Per l’anno che verrà

Tratto da Foto di cottonbro da Pexels

Lo so che non sono molto originale nel proporre questo post ma mi piace pensare positivo e mi auguro che per tutti coloro che passano da qui e leggono il post sia di buon auspicio.

Anche per quest’anno c’è poco da festeggiare, anzi direi che il 2022 sia stato piuttosto orribile. Tuttavia l’ottimismo ci viene sempre in soccorso e speriamo che il nuovo anno ci riservi delle gradite sorprese.

Tratto da pinterest

DIALOGO DI UN VENDITORE D’ALMANACCHI E DI UN PASSEGGERE

Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?

Passegere. Almanacchi per l’anno nuovo?

Venditore. Sì signore.

Passegere. Credete che sarà felice quest’anno nuovo?

Venditore. Oh illustrissimo sì, certo.

Passegere. Come quest’anno passato?

Venditore. Più più assai.

Passegere. Come quello di là?

Venditore. Più più, illustrissimo.

Passegere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?

Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.

Passegere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?

Venditore. Saranno vent’anni, illustrissimo.

Passegere. A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?

Venditore. Io? non saprei.

Passegere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?

Venditore. No in verità, illustrissimo.

Passegere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?

Venditore. Cotesto si sa.

Passegere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?

Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.

Passegere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?

Venditore. Cotesto non vorrei.

Passegere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?

Venditore. Lo credo cotesto.

Passegere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?

Venditore. Signor no davvero, non tornerei.

Passegere. Oh che vita vorreste voi dunque?

Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.

Passegere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?

Venditore. Appunto.

Passegere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?

Venditore. Speriamo.

Passegere. Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.

Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.

Passegere. Ecco trenta soldi.

Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.

Tratto dalle Operette morali di Giacomo Leopardi – liber liber

tratto da https://ekbloggethi.blogspot.com/2017/10/dialogo-di-un-venditore-dalmanacchi-e.html

Siamo come il passegere che dice di essere stato trattato male e spera che il nuovo sia più benevole di quello che ci stiamo lasciando alle spalle.

tratto da pexels foto di Jlli Wellington

Auguro a tutti voi che passate dal mio blog silenti oppure no un felice 2023.

Buon Anno

Gli auguri di Natale

Natale 2022

Foto personale

Auguro a tutti coloro, che si sono attardati sul mio blog a leggere, commentare o semplicemente a passare silenziosi tra le pagine, un sereno Natale di pace e serenità.

Oggi tautogramma in C

Eletta Senso per il gioco del lunedì ha scelto un tautogramma in C.

L’ultima avventura di Puzzone

Ecco cosa ho postato

Cara Caterina, ci credo che continui a correre composta. La cadenza cresce col controllo della camminata e la costanza della corsa.

La cabala conferma che di certo la caciara cesserà colla caduta del capo, un cafone. La calma e il conforto cedono contro la cafonaggine di Carletto Calzavara. Un cablo confidenziale conferma che capiterà un ribaltone nella casa del costruttore.

Le mummie – seconda parte

Su Caffè Letterario è stata pubblicata da poco la parte conclusiva di questo breve racconto.

foto personale

Breve riassunto della prima parte.

Luigi e Lisa son in vacanza. Lui vede uno strano corteo funebre e decide di visitare il camposanto dove sono conservate delle mummie. Lisa vorrebbe mettersi in viaggio per tornare a casa ma alla fine acconsente alla sua richiesta. Al rientro preparano i bagagli per partire.

Giuseppi, il proprietario della locanda, era dispiaciuto che i suoi ospiti lasciassero la stanza con un giorno di anticipo, mentre li osservava a caricare i bagagli.

Lisa seduta sul lato passeggero aveva il viso più disteso e osservò Luigi che chiuso il bagagliaio si sedeva al posto di guida.

Girò la chiave e premette a fondo la frizione. Dal motore non arrivò nessun gemito. Riprovò senza ottenere un risultato migliore.

Lisa, irrigidita per il contrattempo, era seduta sul lato passeggero e osservava il marito che aveva la fronte imperlata di sudore e biascicava degli improperi.

«Riprova, caro» disse con voce suadente come a spronarlo a far partire l’auto che invece non ne aveva voglia.

Luigi alzò le spalle e girò la chiave. Il motore rimase muto senza segni di vita. Poi girò e rigirò con furia ma nessun segnale proveniva da sotto il cofano.

«Caro, ti vedo nervoso. Provo io che sono più calma». Lisa scese e si sedette nel posto del conducente. Girò con dolcezza la chiave e affondò con decisione il piede sulla frizione. Nessun borbottio. Silenzio assoluto.

«Smettila o la batteria sarà da cambiare» urlò Luigi di fianco alla macchina. Lisa alzò le spalle spostandosi sul lato passeggero.

Lui vide tre ragazzini che arrivavano calciando un sasso. Fece loro un segno di avvicinarsi perché voleva convincerli a spingere la macchina nella discesa distante pochi metri da dove era parcheggiata.

Loro allegri si misero di buona lena per far avanzare l’auto che imboccata la strada, che conduceva a una officina con annessa stazione di servizio, scese senza difficoltà.

Luigi con perizia la fermò davanti alla pompa di benzina, mentre un meccanico dal viso unto di olio gli chiese come poteva servirlo.

Lui spiegò a parole e gesti che il motore aveva un problema all’accensione. L’uomo tuffò la testa sotto il cofano e armeggiò nel tentativo di capire il motivo.

Lisa seduta in modo composto non udiva nessuna parola che riuscisse a interpretare. Si agitò in preda all’ansia dimenandosi sul sedile.

«Cara, il motore ha un guasto non riparabile su due piedi».

Lei sbiancò e chiese quanto tempo sarebbe servito per la riparazione.

«Dice che in due o tre giorni la macchina è pronta».

Riportati i bagagli Al gras’ nat, Giuseppi li accolse con un gran sorriso. Quella era l’unica locanda del paese, anche se Lisa avrebbe voluto cambiare.

«Chiedi un’altra stanza. Non voglio tornare in quella che abbiamo lasciato» affermò con forza Lisa decisa a non tornare nella vecchia camera.

«Cara, ma perché?»

«Non voglio vedere quella piazza». La donna si chiuse nel mutismo.

Il proprietario sorrise. Nessuno voleva quelle stanze che davano sul retro, su un vicolo poco illuminato e un tantino maleodorante. Quindi non ebbe difficoltà a esaudire la richiesta di Lisa.

Disfatti i bagagli, si distesero sui letti accaldati e sudati. La giornata piena di imprevisti aveva lasciato il segno.

«Cara, quelle mummie sono veramente orribili con quelle bocche aperte che gridano il loro dolore».

Lisa non rispose. Immersa nel suo sudore si era addormentata. Sognò che anche lei era diventata una mummia ed era stata aggiunta alle cento trenta. Avrebbe voluto urlare la sua rabbia ma dalla bocca non usciva nessun suono. Strinse i pugni conficcandosi le unghie nei palmi che sanguinarono. Aprì gli occhi col cuore che batteva a mille e il respiro mozzo. Allungò una mano ma non trovò quella di Luigi. Aspettò che facesse giorno per calmare l’ansia.

Luigi dopo aver fatto colazione propose di visitare le pietre dondolanti in cima alla collina.

«Va pure. Io resto nella stanza. Lasciami degli schei per comprarmi qualche rivista».

Lui rabbuiò in viso. Era a corto di contante e non c’era rimasto molto nella carta. «Non spendere troppo. Dobbiamo arrivare a casa» disse uscendo dalla stanza.

Lisa rimase sul letto stanchissima per la notte insonne popolata da terribili incubi. Poi con lentezza fece una doccia prima di uscire alla ricerca di un’edicola. Ricordava che ce ne erano tre. Una in piazza e le altre due nelle vie adiacenti. La prima non aveva riviste italiane. La seconda le teneva ma erano esaurite. Alla fine nella terza trovò due vecchi rotocalchi, Tempo e Bellezze, che comprò anche se non erano di suo gradimento.

Tornata in stanza si impose di leggere tutti gli articoli per passare la mattinata, ma dopo una mezz’ora di uno sfogliare frenetico le gettò in un angolo della camera.

Al rientro di Luigi lo implorò di andare all’officina a controllare che il meccanico lavorasse alla loro macchina. «Questi sono degli sfaccendati. Se non stai col fiato sul collo, se la prendono comoda».

Luigi sbuffò ma promise di andare nel pomeriggio a controllare.

Lisa era terrorizzata per la nuova notte che doveva affrontare. Aveva dinnanzi agli occhi i volti trasfigurati delle mummie e il cuore cominciò a battere con furia.

Si distesero sul letto e Luigi si addormentò subito nonostante il caldo insopportabile della stanza. Non c’era nemmeno un ventilatore a mitigare l’afa. Il suo respiro era regolare, quasi un soffio. Lisa invece rimase con gli occhi aperti con la speranza di non vedere quelle facce urlanti.

Il campanile del duomo batteva con regolarità le ore ma per lei il tempo era fermo. Non voleva addormentarsi. Non voleva vedere quelle facce contorte. Non voleva ascoltare le loro urla. Non voleva e basta.

Un raggio di sole si insinuò tra le imposte chiuse per annunciare una nuova giornata soleggiata e calda.

Luigi propose una passeggiata nel vicino bosco di querce ma Lisa oppose un netto rifiuto. «Va pure, caro. Io resto qui a leggere le mie riviste». Una pietosa bugia perché in effetti non aveva nulla da leggere.

Rimasta sola, dopo una veloce doccia si precipitò fuori alla ricerca di qualcosa da sfogliare. Tornò in camera con un fascio di riviste americane. “Non conosco l’inglese ma guarderò le figure”. Le consultò con rabbia mentre avvertiva un groppo alla gola come se una mano la soffocasse. Aprì la finestra ma l’unico effetto fu una ventata di aria calda umida e maleodorante. Aspettò il rientro di Luigi per spronarlo a partire.

«La macchina?» Fu il benvenuto.

Lui scrollò le spalle e non rispose.

«Non ho fame. Vai pure da solo ma passa dall’officina per sollecitarli a fare presto».

Lisa sudava copiosamente e il respiro era affannato. Sarebbe stata meglio solo dopo essere partita da questo piccolo paese di cui non ricordava il nome.

«L’auto sarà pronta domani o dopodomani. Me lo hanno garantito» disse Luigi, mettendosi in bermuda.

Lisa era terrorizzata: doveva affrontare una nuova notte. All’una si alzò per fare una doccia fredda. Il respiro era corto. Sembrava un mantice asfittico. Il cuore rallentava e faticava a pompare il sangue.

Luigi dormiva beato nel suo letto e non udì nulla, nemmeno lo scroscio dell’acqua nella doccia.

Lisa uscì dal bagno barcollante, ancora umida per non essere riuscita ad asciugare il corpo. Si distese sul letto. La sinistra provò a sentire il battito del polso. Tum. Un silenzio. Tum. Un secondo intervallo. Si spaventò e strizzò un seno nella speranza che il cuore riprendesse a battere con regolarità. Per qualche istante le sembrò che avesse avuto un’accelerazione ma poi non sentì più nulla.

«Luigi, sto male. Sto morendo» sussurrò sperando di svegliarlo.

Era nuda sul letto a occhi aperti e con la destra strizzava il seno sinistro.

Luigi aprì gli occhi e la vide. «Cosa c’è?»

«Sto morendo» Un filo di voce usciva dalla bocca. «Sto morendo».

Luigi si sedette accanto a lei stringendole la mano.

«Mi prometti che quando sono morta non mi seppellisci in quel camposanto?»

«Non dire sciocchezze. Un po’ di aria fresca e tutto passerà».

Lisa scosse il capo. «Promettimi che non mi lascerai il quel camposanto. Promettimelo».

Luigi scosse il capo e non promise nulla.

Lei sentì che il cuore batteva sempre più piano, finché non smise del tutto.

Nel pomeriggio Luigi si mise in viaggio per tornare in Italia. Fischiettava ascoltando la radio della macchina e sul lato passeggero svolazzano delle riviste americane.

Tautogramma in D

Su Inchiostroneroweb ho pubblicato il tautogramma in D proposto da Eletta Senso.

Lo riporto anche qui.

«Dimenticavo di dirti: ti desidero».

Detto il desiderio di Donato, Dea dettò un documento al direttore del demanio.

Devi determinare la dabbenaggine di Donato, un damerino, un dandy che ci danneggia dappertutto. Il suo dazebao dabbasso ci dà danno. Dobbiamo decidere!”

Dea diede di gomito a Davide dacché dava gioia a Dafne per la decisione del direttore di demansionare Donato.

«Dannazione!» disse Donato deluso per la deblace.

Zia Betta

foto personale

L’aria frizzante accarezza il viso di Jonny Twit come può esserlo in una giornata di metà primavera. La collina è di un verde smeraldo e gli alberi stanno mettendo le prime foglie.

Sulla sua cima sta un piccolo camposanto che il consiglio comunale vuole dismettere per trasferirlo in un altro posto meno impervio. La salita in terra battuta è difficile da fare quando le condizioni meteo non sono ottimali. Però non ha mai voluto procedere alla sua asfaltatura perché avrebbe deturpato il paesaggio.

Ogni parente avrebbe dovuto disseppellire i propri cari e poi trasferirli nel nuovo cimitero vicino al fiume.

Jonny Twit con la zia Betta, armati di pala, salgono lentamente lo stradello, preceduti da tante altre persone intenzionate a fare altrettanto. Zia Betta è una vecchietta rattrappita dal viso rugoso e dai capelli bianchi raccolti a crocchia. Tuttavia ha ancora molte energie da spendere nonostante l’età.

È tutto uno scavare, un sudore appena mitigato dalla brezza del mattino. Zia Betta si aggira tra le lapidi storte per i tumoli che si sono incassati nel terreno.

«Ma zia! Non è lo zio!» Urla Jonny Twit vedendola attorno a una lapide sconosciuta.

La vecchietta scuote il capo e continua con la pala a scavare, mentre Jonny Twit si precipita accanto a lei. «Ma è Pete Monkey!»

«Ma certo che Pete!» Rimbecca zia Betta. «Vuoi che non lo sappia! Ora chiudi il becco e aiutami a scavare».

Riprende la pala e continua ad affondarla nella terra soffice e grassa, mentre l’accumula di fianco alla fossa.

Un rumore sordo fa capire di aver raggiunto la bara che appare come nuova.

«Jonny non ce la facciamo a sollevarla» afferma sconsolata zia Betta che si guarda intorno alla ricerca di aiuto.

Scorge quattro uomini robusti che stanno sollevando una grossa bara poco distante.

«Ehi! Mi date una mano a portare questa a casa mia?»

Alzano il viso, si guardano e poi si dirigono dove stanno Jonny Twit e zia Betta. La imbragano per estrarla dalla fossa e poi la trascinano fino alla casa della vecchietta, deponendola nel salotto.

Zia Betta li ringrazia con le parole e un fascio di banconote.

Jonny Twit la osserva esterrefatto e la prega di non aprirla.

«Voglio vedere Pete» afferma risoluta la vecchietta che dà quattro colpi ben assestati facendo scivolare a terra il coperchio.

«Oh!»

Zia Betta ha gli occhi spalancati e la bocca aperta per lo stupore. All’interno Pete mostra un viso roseo, i capelli neri, le mani, appoggiate sul torace, bianche come se fosse morto da poche ore. Anche il vestito nero e la camicia bianca con la cravatta rossa sembrano appena usciti dalla lavanderia.

«Non è possibile! Sono passati sessant’anni da quando il mio amore è morto per un incidente stradale. Lui aveva ventitré anni e io venti. Però lui è rimasto giovane e io sono invecchiata! La morte ci conserva giovani, mentre la vita ci fa invecchiare! Non è giusto! La Morte vince sulla Vita!»

Jonny Twit è frastornato. Non capisce nulla di quello che zia Betta sta blaterando. “La morte ci conserva giovani, la vita ci fa invecchiare”. Gli sembra un’assurdità. «Zia Betta che stai dicendo?»

La vecchietta scuote il capo. «Io avevo vent’anni e lui ventitré e ci dovevamo sposare ma lui è morto. Adesso io ho più di ottant’anni e lui ne ha sempre ventitré. Io sono vecchia ma in vita, lui è giovane ma morto».

Jonny Twit conviene che il ragionamento non fa una grinza ma i conti non tornano. “Lui è morto ma noi siamo vivi. E c’è una bella differenza di condizione”. Sta per dire qualcosa, quando la pendola del salotto batte un colpo.

Nella cassa Pete Monkey assume un aspetto più vecchio come se i ventitré anni fossero diventati quaranta. Poi dopo un quarto d’ora batte un nuovo colpo, mentre il viso del morto diventa grinzoso con delle rughe pronunciate intorno agli occhi. La pelle diventa sottile e le mani ossute.

Zia Betta è sorpresa da queste repentine modificazioni e non riesce a biascicare una parola. Un altro colpo di pendola e i capelli diventano radi e bianchi e gli occhi si infossano. I vestiti si riducono in brandelli, mentre zia Betta comincia a saltare e ballare per la gioia. «Sta invecchiando!»

Un altro colpo della pendola e il corpo si rattrappisce, diventa solo pelle e ossa.

«È diventato più vecchio di me!» Urla felice, abbracciando Jonny Twit.

Poi altri colpi della pendola e il corpo diventa cenere e i vestiti minuscoli batuffoli di cotone. Nella bara c’è un tappeto di polvere grigia e quasi impalpabile. Basta un soffio per farla sollevare.

Una scampanellata furiosa distrae zia Betta e Jonny Twit dalla visione di Pete Mokey che non esiste più.

Jonny Twit si precipita alla porta,mentre zia Betta urla: «Non aprire!»

Troppo tardi e una folata di vento disperde tutte le ceneri.

Le mummie – prima parte

Su Caffè Letterario è stata pubblicata da poco la prima parte del racconto Le mummie. La seconda e ultima parte sarà pubblicata domenica 19 dicembre.

La prima parte la potete leggere anche qui.

La piazza circolare contornata da lecci a forma di pino era battuta da un vento gagliardo che sollevava polvere e carta.

Luigi la guardava dal terrazzino della locanda Al gras’ nat, mentre fumava il sigaro toscano. Pensò per quale bizzarria qualcuno si era divertito a trasformare la larga chioma di un leccio in quella di un pino. Però qualcosa lo distrasse da questo pensiero e la sua attenzione fu catturata da un vociare garrulo che proveniva dalla sua destra. Un piccolo corteo procedeva attraversando la piazza. Erano uomini donne e bambini vestiti in una foggia a lui sconosciuta. Colori sgargianti che si notavano. Rossi, gialli, arancioni e verdi. Mangiavano frutti e cantavano delle nenie cantilenanti. Aguzzò la vista per mettere a fuoco chi conduceva quel gruppo di persone. Aveva qualcosa di bianco sulla testa che reggeva con entrambe le mani.

«Lisa, corri! Vieni a vedere!»

Dal bagno sentì dei rumori sordi e una voce simile a un ruggito. «Non posso! Mi sto asciugando!»

Luigi ripeté l’invito in modo perentorio. «Non puoi perderti lo spettacolo!»

La donna a piedi nudi lasciò una scia umida sul pavimento e si posizionò dietro a lui. «Coprimi. Sono nuda». E poi seguì con lo sguardo il suo braccio che indicava quello strano corteo. «Non spostarti altrimenti mi vedono. Ma…» Si interruppe ed esclamò stupita: «Ma è un funerale! Quella cosa bianca è una bara di una bambina».

Luigi si spose in avanti per vedere meglio, mentre Lisa gli rimase appresso tenendo in mano l’asciugamano rosa. «Sì, sì!» Confermò con tono convinto. «È proprio il funerale di una bambina».

La donna ritornò sui suoi passi rifugiandosi nel bagno.

Luigi finì di fumare, gettando il mozzicone di sigaro sulla strada. Si chiese come era morta quella bambina di cui aveva visto il funerale, assai singolare, perché invece di piangere ridevano e mangiavano. Era convinto che in quella piccola bara bianca ci fosse una bambina ma forse, pensò, era una neonata morta prematura. Comunque il sesso era di sicuro femminile. Rientrato nella stanza si avvicinò alla porta del bagno. «Lisa, se ti sbrighi, facciamo in tempo a visitare il camposanto che custodisce delle mummie».

Come risposta udì un grugnito che voleva dire molte cose: dal sì al no.

«Luigi, facciamo le valigie e torniamo a casa» disse in modo intellegibile la donna dalla porta chiusa del bagno.

«Ma abbiamo ancora una notte per restare qui. E poi ci sono ancora angoli suggestivi del paese da visitare».

«Luigi ti prego, facciamo le valigie».

«Forse il camposanto ti mette paura?»

La porta si aprì mostrando Lisa coi capelli umidi e una vestaglietta trasparente. Aveva quarant’anni portati non troppo bene. Il seno quasi flaccido si adagiava sull’addome. I capelli rossi, una volta luminosi, apparivano smorti. Le rughe intorno agli occhi verdi erano pronunciate. «No, non mi mette paura ma voglio tornare a casa. Non mi sento bene».

Luigi le prese la mano ancora bagnata. «Cosa ti senti?»

«Non mi sento bene» ripeté monotona.

«La passeggiata fino al camposanto ti farà bene. Vedrai che tutto passa» affermò con finta premura.

Faceva caldo anche se il sole era basso sull’orizzonte, quando giunsero davanti al cancello in ferro battuto del camposanto. Due angeli montavano la guardia a fianco dell’apertura che era socchiusa. Chi fossero, era difficile da capire: il tempo e il guano degli uccelli li avevano resi irriconoscibili.

Luigi spinse il battente che si mosse silenzioso sui cardini ben oliati.

C’erano solo tre uomini tra le lapidi del camposanto, tutt’altro che grande. Un omino che sembrava controllare l’attività degli altri due che brandivano una pala.

Il sorvegliante si mosse incontro a Luigi e Lisa come a sincerarsi delle loro intenzioni.

«È vero che sono conservate delle mummie?» Domandò Luigi all’omino che era di fronte a lui.

«Certamente» fu la risposta pronta.

«Si possono vedere?»

Lisa si strinse al suo braccio con la fronte madida di sudore. «Ma Luigi…»

«Se mi seguite ve le mostro» e girò i tacchi verso una costruzione bassa in mattoni rossi.

Luigi stringendo la mano di Lisa lo seguì.

Aperta una vetrata colorata, l’omino fece strada verso il basso. «Fatte attenzione ai gradini. Sono fatiscenti».

Arrivati sul fondo la stanza appariva ben illuminata dalle grandi finestre sul soffitto. A destra e a sinistra stavano rispettivamente su ogni parete sessanta mummie e altre dieci su quella di fronte. Ben centotrenta fissate con ganci metallici perché non cadessero.

Luigi rimase sorpreso. Sembravano ancora vive anche se la carne era incartapecorita e le vesti ridotte in brandelli mostravano le loro nudità.

«Ma…».

«Il posto è asciutto e conserva bene le salme» affermò l’omino anticipando la domanda di Luigi.

Nel mentre Lisa passava in rassegna le mummie contandole. Uno, due, tre… E osservandone i lineamenti stravolti dalla morte. Pareva che urlassero con la bocca aperta e storta e gli occhi bianchi rivolti verso l’alto.

I due uomini si fermarono dinnanzi a una donna che appariva diversa dalle altre mummie. Questa aveva i lineamenti contratti in una smorfia di terrore e le mani chiuse a pugni rivolte verso l’alto. L’omino spiegò che questa soffriva di catalessi e quando un giorno la trovarono irrigidita nel suo letto pensarono che fosse morta. «Evidentemente la sua morte era apparente e si è svegliata nella bara. Una morte orribile picchiando sul coperchio».

Luigi ebbe un brivido. «Ma come sono finite qui?»

L’omino spiegò che per un anno il costo della sepoltura era di dieci schei e con cento potevano rimanere cent’anni.

«Ma voi cosa fate? Le disseppellite e le portate qui?»

L’omino rise. «Sappiamo chi non ha gli schei per l’anno dopo e la bara resta a un metro dalla superficie per fare meno fatica».

«Ma se paga?»

«La torniamo a seppellire».

Mentre Lisa continuava la sua macabra conta, Luigi osservava quelle bocche urlanti che gridavano il loro terrore per la morte.

Ritornati alla locanda, cominciarono a riempire le valigie con un gran rumore delle chiusure.

«Si parte» annunciò Luigi scendendo verso la reception.

– La seconda è ultima parte sarà pubblicata domenica 19 dicembre –

Acrostico poetico

Questa volata Eletta Senso propone come gioco linguistico un acrostico poetico.

Ecco cosa ho pensato.

Acrostico poetico per dicembre

Deserto era il percorso,

Intonso era il prato nevoso,

Che appariva fatato.

Eugenio osservava i fiocchi

Magicamente ondeggianti dietro il vetro.

Belle statue apparivano i larici,

Ricamati dal vento

E dalla nevicata.