Non passava giorno – cap. 43

I tre cunicoli - su swashwords
I tre cunicoli – su swashwords

...’Che buffo cartello’ disse lo scoiattolo ad alta voce mentre si dirigeva nella deviazione di sinistra ma poi andò verso destra all’ultimo momento.

Indeciso su quale deviazione prendere al prossimo sentiero, quando vide…

Uh! che delizioso pranzetto vedo davanti a me!’ e si diresse verso il nocciolo carico di frutti. Non fece tre passi, anzi tre saltelli, che si sentì tirare prima la coda, poi la pelliccia.

Si voltò corrucciato e arrabbiato ma non scorse nulla. Pensava che forse gli era sembrato che qualcuno avesse acchiappato la sua maestosa coda e riprese a saltellare.

Qualcuno voleva rovinargli la colazione. Così meditava lo scoiattolo, quando vide un essere indefinito tra le foglie del nocciolo.

Chi sei?’ borbottò l’affamato scoiattolo ‘Perché mi disturbi?’ Sembrava un bambino o un nanetto che stava per gioco a cavalcioni di un ramo o meglio di esile ramo che non pareva affatto sentirne il peso.

Lo scoiattolo vide un moscone e saltò sul dorso per farsi traghettare verso l’intruso. Provò a cogliere una nocciola, ma si sentì bacchettare la zampa. ‘Ohibo’! Come ti permetti?’ esclamò ancor più irritato tutto dolorante.

Non era un bambino o un nanetto ma una singolare figura femminile piccola e grassottella tuttavia leggera ed eterea. Un po’ bruttina, invero. ‘Che fai nelle mie terre senza pagare il pedaggio?’ chiese di malagrazia.

Non ho letto nessun cartello che vieta l’ingresso agli scoiattoli!’ rispose scortese ‘E poi perché dovrei pagare qualcosa!’

Lo scoiattolo sempre a cavalcioni del moscone, che dava segni d’insofferenza, aspettava che l’intrusa se ne andasse dall’albero. Però dopo un’attesa infinita tornò sul viottolo per cercare qualche altro albero non presidiato.

Alla biforcazione si chiese come al solito quale direzione prendere, tanto una valeva l’altra.

Seguì l’istinto e andò a sinistra ma il sentiero era sbarrato ancora dalla figura femminile che aveva appena lasciato sul nocciolo.

Io sono il fantasma Aloisa, che presidia questo parco. Tutti mi devono rendere omaggio!’ sussurrò non propriamente amica la figura femminile.

Lo scoiattolo la osservò di sbieco e pensava che quel simulacro di donna volesse intimidirlo per impedirgli di fare una scorpacciata di noccioline.

E poi omaggiare per che cosa? Perché era un fantasma femmina? Però lei rimaneva lì a sbarrargli il passo in attesa di qualcosa. Lui se era già dimenticato e poi non aveva nulla con sé.

Aloisa lo apostrofò in maniera poco cortese perché lo scoiattolo non voleva lasciare un piccolo ricordo di sé alla base della statua.

Lo scoiattolo si girò e rigirò ma il fantasma era sempre più irritato davanti a lui. Sbuffò perché trovava la situazione comica e sgradevole allo stesso tempo, senza trovare un sistema per uscire dall’impasse. Veramente non ci aveva pensato minimamente perché la memoria non era troppo ferrea.

Sbottò con ‘Uffa!’ e si guardo intorno per cercare un passaggio senza vedere niente. Si sedette sulla coda reggendo il capo mentre lo stomaco reclamava qualcosa brontolando minacciosamente.

La figura femminile, anzi il fantasma femmina, era sempre lì a braccia conserte in attesa.

Lo scoiattolo non sapendo cosa fare le domandò di raccontare la storia della sua vita.

Aloisa mossa a compassione permise allo scoiattolo di mangiare un paio di nocciole e tre ghiande prima di cominciare.

Era una storia triste di abbandoni e tradimenti da parte del marito. Poveretto lui, pensava lo scoiattolo, con una moglie così bisbetica non poteva certo starle accanto.

Il racconto annoiava lo scoiattolo che si guardava intorno per cercare un passaggio per tornare da dove era venuto.

Finalmente una bella farfalla bianca passò accanto a lui per raccoglierlo e depositarlo oltre il muro di cinta.

Lo scoiattolo ritrovò il buon umore perché non ricordava nulla di quello che aveva fatto oppure udito. Si sentiva felice e canticchiava mentre tornava al suo albero o almeno quello che credeva fosse il suo albero.

Che buffa storia era questa dello scoiattolo, che viveva con la testa tra le nuvole e scordava impegni e promesse come se fossero noccioline. Fortunatamente uno così farfallone vive solo nel mondo della fantasia.

Scrivi bene” aggiunse Marco “ ed è veramente strano che tu abbia scritto qualcosa su quel fantasma, che poi abbiamo visitato insieme dopo tanto tempo. Sembra che Aloisa abbia guidato le nostre mani e i nostri pensieri”.

Era giunto il momento di alzarsi.

Non passava giorno – Cap. 42

Le linee parallele si incrociano
Le linee parallele si incrociano

Il sole era già alto sull’orizzonte quando Laura e Marco aprirono gli occhi dopo il sonno mattutino.

La luce era rimasta sempre accesa ma non aveva impedito loro di dormire diverse ore di un sonno profondo e senza visioni oniriche particolari.

Laura si era svegliata qualche minuto prima di Marco e ne osservava le nudità mentre inalava gli odori senza provare quel senso di vergogna e di colpa che aveva accusato in precedenza. Per lei era tutto naturale adesso, esattamente come bere un bicchiere d’acqua. Non sentiva la spinta irrefrenabile a correre in bagno a togliersi gli umori del rapporto sessuale ma ne provava piacere.

Si domandava quanto a lungo poteva assaporare la vista di Marco, le carezze, i baci. Sapeva che da domani o anche da questa sera forse apparteneva a un’altra, che avrebbe goduto delle sue attenzioni, della sua sensibilità e delicatezza. Laura invece sarebbe stata sola nel letto a rimpiangere le mani, le parole che aveva assaporato in queste lunghe ore trascorse insieme.

Laura cercò di pensare, se esisteva una strada per tenerlo vicino a lei, per potere goderlo nei fine settimana ma dovette desistere, perché non c’erano soluzioni all’altezza dei desideri.

Accontentiamoci di quello che ho avuto in queste ventiquattro ore’ si disse, chiudendo le palpebre che si erano riempite di lacrime. ‘Poi vedremo cosa succederà’.

Marco, aprendo gli occhi, la vide e la strinse con vigore a sé senza dire nulla. Sapeva che le parole non sarebbero uscite oppure non avrebbero avuto la naturale chiarezza di sempre. Quindi era meglio tacere.

Avvertì dentro di sé un vuoto, un senso d’impotenza, domandandosi, perché era venuto. Averla rivista aveva riacceso la fiamma, mai sopita, di un amore tra due anime differenti. Aveva coscienza del conflitto lacerante che gli aveva macerato i pensieri, le azioni negli ultimi mesi della permanenza a Milano. Aveva sperato di chiudere per sempre quel capitolo ma qualcuno era riuscito a fargli riaprire l’armadio dei ricordi. Adesso il fantasma del passato riemergeva dal profondo e gli riproponeva la solita domanda: ‘Cosa fare, dove andare, come agire, chi amare’.

Marco, attento ai pensieri, ai gesti, adesso intuiva le difficoltà nella gestione dei suoi sentimenti verso Laura. Si sentiva come una volpe intrappolata nella tana senza trovare una via di uscita sicura.

Qualsiasi strada presentava aspetti positivi e negativi in ugual misura ma non poteva perdere tempo nel cercare una soluzione, che in otto mesi non aveva rintracciato. Entro poche ore doveva prendere la decisione, se rinunciare a Laura oppure al mondo familiare di Ferrara.

Questi pensieri stavano a indicare che era giunto a un bivio per scegliere il percorso da fare nel futuro. Doveva decidersi se affidarsi ai sentimenti che provava oppure alla sua razionalità. Doveva evitare di contraddirsi, modificando i punti di vista ogni qualvolta qualcuno non era d’accordo.

Laura ricambiava la stretta, perché era combattuta tra il sentimento verso Marco e inseguire i propri sogni professionali. Aveva capito che l’uomo, che stava abbracciando con tanto amore, l’avrebbe resa felice dal punto di vista sentimentale ma era altrettanto conscia che si sarebbe sentita insoddisfatta nel giornaliero.

Il mio è amore puramente fisico oppure esiste quella affinità, che permette la convivenza tra un uomo e una donna?’ si domandò Laura, socchiudendo gli occhi.

Con Marco si sentiva sicura e protetta tanto che riusciva rilassarsi fino a perdere la nozione del tempo e dello spazio. I cinque anni con lui erano stati felici e sereni ma aveva avvertito nel tempo un distacco incerto tra loro, un qualcosa d’indistinto, che non rendeva piena la simbiosi d’intenti e di obiettivi. Aveva percepito come se un muro sottile li dividesse senza capire cosa fosse. Adesso aveva compreso: era la percezione di due mondi paralleli posti su piani non intersecanti. Mondi a cui nessuno dei due avrebbe voluto rinunciare senza ripudiare le proprie intime convinzioni. Volersi bene era anche abdicare da una parte di sé da donare come pegno d’amore all’altro. Tuttavia avvertiva quel pizzico di egoismo che le impediva questo sacrificio.

Sarei capace’ si domandò Laura, ‘di offrire questo dono a Marco? Marco avrebbe capito il senso delle mie rinunce? A parti invertite sarei in grado di fare di comprendere i suoi disagi?’

Domande, ancora domande. Dubbi e incertezze. Laura non trovava una risposta convincente, né percepiva che Marco potesse risolvere gli affanni che la tormentavano.

Marco messosi a sedere con la schiena appoggiata alla spalliera del letto la sistemò appoggiandola al petto e le cinse le spalle. Aveva letto nel pensiero di Laura tutti i crucci e i tormenti che l’assillavano da quando si era svegliata. Dubbi che erano anche suoi. Dunque era venuto il momento di parlarsi con chiarezza sul loro futuro.

Marco non aveva idea né da dove cominciare il discorso, né sul come si sarebbe snodato, ma percepiva la necessità di parlare, di spiegare, di chiarire.

Laura” cominciò Marco cercando le parole adatte, “penso che dobbiamo fare chiarezza nel nostro rapporto”.

Deglutì più volte, cercò di calmare la mente, perché faticava a trovare le frasi giuste. Da quando era arrivato, era successo tutto in fretta, perché si erano abbandonati ai loro sensi, come naufraghi sulla spiaggia deserta, senza pensare ad altro. Le ore passate insieme erano state molto intense e appaganti, senza che rimpiangesse di quanto era avvenuto. Si concentrò sul suo viso.

Quando sono arrivato ieri pomeriggio” esordì Marco, fissando un punto della faccia di Laura, “ho provato la sensazione di un ritorno in un ambiente familiare. La tua presenza, il tuo calore, il tuo volermi bene, la tua gelosia sono state sensazioni tangibili e importanti per me”.

Si fermò di nuovo. Doveva trasmetterle come fosse disorientato e incerto su cosa fare, perché non era certo delle sue intenzioni.

Ma ci riuscirò?’ si chiese Marco, socchiudendo gli occhi. Il cuore gli diceva ‘lascia tutto, torna qui, sta accanto a lei, sposala e sì felice’. Però si domandò, se ne fosse intimamente convinto oppure volesse convincere la parte razionale, che lo spingeva nella direzione opposta. Tuttavia qualcosa gli suggeriva che il suo posto era a Ferrara e non a Milano. ‘Chi dice il vero?’

Marco avvertiva il conflitto lacerante tra l’irrazionale e il razionale, mentre a fatica le parole uscivano dalle labbra.

Volle analizzare per l’ultima volta la questione, che non riusciva a risolvere, scomponendola in parti elementari. Marco disse che sentiva Milano come una città estranea alla sua natura, come la grande matrigna che lo sovrastava, lo schiacciava ed lo opprimeva. Il modo di vivere, di respirare in questa metropoli non gli era congeniale, perché percepiva tensione, stress, frenesia. Lui amava la campagna, ritmi di vita blandi, il contatto fisico con la natura e le persone.

Percepisco” precisò Marco, aggrottando la fronte, “le stesse sensazioni di Narciso quando si specchia nell’acqua. Sicuramente da questo punto di vista mi sento egoista, perché penso in prima battuta soltanto a me stesso, come se gli altri non esistessero”.

Proseguì che avrebbe voluto vivere in un ambiente dai contorni limitati come quello dove era nato e vissuto fino a vent’anni. Si sentiva un provinciale con visioni ristrette, non gli sembrava di essere moderno, globalizzato o cittadino del mondo ma questa era l’essenza della sua natura.

Qui, fra queste quattro mura e con la tua vicinanza fisica e psichica mi sento bene” disse Marco, stringendola ancora più forte. “Ma appena esco, provo disagio e vengo preso dall’ansia, dalla voglia di fuggire lontano”.

Con queste parole Marco interruppe il lungo monologo.

Qualcosa di strano stava ferma nell’aria, gelando l’atmosfera allegra e gaudente, mentre restavano immobili e muti. Il filo del discorso pareva interrotto senza che nessuno cercasse di riannodarlo con un nodo provvisorio e penzolava nel vuoto.

A Laura si inumidirono le ciglia con le lacrime, mentre il cuore batteva tumultuoso e la mente faticava a seguire il ragionamento.

Marco percepì che le sue parole erano state troppo crude, poiché avevano ferito Laura, che sperava di trovare una soluzione al loro problema. Lui sapeva, che, da quando era arrivato, non poteva alimentare speranze, perché il risveglio sarebbe stato rovinoso per entrambi. Sollecitò Laura a parlare ma un groppo alla gola le impedì di fare uscire dalla bocca dei suoni articolati. Marco aveva cognizione che il suo discorso era troppo improntato al proprio ego. Il paragone con Narciso, il senso di disagio a Milano erano troppo personali. Non aveva manifestato nessun afflato d’amore verso di lei, come se fosse stata un’estranea e non la compagna per cinque anni.

Laura aveva compreso che Marco stava indossando la corazza per superare la voglia di resistere con la forza al dolore che provava internamente.

Lei percepiva nelle sue parole l’esistenza di sola attrazione fisica e non la costruzione di legami duraturi per edificare la casa da condividere. Avvertiva la passione e non la decisione verso progetti comuni, un qualcosa che trascendeva il razionale. Però intuiva che la loro felicità dipendeva dalla direzione del loro amore e dalle risposte ai loro dubbi.

Cosa desiderava lei veramente. Seguire l’istinto o la ragione? Il nocciolo del problema continuava a ruotare intorno a queste domande.

Erano proprio le incongruenze tra le idee del giusto e dello sbagliato, sulla direzione da intraprendere verso l’amore oppure verso il desiderio, che non corrispondevano alle sue scelte di vita. Lei sentiva una forte attrazione verso Marco, rendendosi disponibile sessualmente. Forse non era innamorata ma semplicemente attratta per una misteriosa combinazione che complottava contro la sua psiche. Laura taceva, mentre Marco la stringeva a sé con delicatezza e forza allo stesso tempo in attesa di sentire la sua voce.

Considerato il suo silenzio, Marco capì che adesso era proprio finito il loro amore, sepolto sotto le parole appena pronunciate. Si chiese, se dovesse aggiungere qualcosa ma l’istinto gli dettò di stare zitto.

Sbirciò l’orologio, che segnava già mezzogiorno, e ritenne che doveva alzarsi per preparare il ritorno a Ferrara. Il distacco definitivo si era consumato in modo irreparabile.

Laura continuò a piangere in silenzio, come per liberare tutto quello che aveva represso in questi otto mesi di lontananza. Si rendeva conto che quello che aveva desiderato durante il periodo della loro separazione non funzionava. Era giunto il momento di ritornare alla normalità, a rapportarsi con il mondo intorno a lei, a essere se stessa per non cadere in un’altra crisi. Laura aveva compreso che Marco non poteva essere l’uomo, che cercava o desiderava. Marco non era disponibile a condividere gli anni futuri con lei. Era stato piacevole trascorrere con lui questa giornata, perché Marco le aveva estratto dal subconscio tutte le frustrazioni e le problematiche dell’adolescenza, che aveva pensato ingenuamente di seppellire nell’oblio. Non si sentiva ancora guarita del tutto ma la strada era stata tracciata e bastava seguirla per uscire dalle secche in cui si era impigliata per troppi anni.

Da queste consapevolezze traeva l’insegnamento che sarebbe stata male nei prossimi giorni ma le avrebbe dato la forza per superare le paure interne. Avrebbe chiuso un periodo della sua vita, bello e inebriante, e avrebbe ricominciato a cercare l’uomo che idealmente vagheggiava.

Laura doveva iniziare da subito a dare una svolta alla sua vita, gettando dietro di sé fantasmi e paure, gioie passate e desideri inespressi senza rimpianti. Doveva pensare da questo momento a Marco non più come un amico a cui poteva confidare le sue preoccupazioni o da cui poteva ascoltare osservazioni e riflessioni ma un estraneo da dimenticare definitivamente.

Marco” sussurrò Laura con la voce rotta dall’emozione e dal pianto, “quando ti ho chiamato ieri stavo leggendo un vecchio testo, una specie di fiaba, scritta tanti anni fa. Parlava di uno scoiattolo che incontrava il fantasma Aloisa. Ti ricordi l’ultima gita a Grazzano Visconti?”

Marco sollevò la testa e sorrise. “Credo che il destino non sia cieco. Mentre tu leggevi la fiaba, io guardavo le istantanee fatte quel giorno. Le ho con me. La fiaba possiamo leggerla insieme?”

Si” rispose Laura e allungò una mano per prendere i fogli stropicciati e logori, prima di risistemarsi su di lui.

Non passava giorno – Cap. 41

Un qualcosa d’insistente e modulato proveniva da lontano. Matteo, che stava sognando mondi incantati, tenendo abbracciata Sofia, sembrò infastidito da quel suono che non riusciva a decifrare. Si girò ma non aveva pace, perché quella melodia continuava. Aveva ancora sonno dopo le fatiche della notte. Ignorò il disturbo sonoro e riprese a dormire.

La tranquillità della stanza riprese il sopravvento, quando quel rumore smise. Il silenzio era pronto a essere interrotto ancora una volta, perché quel suono cacofonico non voleva rispettare la volontà di Matteo.

Riprese più ossessionante di prima senza che Matteo riuscisse a localizzarlo in un punto preciso della casa. Matteo aprì un occhio, mentre l’altro ostinatamente non volle obbedire al comando del pensiero e restò chiuso. Cercò di concentrare la mente o quel poco che si era svegliata per individuarne la provenienza e farlo smettere.

Nulla. Non riuscì a determinare la sorgente e imprecò a bassa voce, mentre Sofia continuava tranquilla il sogno senza ascoltare quella litania di note che invadevano la stanza.

Matteo cominciò a innervosirsi perché metà corpo desiderava restare in pace senza avere alcuna intenzione di seguire l’altra.

Da dove viene ‘sto cazzo di musica?” disse stizzito. Però la mente lentamente stava slegandosi dai lacci nei quali la stanchezza e il sonno l’avevano incatenata, e cominciava a fare due più due uguale a quattro.

Cazzo!” imprecò Matteo, aprendo gli occhi arrabbiati. “È il mio telefono che suona! Chi è quello scimunito che mi chiama all’alba?”

Con delicatezza si sfilò dal corpo di Sofia, che mugugnò qualche frase sconnessa, mentre si sistemava al meglio, essendo venuto meno il sostegno di Matteo.

A piedi nudi e senza nulla, o quasi, indosso andò alla ricerca dei vestiti, mentre imprecava e malediva quel imbecille che ostinatamente voleva parlare con lui.

Pronto” disse con voce neutra e contratta dalla stanchezza ma riconobbe quasi subito il timbro vocale di Paolo e l’aggredì furioso “Che ti salta in mente di svegliarmi nel cuore della notte? Chiama quando il sole si è levato” e chiuse la comunicazione.

Borbottando e imprecando, inciampò in un paio di scarpe non viste, mentre tentava di raggiungere il letto senza troppi rumori. Gli sfuggì un’imprecazione colorita, massaggiandosi l’alluce ammaccato.

Non poteva aspettare che mi fossi alzato?’ si disse irritato mentre si rannicchiava accanto a Sofia, che pacifica continuava a dormire.

Agnese si sentiva spossata, stanca per uscire in bicicletta ma non voleva rinunciarvi. Le serviva per scaricare le tossine accumulate durante il sonno, che aveva avuto effetti opposti a quelli sperati.

Era una bella giornata di aprile soleggiata ma fresca, l’ideale per una pedalata salutare. Se fosse stata in compagnia sudore e fatica, non si sarebbero fatte sentire ma non era così. Doveva pazientare fino a domani, almeno sperava, per avere un compagno di avventura. ‘Oggi mi accontenterò del Ipod e dei miei pensieri’ si disse uscendo di casa. ‘Quello sarà il mio doping psicologico’.

Si era imposta di tornare per mezzogiorno, perché nel pomeriggio voleva dedicarsi allo shopping più volte rimandato.

Indossata la tuta invernale da ciclista, perché sudore e freddo non andavano per niente d’accordo. Sapeva che tra non molto avrebbe iniziato a sudare.

Ascoltando la playlist, proposta dal Ipod, chiacchierava con un invisibile compagno, che pigiava sui pedali con uguale vigore accanto a lei.

Sentiva l’aria sferzarle il viso. Sembrava più fredda di quella che in realtà era ma contribuì a svegliarla completamente. Sotto la tuta il sudore appiccicava alla pelle gli indumenti. Era tentata di aprire la zip per dare refrigerio al corpo ma si trattene. In piena estate con la calura insopportabile, Agnese avrebbe potuto aprire la cerniera senza problemi ma oggi sarebbe stato un ottimo sistema per un colpo di freddo o una bronchite.

La playlist del Ipod sparava nelle orecchie delle canzoni di molti anni prima, quando lei non era ancora nata. Le aveva scoperte per caso in ufficio da una collega più anziana.

Non sono una signora’ della Bertè oppure ‘La bambola’ di Patty Pravo o ancora ‘La gatta’ di Gino Paoli erano in cima alle sue nuove preferenze. Fino a sei mesi prima ignorava la loro esistenza. Per lei c’erano solo le note dure dei Metallica o di certe band dal rock molto hard. Una mattina Gina, la collega, che veleggiava tranquilla verso la pensione, mise nel lettore un CD con le più belle canzoni degli anni settanta e ottanta. Scoprì che nel panorama musicale c’erano anche altre canzoni oltre a quelle che di solito ascoltava. Rimasta entusiasta, decise di caricare lo Ipod con quelle note ricche di melodie dolci.

Pedalando di buona lena, cominciò a discutere con l’ipotetico compagno di viaggio sugli acquisti del pomeriggio. Aveva intenzione di comprarsi un vestito, una gonna, un paio di jeans e una camicetta. Indecisa su tutto dal colore alla marca, il compagno le domandò, se poteva permettersi la spesa. “Sei impertinente” sbottò, anche se la domanda era corretta. Le sue finanze non godevano buona salute, adesso che il mutuo era tutto suo.

Ti chiedo un consiglio sui colori” disse, guardandolo con occhi di fuoco. “Non dei dubbi sulle capacità finanziarie”.

Lui, trasparente come l’aria, non rispondeva come voleva Agnese. Questo la innervosì non poco.

Non puoi suggerirmi il rosso!” fece stizzita “Lo sai che non lo sopporto”. Nuova risposta fuori tono.

È meglio un colore pastello per il vestito oppure un blu?” gli domandò. Nuovi borbottii che Agnese non gradi.

La gonna? Marrone” disse il compagno immaginario.

No, non hai capito nulla” esclamò Agnese. “La voglio nera e liscia, lunga fino al ginocchio”.

La camicetta come la preferisci?” continuò il compagno.

Non ho molte preferenze” fece Agnese, distendendo il lineamenti del viso. “Su quella non ho ancora deciso. Jeans o pantaloni? Meglio i pantaloni. Ma ci penserò”.

Guardò l’orologio e imprecò, perché si era fatto tardi rispetto alla tabella di marcia. Salutato il compagno, che proseguì, e girata la bicicletta, si diresse verso casa.

Dopo una doccia calda per eliminare il sudore si preparò il pranzo, prima di recarsi in città.

Marco e Laura avevano parlato dal pomeriggio fino a notte inoltrata ma adesso dormivano tranquilli.

I fantasmi, che si erano aggirati intorno a loro, erano stati scacciati con le loro confessioni. Avevano discusso della scenata di gelosia e del bacio saffico con Sofia. Avevano concluso che non doveva preoccuparsi.

Non deve creare un senso di colpa il bacio” aveva detto Marco, “perché è il frutto di un’esaltazione momentanea”.

Ma la scenata di gelosia?” aveva chiesto Laura.

È nella norma” aveva risposto Marco, “perché mi hai visto, mentre mi strusciavo con la tua migliore amica. Quale donna innamorata potrebbe accettare senza reazione un simile spettacolo? Nessuna”.

Più complesso era stato dipanare il senso del bacio e del toccarsi fra donne. La discussione era diventata animata tra un bacio, una carezza e un rapporto sessuale. Per Marco era stato un fatto occasionale legato all’emozione del loro incontro. “Sì” aveva detto. “Convengo che ti ha dato sensazioni intense e inaspettate”.

Laura non era convinta della casualità dell’effetto erotico e aveva manifestato con vigore le sue perplessità. “Qualcosa mi suggerisce” aveva affermato, ”che, se capita di nuovo, mi lascerò trasportare con maggiore passione”.

Marco aveva riso a queste sue affermazioni, senza che questo l’avesse rassicurata. Le chiese, se questo desiderio avesse guidato i suoi comportamenti, se lei si fosse sentita angosciata per l’atteggiamento tenuto, se avesse pensato di sperimentare questa parte della sua sessualità per ripetere l’esperienza.

Laura era rimasta senza parole, né aveva saputo come e cosa rispondere. Queste argomentazioni l’avevano indotta a riflettere sul modo di intendere il sesso. Aveva percepito in maniera confusa che esistesse un collegamento con le fobie, che loro avevano esplorato in precedenza.

Marco aveva intuito che altre paure in qualche modo la frenavano nel rapporto sessuale, anche se non riusciva a percepirne i contorni. Laura aveva capito che doveva costruire la propria sessualità, partendo dalle riflessioni sui sensi di colpa. Doveva scoprire quali contraddizioni agivano da freno al fine di trovare la soluzione ai suoi problemi.

Era mattina, quando la stanchezza cominciò a fare capolino nelle loro menti. I loro corpi decisero di concedersi un meritato riposo. Laura stava parzialmente su Marco, che la cingevano in atteggiamento protettivo.

Paolo era entrato in crisi, quando Matteo gli aveva chiuso la conversazione. Si era sentito tradito, perché l’amico aveva risposto in modo non cortese. Guardò sconsolato il telefono, prima di decidere di farsi una doccia calda per eliminare la tensione accumulata.

Doveva meditare su di lui, su Laura, sul suo futuro. Mille pensieri entravano con furia nella mente senza che riuscisse a coordinarli.

Perché mi sono ridotto in questo stato?’ si domandò scuro in volto, sorseggiando il caffè ‘Non mi riconosco. Sembro andato via di testa oppure essere regredito nell’età!’

Capì solo adesso, quanto fosse stato impaziente, sapendo che l’amico aveva passato la notte con Sofia. Di sicuro Matteo non aveva contato le pecore per addormentarsi.

Paolo provava invidia, perché Matteo aveva trovato subito feeling con Sofia, al contrario di lui. Guardò con malinconia mista a rabbia il telefono che rimaneva muto e silenzioso, preparandosi a uscire per recarsi in ufficio.

Quella mattina era in anticipo rispetto alle sue abitudini ma non aveva senso trattenersi ancora. Una folata di vento gelido e carico di smog lo accolse, mentre il corpo rabbrividiva per il freddo. Incerto se prendere un mezzo pubblico o l’auto, camminò insieme a una folla anonima e frettolosa ancora intorpidita dalla veglia mattutina.

Le gambe l’avevano condotto all’autorimessa. dove era parcheggiata l’auto. Si stupì ma forse i pensieri e i dubbi, che affollavano la mente, l’avevano distratto da non capacitarsi dove avesse girovagato da quando era uscito.

Cominciò a preoccuparsi della sua salute mentale, mentre avviava il motore. Al momento non era in grado di gestire i dettagli di un lavorio intellettuale complesso.