Per chi suona la campana

Puzzone e il sottomura

Sui giornali della finanza spiccano alcuni articoli che parlano delle strepitose performance di due blue chip italiane: Enel e Eni ma anche di diverse multiutility, come Hera tanto per fare un nome.

Mentre le famiglie italiane pagano bollette energetiche di tutto rispetto, mentre gli automobilisti italiani vedono schizzare verso l’alto il prezzo dei carburanti, mentre il governa è costretto a iniettare nelle famiglie più bisognose milioni di euro o tagliare accise, queste società si fanno le budella d’oro con ricavi da favola. Enel incrementa del 85% i suoi ricavi, Eni raggiunge la stratosferica cifra di 7 miliardi di utili, per le multiutility non ho cifre esatte ma si parla di numeri consistenti. È vero che queste trimestrali sono a uso borsa per obblighi di legge, ma di certo alla chiusura dei bilanci societari usciranno numeri importanti.

Credo che molti noi si chiederanno perché loro guadagnano cifre da favola pur non avendo giacimenti da amministrare. La spiegazione c’è. Queste aziende stipulano contratti oggi per consegna tra svariati mesi della materia prima – gas, petrolio, energia elettrica. I prezzi sono basati sui valori di mercato al momento della stipula del contratto. Quindi se al momento della consegna il prezzo è salito, è come se avessero avuto uno sconto più o meno grande a seconda della forbice. Viceversa se calano, pagano una maggiorazione sul prezzo pattuito. Però i prezzi al dettaglio, quelli che noi paghiamo in bolletta o alla pompa, tengono conto di quelli del mercato all’ingrosso del momento. Da qui si evince che lo sconto crea guadagno, la maggiorazione perdita.

Questi ricavi apparsi sulle trimestrali di queste società sono il frutto di contratti stipulati quando i prezzi della materia prima erano molto più bassi, mentre noi consumatori paghiamo la loro crescita.

Sembra che da ottobre prossimo cambi il metodo di determinazione del prezzo della materia prima in modo più favorevole per il consumatore. Se questo sarà vero, lo verificheremo ma poiché nessuno protesta sento puzza di bruciato. Nel frattempo le loro casse si riempono di dobloni d’oro pagati con le nostre tasche.

nuova puntata del racconto Krimhilde

Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la ventiquattresima puntata di Krimhilde e le fanciulle scomparse, che potete leggere anche qui.

Un caso per tre

Il drago Michele si siede sulla poltroncina di pelle di leopardo delle nevi. Non capisce cosa stia succedendo. Si credevano invulnerabili e si scoprono esposti ai colpi di due persone a cui non darebbe credito nemmeno il più sprovveduto degli ingenui.

La strega Ampfel si lamenta perché l’olio di maleleuca sta terminando i suoi effetti. Stringe le labbra e aggrotta la fronte. A questo ci penserà dopo.

«Almeno hanno quattro potenti amuleti» ricapitola con una smorfia delle labbra. «Ma… Allungami il dizionario delle erbe della megera rossa».

Lo apre a metà dove ci sono inserite delle erbe ormai secche e scorre il testo con un dito tra una contorsione del viso e un grugnito di dolore.

«No. Non è questa» e lo chiude con violenza.

Stringe gli occhi per concentrarsi e dominare le fitte che il veleno le procura. “Le regine della Terra di Mezzo non hanno mai tollerato le streghe o chi usa le arti magiche anche a fin di bene. Sono state tutte bruciate vive. Da secoli sono scomparse e le superstiti si sono rifugiate tra le montagne innevate”.

Scuote la testa perché vorrebbe dire che qualche megera ha tramandato alle generazioni future i suoi segreti, sfuggendo alle ire delle regine.

«No!»

Il drago Michele la osserva stupito. Parla da sola, fa smorfie di ogni tipo, smania e pronuncia frasi che lui non comprende.

«No che cosa?»

«Chiama l’apprendista strega. Che venga subito con olio di maleleuca e tisane bollenti. E muoviti».

Come se avesse origliato, Rotapfel arriva con quanto richiesto prima ancora che il drago Michele l’avesse chiamata. In silenzio porge la tisaniera con una tazza a forma di uncino su cui sta un coperchio a forma di mano. Poi con energia strofina l’olio sulle piaghe che non sembrano rimarginare.

Si sente già meglio e i dolori si attenuano. È pronta a riprendere il filo del discorso.

«Ti devi mettere in contatto con Grumhilde…».

«Grumhilde?» Il drago Michele comprende che anche tra loro ci sono molti misteri e non solo nel Castello della Terra di Mezzo.

La strega Ampfel ignora l’interruzione e fornisce tutte le istruzioni al drago Michele che deve svolgere il giorno seguente.

È sera e avverte tutta la stanchezza che ha accumulato nella giornata. Si fa preparare il letto e lo congeda.

***

Markus e Baldegunde vorrebbero porre molti quesiti ma al primo timido tentativo è stato posto loro il silenzio.

«A tavola si mangia ma non si fanno domande. Si può chiacchierare in modo pacato senza disturbare gli altri. Ci sarà tempo al termine di porre gli interrogativi che sorgono».

È stata perentoria nell’affermazione mettendoli a tacere. Gli altri commensali hanno sorriso e bisbigliato qualcosa che gli umani non hanno percepito.

Markus mangia con calma le ottime portate ma continua a riflettere chi sono queste anime immortali che vivono tra i monti innevati. Non ricorda di aver letto nulla o ascoltato qualcosa su di loro. “È vero che non ho letto molto. Sarebbe proibito ma con la scusa dei mobili e delle loro riparazioni ha goduto di una certa libertà nella biblioteca”.

«Non pensare, mangia!» La solita voce femminile lo redarguisce.

Lui sobbalza come un bambino colto in fallo. “Dunque sanno pure leggere le menti oltre a essere invisibili”. Rimpiange di aver lasciato in camera i fiori variopinti e di non essere in grado di schermarsi contro queste intrusioni.

«Non saresti stato in grado di leggere nei nostri pensieri, né proteggerti».

«Vero! Ma sarei stato capace di schermarmi» rimbecca punto nel vivo.

Baldegunde sgrana gli occhi nell’ascoltare questo dialogo al limite del surreale. Ascolta il compagno parlare ma non sente nulla dell’interlocutore. “Markus non è impazzito. Non parla da solo ma con qualcuno che non vedo né sento”.

Si sente esclusa, trascurata. Il compagno parla con qualcuno che lei non riesce a contattare. È la prima volta che la taglia fuori dai suoi discorsi. Il dialogo si fa più serrato e fatica a comprendere il senso del discorso. L’unica certezza che ha acquisito prestando attenzione, è che l’altra persona è di sesso femminile.

«Scendiamo in giardino a prendere il dessert».

È una voce femminile gradevole da ascoltare. “Forse è la stessa che sta parlando con Markus” e la gelosia cresce.

«Andiamo» dice la voce e prende sottobraccio Markus.

Lui però ha visto lo sguardo feroce di Baldegunde e il viso imporporato per la gelosia montante. Si divincola e abbraccia la compagna. “Abbiamo una missione da compiere” riflette avviandosi a uscire dalla sala.

«Sciocco» e sente anche una risata di scherno.

«Con chi parlavi con tanto fervore» chiede Baldegunde con tono stridulo, scoprendosi gelosa di una persona incorporea.

«Una voce senza volto e senza nome».

La bacia per suggellare la pace.

Un giardino, che pare il mitico Eden dei racconti del focolare, appare ai loro occhi.

«Le vostre poltrone sono qui, accanto al roseto».

Markus sospira per il sollievo, perché sono una accanto all’altra e le può tenere la mano.

«Sciocco!»

Di nuovo la voce lo schernisce ma lui sorride e alza le spalle. Ha capito che Baldegunde non percepisce le parole che giungono alla sua mente.

«È giunto il momento di spiegare chi siete e perché ci aspettavate» esordisce con tono deciso Markus, che tiene la mano della compagna.

Una breve risata precede le parole. «Chi siamo? Le anime che proteggono questo sentiero e i viandanti che lo percorrono».

Baldegunde è rimasta in silenzio, sentendo scemare l’adrenalina della gelosia. «Ma tutti lo possono percorrere?»

«Noooo!» È il coro che le risponde. «Solo le persone elette possono accedervi».

Markus e Baldegunde si guardano negli occhi inarcando le sopracciglia. «Noi persone elette?»

«Sì. Avete un compito da svolgere».

«Liberare le cinque fanciulle rapite e tenute prigioniere?» chiede Baldegunde sconcertata.

Il silenzio cala nel giardino. Sembra che siano rimasti solo loro due.

«Buona notte» augura la voce femminile.

Markus e Baldegunde si ritrovano seduti in poltrona in una saletta interna.

«Troppi misteri. Andiamo a coricarci. Domani ci aspetta la Prigione del Tempo Perduto».

Nuova puntata su Caffè Letterario

Su Caffè Letterario è stato pubblicato la puntata ventitré di Krimhilde e le fanciulle scomparse. Per i pigri la riporto anche qui.

Un caso per tre

Markus osserva con interesse professionale la stanza. Legni pregiati di cui ne ha sentito solo parlare ma mai visti e di cui ignora il nome esatto, disegni di alta classe usciti dalle menti più creative della Terra di Mezzo. Sfiora con le mani un comò nell’angolo sinistro della stanza da letto dalle linee semplici. Una forma pulita senza fronzoli pretenziosi e con le maniglie di avorio giallo che rappresentano una mano chiusa a pugno. Apre il cassetto in alto e strabuzza gli occhi. Una serie di camice di lino mediano azzurre, bianche, a righe larghe o strette sono riposte con cura. Controlla e rimane a bocca aperta. Sono la sua taglia. Sembrano fatte su misura per lui. Dall’armadio sceglie un vestito di lana pettinata che si intona perfettamente con la camicia a righe larghe bianca e azzurra.

Si sta ammirando davanti allo specchio interno dell’anta quando sente la voce di Baldegunde che lo riporta sulla terra. «Non sei ancora pronto? Tra cinque minuti ci aspettano da basso».

Markus si gira e apre la bocca per la sorpresa. Nessuna parola esce dalle sue labbra. Gli occhi sfavillano osservandola. “Se non sapessi chi è, non l’avrei riconosciuta”.

«Non fare il buffone!» lo rimbrotta sapendo che il suo abbigliamento avrebbe generato stupore. «Non hai mai visto una donna?»

Un abito di organza rosa con la blusa blu tutta sbuffi e aderente al corpo mette in evidenza le forme di Baldegunde. Markus l’ha vista sempre infagottata nei vestiti di ordinanza anonimi e scialbi, dai colori smorti come il grigio, il verde sbiadito o il viola. Lui li ha sempre definiti come sacchi di patate indossati da una donna fatta uomo. Il seno che può ammirare, quando nel letto la stringe a sé, rimane nascosto dalle camice di tela grezza ampie e informi che coprono anche i fianchi ben modellati. Non migliora l’aspetto nemmeno quando indossa le uniforme di gala ugualmente sgraziate che occultano l’essenza di donna. Adesso la può apprezzare in tutto il suo fascino femminile.

Fischia per l’ammirazione verso la compagna che ride soddisfatta. Poi lo prende sottobraccio e raggiungono la sala al piano terra.

Markus osserva la disposizione delle stanze che non ricorda che fossero così al loro ingresso. Gli sembra di essere immerso in caleidoscopio che modifica le immagini a ogni giro.

Baldegunde lo spinge dentro un enorme salone nel cui centro sta una lunga tavola. «Uno, due, tre…» conta i posti e strabuzza gli occhi. «Tanti commensali?»

Una tovaglia di broccato rosso con disegni in oro è stesa sotto piatti e posate di argento che brillano illuminate dalle candele poste sulle pareti. Bicchieri e calici di cristallo colorato sono disposti davanti alle stoviglie.

Baldegunde è affascinata da simile opulenza e tiene la bocca aperta per lo stupore. Adesso è Markus a ridere per lo sguardo incantato della compagna di fronte alla meraviglia della preparazione della tavola.

Si avvicina e legge i segnaposti ‘Brunhilde, Andrea, Sofia, Gwendolin,…’ Ai due estremi del tavolo scopre che la mano che sorregge il biglietto reca i loro nomi. «Tu sei là» e indica il posto da capotavola. «E io qua».

«Sedetevi. Tra pochi minuti arrivano le portate. Mancavate solo voi».

Una voce cristallina e giovanile fa sobbalzare Baldegunde che si guarda intorno poiché non vede nessuno degli altri commensali.

«Non ti preoccupare Baldegunde. Noi ti vediamo ma tu non puoi vedere noi».

Le sorprese non sembrano finire mai.

***

La notte è passata e dalla fessura nel soffitto della caverna filtra un pallido raggio di luce.

Nessuna delle cinque fanciulle è riuscita a dormire. Si sono lamentate, si sono chiamate l’un l’altra, hanno pianto in modo disperato.

Un nuovo giorno sta cominciando senza nessuna certezza che qualcuno venga o a liberarle o a portare qualcosa da mangiare.

Gislinde si lamenta perché secondo lei è da una vita che si trova prigioniera lì.

«Ma no!» La corregge Agnete. «È passata solo una settimana».

«Come fai a saperlo?» Rimbecca Reinhilde, perché secondo lei il tempo si è fermato.

Aglaja sorride in silenzio mentre col dito scorre sul legno a contare le tacche. “Io sono qui da nove giorni e sono stata l’ultima”. Tace per evitare che le compagne siano colte da angoscia e paura. “La tensione si è stemperata con questa vivace discussione sul tempo della prigionia e non la voglio incrinare”.

Il suo stomaco vuoto brontola perché reclama cibo. Deve pazientare e sperare che la loro carceriera passi. Se nei giorni precedenti faceva la preziosa col cibo, piluccando qua e là qualcosa, nella giornata odierna mangerebbe qualsiasi cosa di commestibile.

Adelinde, che passava le sue giornate in posizione fetale, parlando il minimo indispensabile, adesso sembra aver perso l’uso delle parole. Ascolta il chiacchiericcio delle compagne ma non memorizza nella mente nulla. È come se fosse sorda.

Parlando tra loro riescono in un qualche modo dimenticare che sono da due giorni senza cibo.

«Sta arrivando!» urla Reinhilde che è la più prossima all’ingresso.

«Chi?» Adelinde sembra aver riacquistato l’uso della parola.

«Lei!» Conferma Reinhilde che per la prima volta è felice per l’arrivo della carceriera. Ha sentito il passo pesante dello stallone delle nevi che annuncia il suo avvento.

Senza proferire una parola porta cibo e indumenti freschi. Si sbriga veloce come se avesse un appuntamento urgente. Vuole evitare di dover dare spiegazioni sulla mancata venuta del giorno precedente e per farsi perdonare ha portato razioni abbondanti. Poi frettolosa se ne va senza salutare.

Le fanciulle si gettano sulle porzioni con voracità, ignorando il comportamento sbrigativo della carceriera. Nessuna parla. Non ne hanno tempo perché devono placare la fame.

«Oggi la cuoca per farsi perdonare ha proposto piatti più gustosi». Gislinde si umetta le labbra per cogliere tutti i residui del cibo.

«Forse la fame ti ha fatto apprezzare lo stufato di montone nero duro come un sasso» replica divertita Agnete tutt’altro che soddisfatta del pranzo.

«Meglio le patate nere lessate e insipide che il nulla. Non facciamo troppo le schizzinose, perché ieri avremo mangiato qualsiasi cosa per la fame. E oggi pure ma troviamo tanti difetti alle porzioni ricevute».

Aglaja ride nel sentire le chiacchiere delle compagne. “Sarebbe andato bene qualsiasi cosa, purché fosse commestibile” e col dito pulisce la scodella, perché ha finito tutto il pane nero al timo di montagna. “E stasera?” Alza le spalle: pulirà la scodella con la lingua e il dito.

Reinhilde, rimasta in silenzio fino a quel momento, trova stucchevoli tutte quelle lamentele. “Il cibo non è stato mai all’altezza della mensa del Castello. Che a dire il vero era modesta. Però oggi era buonissimo!”

Anche Adelinde ha trovato che nella giornata odierna tutto era gustoso. “È inutile fare le difficili. Piuttosto che rimanere anche oggi a pancia vuota, va bene tutto”.

Finito il pranzo è il momento del cambio dei vestiti e dell’intimo che dopo quattro giorni emana un afrore non proprio gradevole. Soliti gridolini e imprecazioni per la ruvidezza dei tessuti salgono dalle varie celle. L’atmosfera è mutata rispetto al risveglio. Allegra e vivace. Per qualche ora dimenticano la loro condizione di prigioniere.

Compagnia per l’estate – 4 – Guarda il disegno

Questo martedì metto a dura prova la vostra fantasia. Vedete il disegno sottostante? Ebbene provate a costruire un miniracconto usando solo 400 parole. Un bel passo in avanti rispetto alle 200 dei martedì precedenti.

Ecco quello che ho creato io.

Andrea si fermò davanti al disegno. Non gli suggeriva nulla.

«Ho pagato quindici euro per vedere dei disegni che un bambino fa meglio?» borbottò, accennando un passo in avanti per osservare il prossimo.

Alice sorrise. “Il mio compagno non capisce l’arte moderna”. Socchiuse gli occhi per coglierne l’essenza. Il tratto minimale traboccava una espressione felice. Una donna? No, una ragazza dai capelli lunghi che ride. Una come me, positiva e solare. Alice lasciò correre avanti Andrea che mugugnava indispettito. Per lui entrare in una galleria o vedere una mostra d’arte era una sofferenza. “Preferisce donare un litro di sangue piuttosto che frequentare questi posti, asettici, climatizzati e immersi nella penombra”.

Sorrise. Adorava visitare mostre e musei. Ci avrebbe mangiato e dormito dentro pur di non staccarsi da essi.

Se avesse avuto libertà di scelta, si sarebbe laureata in una accademia d’arte. I genitori l’avevano costretta a diplomarsi maestra e laurearsi in lettere moderne. «Un titolo di studio vale più di essere un’artista senza futuro» avevano sentenziato. Adesso si ritrovava precaria in una scuola media di un paesino sperduto nella campagna emiliana. Venti ragazzi brufolosi ai quali leggere non piaceva, studiare ancora meno. Fare baldoria, quella sì che garbava molto. E poi sfottere Luciano, l’unico che non perdeva una battuta di quello che diceva durante l’ora di lezione. Scosse il capo, pensando a tutti gli scherzi atroci con i quali lo vessavano.

«Alice» urlò Andrea, incurante degli sguardi di biasimo degli altri visitatori. Stava profanando la sacralità del silenzio. «Ti sei innamorata di quello sgorbio?»

La ragazza arrossì. Si avviò all’uscita ma ci ripensò e lo affiancò. “Ma chi se ne frega se a lui non piacciono”. «Esci pure» sussurrò con un filo di voce. «Io finisco di vedere l’esposizione».

Andrea la guardò storto, socchiuse gli occhi, serrò le labbra. Inspirò aria e contò fino a dieci per calibrare le parole. Di primo acchito gli era venuta una battuta cattiva. “Tu rimani. Io prendo la macchina e me ne torno a casa. Tu arrangiati”. Poi pensò che non sarebbe stato corretto. Avevano fatto più di cento chilometri per vedere ‘Disegni d’avanguardia. 100 anni di collezioni private’. Non riusciva a immaginare come avesse potuto ritornare.

«Ti aspetto nel bar di fronte alla mostra» mormorò conciliante. «Però non farmi aspettare fino a domattina».

Alice lo baciò e disse: «Grazie. Non ci metterò molto». Poi ritornò sui suoi passi ad ammirare gli altri disegni.

Il tatuatore

Di norma non scrivo recensioni salvo qualche rara eccezione. Non le so scrivere e quindi preferisco evitare brutte figure.

Però in questa occasione faccio uno strappo alla regola. Ci provo ma ignoro i risultati.

Parlo del romanzo d’esordio di Alison Belsham ‘Il tatuatore’, pubblicato in Italia da Newton Compton Editori. Questo è il primo della trilogia relativa al tatuatore.

La scrittrice scrive in maniera piacevole, almeno nella versione italiana, e si legge in modo fluido senza doversi soffermare sulle frasi. A parte qualche errore direi che la traduzione è buona.

Di sicuro la scrittrice si è documentata sui tatuaggi e sulla concia della pelle e questo è un punto a suo favore.

Ha provato a usare un coro a quattro voci per raccontare la storia da queste quattro angolazioni che sono in definitiva anche i personaggi principali della storia. Però secondo me ha fallito perché il ritmo narrativo è lento e spezzettato, visto il genere, romanzo giallo ma su questo ci tornerò dopo, che richiede continuità d’azione e un ritmo sostenuto. Questo genere di narrazione può essere incisiva con altre tipologie di romanzi ma è poco efficace in questo caso.

La storia è semplice Marni Mullins di professione tatuatore s’imbatte in un cadavere e da lì comincia la sua collaborazione con l’ispettore Francis Sullivan, appena promosso e che incappa nel suo primo delitto da seguire. È giovane e ha scavalcato il sergente Rory Mackey più anziano di lui. Questo crea un dualismo legato al rancore di essersi visto superato da un pivello. Però alla fine accetta di collaborare alle indagini in modo leale.

Secondo le intenzioni della scrittrice dovrebbe trattarsi di un thriller poliziesco. In realtà secondo me è semplicemente un giallo un po’ stinto perché di thriller ha ben poco.

La scrittrice cerca di movimentare la storia con corse mozzafiato che mi lasciano perplesso come altri punti. Ad esempio il primo cadavere infilato in un cassonetto richiede uno sforzo fisico fuori del comune, ammesso che una persona riesca a farlo tutta da sola.

Altra pecca è la caratterizzazione dei personaggi che mi sembra debole, appena accennata, in particolare nel ladro di tatuaggi, ovvero quello che materialmente ha commesso gli omicidi.

Il finale è debole per due motivi. Il primo è chiarissimo come finirà. Quindi anche se tirato per le lunghe, il risultato è scontato. Non dico nulla per non fare dello spoiler. Il secondo è improbabile nelle sue sequenze.

In conclusione un onesto giallo senza particolari acuti, anzi alquanto banale. Qualcuno l’ha paragonato a Stieg Larsson. Un paragone del tutto irriverente rispetto a questo giallista svedese

Compagnia per l’estate – 3 – Il telefono

Come terzo esercizio vi propongo un oggetto del desiderio o di odio: il telefono. Però ho complicato un po’ le cose: un uomo o una donna o come volete voi osservano questo oggetto di amore/odio. Ognuno dei due (duecento parole per ciascuno) crea un pensiero che ha per tema appunto il telefono.

foto personale

Ecco il mio

Punto di vista di Hugo

“Guarda bene” disse Hugo.

“Perché?” fece Conchita, alzando gli occhi dal display. “Non vedo nulla”.

Hugo allargò le braccia, prima di abbassarle sui fianchi. Non c’era maniera di far capire a questa testa dura di donna, che il telefono è telefono.

Conchita lo guardò dispiaciuta ma quel rettangolo nero proprio non voleva parlare.

“Ascoltami, bene” riprese Hugo con pazienza. Ma poi si fermò. Era inutile per quanto si sforzasse. Aveva provato e riprovato ma Conchita continuava a trattare quell’oggetto come se fosse infetto.

Si avvicinò e sbirciò sopra le sue spalle.

“Pigia quel tasto, Conchita. Non vedi che è spento?”

Punto di vista Conchita

“Parla, parla” fece spazientita Conchita, agitando il telefono. “Hugo è inutile non vuole parlare”.

“Perché dovrebbe parlare?” chiese curioso il suo uomo.

Gli occhi della donna cercarono quelli di Hugo. Poi si abbassarono sul display. ‘Accidenti, è sempre buio’ pensò delusa Conchita. ‘Eppure…’.

Lo girò e lo rigirò ma il display era sempre nero. Si alzò, tenendo in mano l’oggetto del diavolo. Le avevano detto che avrebbe fatto tutto. Ma proprio tutto.

“Ho speso mille pesos” piagnucolò Conchita. “Mi hanno imbrogliata”.

Hugo si avvicinò con un sorriso ironico.

“Testona” fece l’uomo.

“Non offendermi!” replicò inviperita. “Mi hanno fregato mille pesos”.

 

Aggiungo l’esercizio di Luisa Zambrotta.

Lui

E’ tardi, ma la notte è fatta per i giovani, no? Lui sta passeggiando con gli amici, che, con una lattina di birra in mano ridono, schiamazzano e parlano allegramente delle loro conquiste. Tutti si vantano di aver avuto decine di donne, con cui hanno fatto cose indescrivibili
Lui è da anni che sta con Maria, non ha fatto mai cose indescrivibili, e questo, se gli amici ne venissero a conoscenza gli procurerebbe non pochi sfottò. Anzi, questa è l’ora in cui si sentono per mandarsi il solito bacio prima di dormire, ma ora no. Non può mettersi a parlare teneramente con lei davanti a loro.
Che fare? Mette la mano in tasca, dove tiene il cellulare, vi armeggia un po’ e lo spegne. Rischio evitato!
Sollevato, decide anche lui di vantarsi… di cosa? Qui serve la fantasia! Allora comincia a parlare di quella volta in cui si è trovato nel bel mezzo di un’orgia con tre donne eccitate tutte per lui.

 

Lei

Ma perché non ha telefonato? Lo abbiamo deciso assieme quando ci siamo promessi di chiamarci ogni notte, a mezzanotte. Lo diceva anche quella vecchia canzone “A mezzanotte sai che io ti penserò…”

Avevamo anche deciso che in caso di problemi ce lo saremmo comunicato in qualche modo, in anticipo, oppure avremmo sostituito la chiamata con un semplice sms. Ho controllato così tante volte, ma non è arrivato alcun messaggio.

Quando ho chiamato io, non ha risposto. E’ partita subito la segreteria. Che cosa sarà successo? Starà male? Avrà avuto un incidente?

Ho riprovato ancora e ancora.

Ma nulla. Che abbia trovato un’altra?

Potrei telefonare a casa sua … ma no, non posso: è così tardi e i suoi si impensierirebbero. Saranno sicuramente a letto, a quest’ora.

O Santa Rita, santa dei miracoli impossibili, aiutami tu: fa’ che pensi a me, fa’ che mi chiami!

Compagnia per l’estate – 2 – Citazione

Come secondo esercizio per tenervi svegli e attenti vi propongo una bella citazione col limite delle 200 parole

Le persone normali fanno avanzare il mondo, ma coloro che osano essere diversi ci guidano verso il domani (cit. Kyrien Irving, playmaker dei Nets)

Una notte magica San Giovanni

Questo è il mio.

«Le persone normali fanno avanzare il mondo, ma coloro che osano essere diversi ci guidano verso il domani» afferma risoluto Pietro.

«Non fare il buffone» lo redarguisce Sofia dandogli un buffetto sulla guancia.

Gli altri della tavolata ridacchiano e commentano sotto voce i suoi paroloni.

Pietro aggrotta la fronte. “Ecco chi sono i normali” e con lo sguardo torvo passa in rassegna chi gli sta di fronte. “Riccardo e Silvia… una coppia scoppiata che non osa separarsi. Poi quel Giorgio che nasconde la sua vera essenza sessuale. Puà!”

Si sente diverso e pronto a guidare il mondo ma lo considerano un po’ svitato compresa la compagna Sofia. “Devo fare un gesto eclatante. Ma quale?”

Si alza col bicchiere in mano e tutti fanno silenzio. Si guardano uno con l’altro alzando le spalle. Sono abituati ai suoi gesti teatrali, che talvolta sono divertenti. Sofia trattiene il respiro, osservandolo con trepidazione. Sa che è una testa calda ma le piace così.

«Attenzione!» Un colpo di tosse per sollecitarli a tacere. «Domani sposo Sofia».

E lei respira rumorosa.

Si aggiunge una nuova puntata

Su Caffè Letterario si aggiunge una nuova puntata di krimhile e le fanciulle scomparse e siamo a quota ventidue.

Per chi vuole la può leggere qui.

Oggi la loro carceriera non è passata come di consueto e le cinque fanciulle provano brividi di paura.

«Cosa sarà successo?» Si chiede Aglaja a voce alta, un po’ stridula per il timore di essere state abbandonate.

Le compagne di sventura rispondono con pensieri smozzicati inframmezzati da pianti.

«Non credo!» È la replica di Gislinde che passato il primo attimo di sgomento ha riacquistato la sicurezza nelle sue parole. «Siamo troppo importanti per essere abbandonate a una fine terribile».

Agnete domanda tra un singhiozzo e l’altro i motivi del loro rapimento.

«Lo ignoro» afferma in un momento di lucidità Adelinde.

Reinhilde rimasta in silenzio fino a quel momento si chiede a voce alta i motivi per cui loro rappresentano un patrimonio importante. «Aglaja, chi ti ha detto che siamo importanti e quindi non siamo state abbandonate?»

Aglaja abbozza un sorriso stentato, perché la compagna l’ha confusa. «Nessuno».

Gislinde stava per replicare ma la lascia parlare. “Tanto avrei data la medesima risposta”.

«E allora?» Incalza Reinhilde non paga della risposta.

Aglaja spiega che rapire cinque fanciulle illibate sotto gli occhi della regina Krimhilde rappresenta un grosso rischio per chiunque. Una vera sfida alla sua proverbiale collera, quando sono coinvolte delle figure femminili. «Facciamo parte di un piano misterioso ma di certo molto importante per i nostri rapitori. Siamo merce troppo preziosa per essere lasciata morire di inedia e stenti».

Le ore passano e non si vede nessuno. Qualcuna inizia a percepire i morsi della fame, perché nella giornata odierna hanno potuto mangiare solo i resti del giorno precedente. Domani sarà peggio se non arriverà nessuno.

Dalla fessura la luce diventa sempre più fievole fino a sparire del tutto. Nella giornata odierna è tutto diverso a cominciare dal mancato arrivo della carceriera. Poi le loro inquietudini per la sensazione di essere abbandonate a una morte atroce. Infine la nostalgia delle persone amate che rischiano di non vedere più.

Col buio l’angoscia cresce, mentre un’altra notte le aspetta con l’incognita di non vedere la nuova luce dalla fessura.

Aglaja ha perso la baldanza che fa parte del suo carattere e piange in silenzio. Non le piace mostrare la sua debolezza. Singhiozzi ovattati e respiro sincopato accompagnano i suoi pensieri. “Non potrò rivedere Karl, né le amiche. E…” e si interrompe perché avverte un groppo alla gola che le impedisce di respirare.

Gislinde, la veterana del gruppo, chiama a una a una le compagne. Un modo per tenere alto il morale. «Adelinde…».

Con la voce impastata dalla paura e dal pianto lei risponde al richiamo.

«Dobbiamo essere forti. Parliamo per farci coraggio e compagnia, così la notte ci farà meno paura». Gislinde con gli occhi arrossati per il pianto suggerisce questo approccio per le prossime ore.

La strega Ampfel urla, si dimena per il dolore che il veleno le procura e per effetto delle erbe che usa per combatterlo.

L’apprendista strega Rotapfel è terrorizzata e gli occhi sbarrati lo dimostrano. Continua a massaggiare con forza le piaghe che sembrano non finire mai di espurgare quel siero puzzolente. Il ritorno della strega Ampfel le ha fatto dimenticare il compito giornaliero ma non lo esterna per non incappare nelle sue ire. “Forse riuscirò ad assolverlo prima del calare del sole” riflette mentre continua a strofinare con energia l’olio di maleleuca. Le mani sono arrossate e le braccia indolenzite ma non osa lamentarsi.

Il drago Michele si è seduto sul divano nero e aspetta con pazienza che venga chiamato. Sono passate molte ore da quando si è sistemato e vorrebbe tornarsene nella sua abitazione e mangiare un boccone. È a digiuno dalla sera precedente. Come l’apprendista strega non ha il coraggio di sfidare il furore collerico della strega Ampfel: l’ha già assaggiato in occasioni precedenti. «Pazienza…» mormora col labiale per non farsi udire.

Cala la sera e i lumi si accendono, mentre il drago Michele sonnecchia ronfando. Si desta sentendo il suo nome e per poco non provoca un disastro. Per un pelo riesce a trattenere lo sbuffo che come un lanciafiamme avrebbe carbonizzato l’intero arredo della stanza. Si mette eretto con difficoltà, perché ha tutti i muscoli rattrappiti per la scomoda posizione. Barcollando raggiunge la stanza dove la strega Ampfel si sta curando.

«Hai chiamato?» Il tono ironico della voce e lo sguardo beffardo che illumina il suo viso la irritano, mentre Rotapfel si allontana per prudenza. “Quando è in queste condizioni può succedere di tutto”.

La strega Ampfel si trattiene e controlla la collera che monta. Ha bisogno di entrambi e non desidera innescare un battibecco inutile.

«Nella Caverna del Pozzo Maledetto c’era una quarta persona che teneva la verga ammazzastrega. L’ho capito stamattina vicino al torrente Ginestro. Stesse sensazioni… Ma non è questo l’argomento da discutere. Piuttosto è da capire quali altri strumenti pericolosi la donna e il suo compagno…».

Sul viso del drago Michele il sorriso beffardo si ghiaccia e stringe gli occhi per prestare maggiore attenzione. «Sicura che sia un uomo la quarta persona?» Se fosse così senza dubbio si tratta del compagno della donna. Eppure non ha avvertito la presenza umana del quarto ospite oltre a loro.

«È possibile abbiano strumenti così potenti da ingannarci?»

La strega Ampfel annuisce e fa una smorfia per il dolore che le piaghe le procurano.