solite c@@@@@te, ma versi autentici. Si poesie con parole sensate e comprensibili. Non ci credete? Allora date un’occhiata e poi mi sapete dire.

Il quinto è un bel maschietto vispo e bravo nello scrivere, Capehorn, e i ruggenti anni come lo stretto più turbolento del pianeta. Scrive con una fantasia diabolica storie improponibili ma ad alto contenuto adrenalinico.

Il sesto è una simpaticissima e validissima scrittrice Rosamammoli. Con Stephy e altri quattro abbiamo formato i magnifici sette moschettieri che sotto l’abile regia di Scrivere Creativo ci ha permesso di scrivere una storia favolosa.

Il settimo, ma non ultimo, è Stefano Re. Dire bravo è dire poco. Poesie, racconti sono da leggere e gustare.

A questo punto, dopo essersi asciugato il sudore della fronte, so di essere in difetto con tutti quelli che seguo e non ho nominato. La regola era precisa SETTE e solo SETTE.

E va bene. Ho fatto uno strappo alla tela. Adesso mi tocca rammendarla.

 

 

 

Guarda un po' cosa mi succede

dal blog di Book and negative. Award annuale
dal blog di Book and negative. Award annuale

Si dà il caso che qualcuna ha pensato bene di attribuirmi questa nomination, cogliendomi di sorpresa. Messo con le spalle al muro, la Sturm und Drang, sì proprio quel gruppo culturale tedesco che annoverò tra gli altri Goethe, Schiller, Klinger e altri giovincelli, ha avuto la geniale ma forse pessima idea di mettermi in un ristretto elenco di blogger.
Che fare? Accettare o rifiutare? Cosa mi aspetta se rifiuto di proseguire la catena? Ecco cosa mi aspetta:

mi merito di conseguenza lo sfigoso, il Bitch Please Award.

Camillo Bensdo di Cavour ti guarda torvo
Camillo Bensdo di Cavour ti guarda torvo

Dunque con la pistola alla tempia vi spiego con logorroiche parole in cosa consiste questo premio. Dei blogger pare tre ridotti a due, che scrivono su Book and negative delle facezie come appare nella INFO
Book and Negative s’è trasformato nel corso degli anni. Oggi è un blog personale d’approfondimento, definizione che trovo sia calzante. Cosa si approfondisce su queste pagine? Un po’ di tutto: cinema, cultura, società, narrativa
Dicevo che questi signori hanno pensato bene di proporre il loro personale award, Boomstick Awards, con cadenza annuale a partire dal 2012 e segnalare sette blogger cazzuti e meritevoli. Da qui parte una catena che la Sturm und drang ha voluto omaggiare. Come precisato dalle regolette, non matematiche, che graziosamente vi sottopongo.
Passiamo alle regole:
1 – i premiati sono 7. Non uno di più, non uno di meno. Non sono previste menzioni d’onore;
2 – i post con cui viene presentato il premio non devono contenere giustificazioni di sorta da parte del premiante riservate agli esclusi a mo’ di consolazione;
3 – i premi vanno motivati. Non occorre una tesi di laurea. È sufficiente addurre un pretesto;
4 – è vietato riscrivere le regole. Dovete limitarvi a copiarle, così come io le ho concepite.

A questo punto ho lustrato il diploma di laurea, alquanto impolverato. L’ho appeso al muro e mi sono cominciato a strappare i capelli in testa. Vedo che qualcuno e qualcuna sghignazza, perché sono nelle peste. Begli amici che mi ritrovo. Tuttavia con un sussulto di orgoglio, smisurato e pomposamente messo in mostra, comincio con la parte più difficile, ovvero scremare dal lotto di persone che seguo i sette magnifici sette blogger.
Quindi abbiate pietà di me.
Comincio.
Il primo è Stephy, una simpatica blogger con cui ho condiviso una bella avventura. Scrivere una storia al buio è stato emozionante.
Il secondo è La Dona e le sue simpatiche parole sparse. Ma non solo quelle. Viaggiate e leggerete.
Il terzo si legge e si riflette. Tutto tace propone le sue intime riflessioni. Come darle torto?
Il quarto sono le poesie piene di pathos di Soliloquio. Non le solite c@@@@@te, ma versi autentici. Si poesie con parole sensate e comprensibili. Non ci credete? Allora date un’occhiata e poi mi sapete dire.
Il quinto è un bel maschietto vispo e bravo nello scrivere, Capehorn, e i ruggenti anni come lo stretto più turbolento del pianeta. Scrive con una fantasia diabolica storie improponibili ma ad alto contenuto adrenalinico.
Il sesto è una simpaticissima e validissima scrittrice Rosamammoli. Con Stephy e altri quattro abbiamo formato i magnifici sette moschettieri che sotto l’abile regia di Scrivere Creativo ci ha permesso di scrivere una storia favolosa.
Il settimo, ma non ultimo, è Stefano Re. Dire bravo è dire poco. Poesie, racconti sono da leggere e gustare.
A questo punto, dopo essersi asciugato il sudore della fronte, so di essere in difetto con tutti quelli che seguo e non ho nominato. La regola era precisa SETTE e solo SETTE.
E va bene. Ho fatto uno strappo alla tela. Adesso mi tocca rammendarla.
 
 
 

L’innocenza colpevole

da visionarium-3d.com
da visionarium-3d.com

Con questo atto suggello la mia innocenza colpevole, che, sebbene fino all’ultimo non poté essere provata, perlomeno affrancherà e santificherà il mio spirito. Mi libererà da un pesante fardello: quello di sapere di essere innocente e colpevole allo stesso tempo. Sono io l’assassina di Cassandra. Era un angelo, che ho dissolto nell’aria. Quando? Non lo rammento ma sicuramente il ricordo si perde nella notte del tempo. Sì, sono io la donna che gli amici, i parenti, i conoscenti cercano giorno e notte. Tra affanni e voglia di vendetta. Ebbene sì, ho ucciso Cassandra! Sono la persona che dovete incolparsi, perché solo a me spetta l’amaro onere del titolo di omicida. Tuttavia, mentre il sangue mi scorre via impazzito e macchia questo biglietto di addio, c’è una cosa che devo ancora dire a mia discolpa”.

Era maggio 2012. Il cielo era pulito senza una nuvola. Il sole picchiava duro. Faceva troppo caldo per non essere ancora estate. La terra si era seccata e spaccata, perché la pioggia tardava a venire. L’erba intorno al casolare nella campagna emiliana stentava a crescere, diventando gialla e secca.

Si erano date appuntamento in quella casa rurale dai muri scrostati e dagli interni che odoravano di chiuso e di muffa.

“Vieni alle cinque del pomeriggio” aveva detto.

“Ci sarò” le rispose.

Rebecca non aveva un’idea sui motivi dell’incontro ma la curiosità era forte. Quando arrivò, Cassandra non c’era ancora. Una zaffata di abbandono e di aria viziata la avvolse. Aprì le finestre per fare entrare l’afa del pomeriggio.

“Sempre meglio di questa puzza” si disse.

Girò per le varie stanze per ingannare il tempo che non passava mai. Aspettò a lungo l’arrivo di Cassandra. Il sudore le aveva appiccicato la camicia di lino al corpo, mostrando che non aveva nulla sotto. La vide arrivare in bicicletta coi capelli rossi al vento.

Rebecca le aprì la porta per farla entrare. Si accomodarono in quella che una volta era la cucina. Un tavolo sporco di polvere, tre sedie rustiche e impagliate, una vecchia stufa economica arrugginita, una madia con uno sportello di sghimbescio e tante, tante ragnatele.

“Siediti” le disse imperiosa, indicando la sedia.

“Perché siamo qui?” le chiese.

“Sei troppo curiosa. Sii paziente e lo saprai”.

Rimanerono in silenzio, finché non udirono dei passi all’esterno. Rebecca si voltò verso la porta ma non fece in tempo a voltarsi. Non poté vedere chi stava entrando. Cassandra le legò le mani dietro lo schienale e le mise un bavaglio sulla bocca. Non poteva muoversi ma poteva ascoltare. I passi si fermarono alle spalle mentre lei si dispose davanti.

“Ti aspettavo” disse con voce ferma.

“Sono venuta” rispose una voce sconosciuta.

Una breve pausa mise termine quello scambio di battute. Rebecca non capì chi fosse. Le sembrava una voce che provenisse dall’oltretomba.

“Allora si comincia. Hai paura?” le chiese la donna.

“No. Sono serena” replicò ferma Cassandra.

Rebecca si domandò cosa avessero in mente le due donne ma non poteva parlare. Il bavaglio le impediva di dire una sola parole. Era costretta a sentire le loro voci.

Non è un’apologia della morte di Cassandra. Non è nelle mie intenzioni. Troppo tempo è passato e voglio svelare una verità che è rimasta sepolta, mezza fuori e mezza dentro, ignorata e marcita nei meandri di me stessa per tutti questi anni. C’era dunque una persona con noi. Una donna sconosciuta. Udì solo la voce ma la riconoscerei tra milioni di uomini. Un diavolo torvo, una serpe, una sfinge, che cantava parole d’Inferno, così cariche di polvere e d’invidia che sembrava che le lettere dovessero prendere fuoco. Tuttavia a Cassandra suonavano così soavi e sublimi che rimaneva incantata ad ascoltare, colpita violentemente da quelle parole vuote, come niente l’aveva mai scossa prima d’ora”.
Lei gli ha detto che doveva morire tra i dolori dell’inferno, osservando la sua vita che scorreva via col sangue delle sue vene. Gli ha detto: “Muori e strappati il cuore. Mettici un cervello al suo posto”.

Ero annichilita ma incapace di scongiurare e disperdere quelle parole. Immobile ascoltavo quei deliri senza comprenderne i motivi. Finora ho vissuto nel rispetto del silenzio e dell’omertà che Cassandra mi aveva imposto. Guardavo con le mani legate e ascoltavo con la bocca bloccata dal bavaglio, mentre Cassandra era libera di uccidere se stessa in nome dell’atrocità. Disse che questo era il ‘progresso’ che l’avrebbe resa una donna migliore, più felice. Non potevo fare nulla, mentre il suo personale demone batteva le mani in segno di soddisfazione. La osservai fare quello che le aveva richiesto con orrore e disperazione. Quando si afflosciò sul pavimento, la vidi, rapita nelle spire nero pece di quella donna. Lei si dimenava contenta, mentre quella diavolessa sghignazzava in maniera orribile. Svenni per il terrore. Quando rinvenni, era già sera ed ero nuovamente libera. Non vidi il corpo di Cassandra. La cercai ovunque ma invano. Solo una chiazza rosso scuro era il segno dell’amica. La bicicletta era ancora appoggiata al muro esterno. Disperata ritornai a casa e non riuscì a dormire per molte notti. Udivo ancora le parole di Cassandra e di quell’essere infernale. Ero disperata perché non ero riuscita a salvarla dalla dannazione eterna. Sono passati molti anni ma il rimorso è cresciuto nel tempo. Non posso tacere ancora a lungo senza spiegare a chi in tutto questo tempo non ha mai disperato di vederla tornare sorridente e felice”.

Il foglio cadde per terra, raccogliendo alcune stille di sangue.

L'innocenza colpevole

da visionarium-3d.com
da visionarium-3d.com

Con questo atto suggello la mia innocenza colpevole, che, sebbene fino all’ultimo non poté essere provata, perlomeno affrancherà e santificherà il mio spirito. Mi libererà da un pesante fardello: quello di sapere di essere innocente e colpevole allo stesso tempo. Sono io l’assassina di Cassandra. Era un angelo, che ho dissolto nell’aria. Quando? Non lo rammento ma sicuramente il ricordo si perde nella notte del tempo. Sì, sono io la donna che gli amici, i parenti, i conoscenti cercano giorno e notte. Tra affanni e voglia di vendetta. Ebbene sì, ho ucciso Cassandra! Sono la persona che dovete incolparsi, perché solo a me spetta l’amaro onere del titolo di omicida. Tuttavia, mentre il sangue mi scorre via impazzito e macchia questo biglietto di addio, c’è una cosa che devo ancora dire a mia discolpa”.

Era maggio 2012. Il cielo era pulito senza una nuvola. Il sole picchiava duro. Faceva troppo caldo per non essere ancora estate. La terra si era seccata e spaccata, perché la pioggia tardava a venire. L’erba intorno al casolare nella campagna emiliana stentava a crescere, diventando gialla e secca.

Si erano date appuntamento in quella casa rurale dai muri scrostati e dagli interni che odoravano di chiuso e di muffa.

“Vieni alle cinque del pomeriggio” aveva detto.

“Ci sarò” le rispose.

Rebecca non aveva un’idea sui motivi dell’incontro ma la curiosità era forte. Quando arrivò, Cassandra non c’era ancora. Una zaffata di abbandono e di aria viziata la avvolse. Aprì le finestre per fare entrare l’afa del pomeriggio.

“Sempre meglio di questa puzza” si disse.

Girò per le varie stanze per ingannare il tempo che non passava mai. Aspettò a lungo l’arrivo di Cassandra. Il sudore le aveva appiccicato la camicia di lino al corpo, mostrando che non aveva nulla sotto. La vide arrivare in bicicletta coi capelli rossi al vento.

Rebecca le aprì la porta per farla entrare. Si accomodarono in quella che una volta era la cucina. Un tavolo sporco di polvere, tre sedie rustiche e impagliate, una vecchia stufa economica arrugginita, una madia con uno sportello di sghimbescio e tante, tante ragnatele.

“Siediti” le disse imperiosa, indicando la sedia.

“Perché siamo qui?” le chiese.

“Sei troppo curiosa. Sii paziente e lo saprai”.

Rimanerono in silenzio, finché non udirono dei passi all’esterno. Rebecca si voltò verso la porta ma non fece in tempo a voltarsi. Non poté vedere chi stava entrando. Cassandra le legò le mani dietro lo schienale e le mise un bavaglio sulla bocca. Non poteva muoversi ma poteva ascoltare. I passi si fermarono alle spalle mentre lei si dispose davanti.

“Ti aspettavo” disse con voce ferma.

“Sono venuta” rispose una voce sconosciuta.

Una breve pausa mise termine quello scambio di battute. Rebecca non capì chi fosse. Le sembrava una voce che provenisse dall’oltretomba.

“Allora si comincia. Hai paura?” le chiese la donna.

“No. Sono serena” replicò ferma Cassandra.

Rebecca si domandò cosa avessero in mente le due donne ma non poteva parlare. Il bavaglio le impediva di dire una sola parole. Era costretta a sentire le loro voci.

Non è un’apologia della morte di Cassandra. Non è nelle mie intenzioni. Troppo tempo è passato e voglio svelare una verità che è rimasta sepolta, mezza fuori e mezza dentro, ignorata e marcita nei meandri di me stessa per tutti questi anni. C’era dunque una persona con noi. Una donna sconosciuta. Udì solo la voce ma la riconoscerei tra milioni di uomini. Un diavolo torvo, una serpe, una sfinge, che cantava parole d’Inferno, così cariche di polvere e d’invidia che sembrava che le lettere dovessero prendere fuoco. Tuttavia a Cassandra suonavano così soavi e sublimi che rimaneva incantata ad ascoltare, colpita violentemente da quelle parole vuote, come niente l’aveva mai scossa prima d’ora”.
Lei gli ha detto che doveva morire tra i dolori dell’inferno, osservando la sua vita che scorreva via col sangue delle sue vene. Gli ha detto: “Muori e strappati il cuore. Mettici un cervello al suo posto”.

Ero annichilita ma incapace di scongiurare e disperdere quelle parole. Immobile ascoltavo quei deliri senza comprenderne i motivi. Finora ho vissuto nel rispetto del silenzio e dell’omertà che Cassandra mi aveva imposto. Guardavo con le mani legate e ascoltavo con la bocca bloccata dal bavaglio, mentre Cassandra era libera di uccidere se stessa in nome dell’atrocità. Disse che questo era il ‘progresso’ che l’avrebbe resa una donna migliore, più felice. Non potevo fare nulla, mentre il suo personale demone batteva le mani in segno di soddisfazione. La osservai fare quello che le aveva richiesto con orrore e disperazione. Quando si afflosciò sul pavimento, la vidi, rapita nelle spire nero pece di quella donna. Lei si dimenava contenta, mentre quella diavolessa sghignazzava in maniera orribile. Svenni per il terrore. Quando rinvenni, era già sera ed ero nuovamente libera. Non vidi il corpo di Cassandra. La cercai ovunque ma invano. Solo una chiazza rosso scuro era il segno dell’amica. La bicicletta era ancora appoggiata al muro esterno. Disperata ritornai a casa e non riuscì a dormire per molte notti. Udivo ancora le parole di Cassandra e di quell’essere infernale. Ero disperata perché non ero riuscita a salvarla dalla dannazione eterna. Sono passati molti anni ma il rimorso è cresciuto nel tempo. Non posso tacere ancora a lungo senza spiegare a chi in tutto questo tempo non ha mai disperato di vederla tornare sorridente e felice”.

Il foglio cadde per terra, raccogliendo alcune stille di sangue.