Pseudo recensione di un libro inesistente

copertina Amanda e il bosco degli elfi

Casualmente mi sono imbattuto in un libro inedito, nel senso che non è mai apparso nelle librerie e non verrà mai stampato: “Quando i ricordi tornano...” ed. orsobianco, 2009 e l’ho letto tutto d’un fiato, in apnea. Fortunatamente non era lungo, altrimenti ci sarei rimasto secco. Però questi sono dettagli inutili. Passiamo alla recensione non voluta.

Con piacere al suo interno ho scoperto un romanzo nel romanzo “La fine attraverso la trombata, più nota come i misteri di Cala Violinas” della scrittrice spagnola Maria por Desgracia Navidad, famosa per scrivere i suoi libri in judezmo.

E’ una vera chicca che brilla nel firmamento delle scrittrici di nicchia ma talmente di nicchia che non si vedeva un accidente. La mia buona sorte è stata l’elmetto da minatore con un lucignolo incastrato sopra. Ho pensato di essere una statua al camposanto. Abbandonati questi pensieri tristi, subito mi sono dato da fare per recuperarlo nella lingua originale e tradurlo in italiano. Qualcuno, più vispo e ardito degli altri, mi ha chiesto che lingua è il judezmo e altri, più creduloni, mi hanno domandato «Ma conosci il judezmo?». No, no! Non lo conosco affatto, né ho l’intenzione di impararlo. Nemmeno so se esiste veramente. «Ma come avresti fatto a tradurlo, se non conosci una parola di judezmo e non sai se è una lingua viva?». Niente panico, siamo tutti inglesi! Il piccolo segreto si chiama traduttore di Google, che traduce tutto ma proprio tutto, compresi i peli delle parti nascoste. Però la mia è stata fatica vana, perché il libro si è materializzato già pronto per la lettura. «Che c…!» diranno i più benevoli. In effetti non mi sono lamentato per nulla. Comunque lasciamo perdere questi particolari da guardoni della lettura e concentriamoci sul romanzo, che mi ha lasciato di sasso. Speriamo bene che mi rimetta in fretta. Restare di sasso non fa bene alle articolazioni.

Riporto un breve brano per mostrare la bravura di questa scrittrice, tanto nota da essere totalmente sconosciuta.

Io e Andrea di mattina di buon’ora mettemmo in mare il vaurien. Era una splendida giornata per veleggiare. Tirava un alito di vento verso nord est che avrebbe favorito alla sera il ritorno da Cala Violinas. Andrea era abbastanza abile nello sfruttare la bava contraria per risalire la costa con una bella andatura di bolina.”

E’ la storia intrigante di due donne e un uomo, che si inseguono cercando amore mercenario tra loro. Chi avrebbe immaginato che una donna amasse un’altra donna per farsi scopare dal suo uomo? Quasi da non crederci se non ci fosse stato il nero sul bianco.

E’ una storia avvincente, quasi originale nella sua banalità con colpi di scena che rasentano i colpi di sole che i tre protagonisti hanno di continuo sulla meravigliosa spiaggia di Cala Violinas.

Quale meraviglia può cogliere il lettore leggendo un altro passo del libro.

E così Andrea mi abbandonò con Ester.

Quegli occhi verdi, a volte socchiusi, a volte scintillanti come smeraldi fin dal primo momento mi procuravano delle sensazioni che non ero mai riuscita a classificare.

Adesso immerse in un’atmosfera magica e musicale avevo timore delle mie reazioni, che volevo reprimere e soffocare nella mia mente.

Dunque Ester e Miriam sono sole e nude sulla spiaggia più musicale del sud della Spagna sotto i raggi implacabili del Sole rovente come la passione che le avrebbe travolte.

Maria por Disgracia Navidad riesce ad esprimere con pochi tratti di penna i sentimenti che sbocciano tra le due donne senza cadere mai nell’erotico, solo pruriginosa astuzia per incuriosire il lettore, che ci casca come una pera matura.

E che dire del rapporto caldo come la sabbia di mezzogiorno che Ester e Andrea avranno sul finire del romanzo tra le dune notturne mentre Miriam angosciata cerca di spiare il loro amplesso per una doppia gelosia nei confronti di Ester che la stava tradendo col suo uomo, e di Andrea, che gli soffiava la donna della passione e del cuore.

Il fresco della notte, l’odore inconfondibile del mare si fece strada nella mente che cominciava a pensare a dove erano finiti Andrea e Ester.

I cattivi pensieri frullavano come maionese impazzita nella testa mentre un senso di angoscia e di rabbia mi spingeva a muovermi…

Veramente è di una bravura che non si può misurare nelle descrizioni, nei sentimenti, nella storia quasi piatta da rasentare la noia. Non saprei come valutarla tanto sono incapace nella scrittura. Quindi fidatevi perché il ciel v’aiuta.

Che dire ancora, dopo che l’ho premiata con ben cinque stelline? E voi direte «E che me ne importa delle tue stelline del c…». A me nulla come a voi del resto.

Un ultimo consiglio per l’acquisto.

Leggete questo romanzo e non vi pentirete. Però io mi rendo irreperibile. Non si sa mai che qualcuno non mi insegua col forcone.

Covid la saga continua….

Di norma non scrivo post sull’attualità perché ho impostato il layout in altro modo ma ogni tanto lo faccio.

immagine tratta da

https://in.mashable.com/tech/11362/china-launches-coronavirus-app-to-detect-if-users-are-at-a-risk-of-infection

In questo caos a volte sboccato sul COVID si è scritto troppo. Non sono un esperto e non mi do la patente di professore. Non ho la preparazione adatta ma almeno provo a usare la mia testa nel leggere la marea di notizie che circolano.

In questi giorni impazzano news che secondo me rischiano di creare o false certezze o aspettative immotivate. Mi riferisco al patentino di immunità e all’app IMMUNI.

https://in.mashable.com/tech/11362/china-launches-coronavirus-app-to-detect-if-users-are-at-a-risk-of-infectionPerò prima di affrontare i due temi credo sia utile spiegare senza la presunzione di fare il saccente cosa succede quando si prende il virus. Non mi interessa come si prende ma i tempi della malattia. Quello che scriverò si basa su dati presenti sui media. Sarà utile per quello che dirò più avanti.

Il soggetto A al giorno zero è contagiato. Come ogni ospite che si rispetti, appena trova una porta aperta, si accomoda nel nuovo ambiente e cerca di replicarsi. In media, per soddisfare questo primo step, Covid-19 impiega fino a tre giorni, poi, dopo aver preso possesso della nuova casa, induce la manifestazione dei sintomi. E questo avviene tra il settimo e il quattordicesimo giorno. Quindi dal giorno zero al giorno sei porto a spasso il virus e posso trasmetterlo ad altre persone. Come per ogni intruso noi cerchiamo di difenderci attraverso degli anticorpi. Se tutto va bene dal quindicesimo giorno l’abbiamo messo nell’angolo. Attenzione non vuol dire che il virus sia stato debellato. Anzi il nostro organismo deve produrre tanti anticorpi finché non lo ha neutralizzato completamente e questo avviene di norma fino al trentesimo giorno dell’aggressione.

Adesso parliamo del patentino di immunità. Questo dovrebbe essere una sorta di indice che sono guarito clinicamente e che non rischio di essere contagiato di nuovo o in futuro.

Per capire come questo possa indurre ad abbassare la guardia faccio un parallelo con l’influenza, forse improprio ma secondo me utile a comprendere quello che voglio dire.

Ci sono soggetti che non si vaccinano e non si ammalano. Altri non vaccinati prendono l’influenza. Altri vaccinati che rimangono immuni, infine soggetti pur essendo vaccinati si ammalano lo stesso. Però ci sono persone che si ammalano più volte nel corso dello stesso inverno. Questo si verifica ogni anno. In conclusione il nostro corpo reagisce alla malattia in modo diverso.

Tornando al COVID sembra che si possa replicare un meccanismo appena descritto.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarato che non ci sono “prove” che le persone guarite dal coronavirus siano protette da un secondo contagio, anche se hanno gli anticorpi. L’agenzia delle Nazioni Unite ha anche messo in guardia dai “passaporti immunità” e “certificati zero-rischi” alle persone che sono state contagiate. Questo creerebbe false aspettative e potrebbe aumentare il rischio di diffusione del contagio. Inoltre ha dichiarato che i test per gli anticorpi non sono affidabili.

In conclusione non esiste nessuna prova che non ci si possa ammalare di Covid 19 due volte. Sono semplici ipotesi per due motivi: primo non esiste il vaccino, secondo le casistiche sono troppo limitate per essere veritiere. Il patentino di immunità è al momento una semplice speranza.

Passiamo all’app IMMUNI. Il nome è furbo perché induce chi lo scaricherà a pensare che con questa tenga il COVID fuori dalla porta.

Si sono lette ipotesi fantasiose su questa app che al momento è coperta da una cortina di silenzio. Al momento i dati disponibili sono troppo vaghi per immaginare la sua utilità e il suo funzionamento.

Di certo non mi avviserà se sono in prossimità di un contagiato dal virus o di uno che si trova nella fascia tra i quindici e trenta giorni e meno che meno se la persona è nella fascia tra zero e sei giorni, detta di incubazione.

Questo per motivi tecnici e di privacy. L’app come è stato scritto, almeno dalle poche notizie trapelate, raccoglie informazioni anonime da altri dispositivi dotati del medesimo strumento. Se dovesse fare quello che il nome erroneamente fa intendere, dovrebbe interrogare sul cloud il database con il codice acquisito, ritrovare tutte le informazioni sulla salute della persona e segnalarlo. Non esiste tecnologia in grado di fare tutto questo in un tempo utile per avvertire il soggetto, ammesso che nella raccolta dati siano presenti le informazioni cercate. Ancora più utopistico è pensare che un app sia in grado nella frazione di pochi secondi scansionare il contatto e stabilire se sta incubando il COVID. Non si capisce perché allora si non possa usarla su se stesso.

Altra fake news è quella detta dagli esperti che se usata dal sessanta percento della popolazione può portare l’epidemia a zero contagi nell’arco di un mese. Intanto il numero di dispositivi idonei a supportare l’app in possesso agli italiani è pari circa il sessantasei per cento della popolazione. Tradotto vorrebbe dire che tutti i possessori dovrebbero scaricare l’app. Sarà possibile? E poi su quale base scientifica è stata scelta questa percentuale? Forse perché il settanta percento sarebbe irrealistico e irraggiungibile? Diciamo che è un tentativo di depistare gli italiani. Lo scopo non lo conosco ma si potrebbe intuire.

Però cos’è questa app? Dovrebbe essere un data tracking che tiene nota delle persone con cui siamo entrati in contatto e poter risalire a questi nel caso malaugurato che la persona risulti positiva al COVID. Su questo ci sarebbe da aprire un romanzo sugli effetti di simile operazione sulla sanità nazionale. Basta pensare se nei 21 giorni di raccolta dati io sono entrato in contatto con centinaia di persone – ovviamente possono essere di più se pensiamo alla frequentazione di supermercati o posti di lavoro. Suppongo che il cinquanta percento risulti positivo, dato prossimo alla realtà e lo spiego dopo, quale bailamme di tamponi e quarantene si scatenerebbe scavando a ritroso nei contatti. Ospedali, laboratori, medici e infermieri sarebbero in grado di reggere questo urto? Questo approccio può funzionare su piccole comunità ma non per l’intero paese. Questo vale al di là dei valori percentuali.

Spiego come ho calcolato il cinquanta percento di positivi, probabilmente possono essere di meno. A Vo’ l’esito dell’esame su tutta la popolazione residente ha detto che il quarantacinque percento è risultato positivo asintomatico, ovvero ha il virus presente senza sintomi. Se a questo dato aggiungiamo il cinque percento di chi ha sintomi il numero fa cinquanta. Bisogna ricordare che gli asintomatici sono il veicolo più insidioso per la diffusione del virus perché sono riconoscibili solo per interposta persona.

Volendo trarre una conclusione questa app potrebbe alla fine non servire allo scopo dichiarato ma essere un’arma subdola di controllo se non è gestita correttamente.

Altro tema caldo di questi giorni l’obbligo della mascherina. Esattamente come e quando non si sa ma se per caso esiste l’obbligo qualcosa non torna. Perché? Banale. Devo essere messo in condizione di rispettare la regola.

Prendendo con qualche dubbio, Arcuri ha dichiarato che lo stato è in possesso di 47 milioni di mascherine e che presto saremo autosufficienti. Sorge spontanea la domanda: perché sono introvabili e le persone le devono ordinare in Cina via Internet? Qualcuno afferma che servono 7 milioni al giorno, mentre al momento ne produciamo 5 milioni. Forse si riferisce agli ospedali, alle case di riposo o strutture socio-sanitarie. Il motivo è semplice. Basta pensare che siamo sessanta milioni e gli occupati, se non ricordo male, circa venti milioni. Dunque per questi servono ne servono altrettanti tutti i giorni per rispettare le regole di sicurezza sanitaria sul posto di lavoro. Poi ci sono i restanti italiani. Non la useranno tutti i giorni ma ne devono avere una per quando escono. Sembra che non esista l’obbligo quando si sta all’aria aperta ma le persone escono per correre o fare la passeggiata? Cosa fa: la mette dal tabaccaio e poi la toglie? Comunque serve.

Le mascherine in maggioranza del tipo monouso ovvero dopo l’utilizzo si dovrebbero gettare. Ammesso che non lo faccia, devo sanificarle come quelle lavabili. Serve l’alcol ma questo è scomparso dagli scaffali da oltre due mesi come i guanti, i gel igienizzanti, che si trovano a singhiozzo, e l’amuchina. Domanda: hanno smesso di produrli oppure c’è dietro un disegno? Ovviamente spero di no ma che la produzione sia indirizzata alle strutture sanitarie.

Infine ultimo sassolino. Si vocifera che le mascherine non dovranno costare più di novanta centesimi. Visto che per cinquanta pezzi ho speso 25€ ovvero 50 centesimo al pezzo spedizione e tasse comprese mi domando perché si fa la cresta di quaranta centesimi? Non voglio pensare male ma che sia l’effetto della produzione nostrana.

Lascio alcuni link per chi volesse leggere qualcosa in più.

Articolo

https://www.repubblica.it/tecnologia/2020/04/22/news/coronavirus_sull_app_immuni_si_sa_troppo_poco_ecco_perche_temiamo_-254703493/?ref=RHPPLF-BH-I254707704-C8-P11-S2.4-T1

“Immuni”, un aggiornamento sull’aggiornamento

https://www.interlex.it/privacyesicurezza/covid19-8.html

I molti dubbi sull’app italiana per il contact tracing

https://www.interlex.it/privacyesicurezza/covid19-7.html

“Immuni”, la soluzione proposta è a rischio privacy?

https://www.interlex.it/privacyesicurezza/gelpi28.html

Un aggiornamento sull’applicazione di contact tracing digitale per l’emergenza coronavirus

https://innovazione.gov.it/un-aggiornamento-sull-applicazione-di-contact-tracing-digitale-per-l-emergenza-coronavirus/

Una gradita sorpresa…

Claudine Giovannoni una brava scrittrice del Canton Ticino ha scritto questo pezzo su La kitsune.

Non mi aspettavo parole così lusinghiere.

Premetto che da sempre nutro una forte connessione con il Giappone, quando ho letto il titolo di questo romanzo, evidentemente, sono subito stata estremamente incuriosita.
Conosco diverse leggende giapponesi, apprese durante i diversi viaggi che ho fatto tra Tokyo, Osaka, e Kyoto. Devo poi anche ammettere che mia figlia colleziona “manga” e “anime” e ha tutti gli animēshon di Hayao Miyazaki, che sono anche i miei favoriti.
La leggenda della Kitsune no yomeiri (Volpe a nove code) è conosciuta anche fuori dal Giappone; alla Kitsune si attribuisce grande furbizia e intelligenza, nonché la facoltà di prendere sembianze umane per ingannare le persone (in sostanza ella è una mutaforma).
Il romanzo di Marcolongo richiama spunti da un’antica leggenda scritta dal monaco Kyoukai tra il VIII / IX secolo, ma l’autore vi inserisce altri particolari con abilità ed un forte suspense, impronta tipica del suo stile.
Nel bel racconto, ritroviamo un parallelismo tra un’intensa storia d’amore risalente al 1999 tra Klaus e Amanda e quella del 2009/2010 tra Pietro ed Elisa. Mentre le introspezioni di Pietro, a volte, ci distolgono dalla trama facendoci però comprendere ancora meglio il carattere del protagonista….

prosegue

Parole che mi riempiono di gioia e soddisfazione.

Grazie Claudine

Mentre scrivevo questo Elena di non solo campagna ha pubblicato su Amazon questo commento su Amanda, in un certo senso lìideale continuazione di La kitsune.

Chi dice che gli elfi non esistono? Finché ci saranno i boschi anche le loro creature fantastiche continueranno a esistere. Questa è una bella storia fantastica che fa da sfondo a una delicata e lunga storia d’amore tra i protagonisti, che va oltre la lontananza e la morte. Amanda è il frutto di questo amore, metà elfa e metà umana, che alla fine riuscirà a far pace con le sue due nature e a riunire la sua famiglia estesa.

Due graditissime sorprese.

Grazie Elena.

Deluso? No.

foto tratta dal web

La promozione lancio di Un paese rinasce è terminata ieri sera alle  23 e 59. È andata meno bene del preventivato ma va bene così. Non faccio come la famosa volpe e l’uva ma non mi aspettavo grandi numeri, anche se in cuor mio sì, e così è stato.

Però in questi tempi di bulimia letteraria complice la quarantena del virus diventava difficile convincere qualcuno a leggere gratis un testo.

Dunque ringrazio quei volenterosi che hanno eseguito il download e mi auguro che possa piacere il testo.

Copertina di un Paese rinasce

memo

Ricordo a chi fosse sfuggito che Un paese rinasce

Copertina di un Paese rinasce

è in promozione ancora per poche ore fino alle 23 e 59 di oggi.

Non perdete l’occasione di scaricarlo e leggerlo.

Buona domenica

Dal diario di uno scrittore – estate 1972

Avevo scelto di lasciare un porto sicuro per avventurarmi in un mare ignoto, del quale non conoscevo i potenziali pericoli. Però mi dicevo: “Devo inseguire i miei sogni e cercare nuove esperienze. Se non adesso, quando?” Sì, perché ero un giovane di belle speranze che credeva in se stesso e negli ideali coi quali era cresciuto.

Dunque pieno di entusiasmo irresponsabile mi ero gettato tutte le paure dietro le spalle e avevo deciso di accettare un nuovo lavoro in una grande città. Conoscevo bene quello che stavo lasciando ma in ugual misura ignoravo quello che mi avrebbe aspettato.

“E poi se non si rischia che vita posso attendermi nel futuro?” mi dissi nell’affrontare questo cambiamento radicale nelle abitudini e nelle conoscenze. Tutto era novità, tutto era incognito: dai nuovi colleghi di lavoro alla metropoli con la fama di tritapersone.

Così cominciai una vita di pendolare tra Ferrara e Milano. Il lunedì mattina all’alba prendevo il treno dei lavoratori fino a Bologna e da lì l’Intercity per Milano. Al venerdì facevo l’operazione inversa. Una vita che non mi piaceva ma non potevo fare altrimenti. Finché non c’erano delle certezze, non potevo tramutare quella vita randagia, fatta di treni pieni e perennemente in ritardo in una più regolare senza la necessità degli spostamenti settimanali.

Quei viaggi snervanti e inconcludenti mi permettevano di osservare una moltitudine di persone molto diverse tra loro e con le quali condividevo questi spostamenti. La maggior parte all’andata la raccoglievo tra Piacenza e Milano, mentre altri salivano e scendevano in Emilia. Erano rari quelli che salivano a Bologna per raggiungere Milano. Nonostante le facce fossero sempre le stesse, era per me un mondo sconosciuto da esplorare e comprendere. Il tempo non mi mancava. In realtà era l’unica cosa della quale ce ne era in abbondanza.

Mi domandavo con un pizzico di curiosità, mentre li osservavo: ”Chissà cosa pensano di me, ammesso che se ne siano accorti”. Mi piaceva quel fantasticare su di loro, quel pormi delle domande e formulare le relative risposte, essendo conscio che mai avrebbero trovato repliche esaustive e certe. Però mi serviva per far trascorrere il tempo perché altrimenti sarebbe stato lungo e noioso.

Era stupefacente come fossero ripetitivi, grigi e senza fantasia. Il lunedì mattina gli uomini parlavano solo di rigori non concessi, di arbitri venduti, di gol fantasma. Le ragazze della gita fuori porta col moroso, della lite da comare con la pseudo amica, che tentava di soffiare il ragazzo. Le donne erano più silenziose, assonnate e stanche e leggevano Grazia o Intimità senza partecipare troppo alla varie discussioni. Era una costante. Ormai sapevo tutto di loro. Bastava origliare i loro discorsi.

Ascoltarli, vedere le loro facce ingrigite e senza sorriso mi permetteva di analizzare se questo vivere aveva un senso. Intuivo e comprendevo che un’esistenza da pendolare era squallida, rafforzando la volontà di diventare uno stanziale.

Però non era questo di cui volevo parlare. “Di loro ne parlerò un’altra volta, se ne avrò tempo e se voi avrete voglia di leggermi”.

Per accorciare il tempo del viaggio, tra uno scossone e un altro, tra una fermata normale e una straordinaria in mezzo alla campagna, viaggiavo accompagnato da un libro, che mi faceva da tutore e compagno di strada. Ero un gran divoratore di carta stampata, della quale mi piaceva odorare il profumo, udire il fruscio delle pagine sotto le dita. Col tomo ben in vista leggevo e ascoltavo, memorizzando entrambe le informazioni.

“Vedo già il sorrisino di compatimento sulle vostre labbra. Ebbene non so come facevo. Eppure è la pura verità. Oggi non ci riesco più ma allora ci riuscivo benissimo. Ricordo un corso, dove in un test si doveva scorgere in un groviglio di segni un’immagine. Si dà il caso che io ne vedevo due contemporaneamente con grande sorpresa del docente”.

Così mi venne l’insana voglia di scrivere un romanzo. Non mi ero mai cimentato in questa prova, limitando le mie ambizioni letterarie alla poesia come un emulo di novello Leopardi. Quando ero al liceo, mentre osservavo dalla finestra il resto dell’antico campanile della vicina chiesa, avevo sognato di trasformarmi in un poeta riverito e coccolato da tutti. Erano sogni giovanili, perché nessun poeta, per quanto famoso, aveva fatto fortuna. Allora non lo sapevo ma mi serviva per fantasticare onorificenze e gloria a gogò, riverito e ammirato da tutti. Così come un poetastro della domenica scrivevo compulsivamente poesie, che avevo l’ardire di donare alle mie presunte fiamme. Poi i sacri furori giovanili si erano assopiti, mentre mi era rimasto il gusto di leggere.

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«Lo scoiattolo si svegliò di soprassalto nel cuore della notte… Cos’è il dopo?, pensava. Ne aveva parlato una volta alla formica, ma lei aveva alzato le spalle e aveva detto di non aver mai sentito parlare del dopo e che perciò non doveva essere niente… Ma allo scoiattolo questo non bastava. La gazza gli aveva detto una volta che dopo era il contrario di prima, ma allora che cos’era prima?»i.

“Che bel incipit!” mi dissi, mentre leggevo le prime righe di questo straordinario libro dello scrittore olandese Toon Tellegen. Un emulo moderno di Esopo aveva raccolto in questo voluminoso libro ben trecento storie di animali del bosco che vivevano di luce propria come persone uniche e soprattutto umane.

I protagonisti erano loro, gli abitanti del bosco letterario di Tellegen. In una selva illuminata da sorrisi compiacenti e da feste di compleanno ognuno di questi speciali animali poteva trovare quello che gli piaceva dalla torta ai canditi.

Le loro storie erano un mix di aspetti che quotidianamente percepiamo. Un inno all’amicizia, alla curiosità, all’avventura e allo stesso tempo all’ozio ma piene di passioni e contraddizioni risolte con soave intelligenza, anche quando erano le più angoscianti.

Affascinato dai loro racconti, dai dialoghi o pensieri che più che animaleschi parevano un summa di buon senso, decisi che la mia strada sarebbe stata quello dello scrittore.

“Altro sogno o realtà?” mi domandai curioso come lo scoiattolo di Tellegen, protagonista della prima storia.

Un lunedì mattina di luglio armato di un blocco e di penna stilografica cominciai a elaborare il plot del futuro romanzo che mi avrebbe consegnato ai posteri come lo Scrittore, che avrebbe goduto di fama imperitura. Ovviamente erano solo fantasie ma l’immaginazione non mi mancava e l’ego di smisurata superbia nemmeno.

“Come comincio?” fu la prima domanda alla quale non riuscivo a dare un buona risposta. Tutto pareva banale ma erano le idee che mancavano o forse la spinta decisa e solerte di parole per avviare un discorso qualsiasi.

“Pessimo inizio. Tanto entusiasmo ma risultati deludenti” conclusi amaramente arrivato a metà tragitto tra Bologna e Milano.

Il blocco rimaneva vergine e la stilografica chiusa. Aprì nuovamente il libro di Tellegen e trovai finalmente l’ispirazione.

«Non passava giorno che lo scoiattolo se ne andasse in giro. Al mattino si lasciava cadere sul muschio giù dal faggio, oppure, a volte, dalla punta di un ramo finiva nello stagno proprio sul dorso di una libellula, che poi senza fiatare lo portava sull’altra riva. Prendeva sempre la prima strada che gli si parava davanti. Ma se poi gli capitava un viottolo laterale lo imboccava, e se gli riusciva di scordarsi dei progetti che aveva per la giornata, se li scordava. Così un giorno stava andando dall’elefante, che traslocava e aveva bisogno di aiuto, quand’ecco che vide un sentiero sabbioso tutto pieno di curve. Lo prese. C’era un cartello che diceva: STRADA VERSO IL LIMITE. E’ lì che voglio andare!, pensò lo scoiattolo. Ma con grande dispiacere incontrò subito un’altra deviazione…»

“Ecco quello che ci vuole!” riflettei, mentre osservavo una ragazza, che l’amica chiamava Laura. “Ecco la mia protagonista!” Come se mi fossi svegliato di botto dopo un lungo sonno senza immagini, avevo scoperto la scintilla che avrebbe fatto di me lo Scrittore.

Però non potevo scopiazzare qualcosa che non avevo scritto io, anche se avrei potuto mettere un avvertenza di chi era la paternità di quello in corsivo.

“No, no. Meglio usare l’idea e scrivere un qualcosa di mio”. Così cominciai a riempire le pagine con la mia scrittura rotonda e precisa. Il sogno di scrivere qualcosa diventava realtà e il romanzo “Non passava giorno …” pure.

Non passava giorno che lo scoiattolo se ne andasse in giro allegro e spensierato per il bosco con la sua grande coda imponente, della quale era molto orgoglioso. Era un tipetto strano e pieno di risorse ma totalmente imprevedibile. Al mattino capitava sovente di lasciarsi cadere sul morbido muschio ai piedi dell’abete preferito, rimbalzando per la gioia con una grande capriola. Ma se era ispirato dalla natura, volava dalla punta di un ramo per finire nel torrente, che scorreva allegro nel bosco. Però non cadeva nell’acqua ma sul dorso di una libellula, che passava casualmente di lì e che lo traghettava sull’altra riva. Quando incontrava una strada, prendeva sempre la prima che vedeva senza pensarci su due volte. Se poi incrociava un sentiero laterale lo infilava, e se aveva dei progetti per la giornata, se li scordava regolarmente. Ma nulla poteva modificare il suo carattere allegro e giovale, pronto a dare il suo aiuto senza secondi fini nascosti. Così una mattina di buon ora stava andando dall’orso bruno, che traslocava dalla sua tana e aveva chiesto aiuto alla comunità del bosco, quando vide un sentiero ancora umido per la rugiada della notte che serpeggiava tra abeti e faggi, naturalmente lo prese senza esitazioni. All’imbocco c’era un cartello un po’ scolorito che diceva: STRADA VERSO …. E nient’altro. ‘E’ lì che devo andare!, pensò lo scoiattolo tutto allegro, ma con grande rammarico dopo pochi saltelli incontrò un’altra deviazione…”

Laura leggeva l’inizio della favola, che aveva scritto tanti anni prima, quando aveva sedici anni.

Era una mattina fredda, ma serena e soleggiata di marzo, quando salì nel sottotetto alla ricerca del vestito rosso dismesso alcuni anni prima. Non sapeva nemmeno lei perché aveva intrapreso quella ricerca tanto stramba quanto insolita, ma forse voleva semplicemente ingannare se stessa, perché ne conosceva perfettamente il motivo…

Ormai avevo scatenato la mia fantasia e difficilmente mi sarei fermato. Il treno era in movimento non solo realisticamente, come potevo percepire dal rollio meccanico del vagone ma anche metaforicamente attraverso la mia scrittura. E continuai a scrivere, viaggio dopo viaggio finché non arrivai alla parola fine.

“Ora che sono arrivato in fondo che me ne faccio di tutta questa carta?” mi domandai, mentre lo rileggevo durante un viaggio di ritorno nell’ottobre dello stesso anno.

“Cosa si fa? Si manda all’editore che ti fa firmare un sontuoso contratto e il gioco è fatto! Tu sei il nuovo scrittore emergente che diventerà il caso letterario dell’anno!”

Ancora fantasia e mancanza di umiltà. Magari fosse stato così semplice. In realtà trovare un editore disposto a investire su di te non era facile come entrare in un bar per un caffè.

Tanti cortesi rifiuti: «Il suo manoscritto non interessa la nostra linea editoriale» era la risposta più garbata ma c’era anche di peggio. Ormai deluso e disilluso di scovare un editore, un giorno ricevetti una lettera da una casa editrice, Orsobianco Edizioni, che si mostrava disponibile a pubblicare il romanzo. Nessun anticipo ma la miseria di qualche liretta per ogni libro venduto, ammesso ma non garantito che fossi riuscito a vendere qualcosa.

“Meglio questo che niente” mi dicevo mentre firmavo il contratto con questa casa editrice.

Così iniziò l’avventura di questo romanzo.

iToon Tellegen – “Lettere dal bosco” Donzelli Editore . Trad. Davide Santoro – 2007 Ho commesso un falso storico anticipando l’uscita trentacinque anni prima. Solo per finzione letteraria.

Un paese rinasce – nuova edizione

Copertina di un Paese rinasce

Non faccio un torto a nessuno. Il romanzo non è stato acquistato da nessuno.

Pubblicato nel 2016 e ripreso in queste settimane, ho notato diversi refusi e qualche ripetizione, decidendo di operare una revisione. Alla fine ho eliminato una ventina di pagine e circa ventimila battute. Probabilmente ci sarebbe da tagliare ancora qualcosa ma per il momento basta questo.

Di cosa parla il testo? Nessun spoiler né sinossi accorciata: solo qualche dettaglio.

Nel settembre del 2009 un gruppo di dieci ragazzi pensano a un progetto che avrebbe messo ansia a chiunque: adottare un paese fantasma, uno dei diecimila esistenti in Italia, e farlo rinascere. Ci riescono nonostante tutto tra difficoltà, amori e litigi.

Il paese esiste veramente e si trova nell’alta valle del Santerno tra Romagna e Toscana.

Foto tratta dal web

Ho pensato di offrire in download gratuito dalle ore 0:00 del 18 aprile alle ore 23:59 del 19 aprile sugli store di Amazon, Smashwords e Kobo.

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copertina del cartaceo