Una storia così anonima – parte cinquantaunesima

foto personale
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Mentone, 10 marzo 2015, ore due

Il Samsung S5, acquistato poche ore prima, emette un suono lacerante che sveglia Luca. Il ragazzo si è disteso sul divano vestito e si alza intorpidito e alquanto infreddolito. Blocca la suoneria, si stiracchia pigramente, mentre sbadiglia senza mettere la mano davanti alla bocca, da bravo maleducato. Controlla il vecchio smartphone. Il segnale è sempre fermo a Tende, indicando un hotel: Le Miramonti. Un segnale forte e preciso, che lampeggia dalle undici e quaranta.

Buon segno’ pensa Luca. ‘Se la mia ipotesi è giusta, Henri non si è preso nemmeno la preoccupazione di controllare Vanessa. Adesso viene la parte più delicata’.

Deve uscire dall’albergo, fingendo di essere in due. ‘Ci riuscirò?’ pensa il ragazzo, che si sta rinfrescando il viso. Dà una sistemata ai jeans e alla polo per rendersi presentabile.

Scende nella hall e si fa aprire la porta di uscita.

Partiamo” dice al receptionist di notte, un uomo di colore. “Prendo la macchina e carico il bagaglio. La mia compagna scende tra un poco. Sa come sono le donne… sempre in ritardo”.

Ridacchia, mentre si avvia verso la porta a vetri. Dopo una decina di minuti è di ritorno, parcheggiando la vettura davanti all’ingresso. Sale a recuperare il bagaglio. ‘Adesso viene la parte più complicata’ si dice Luca.

Van” fa il ragazzo, parlando a un’immaginaria persona non visibile dalla reception. “Tu sali in macchina, mentre chiedo alcune informazioni al signore”.

Il receptionist allunga il collo, perché non vede nessuno e non sente risposta. Luca si mette in una posizione per occultare parte della porta.

Mi potrebbe indicare la strada più breve per Sospell?” dice Luca, dispiegando sul bancone una carta stradale dettagliata.

L’uomo col dito indica la via da intraprendere. “Prendete la Porte de France fino al Casino Barrière Menton. Qui inizia la Route de Sospell” fa l’uomo. “Non potete sbagliarvi”.

Dunque” dice Luca per distrarlo ulteriormente. “Se ho capito bene. Devo girare la macchina verso il mare. Prendere quella larghissima strada che incrocia questo corso verso Montecarlo. Percorrerla tutta fino al Casino e da lì infilare la via per Sospell’.

Sì,” annuisce il receptionist, “ha capito perfettamente. Ma non avete il navigatore in macchina?”

No” risponde Luca abbassando gli occhi, come a vergognarsi di non possedere questo strumento. “L’auto è vecchia”.

Ma ne vendono anche di portatili” suggerisce il receptionist.

Sì, ha ragione” replica Luca, “ma spendere dei soldi per un rottame come quello non vale la pena”.

“Bon voyage, messieursdice l’uomo. “Volete un caffè, prima di partire?”

Luca scuote il capo per diniego.

Lei è già in macchina. Siamo in ritardo sulla tabella di marcia” fa Luca con un vago cenno verso la vettura parcheggiata in modo da essere poco visibile dall’interno. “Dovevamo essere in viaggio alle due. Le donne non sono mai pronte all’ora giusta”.

Già” conferma il receptionist, salutando con la mano.

Velocemente Luca si allontana, uscendo in strada per salire sulla vettura. Infila i bagagli sul sedile posteriore. Si muove con calma per non suscitare la curiosità del portiere di notte. Sarebbe un guaio se uscisse in strada. Senza fretta inverte la direzione di marcia e sparisce alla vista dell’uomo.

Bravo, vecchio” dice Luca, battendosi con la mano sulla spalla. “Hai sbagliato mestiere. Dovevi fare l’attore”. Ride, mentre cerca un posto per fare una sosta. Deve prendere dalla sua borsa il nuovo smartphone e il computer con relativa chiavetta.

Trova una piazzola e compie l’operazione. Sistema su due supporti gli smartphone e mette il computer sul sedile del passeggero. Punta il navigatore su Sospell, mentre dall’altro ha la traccia del percorso dell’Iphone di Vanessa. Sul computer controlla che tipo di albergo è Le Miramonti. Adesso è pronto per iniziare la caccia.

Non devo avere fretta’ si dice Luca, ‘perché non so bene come è la situazione. Tende non dista molti chilometri. In un paio d’ore sono lì’.

Infilata la via per Sospell, il ragazzo guida con prudenza. Non conosce le strade e inoltre c’è buio.

Alle quattro e mezza è a Tende. Il segnale è sempre forte e fisso. Luca posteggia poco oltre l’albergo. Infila un giubbotto pesante e scende alla ricerca della Mini. I numeri della targa sono nitidi nella mente. Nei dintorni non c’è traccia. ‘Forse l’ha messa nel garage dell’hotel’ riflette, mentre ritorna in macchina a controllare sul computer. ‘E se per caso avesse messo il telefono di Van su un’altra auto?’

Adesso il dubbio c’è. Torna fuori a ispezionare le auto in sosta. Tutte targhe francesi. ‘No’ si dice Luca, scuotendo il capo. ‘L’unica ipotesi è che abbia messo la macchina nel garage dell’hotel’. Controlla l’ora. Sono già le cinque. Tra non molto dovrebbe albeggiare.

Le Miramonti, chambre six, 10 marzo 2015, ore tre

Vanessa apre gli occhi senza vedere nulla. La mente è intorpidita. I riflessi spenti. Prova a girarsi su un lato senza riuscirci. Non ci fa caso, perché ha un vuoto dentro di sé. Non capisce dove si trova senza allarmarsi. Naviga in un mondo che non riconosce, né conosce. Tenta di dire “Luca” ma non ode nessun suono. Poi lentamente sprofonda di nuovo in un sonno buio e oscuro. Non ci sono immagini, solo la percezione di estraneità dal presente.

Pierre russa e fatica a respirare. È stanco. Da troppo tempo la tensione dell’incarico prevale sul riposo.

Si ritrova a Oak Island, un’isola canadese della Nova Scotia nella baia di Mahone. Un isola di un centinaio di acri, ricoperta di querce e prati. Nessuno vi può accedere senza il permesso del Gran Maestro. Porta con lui la ragazza. Sogghigna. “Parla, stronzetta” le dice Pierre. Lei scuote il capo in segno di diniego. “Beh!” fa con un sorriso ironico. “Parlerai comunque”. E la strattona verso un edificio in mattoni, che si erge sul punto più alto dell’isola. Appena undici metri sul livello del mare. Una costruzione singolare che assomiglia al Tempio di Parigi. Quattro torrioni ai quattro angoli, tutti di altezza differente. Sembra un castello visto dall’esterno. Un prato verde smeraldo circonda il tutto. Niente alberi ma solo erba ben curata.

Vanessa si guarda intorno. “È inutile” le dice Pierre con un sorriso storto e antipatico. “Il tuo ragazzo non potrà salvarti questa volta. Parla e finirai in fretta le tue sofferenze”.

Varcano un portone di legno di quercia. L’androne è illuminato da torce a petrolio, che gettano ombre sinistre sul pavimento. “Cammina” le intima Pierre, stringendole il braccio. È ansioso di ripagarla per i profondi graffi sulla guancia, che ancora adesso bruciano per il dolore.

Percorrono un largo corridoio abbastanza oscuro e poi scendono verso il basso. Si sente il rumore della risacca, mentre le pareti gocciolano per l’umidità. Vanessa ha un brivido. È vestita leggera, come d’estate. Lo sguardo vaga ora a destra, ora a sinistra, mentre Pierre continua a trascinarla di malagrazia per un braccio.

Sei in trappola!” le dice l’uomo, mentre apre una porta di noce scuro.

La stanza è ampia e male illuminata. Sembra un museo della tortura medioevale. Strumenti, che hanno riempito le fantasie crudeli di quell’epoca, sono appesi alle pareti. Nel centro Vanessa osserva oggetti del tutto sconosciuti. Rabbrividisce ma stringe le labbra.

Parla. Sei ancora in tempo” le sussurra maligno in un orecchio.

La ragazza fa un cenno di diniego. Non sa perché si trovi lì.

Dunque vuoi fare la smorfiosa?” insiste Pierre, che si sta eccitando. Osserva in giro. Sono tutti strumenti terribili. Stende Vanessa su un tavolaccio, pieno di macchie scure. Lega braccia e gambe, prima di andare alla ricerca di un arnese per incuterle paura. Dalla parete stacca un oggetto metallico.

Vedi questo?” le dice Pierre, mostrandolo allo sguardo terrorizzato di Vanessa. “Si chiama pera”.

Ride in modo isterico, mentre le mostra il funzionamento del meccanismo. Quattro ali si allargano man mano che ruota una chiave.

Hai visto?” fa Pierre, mentre stacca dalla parete qualcos’altro, una specie di pinza con degli aculei. Ritorna da Vanessa, mostrando una dentatura non perfetta. “La pera te la infilo nella vagina e poi…”. Una nuova risata stridula risuona nello stanzone buio.

Vanessa vorrebbe muoversi ma le corde glielo impediscono.

Ti agiti! Ma non puoi fare nulla. Solo parlare” le dice Pierre, mettendole davanti al viso una specie di attizzatoio con quattro punte acuminate. “No, questo non serve. Hai due perine acerbe al posto del seno”.

Pierre continua la sua macabra danza, finché non sente del trambusto. Si volta verso la porta e vede il Gran Maestro.

Che fate?” gli dice l’uomo.

La faccio parlare” risponde Pierre.

Ha parlato?”

No, fino a questo momento” replica Pierre, facendo cadere con fragore gli strumenti che tiene in mano.

E non parlerà” fa il Gran Maestro. “Liberatela e conducetela nel mio studio”.

Pierre ha una smorfia di disappunto. Gli sta togliendo il gusto della vendetta. Obbedisce e porta Vanessa nelle stanze del Gran Maestro.

Sente una porta sbattere e si sveglia. Si alza col busto per osservare Vanessa, che pare ancora sotto l’effetto dello spray. Controlla l’ora con lo smartphone. ‘Sono quasi le sette’ si dice, sollevandosi in piedi. ‘Tra poco farò colazione e poi riprenderemo il viaggio’.

Il Gran Maestro si è infuriato’ sussurra appena Pierre, ripensando alla telefonata della sera precedente, ‘quando ha conosciuto dove mi sono fermato’.

Felice di avere catturato la ragazza l’ha chiamato per comunicargli la notizia.

Da lì, puoi andare solo in Italia” ha urlato, quando ha conosciuto il luogo della sosta. “Se il ragazzo ha fatto denuncia, ti prendono subito”.

Ma non esiste più la dogana” ha protestato flebilmente Pierre.

Non importa” ha replicato il Gran Maestro. “Raggiungi Annency, rimanendo in Francia. Lì un jet privato vi porterà a Oak Island”.

Apre le imposte per osservare il tempo. Nuvole basse coprono le vette circostanti. Non minaccia neve ma avrebbe preferito una giornata limpida. Non riconosce Luca, che sta camminando sul marciapiede opposto.

Chiama la reception per la colazione in camera. Quando la cameriera vedrà la ragazza ancora a letto, darà maggior forza alla bugia che dovrà dire per forza. Deve giustificare la non presenza nella hall del suo ostaggio, perché la porterà direttamente in macchina.

Sente Vanessa lamentarsi e muoversi come se si stesse risvegliando dopo un’anestesia totale. Lei si umetta le labbra secche, borbotta parole intellegibili, apre gli occhi e li richiude subito come se la luce la ferisca. Pierre è tranquillo. Le ha tolto il bavaglio e le manette. Le spruzza un altro po’ di spray. ‘Non troppo’ si dice Pierre. Apre le finestre per areare la stanza e togliere quel sapore dolciastro dell’anestetico dall’aria. Il respiro della ragazza è tornato regolare come se dormisse profondamente.

Tra un’ora si sveglierà’ pensa Pierre, ‘ma sarà in macchina e non si saranno problemi’. Prima di partire farà il pieno alla Mini, una tappa in un negozio di alimentari e poi un’unica tirata fino ad Annency.

Sono seicento chilometri circa per otto ore di viaggio’ gli suggerisce il navigatore. ‘Una bella maratona’.

una storia così anonima – parte cinquantesima

Foto personale
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Bologna, 1 marzo 1308, ora prima – anno terzo di Clemente V

Pietro arrivato in prossimità di Bologna dalla via Emilia, che proveniva da Ariminum, ha preferito entrare in città da Porta San Isaia. Ha atteso la mattina, quando le guardie hanno aperto i portoni delle cinta muraria più esterna, mescolandosi con i contadini che portano le loro mercanzie al Mercato di Mezzo. Ritiene opportuno non mostrarsi apertamente, perché per loro tira aria brutta. È impaziente di riabbracciare i fratelli e attende in un casolare abbandonato che il sole sorga.

Pietro è rimasto ospite presso l’Abbazia di Valvisciolo fino ai primi di febbraio, perché il maltempo in pratica aveva impedito qualsiasi movimento verso la Lombardia. Anche se si fosse messo in cammino prima, sarebbe rimasto bloccato nella terranova di Fiorenzuola. I valichi appenninici erano impraticabili per le tempeste di neve che si erano succedute da metà gennaio per diverse settimane con insolita violenza.

Nell’attesa del nuovo giorno ricorda la sua sorpresa, quando Berthod de la Roche aveva aperto il sacchetto di canapa in sua presenza. Ne ignorava il contenuto. L’essere ammesso alla sua apertura è stato un momento che ricorderà per sempre. Non potrà condividere questa gioia con i suoi fratelli, perché ha giurato di non rivelare a nessuno quello che stava osservando con occhi increduli.

Dal sacchetto è comparso un grande lenzuolo, piegato in più parti. Un tessuto dalla grana grossa, color ocra chiaro, dai bordi irregolari. Disteso sul pavimento occupava uno spazio di circa sette bracci per due. Era riconoscibile una figura umana dai contorni sanguigni.

Siamo rimasti impietriti dall’emozione’ ricorda Pietro di quegli istanti. ‘Il telo ha un ordito che non appartiene alla nostra epoca. È stato usato un telaio non usuale delle nostre provincie, aveva aggiunto Berthod. Sì, a memoria non ho riconosciuto dove poteva essere stato intrecciato’.

Cosa dite, fratello Pietro” ha domandato l’abate dell’Abbazia, cercando di decifrare i segni sul telo.

Mi paiono quelli di un corpo umano” ha replicato Pietro, inginocchiato accanto al lenzuolo, mentre lo esamina.

Restano in silenzio per qualche minuto, prima che Berthod non formuli una nuova teoria.

Potrebbe essere il sudario di nostro Signore, Gesù Cristo. Il mandylion scomparso da Costantinopoli nel 1204 durante il saccheggio dei crociati” fa l’abate. “Da sempre ho sentito parlare di questo manufatto dai racconti dei nobili francesi di ritorno da quella crociata”. Non può confessare che a un parente, Ottone de la Roche, è attribuito il trafugamento del mandylion bizantino e il suo trasporto in Francia.

Ma come è arrivato da noi?” chiede Pietro, che sa che i cavalieri del Tempio hanno raccolto molti oggetti in Terrasanta.

Probabilmente attraverso i vostri confratelli” accusa con garbo Berthod. Nessuna ignora che un de la Roche è un alto dignitario dei cavalieri del Tempio.

Pietro tace, perché ritiene plausibile l’ipotesi. Preferisce sorvolare sull’argomento per evitare equivoci o malintesi. Entrambi sanno che non è il momento di approfondire il tema. Quindi conviene cambiare argomento.

Secondo i racconti evangelici” comincia con cautela Pietro, “il corpo di Gesù Cristo, deposto dalla croce, venne avvolto in un telo per essere collocato nel sepolcro”.

Berthod annuisce con la testa, Anche lui ha letto gli antichi testi dei vangeli che parlano esplicitamente di questo. Tuttavia non riesce a credere che questo grande telo sia quello che ha avvolto il corpo di Cristo.

Sicuramente è antico” fa l’abate, osservando l’impronta del viso, che appare appena accennata. “Ma come possiamo affermare che esso sia il sudario dei vangeli?”

Poi in silenzio ricominciano a piegare con cura il lenzuolo, seguente le tracce delle antiche piegature. A Berthod sorge una domanda, che finora non ha esplicitato.

Ma il cardinale Francesco Caetani cosa vi ha ordinato?” domanda l’abate, riponendo il manufatto nella sua custodia.

Nulla di più di quello che vi ho detto” afferma Pietro. “Un’unica raccomandazione. Il sacchetto deve essere consegnata nelle mani di Berthod de la Roche, Come ho fatto puntualmente”.

All’abate non rimane altro da fare che nascondere in un posto sicuro la preziosa reliquia.

Ancora adesso nel riportare a galla quelle memorie provoca in Pietro una commozione irrefrenabile. ‘Per molte settimane è rimasto a contatto con la mia pelle’ pensa, mentre rievoca tutte le vicende che l’hanno visto coinvolto in Gallia e in Lombardia. ‘Non ero a conoscenza del valore simbolico di questo telo’.

Porta San Isaia si apre, mentre i contadini a piedi o coi carri si mettono in moto per accedere alla città. Pietro si mescola con loro, che hanno atteso prima del sorgere del sole il via libera all’ingresso. Il frate segue la seconda cinta fino a raggiungere Strada Maggiore. Riconosce il luogo familiare dall’imponente torre campanaria.

Pietro è di ritorno alla magione, mentre un motto di commozione inumidisce i suoi occhi. Non si avvicina ma prosegue verso la chiesa di Sant’Homobono.

La città gli è apparsa uguale a quella che ha lasciato a fine ottobre dell’anno precedente. Il solito frastuono del mercato di Mezzo, la triplice cinta muraria a protezione e gli abitanti più propensi al divertimento che a mostrarsi timorosi di Dio. Solo la commenda gli è apparsa più triste rispetto a quattro mesi prima. Intuisce che il precettore, frate Giovanni, non è riuscito a superare l’inverno lasciando un vuoto. Deve chiedere notizie senza dare nell’occhio. Ha visto uomini armati che sostavano dinnanzi al portone. Quelle che riceve non sono confortanti. Sono rimasti tre templari e un servo a mandare avanti la commenda. Il vecchio precettore, prima di morire, gli riferiscono, li ha esortati a rispettare Dio e attendere il ritorno di Pietro.

Pietro da Monte Acuto sarà il mio successore’ ha detto qualche giorno prima di spirare ai tre fratelli intorno al suo giaciglio. “Attendete con pazienza. So che sarà ancora qui con noi. Vi guiderà fuori da questa tempesta”.

L’informatore non l’ha riconosciuto. Pietro torna sui suoi passi.

Pisae, 21 dicembre 1307, ora terza – anno secondo di Clemente V

Louis esce dall’arcivescovado infuriato. ‘Quel frate non nemmeno voluto ascoltare le mie ragioni’ si dice col viso congestionato, mentre torna alla locanda dove alloggia. ‘Non ha voluto nemmeno leggere la lettera del cardinale Colonna”.

Sa che la sua missione si concluderà senza un niente di fatto. Ritiene inutile mettersi in viaggio subito, perché ormai la preda gli è scivolata tra le mani. ‘Chissà dov’è!’ pensa il cavaliere, entrando nella locanda ai tre Gufi.

Rimane a Pisae per tre giorni prima di prendere la strada per Ravenna. ‘Un viaggio inutile’ si dice, spronando il suo cavallo, ‘ma tentar non nuoce’. Gli hanno consigliato di proseguire verso Florentia seguendo il corso dell’Arno. Proseguendo oltre, si va a Pontem de Sieve e poi verso Bibbiena. Da lì si superano gli Appennini verso Forum Livii.

Louis non ha fretta. Si ferma per Natale a Florentia, prima di prendere la strada controvoglia della via aretina. Leggere nevicate ostacolano il suo cammino. È talmente sfiduciato che non chiede nemmeno se per caso un templare fosse transitato dalle locande dove pernotta. È l’ultimo giorno dell’anno, quando si ferma a Bibbiena ai tre usignoli per festeggiare l’arrivo del nuovo.

Vi conviene aspettare” gli ha detto l’oste. “Il valico è sotto una bufera di neve. Se vi mettete domani in cammino, rischiate grosso”.

Louis sbuffa ma non può combattere contro il maltempo e si rassegna a restare in paese. Se avesse chiesto notizie sul passaggio di un templare, l’oste gli avrebbe detto: ‘Sì, un templare è arrivato dalle terranove di Fiorenzuola. Stamani è ripartito verso meridione, seguendo la via aretina’. Tuttavia Louis pare che si sia dimenticato di Pietro e della missione da svolgere. Preferisce la compagnia di donne allegre e pronte a entrare nel suo letto. Con ogni probabilità in un paio di giorni l’avrebbe raggiunto e poi chissà cosa sarebbe successo. Invece Louis pensa a raggiungere Ravenna per parlare con l’arcivescovo, dando per scontato che il frate si sia fermato nella magione bolognese.

Solo alla fine di gennaio Louis è a Ravenna ma l’arcivescovo non lo riceve. Lui fa anticamera fino al sette febbraio, quando alla fine lo ammette al suo cospetto nel castello di Argenta. La sua residenza abituale.

Rinaldo da Concoregio ha una figura che incute rispetto. Gli occhi mobili, la parlantina sciolta mettono soggezione a chiunque. Anche Louis ne subisce le conseguenze.

Prova a perorare la sua causa ma viene liquidato da un perentorio ‘No’.

I templari obbediscono solo al Papa” fa Rinaldo nel respingere la richiesta del cavaliere francese.

Ma il mio Re li ha accusati di blasfemia ed eresia” tenta di dire Louis.

Rinaldo stringe gli occhi e incupisce il viso.

Il vostro re” dice l’arcivescovo, senza nominare il nome di Filippo IV, “commette uno spergiuro. I templari sono soggetti alla solo legge divina che il nostro Papa, Clemente V, amministra con grande saggezza”.

Detto questo con un gesto perentorio della mano dichiara chiusa l’udienza e comanda l’uscita di Louis. Rinaldo è un fine giurista e un abile diplomatico ma dal 1306 si è dedicato alla vita pastorale della sua vasta diocesi con visite frequenti nelle parrocchie e con numerosi sinodi provinciali. Proprio due settimane prima ne ha indetto uno per discutere la bolla papale sui templari e sui loro beni del 22 dicembre dell’anno precedente. Hanno deciso di applicare la regola per la quale l’ordine dei Cavalieri del Tempio sono sotto la giurisdizione del Papa. Quindi non procederanno al loro arresto ma li lasceranno nelle loro commende, anche se non potranno amministrare i loro beni.

Louis nel lasciare il castello di Argenta capisce che la sua missione è terminata e non gli resta che intraprendere il viaggio di ritorno verso Paris.

Il primo marzo del 1308 si mette in cammino verso la Lombardia superiore col tempo che è soleggiato.

Una storia così anonima – parte quarantanovesima

dolcetti - foto personale
dolcetti – foto personale

Mentone, 9 marzo 2016, ore diciannove

Luca ha trovato un parcheggio custodito a tempo a trecento metri dall’hotel. Salito al piano, trova la porta socchiusa. Luca si stupisce. ‘Non è da Van lasciare la porta aperta’ si dice, spingendo il battente. La camera presenta un colpo d’occhio notevole, anche se ormai è buio. La vista del porto con le sue luci multicolori colpisce per un istante Luca, che nota il loro bagaglio a terra vicino al letto matrimoniale.

Van?” chiama il ragazzo, senza ottenere risposta. La porta della terrazza è chiusa. Alla sua destra filtra la luce del servizio.

Van, dove sei?” fa Luca, che si sta allarmando. Non è da Vanessa fingere di essersi nascosta, pensa, muovendo qualche passo cauto in direzione del bagno. Sul pavimento nota le mutandine della ragazza. Adesso il sospetto acquista certezza. ‘È successo qualcosa a Vanessa’ si dice inquieto. Nel bagno non c’è nessuno. Per terra qualche pezzo di carta igienica. Gira intorno al letto matrimoniale senza vedere nulla, come dietro i due divani. Solo adesso osserva la tracolla dell’amica sul letto, abbandonata. Probabilmente gettata da Vanessa, quando si è precipitata nella stanza.

Esce a precipizio, lasciando la porta aperta. Si fionda nella hall per chiedere notizie alla reception ma vede attraverso le vetrate che danno sul corso una Mini blu che si sta allontanando. La persona alla guida è Henri. Di questo ne è certo con accanto una persona che appare incosciente. Esce sulla strada e fa in tempo a leggerne la targa. Non è italiana e nemmeno francese. A spanne gli pare una inglese. La sua memoria visiva imprime nella mente lettere e numeri, nel caso dovesse servire. Ritiene inutile gettarsi all’inseguimento. Ha troppo vantaggio e non saprebbe cosa inseguire.

Rientrato nella hall, si dirige verso la bionda receptionist, che lo sta guardando con gli occhi sgranati. Non capisce i movimenti di Luca, che le appaiono strani.

La signora Felici” fa il ragazzo, che muove la mani e lo sguardo in modo frenetico, “è per caso uscita con qualcuno?”

Non, Monsieur” risponde cortese.

Merci” fa Luca, avviandosi verso l’ascensore.

Una volta in camera Luca comincia a riflettere sulle prossime mosse. ‘Vado alla Gendarmerie?’ Scuote la testa. Ritiene inutile un simile passo. ‘Perderei un sacco di tempo senza essere creduto, perché la storia di Henri suona inverosimile’. Nel mentre Vanessa chissà dove è finita, pensa. Passare il confine, che dista solo un chilometro e fare la denuncia alla polizia italiana non avrebbe esito migliore. ‘Meglio tentare da solo’ si dice.

Estrae dalla tasca dei pantaloni il suo Samsung. Con lo sguardo cerca l’Iphone di Vanessa. In vista non c’è. ‘Speriamo che non sia nella tracolla’ si dice, rovesciandone il contenuto sul letto. C’è di tutto. Assorbenti, lucido per labbra, fard, portamonete, fazzoletti assortiti, chiavi, pillole varie e un paio di bustine di Control Retard. Luca sorride nel vederli. Il telefono comunque non appare. Tira un sospiro di sollievo. ‘Dunque è rimasto nei pantaloni di Vanessa’ fa con un lungo respiro.

Armeggia col suo smartphone. Cerca la app Cento passi tra le decine di icone che punteggiano il display. Sorride, perché è una app speciale, dono del suo amico Manetta. Manetta è un hacker buono, ammesso che ne esista uno. Ha creato un piccolo programma, un gioiello informatico sia per il suo Samsung che per l’Iphone di Vanessa. Questa app ufficialmente è nel Google Play come un innocuo programmino che conteggia i passi. In realtà una volta installata e collegata al PC diventa un oggetto che prende il controllo del sistema, senza che all’esterno si noti nulla di anomalo. Collegato al programma gemello, è in grado di fornire sia la sua posizione che quella dell’altro telefono e d’inviare messaggi di alert invisibili a chi non li conosce. Come chicca fornisce anche la mappa del percorso dello smartphone gemello. È già entrato in funzione a Rennes-le-Château durante la spedizione nella chiesa. Se per il Samsung è stato relativamente facile installarlo, sull’Iphone Manetta aveva dovuto aggirare le protezioni del sistema Apple, sfruttando una delle numerose falle dell’IOS. Questa app è molto particolare e sicura, perché funziona anche a dispositivo spento o con la batteria quasi esaurita. Infatti se il telefono viene chiuso, l’app si attiva e impedisce lo spegnimento totale, consentendo d’inviare l’informazione di geolocalizzazione e gli alert. In apparenza il telefono appare muto, mentre in realtà è attivo per questa sola funzione. Qualora il livello della batteria scenda sotto di una certa soglia percentuale, avvia lo spegnimento virtuale e rimane attiva solo questa.

Luca osserva la funzione attivarsi e stabilire un contatto con l’Iphone di Vanessa. Vede che il segnale della geolocalizzazione si muove. ‘Buon segno’ pensa, anche se non vuol dire nulla. Ricorda lo scherzo del dispositivo, inserito nella valigia della ragazza, che ha depositato su un’altra vettura. Henri avrebbe potuto fare la identica mossa, sistemando il telefono della ragazza dentro un’altra macchina. ‘Se fosse così’ si dice, ‘sarebbe un bel guaio’.

Luca attiva la mappa e nota che il dispositivo è sulla Turbie, sopra Montecarlo. Adesso deve prendere una decisione non facile. ‘Mi metto all’inseguimento subito’ si chiede, chiudendo gli occhi, ‘oppure domani mattina di buon ora?’

Guarda l’ora sono le venti e si sente molto stanco. ‘Ma per procedere ho la necessità di un secondo telefono’ si dice, mentre esce alla ricerca di uno store per l’acquisto e di una trattoria per mangiare qualcosa.

A tavola ricostruisce il percorso che ipoteticamente Henri e Vanessa hanno seguito. ‘Non ci sono state soste, salvo quelle legate al traffico’ riflette, allentando la tensione dei muscoli facciali. ‘Dunque è al momento con loro. Lasciato l’hotel si è diretto verso Montecarlo prima di prendere le strade del mitico rally’.

Tornato in albergo, paga il pernottamento in anticipo. Vuole essere libero di lasciare l’hotel a qualsiasi ora della notte. Decide per un breve risposo. ‘Un paio d’ore mi sono sufficienti per non avere un colpo di sonno’ si dice, distendendosi sul letto vestito. ‘Alle due parto alla loro caccia’. Punta la sveglia sul secondo Samsung, che ha comprato poco prima e si addormenta.

Mentone, 9 marzo 2016, ore diciotto e trenta

Pierre intuisce che ha una breve finestra per tentare il sequestro della ragazza. Il ragazzo deve cercare un posto per la macchina, la compagna ha la necessità urgente di un servizio. Lo percepisce da come lei si muove agitata e nervosa, da come stringe le gambe e dal viso congestionato per l’impellente bisogno. Apre il tablet e cerca Hotel Napoleon. In un attimo ha la pianta dell’albergo e i punti di debolezza. Scende senza chiudere la Mini, entra nella hall e segue la ragazza fino all’ascensore. Visto il piano di fermata, sale velocemente le scale per appostarsi vicino all’uscita del lift. Sorride, perché la necessità del servizio è talmente urgente, che non chiude la porta della camera. ‘Brava’ pensa, mentre si introduce furtivo dentro con la bomboletta di spray narcotizzante.

È nuda dalla cintola in giù, quando la vede di spalle, e tiene in mano mutandine e pantaloni. Spruzza e la prende al volo prima che cada per terra. Gli indumenti, che teneva, scivolano sul pavimento. Lui raccoglie i pantaloni per metterli alla ragazza, Non può perdere tempo con le mutande. Poi sorreggendola con un braccio, esce dall’uscita di servizio. Sa che non è presidiata per caricarla come un sacco di patate sulla Mini. Le mette la cintura di sicurezza per non correre il rischio di essere fermato da una qualche pattuglia di polizia e assicurarsi che non cada. Deve apparire come addormentata.

Sono poco più delle diciannove, quando mette in moto la macchina e parte dolcemente. Prende il tablet, posizionandolo sotto il cruscotto. Digita qualche indicazione e come per incanto appaiono le indicazioni stradali da seguire. Si muove con cautela. Cè un notevole traffico verso Montecarlo. Così un tragitto di mezz’ora si raddoppia in un amen.

Raggiunto Turbie, si dirige verso Sospell per poi puntare su Tende, dove ha deciso di sostare. Sembra un giro vizioso ma gli serve per depistare se qualcuno si fosse messo sulle sue tracce.

È quasi mezzanotte quando arriva a Tende. Ha prenotato presso Le Miramonti, annunciando che sarebbe arrivato tardi. La ragazza è ancora sotto l’effetto dello spray. La prende in braccio, fingendo che sia addormentata.

Domani mattina sveglia alle sette” chiede alla receptionist, prima di chiudersi nella stanza prenotata.

La depone sul letto, assicurandola con un paio di manette alla testiera del letto. Mette un bavaglio sulla bocca di Vanessa per evitare che richiami l’attenzione di qualcuno. Pierre si mette a dormire sul divano. Il sonno non tarda a venire.

Una storia così anonima – parte quarantottesima

Foto personale
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Abbazia di Valvisciolo, 15 gennaio 1308, ora sesta – anno terzo di Clemente V

Nell’ora sesta il quindici gennaio Pietro bussa al portone dell’abbazia. È una giornata grigia. L’aria fredda sferza il viso del frate, facendolo rabbrividire. Aspetta con pazienza che aprano la porta. È la prima volta che arriva a Sermoneta. Non si era mai spinto oltre Roma. L’abbazia, edificata nel dodicesimo secolo, era stata abbandonata per molti anni. Per toglierla dallo stato di abbandono è stata occupata dai Templari e restaurata. Pietro ne conosce la storia ma ignora, se troverà i confratelli del sud oppure altri monaci.

Il viaggio è stato lungo e faticoso, avversato dal maltempo. Era partito a metà dicembre dall’Abbazia di Chiaravalle sotto una fitta nevicata. Lo stato delle strade non gli ha consentito una marcia spedita, nemmeno dopo l’attraversamento del Padus a Placentia, perché alla neve si è sostituita la pioggia e la bruma invernale della pianura della Lombardia inferiore. Arrivato in prossimità di Bologna ha preferito evitarla per non rimanere bloccato nella magione, compiendo un largo giro verso le terre estensi, prima di raggiungere la via bolognese. Questa strada conduce alla vallata del Sieve, nella Romagna toscana, scavalcando un passo basso e agevole. Da quando ha iniziato a muoversi tra la pianura della Lombardia e le terre del sud, ha seguito questa via. La preferisce al valico di Monte Bardone più a settentrione e a quello dell’Alpe di Serra a meridione. la strada è una stretta mulattiera che tra castagneti e vegetazione di basso fusto avanza su dolci crinali. Sul punto più elevato c’è una locanda che i viandanti chiamano Hostaria. È il luogo dove sostano i pellegrini provenienti dalla via Romea ungarica, mentre si dirigono verso Roma. Sono circolate strane storie su questo punto di ristoro e di riposo. In più di un’occasione i templari romagnoli sono intervenuti per capire che fine avevano fatto dei viaggiatori spariti nel nulla senza trovare niente di anomalo. Durante un viaggio di ritorno da Roma Pietro ha ascoltato nella terranova di Fiorenzuola un racconto orripilante, che avrebbe tolto il sonno a chiunque. Queste voci narrano di viandanti, che, stremati dal lungo viaggio, trovano una locanda a prima vista accogliente sul crinale che separa le vallate della Sieve e del Santerno. È il punto di ristoro sognato nel lungo viaggio a piedi durante il loro pellegrinaggio. Tuttavia una triste sorte aspetta quei poveri diavoli, che invece di proseguire hanno deciso di fermarsi. La leggenda, perché secondo Pietro tale è, racconta che questi siano uccisi nel sonno e le loro carni sarebbero usate per sfamare altri viandanti. Pietro si è sempre domandato quanto di vero ci fossero in quelle dicerie. Personalmente non ha mai creduto a queste chiacchiere, perché non sono state trovate prove a sostegno della loro veridicità. Per quello, che è a sua conoscenza, non risulta che pellegrini di ritorno da Roma siano stati vittime di simili barbarie, né ha mai notato la sparizione di qualcuno in maniera misteriosa.

Il frate, nonostante questa storia di sangue e di orrore, si è sempre fermato in questa locanda e non ha mai notato nulla di strano. L’atmosfera, che qui si respira, non è cupa tenebrosa ma semplicemente triste. I gestori, una coppia di toscani di mezz’età, appaiono poco propensi all’allegria. Tuttavia la loro cucina è ottima. Pietro ha sempre preferito zuppe di verdure e piatti a base di vegetali, escludendo la carne. ‘Suggestione?’ si è chiesto il frate una volta durante una sosta nel viaggio di ritorno verso Bologna, mentre attendeva la consueta zuppa di cavolo nero e piselli. Anche durante questo viaggio verso Sermoneta ha sostato presso l’Hostaria, evitando come al solito la carne.

Per la prima volta da quando transita di qui, Pietro ha affrontato il valico nel periodo invernale, trovando neve e ghiaccio e molte difficoltà in più. ‘È pur vero che qualche mese fa ho attraversato le Alpi sotto la neve’ si è detto, mentre procedeva a fatica verso la locanda. ‘Ma le strade erano ben segnate. Qui è un tratturo appena abbozzato, dove con facilità ci si può smarrire, finendo in un dirupo’.

Arrivato stremato all’Hostaria, un’improvvisa tempesta di neve l’ha bloccato per diversi giorni, impedendogli di proseguire verso Aretium. Durante questa sosta forzata ha potuto osservare con calma il clima che si respira nella locanda. Non ha percepito nulla di strano e di torbido. I pochi viandanti, che soggiornavano con lui, non gli sono apparsi vittime sacrificali, né timorosi per la loro vita. Ripresa la marcia verso il fondovalle, il percorso è stato più agevole e meno impegnativo rispetto ai giorni precedenti. Ha potuto accelerare il passo senza gli impedimenti del cattivo tempo. Raggiunto Aretium, ha seguito la via Francigena che attraverso la Tuscia orientale conduce a Roma.

Mentre rievoca questo lungo viaggio, si apre una fessura nel grande portone dell’Abbazia. Un monaco vestito di bianco sbarra gli occhi, vedendo un templare bussare alla loro porta.

I vostri confratelli si sono ritirati nella grande commenda sul colle dell’Aventino’ dice il frate guardiano, osservando Pietro.

Il frate abbassa la testa come per annuire. In realtà è un deferente cenno di saluto. Le ultime vicende, nelle quali è stato coinvolto, gli hanno fatto intuire che anche in Lombardia e nell’area romana non tira aria salubre per loro.

Busso” inizia Pietro, prima che la porta si chiuda senza spiegazioni, “perché cerco un fratello. Berthod de la Roche. Mi hanno detto che si è trasferito presso questa Abbazia”.

Il monaco, che ha aperto parzialmente il portone, sta per richiuderlo, quando ascolta le parole di Pietro, e resta interdetto. Tace, perché gli appare strana l’affermazione del forestiero, che è per giunta un templare.

Forse il fratello non è più qui?” domanda il frate, preoccupato di inseguire un fantasma, non ascoltando nessuna risposta.

No” risponde il monaco, che ha ritrovato la parola. “Il fratello che cercate si trova in questo monastero”.

Potrei incontrarlo?” incalza Pietro, che respira più rilassato.

Per quale motivo desiderate vederlo?” chiede il frate, tenendo sempre socchiuso il portone.

Ho una consegna per lui” dice Pietro, cercando di fornire il minimo delle informazioni.

Cosa?” domanda di nuovo il monaco, ben deciso a non farlo entrare senza una spiegazione convincente.

Non posso rivelarlo” fa Pietro per non tradire il compito assegnato. “Il cardinale Caetani mi ha ordinato di consegnarlo solo nelle mani del fratello Bethod de la Roche”.

Pietro parla con calma senza sollevare il capo ma deciso a non rivelare l’oggetto da recapitare. Non mostra segni di impazienza, né assume toni arroganti. L’intonazione della voce è umile e bassa.

Aspettate qui” gli dice il frate guardiano, chiudendo il portone.

Dopo un’attesa, che a Pietro appare lunga, si riapre il battente per accogliere il templare e il suo cavallo. In silenzio lui segue il monaco, che dapprima lo conduce alle stalle e poi nel monastero. Nella sala capitolare seduto sullo scranno sta un monaco dalla corporatura imponente e dal viso carico di anni.

Pietro Roda, templare della commenda di Bologna” si presenta Pietro, inginocchiandosi davanti a quello che gli appare il priore dell’Abbazia.

Alzatevi” fa il monaco, accompagnato da un gesto della mano. “Dovete consegnare qualcosa a Berthod de la Roche?”

Sì, fratello” dice Pietro, mentre osserva con attenzione la figura che sta dinnanzi a lui.

Ebbene potete farlo” fa il monaco allungando la mano.

Il cardinale Francesco Caetani mi ha ordinato di darlo in consegna a Berthod de la Roche. Solo a lui, di persona” afferma Pietro per nulla intimorito da quella figura ieratica.

Sono io” afferma il frate, inarcando per un attimo una sopracciglia. “Non vi fidate?”

Non lo conosco” replica Pietro diffidente. “Potrebbe essere chiunque”.

Il monaco si alza dallo scranno e prende sottobraccio il templare. “Venite” e si dirigono verso il refettorio dell’Abbazia.

Arrivati all’ingresso della vasta sala, un monaco spalanca gli occhi nel vederli, mentre quello, che legge i salmi della Bibbia, si ferma. Tutti smettono di mangiare.

Abate Berthod” fa un cistercense anziano, “ci rende un grande onore sedersi alla nostra umile tavola”. E fa posto ai nuovi arrivati.

Dalle cucine arrivano due scodelle, due brocche di vino e due teli di lino, che avvolgono del pane bianco. Pietro e Berthod mangiano in silenzio, come ha già sperimentato a Chiaravalle. ‘Dunque lui è l’abate del monastero’ pensa il templare pulendo la scodella col pane. ‘Capisco anche la sorpresa degli altri monaci, perché non capita mai che lui stia a tavola con loro’. Se aveva la necessità di conoscere l’identità del misterioso Berthod, adesso ne ha la conferma senza il minimo dubbio.

Finito il pasto, sempre in silenzio, si ritirano nelle stanze del priore. Pietro senza dire nulla preleva da sotto la tunica il sacchetto, che ha custodito con molta cura, consegnandolo a Berthod.

Pisae, 18 dicembre 1307, ora terza – secondo anno di Clemente V

Luis è al cospetto dell’arcivescovo di Pisae, frate Giovanni. Cerca con parole semplici di spiegare i motivi della sua presenza.

Guillaume de Nogaret mi ha affidato il compito di arrestare e accompagnare a Paris un templare bolognese” comincia Luis non molto sicuro delle sue affermazioni.

L’arcivescovo appoggia il capo sul palmo della mano e medita sulle parole di questo cavaliere francese. Ha letto la bolla papale del 22 novembre, Pastoralis praeeminentiae, dove viene ordinato l’arresto di tutti i templari e la confisca dei loro beni, ponendoli sotto la tutela ecclesiastica. Tuttavia non comprende il senso delle sue affermazioni. ‘Per quale motivo’ pensa frate Giovanni, ‘un cavaliere francese della corona di Francia insegue e chiede l’arresto di un templare bolognese? Non è nemmeno sotto la mia giurisdizione’.

Dopo una lunga meditazione l’arcivescovo emette il suo verdetto.

Non ho ricevuto istruzioni sull’arresto dei templari della Lombardia inferiore” comincia cauto il prelato. “La bolla papale afferma che templari e beni devono essere posti sotto la tutela del Papa. Quindi non posso essere d’aiuto. Visto che la magione di Bologna dipende dall’arcivescovo di Ravenna, vi suggerisco di andare colà e chiedere udienza a Rinaldo di Concoreggio, che regge la diocesi ravennate”.

Detto questo congeda Luis, che ha capito di non riuscire a prendere il frate, abile nel muoversi e protetto dagli arcivescovi della Lombardia e della Tuscia.

Luis è ormai rassegnato a tornare in Francia a mani vuote.

Una storia così anonima – parte quarantasettesima

Foto personale
Foto personale

Rennes-le-Château, 9 marzo 2015, ore nove.

Madame Monzon sinceramente è dispiaciuta per la partenza di Luca e Vanessa. Si era abituata al loro chiassoso ma educato modo di fare. Nonostante fossero giovani, hanno tenuto sempre in ordine le loro stanze. Puntuali nel rispettare gli orari, hanno onorato la sua tavola e la sua cucina. Aveva avuto nel passato tra suoi ospiti diversi italiani ma ne aveva ricavato un’impressione negativa. Sporchi, trasandati, senza regole e senza rispetto dell’altrui proprietà. Le stanze alla loro partenza erano in condizioni pietose. Asciugamani per terra, lenzuola macchiate di caffè. Un disastro. Questi due ragazzi, che potrebbero essere suoi figli, le hanno fatto cambiare opinione. ‘Non tutti gli italiani sono uguali’ si è detta, quando le hanno annunciato che sarebbero partiti la mattina successiva.

Il nove marzo, un lunedì, è il giorno della partenza. Luca porta nell’ingresso il loro scarso bagaglio, mentre Vanessa si attarda per controllare che la camera, che hanno occupato, sia libera e in ordine. Non le piace lasciare disordine dove ha soggiornato. Dopo avere dato un’ultima occhiata per assicurarsi di non avere dimenticato nulla, scende per salutare la proprietaria.

Ragazzi” dice Mme Monzon, mentre il suo occhio si inumidisce, “ragazzi mi dispiace vedervi partire. Mi tenevate compagnia con la vostra allegria. Di certo sentirò la vostra mancanza questa sera”.

Madame” risponde Vanessa, che le stringe le mani con calore, “anche noi abbiamo un po’ di malinconia nel lasciarla. Ci è sembrato di stare in famiglia, a casa nostra. Prometto che torniamo a trovarla. Ma ora dobbiamo tornare in Italia”.

Luca l’abbraccia con calore, rimanendo in silenzio. Non è molto bravo negli addii e preferisce tacere per non cadere nel banale. Poi salgono in macchina e partono per Bologna. Non si voltano per salutare ancora una volta Mme Monzon. Hanno gli occhi lucidi e un gran dispiacere nell’abbandonare la gite. Si sono trovati veramente bene nella decina di giorni di permanenza ma non possono tardare a rientrare. Sono rimasti fuori più del previsto.

Rimangono in silenzio, mentre dopo un paio di curve il paese sparisce dalla loro visuale. La giornata si preannuncia nuvolosa come può esserlo in marzo, quando sole e nuvole si alternano repentine in cielo. Arrivati a Couiza, si dirigono verso la costa. Madame li ha sconsigliati di tagliare verso Arques e fare delle strade secondarie. “Potreste perdervi” ha detto la sera precedente Mme Monzon. “Passate per Limoux per puntare su Carcassone. Poi prendete A61 in direzione Narbonne”.

Luca segue il suggerimento, anche se il navigatore gli ha indicato che il tragitto più breve è per Arques. In un’ora di strada raggiungono il centro storico di Narbonne, dove fanno una breve sosta in un bistrot prima di arrivare a Montpellier per il pranzo di mezzogiorno.

Da qui” dice Luca, mentre prende il caffè al termine del pranzo, “facciamo un’unica tirata fino a Mentone, dove pernottiamo. Il giorno dopo siamo a Bologna in cinque o sei ore, traffico permettendo”.

Vanessa annuisce, perché sa benissimo che le sarebbe difficoltoso far cambiare idea a Luca. ‘Poi ho voglia di dormire nel mio letto’ si dice, mentre assaggia il sorbetto al limone.

I due ragazzi si sono dimenticati di Henri. Nei giorni precedenti non l’hanno mai incrociato o visto di sfuggita. Così progressivamente hanno allentato l’attenzione. Luca aveva suggerito che Henri, finito KO, fosse sparito, anche se Vanessa aveva scosso il capo dubbiosa. Non si sono accorti che lui invece silenzioso li ha tenuti d’occhio e adesso è alle loro spalle. É un fantasma, la loro ombra che li segue passo passo.

Mentre defilato aspetta con pazienza che riprendano il loro cammino, Pierre riflette sugli ordini del Gran Maestro della Quercia. ‘É stato perentorio’ si dice, fumando una sigaretta. ‘Devi scoprire cosa conoscono del nostro segreto. Oak Island’s Priory deve rimanere ignoto a tutti. Mi ha detto con un tono che non ammetteva repliche’. Non importa chi dei due parlerà ma devi conoscere tutti i particolari e i dettagli, aveva aggiunto prima di chiudere.

Adesso deve organizzare bene il piano. Non può fallire, perché non saprebbe a quali conseguenze andrebbe incontro. ‘Meglio essere prudenti’ si dice, gettando il mozzicone fuori dal finestrino. Pierre punta sulla ragazza. ‘É tosta’ si dice, sfiorandosi la guancia non ancora perfettamente guarita, ‘ma è meno attenta rispetto al ragazzo che invece ha la testa dura’. Ride amaro, perché la lingua gli duole ancora e non poco. ‘Ma lui mi sembra meno malleabile rispetto alla compagna’. Si chiede dove tendere il tranello. Lungo il tragitto verso Bologna è più complicato, perché le occasioni ci sono ma meno fruibili. La può sorprendere nella sua abitazione. Sa dove abita e conosce il modo di introdursi senza essere notato. Per il momento gli è sufficiente seguirli senza farsi individuare. Se li perdo di vista, pensa, lisciandosi la guancia ispida per la barba che non può eliminare, so dove arriveranno.

Sono le due del pomeriggio, quando li vede sbucare dal ristorante per raggiungere l’auto posteggiata nelle vicinanze. Pierre mette in moto la sua e si appresta a continuare il pedinamento. ‘Se la sede del priorato’ riflette, ‘non fosse oltre oceano, porterei al Gran Maestro la fanciulla su un piatto d’argento. Allora sì, che ci sarebbe da divertirsi!’ Sadicamente pensa alle torture che la aspetterebbe. E lei non sarebbe molto felice di subirle. ‘Tutto a tempo debito’ conclude mentalmente, avviandosi lentamente alle loro spalle.

Per arrivare a Mentone servono circa quattro ore di viaggio, si dice Luca, mentre ammira le acque del Golfo del Leone alla sua destra. Accende la radio per ascoltare qualcosa.

Uffa” sbotta Vanessa. “Chiudi questo arnese. Se vuoi compagnia, te la tengo io”.

Luca sorride. ‘Immagino di cosa vorrà parlare’ pensa, spegnendo l’autoradio.

Di cosa parliamo?” chiede il ragazzo.

Del nostro frate, naturalmente” risponde Vanessa, sistemandosi sul sedile.

‘Come si voleva dimostrare’ si dice, prima di rispondere all’amica. “Cominci tu?” fa Luca con tono un po’ ironico, mentre non nota che da Montpellier una Mini blu li sta seguendo. Si è scordato completamente che Henri poteva essere alle loro spalle.

Non ho capito il motivo per il quale Pietro prima è passato per Chartres, poi Poitiers e infine è arrivato a Rennes-le-Château” comincia Vanessa.

Beh! A Rennes-le-Château sappiamo per certo che ha prelevato qualcosa” dice Luca, “oppure sbaglio?”

No, no. Non sbagli” afferma la ragazza. “Ma cosa ha prelevato? L’iscrizione indica una cassetta lignea. Ma il suo contenuto?”

Luca scuote il capo. Qualcosa non torna. Non comprende perché Henri li ha minacciati a Bologna e poi seguiti in Francia, tentando più di una volta di intercettare le loro conversazioni. Anche lo scontro nella chiesa di Rennes-le-Château gli appare immotivato. Per una frazione di secondo Luca si osserva alle spalle senza notare nulla di insolito. La guardia abbassata e la voglia di tornare alla vita di tutti i giorni gli fanno ignorare ogni misura di prudenza.

Non saprei darti una risposta. Il nostro cronista medioevale sembra parco di notizie al riguardo. Dice solo che al rientro in Italia Pietro si reca all’abbazia di Chiaravalle, vicino a Milano” dice il ragazzo pieno di dubbi. “Ma a fare cosa?”

E se invece li ha portati a Bologna?” insiste Vanessa, ignorando le parole di Luca.

Boh!” risponde il ragazzo, alzando le spalle perplesso.

In uno dei libri presi in biblioteca” fa Vanessa, mentre stringe gli occhi per aiutarsi a ricordare, “mi pare che sia stata trovata una misteriosa cassetta in una chiesa sull’Appennino”.

Forse mi sembra di aver letto qualcosa del genere” dice Luca poco convinto che si tratti della medesima cassetta. “Ma senza conoscere il contenuto, qualsiasi ipotesi è valida”.

Anche a Chartres Pietro ha prelevato qualcosa” dice Vanessa. “Forse l’ha consegnata a Chiaravalle”.

Probabile” ammette Luca stanco per la guida. ‘Ancora un piccolo sforzo, poi…’ si dice, muovendo il collo dolorante per sciogliere i muscoli della cervicale.

Arrivati sulla Costa Azzurra, all’altezza di Cannes sulla A8, il cielo limpido e il mare, che si sta calmando, li accolgono festosi. La distesa si tinge di rosso per il tramonto, mentre il sole cala alle loro spalle.

Ancora un piccolo sforzo” dice Luca, sapendo di mentire, perché manca ancora un’ora abbondante di strada, “e poi siamo a Mentone”.

Sì, negriero” replica sarcastica Vanessa. “Nemmeno una sosta per la pipì mi hai fatto fare. Se non arriviamo in fretta, sarò costretta a farla qui dentro”.

Hai problemi alla vescica?” le chiede ironico Luca.

No, ma una sosta avrebbe fatto bene” dice la ragazza, mostrandogli la lingua.

Prendi il mio telefono” le dice Luca. “Prenota a Mentone”.

Vanessa spalanca gli occhi verdi e apre la bocca per la sorpresa. “Prenoto? Sai già il nome dell’albergo?”

No” fa Luca ridendo. “Ne cerchi uno”.

La ragazza scuote i riccioli rossi, rimettendo nel portaoggetti il telefono. “Lo cerchi e prenoti tu” fa risoluta vanessa.

Va bene” concorda Luca. “A Nizza mi fermo e lo faccio”.

Sosta rapida” gli intima Vanessa. “Già qualche goccia mi è scappata”.

Luca ride, mentre imbocca l’uscita 50, Nice – Promenade des Anglais, per dirigersi verso il centro città. Nelle vicinanze del porto parcheggia e comincia a cercare un albergo a Mentone. Ce ne sono molti ma c’è un unico quattro stelle, neppure troppo caro.

Va bene il Napoleon Hotel o preferisci Le Dauphin?” fa Luca, fingendo di lasciare la scelta a Vanessa.

La ragazza sgrana gli occhi verdi e apre la bocca senza dire nulla, prima di esplodere un “Vaffanculo, stronzo! Che ne so quale dei due è il migliore”.

Perché?” domanda con fare ingenuo Luca.

E me lo chiedi?” replica con gli occhi stretti per la collera.

Ho capito, ho capito! Non farti alzare la pressione” dice con un sorrisino ironico il ragazzo. “Prenoto il quattro stelle”.

Che sarebbe?” chiede Vanessa, che si ricompone dopo lo scatto di nervi, stringendo le gambe. La necessità di urinare diventa sempre più impellente

Napoleon” fa Luca, mentre compone il numero. “Sul lungomare a un chilometro dal confine”.

La stanza c’è ma il posto macchina no. Attraversata Nizza, un’ora più tardi parcheggiano davanti all’hotel.

Siamo i signori Felici” dice Luca, presentandosi alla reception. “Abbiamo telefonato un’ora fa per una stanza matrimoniale per stanotte. Mi potrebbe indicare un posto nelle vicinanze, dove posteggiare la macchina senza prendere la multa?”

Vanessa con gli occhi spalancati e furenti freme, perché ha necessità urgente di un servizio e perché ha fatto credere che lei sia la sua compagna. ‘Me la paga’ si dice, stringendo le gambe per la necessità urgente di vuotare la vescica.

Tu sali” fa Luca, “mentre io vado a trovare il posto per parcheggiare”.

Pierre è fuori, poco oltre l’ingresso dell’hotel, in attesa sulla Mini.

Vanessa prende la chiave e chiama l’ascensore per salire in camera. Entrata, si precipita in bagno, dopo aver lasciato i bagagli vicino alla porta. Con frenesia si toglie i pantaloni e gli slip, che abbandona sul pavimento, senza controllare se il servizio è pulito a dovere. Non ne ha il tempo, prima di lasciarsi andare a una sofferta liberazione. Qualche goccia è comunque scappata, inumidendo le mutandine di cotone.

Sembra una piccola cascatella, mentre le sfugge dalla bocca un sospiro di sollievo. ‘Non avrei resistito un minuto di più’ si dice, indugiando tranquilla sulla tazza.

Sente dei rumori provenire dalla porta, mentre si asciuga.

Luca sei tu?” chiede senza ottenere risposta. “Non fare lo sciocco. Lo so che sei tu”.

Si alza ed esce dal bagno con gli indumenti in mano. Un passo poi il buio.

Un storia così anonima – parte quarantaseisima

Tramonto - Foto personale
Tramonto – Foto personale

Monastero di Chiaravalle – 14 dicembre 1307 ora nona – anno secondo di Clemente V

Pietro la mattina del dieci dicembre si mette in cammino sotto una leggera nevicata. La strada è bianca e ghiacciata. Il frate ha seguito il suggerimento dell’oste, che gli ha consigliato di partire subito, senza indugi.

Se vi mettete sul sentiero che porta verso la pianura” gli ha detto, mentre depone sul tavolo latte e pane dolce per colazione, “in una giornata di cammino siete fuori dalle montagne. Da stanotte il tempo peggiorerà e rischiate di rimanere bloccato tra questi monti per non so quanti giorni”.

Il frate ha annuito, terminando di bere il latte di capra, appena munto, ancora tiepido. Ha chiesto qualche pagnotta dolce da mangiare durante il viaggio, prima di partire al primo albore sotto un cielo latteo.

Pietro, avvolto nel mantello bianco, mentre scende con prudenza verso fondovalle, riflette sulla missione che il Cardinale Caetani gli ha affidato. La sacca, di cui ignora il contenuto, ha un destinatario ben definito. Un monaco cistercense, Berthod de la Roche. Tuttavia le sue preoccupazioni sono rivolte verso la cassetta lignea, che conserva nella bisaccia. Non sa cosa farne. Non conosce la destinazione. ‘Conservatela con cura’ gli aveva detto il Cardinale. ‘Saprete riconoscere la persona a cui affidarla, quando si presenterà’. Una frase sibillina, che non dice nulla ma allo stesso tempo dà un’indicazione su chi la dovrà prendere in carico. Si domanda, se sarà in grado di portare a termine questo compito con successo. ‘Saprò riconoscere il destinatario di questo bene prezioso?’ si chiede Pietro, mentre continua la discesa verso la pianura di Lombardia. La neve scende a tratti copiosa e a tratti lieve.

‘Devo aver fede in Gesù, in Maria e in Maria Maddalena’ pensa il frate. ‘Non posso essere sopraffatto da pensieri negativi. Verrei meno al mio giuramento da Templare. Ogni missione sarà condotta a termine a sprezzo della mia vita’.

La giornata volge al termine, mentre le prime avvisaglie dell’oscurità incombono su di lui. L’oste gli ha detto che al termine del sentiero avrebbe incontrato un piccolo paese con una locanda pulita e accogliente. Però Pietro non ha incrociato anima viva, né abitazioni. Un cammino in piena solitudine in mezzo a un panorama spettrale. Non dispera. La fede lo sorregge mentre avanza con cautela lungo il sentiero tra due stretti contrafforti.

Pensa ai confratelli che ha lasciato nella magione di Bologna. Si domanda come se la sono cavata in questo mese. Il maestro era vecchio. ‘Sarà ancora in vita?’ si domanda il frate, mentre procede nell’oscurità sempre più densa. ‘Ma io riuscirò a tornare dai miei confratelli?’. Ancora un pensiero negativo. ‘Devo avere fede’ si disse, mentre gli pare di vedere delle luci in lontananza. Sprona il bardo, perché forse sono finite le sue ansie. É il villaggio che l’oste gli ha indicato, dove potrà trovare alloggio per lui e il suo cavallo. Una pioggia gelida ha sostituito la neve e le montagne sono alle sue spalle.

La mattina seguente al primo albore Pietro si rimette in cammino. Le strade sono un pantano vischioso che rallentano la marcia. Il bardo fatica ad avanzare e il Po è ancora lontano. Una pioggia silenziosa e battente lo accompagna nel suo viaggio verso il Monastero di Chiaravalle.

Tre giorni dopo verso il vespro Pietro è davanti al portone dell’Abbazia Sanctae Mariae Claraevallis Mediolanensis. Il complesso monacale è costruito per metà. Sono evidenti i lavori da compiere. La facciata della chiesa adiacente il monastero è incompleta, si notano delle impalcature nella zona posteriore. Intorno riaffiorano i vecchi acquitrini, che i monaci hanno bonificato nel passato e che il maltempo ha fatto riemergere. Il cielo è grigio, gonfio di pioggia. Picchia con energia il portone e attende con fiducia che qualcuno lo apra.

Sono un viandante che chiede riparo presso di voi” fa Pietro, quando il monaco guardiano apre uno spiraglio per vedere chi bussa.

Entrate” gli dice, spalancando il portone.

Che il Signore sia con voi” esclama Pietro che entra a piedi col cavallo.

Sempre sia lodato” è la risposta.

Il frate sistema il bardo nelle stalle, prima di recarsi nella cella che gli hanno offerto per la notte. É piccola e stretta, illuminata debolmente da un grosso cero. Addossato alla parete c’è un tavolaccio di legno con un pagliericcio, mentre da una minuscola finestra entra un po’ d’aria. L’umido delle pareti si confonde con l’umidità delle vesti, zuppe di acqua.

Pietro è stupito che nessuno lo presenti all’abate dell’abbazia. Conosce le regole ma pare che si siano dimenticati di lui, finché non ode i rintocchi di una campanella che invita i monaci nel refettorio. Esce dalla sua cella e raggiunge i monaci. Sono in fila indiana e passano davanti a una fontana, da cui zampilla un getto d’acqua sotto cui ognuno deterge con forza le mani. Pietro li osserva e aspetta con pazienza il suo turno. L’acqua è gelida ma nessuno ha un moto di brivido. Il frate raggiunge il refettorio, che è un’ampia sala rettangolare, suddivisa da due file di colonne, spoglia e scarsamente illuminata. Tre tavolate di solido legno di noce formano una U e stanno nel centro della stanza. I monaci prendono posto sul lato esterno. Pietro si siede in mezzo a loro. Il cibo è già servito in una scodella di stagno. Davanti sta una piccola brocca di terracotta, di cui il frate riconosce la misura di una hemina. É un’usanza di sua conoscenza. Vino o sidro di mele al posto dell’acqua, non sempre buona da bere. Una pagnotta di pane bianco sta accanto alla scodella. Una zuppa calda di verdure è il sommario pasto serale. Non si sente un fiato. Tutti in silenzio, mentre un monaco, posto nel mezzo dell’apertura della U, legge ad alta voce alcuni versetti della Bibbia alternati ai sermoni de Il Cantico dei Cantici di Bernardo di Chiaravalle. Pietro prima di iniziare a bere dalla tazza si osserva intorno. Sa che gli usi cistercensi nel refettorio hanno quasi un carattere liturgico e non vuole stonare. Afferra la scodella con le due mani per iniziare il pasto serale. ‘C’è tempo per chiedere di Berthod’ si dice, mentre beve un liquido dal colore informe. ‘Domani con le dovute cautele mi informo’. Pulisce con coscienza la stoviglia con un boccone di pane, finché non appare come se fosse stata lavata. Si pulisce la bocca con una pezzuola di ruvido cotone su cui sta appoggiata la pagnotta, dopo aver finito il contenuto della tazza oppure avere bevuto il vino dalla brocchetta.

Tre tocchi della campanella invitano i monaci nella piccola chiesa accostata al chiostro per le orazioni serali di ringraziamento del pasto serale. Tutti in silenzio si alzano e in fila indiana si avviano fuori da refettorio. Pietro li segue, anche se avrebbe voluto sistemarsi presso un camino acceso per asciugare i panni che indossa. Segue con devozione le lodi serali, si confessa e assume l’ostia consacrata. Adesso si sente più sollevato dopo essere rimasto per troppo tempo lontano dai sacramenti. Al termine della cerimonia tornano silenziosi nell’unica stanza, che funge da dormitorio comune, in attesa della sveglia del mattino. Pietro conosce bene la vita del monastero e senza fretta si ritira nella propria cella. Prima di distendersi sul tavolaccio sotto una ruvida coperta, si volta verso levante per ringraziare Gesù, Maria e Maria Maddalena per la giornata odierna. La stanchezza del viaggio vince la durezza del legno e il freddo umido che penetra nelle ossa.

Sei tocchi della campanella lo svegliano per ricordargli che le preghiere del mattino stanno per iniziare. Pietro si leva indolenzito ma riposato. Inginocchiato verso levante recita le sue solite orazioni prima di recarsi in chiesa. Osserva quei monaci, cercando di di individuare l’abate, il capo spirituale di questa comunità monacale. ‘Non sarà facile’ si dice Pietro, passandoli in rassegna. Sono vestiti tutti uguali nelle loro tuniche bianche. ‘Dovrò chiedere dell’abate a qualcuno. Da solo non sono in grado di individuarlo’. La regola di Bernardo è chiara. L’abate non consuma i pasti col resto della comunità, né dorme con loro. Ha una cucina che serve lui e i suoi ospiti e non partecipa alla vita comune. Quindi è difficile che sia fra i monaci in chiesa.

Pietro però non dispera che sia tra loro. Individua un monaco dalla lunga barba bianca, che si confonde con la tonaca. Si avvicina per assumere informazioni.

Siete l’abate di questa comunità?” domanda Pietro, quasi certo che non lo sia.

No” risponde stupito il monaco. “Lo cercate?”

Sì” fa Pietro, abbassando gli occhi con umiltà. “Pensavo che foste voi”.

Il monaco sorride, lusingato dall’accostamento. Gli fa un cenno di seguirlo, riprendendo la regola del silenzio che ha interrotto per rispondere. Usciti dalla chiesa, entrano nel chiostro del monastero e percorrono un lungo corridoio per arrivare alla sala capitolare. Durante il tragitto Pietro ammira l’eleganza delle colonnine e osserva i lavori che stanno facendo per erigere il campanile di fianco al tiburio. Al suo arrivo non ha compreso a cosa servissero i ponteggi che ha notato dall’esterno.

Ecco” fa il monaco, accennando col capo una porta socchiusa. “Qui trovate l’abate, Gerardo da Giussano. Sta aspettando i fratelli per il capitolo dopo le lodi mattutine”.

Pietro lo ringrazia, mentre bussa alla porta semiaperta. “Entrate” dice una voce dal tono fermo. Il frate spinge con cautela la porta di noce, varcando la soglia. La stanza è spaziosa, illuminata da grandi vetrate poste in alto. É di forma semicircolare, addossati alla parete stanno degli stalli con dei sedili di legno molto rustici e spartani. Al centro della stanza c’è lo scranno, alto e imponente, dove siede l’abate.

Avvicinatevi” dice il monaco, osservando Pietro.

Sono Pietro da Monte Acuto, perceptor della magione di Bonomia et Mutina” fa il frate, inginocchiandosi di fronte all’abate.

Il monaco gli fa cenno di alzarsi. “Vi ascolto” dice, appoggiando il capo sulla mano.

Sono qui” inizia Pietro, “su commissione del Cardinale Caetani, dovendo consegnare un oggetto al fratello Berthod de la Roche”.

L’abate rimane in silenzio, riflettendo sulle affermazioni del templare. La regola impone che qualsiasi oggetto destinato a un monaco debba essere consegnato a lui. Tuttavia c’è un impedimento che lo trattiene dal richiedere la consegna.

Fratello Berthod non è qui” dice l’abate.

É morto?” si informa Pietro sbigottito.

No. É in viaggio per il monastero di Valvisciola” fa l’abate. “Ma l’oggetto…”.

Non so cosa sia” lo interrompe Pietro. “É custodito in sacchetto, di cui ignoro il contenuto. Il Cardinale Caetani mi ha ordinato di consegnarlo nelle mani di fratello Berthod”.

Mentre Pietro sta parlando con l’abate, in silenzio la stanza si popola di monaci che si siedono negli stalli accostati alla parete. Capisce che è un momento di raccoglimento per la comunità e accenna ad allontanarsi. Non vuole creare disturbo con la sua presenza.

Restate” gli dice Gerardo, accompagnando le parole con un cenno della mano. Pietro resta in piedi alla destra dello scranno. Un monaco si alza per leggere il martirologio del santo del giorno. Oggi è San Giovanni, uno dei tanti Giovanni celebrati dalla chiesa. A seguire Pretiosa, l’orazione monastica mattutina, e una regola di Bernardo del loro ordine. Al termine della lettura l’abate la spiega ai confratelli, affinché la possano seguire senza errori.

Chi ha mancato oppure ha trasgredito le nostre Regole” disse l’abate con voce ferma nel silenzio assoluto della sala, “si faccia avanti per accusarsi”.

Pietro percorre con lo sguardo in modo circolare quel consesso che siede tacito, notando che qualcuno si agita leggermente rispetto al resto che rimane perfettamente immobile. Nessuno si leva per autoaccusarsi, nonostante sia chiaro la presenza di monaci, colti in flagranza di peccato.

L’abate ripete la formula di autoaccusa tre volte, prima di chiedere a qualche fratello se è a conoscenza di monaci sospetti di avere trasgredito le regole.

Pietro trova disgustoso questo modo di procedere, perché la delazione è più peccaminosa della trasgressione stessa. Nello stesso tempo capisce che questi monaci, che non hanno il coraggio di proclamare i propri errori, sono altrimenti da biasimare con fermezza. Ascolta in silenzio, continuando a muovere gli occhi circolarmente per osservare i loro visi.

Si alza un monaco che con voce ferma accusa un giovane monaco, Adalberto, di avere mancato la regola de Humilitate del fratello anziano, Bertrando. Nella sala non si sente nemmeno il respiro. L’abate corruga la fronte e chiede al giovane di alzarsi.

É vero?” gli domanda.

Sì” sussurra il monaco, con lo sguardo rivolto a terra.

Più forte” gli intima l’abate.

Sì” dice Adalberto con voce alta appena incrinata dalla vergogna.

Al giovane monaco vengono impartite tre vergate sulla schiena. Pietro assiste in silenzio alla punizione, che trova eccessiva per l’infrazione.

Nessun altro ha infranto le regole di questa comunità?” domanda l’abate, mentre con lo sguardo passa in rassegna gli stalli.

Un monaco si alza, incapace di guardare l’abate. “Io” dice.

Che regola avete infranto?” gli chiede.

Quater. Quae sunt instrumenta bonorum operum” confessa il monaco senza alzare gli occhi, aggiungendo. “Sesta, non concupiscere”.

Un leggero mormorio si leva dagli stalli, subito represso dall’abate. Dopo una breve riflessione gli comunica che per tre giorni starà in prigione e a digiuno con solo una brocchetta di acqua.

Pietro scopre che in una parte nascosta del monastero ci sono alcune celle adibite a carcere.

É quasi l’ora sesta, quando il capitulum viene sciolto e ci si prepara per il pasto di metà giornata.

Fratello Pietro” gli dice l’abate, “è usanza che gli ospiti mi facciano compagnia nel pranzo. Siete mio ospite. Così possiamo parlare con più calma. Quanto pensate di fermarvi presso di noi?”

Se non vi creo disturbo” risponde il frate, “pensavo la giornata odierna e la notte e riprendere il cammino domani dopo il primo albore”.

E così sia” concluse l’abate, alzandosi dallo scranno e avviandosi verso la propria cella con Pietro.

Apua, 14 dicembre 1307 ora nona – anno secondo di Clemente V

Louis percorre tutta la costa ligure verso la Tuscia. Il mare in tempesta ruggisce alla sua destra come un leone ferito. É grigio come il cielo e biancheggia contro la costa. Gli Appennini sono imbiancati fino quasi alla costa e solo le parti più basse si possono osservare, mentre il resto è avvolto nella nuvolaglia che si muove sospinta dal vento. Il percorso non è agevole e il tempo non aiuta la marcia. Il cavaliere è costretto a frequenti soste per ripararsi dagli scrosci di pioggia gelida che in certi momenti diventa nevischio. Chiede informazioni se il frate è passato o ha sostato in qualche locanda. ‘No, nessun monaco templare è passato o ha sostato qui’ è l’invariante risposta che riceve. Non riesce a capire dove sia finito. Pare che si sia volatilizzato, anche se gli sembra impossibile.

‘Eppure’ si dice dopo l’ultima risposta negativa, ‘da qualche parte deve essere transitato. Forse ha trovato rifugio da qualche parte in attesa che il tempo migliori. Non credo che abbia scavalcato gli Appennini dalle parti di Janua sotto una tempesta di neve. Sarebbe stato un pazzo. E lui non lo è. Inoltre facendo così, avrebbe allungato il viaggio di ritorno in modo considerevole’. Scuote la testa, mentre si avvolge ancora più stretto il mantello per ripararsi dalla pioggia insistente. Fa attenzione al sentiero fangoso per evitare di azzoppare il cavallo, il cui manto fuma per il sudore.

É l’ora sesta quando entra in Apua, uno snodo importante sulla via Romea. Infreddolito e affamato Louis cerca una locanda per riposare e una stalla per dare respiro alla cavalcatura, che accenna a zoppicare, perché nell’ultimo tratto ha perso il ferro del posteriore destro.

Pensa solo a riscaldarsi e a mangiare. Per le domande c’è tempo. Non ha fretta, perché ha capito che il frate ha seguito un percorso alternativo al suo. ‘Forse’ pensa, mentre col cucchiaio porta alla bocca tocchi di pane di segale e di maiale, ‘ha scavalcato gli Appennini più a nord per raggiungere la pianura di Lombardia. Ma dove?’ Ritiene inutile cercare di capire il punto, perché ormai gli è sfuggito e non c’è tempo per rimediare.

‘Devo arrivare al più presto a Pisae per parlare con frate Giovanni, l’arcivescovo, come mi ha suggerito il cardinale Colonna’ si dice, mentre pulisce la scodella con un pezzo di pane. ‘É un ecclesiasta fidato, che parteggia per il cardinale contro la fazione opposta. Di certo mi potrà dare delle indicazioni preziose o attivarsi contro quel frate’.

Comunque non rinuncia a chiedere se per caso il frate fosse passato di lì.

No” è la risposta in pratica uguale alle precedenti, “nessun forestiero è transitato da qui da diversi giorni. Né verso la Tuscia, né verso Sce Moderanne. Il tempo inclemente consiglia prudenza anche ai più temerari dei pellegrini”.

Dunque la sua intuizione è giusta. Non gli resta che parlare con l’arcivescovo di Pisae e poi decidere cosa fare. ‘Ormai il frate’ riflette Louis, ‘mi è scivolato tra le mani. É stato più abile di me’.

Una storia così anonima – parte quarantacinquesima

Ferrara- Angeli che suonano - Foto personale
Ferrara- Angeli che suonano – Foto personale

Rennes-le-Château, 1 marzo 2015, ore nove.

La notte è trascorsa tra incubi e dolori. Luca, quando ha aperto gli occhi alle prime luci che filtrano dalle imposte, ha emesso un sospiro di sollievo. Per non disturbare il sonno di Vanessa si era trasferito a dormire nell’altra stanza. Il taglio gli pulsa con fitte dolorose, l’emicrania non è né sparita, né attenuata.

‘Oggi’ si dice, aprendo con fatica le palpebre, ‘me ne sto a letto tutto il giorno’. Si gira sul fianco destro per trovare una posizione più comoda. Da qualunque parte si metta, percepisce che non va bene, a parte un sollievo momentaneo che dura pochissimo. Prova a concentrarsi senza un reale costrutto. Sente il respiro regolare di Vanessa attraverso la porta aperta. ‘Beata lei’ pensa Luca, girandosi su quello sinistro. ‘Chissà come sarà la giornata. Sole o nuvole?’

Si assopisce in un dormiveglia più calmo rispetto a quello della notte appena trascorsa. Vede Henri che scappa impaurito, scatenando nel ragazzo una grande ilarità. ‘Quel codardo’ riflette, ‘ha paura di noi!’ Vanessa lo strattona per una manica, chiamandolo “Luca, Luca”. La voce gli sembra impaurita e molto diversa da quella che ricorda. Luca finge di non sentire. Ride in silenzio. ‘Ora ti preoccupi?’ si dice con un motto di soddisfazione. ‘Ma ieri non intendevi ragioni. E mi hai costretto a uscire’.

Sente sempre Vanessa che lo chiama “Svegliati!”. Però gli occhi paiono incollati, perché non riesce ad aprirli. Qualcuno lo scuote. Gli viene paura. ‘Sto sognando oppure Vanessa mi sta chiamando?’ pensa, scollando le palpebre a una fessura.

Luca, Luca. Non fare lo sciocco” lo implora la ragazza. “Vuoi farmi prendere un coccolone?”

Finalmente gli occhi mettono a fuoco il viso della ragazza, mentre fa un grosso sbadiglio. Osserva il suo volto, che trasmette preoccupazione. La fronte aggrottata, le labbra stirate.

Calma, Van” dice il ragazzo sollevandosi a sedere. “Va a fuoco la casa?”

Vanessa lo abbraccia, stringendolo forte. Il viso si distende e un accenno di sorriso compare sulla faccia della ragazza. Luca la lascia fare, sentendo il suo corpo morbido aderire al proprio. L’abbraccio dura a lungo prima che lei dica qualcosa.

Mi hai fatto prendere un accidente” afferma Vanessa che si stende accanto a lui, tenendolo abbracciato affettuosamente. “Ti sentivo borbottare qualcosa senza senso e non riuscivo a svegliarti”.

Stavo dormendo beato” mente Luca, baciandola sul collo. ‘Che strano’ riflette il ragazzo. ‘Nessuna reazione. Anzi pare che le piaccia. Che mi debba dare un’altra botta in testa?’

La ragazza ride, perché ritrova quel Luca ironico e simpatico che l’ha sempre attratta e che ha cementato la loro grande amicizia. Si stringe con maggior forza all’amico e trova piacevoli quelle labbra sul collo.

Cosa pensi di fare oggi?” gli chiede, sollevando lo sguardo verso di lui.

Oggi è domenica” le dice. “Si santifica la festa, oziando”.

Ridono entrambi. Gli ultimi avvenimenti li hanno tenuti sulla corda, tesi e impauriti. Adesso pare che la bufera si stia allontanando.

Bene” esclama Vanessa. “Una settimana di relax. Speriamo che il tempo viri al bello per poter passeggiare nei dintorni”.

Saggia proposta e ottimo proposito” fa Luca, affondando il viso nei ricci rossi della ragazza. “Nessuna ricerca dei segreti di Pietro”.

Rimangono in silenzio, abbracciati con tenerezza. I loro respiri sono all’unisono come se fossero un corpo unico. Poi Luca interrompe l’atmosfera lieve e rilassante. “Credo che non abbiamo più nulla da scoprire in Francia” afferma il ragazzo. “Non rimane che tornare in Italia alla ricerca di altre tracce”.

Vanessa si stacca e lo guarda in viso corrucciata. ‘Quello sciocco’ pensa, ‘ha rotto l’incantesimo, parlando del nostro frate’.

Il nostro cronista” prosegue Luca, come se pensasse ad alta voce, “non ci viene più in aiuto. Pietro, dopo essere sbarcato e aver raggiunto la pianura padana, arriva a Chiaravalle senza trovare la persona a cui deve consegnare un sacchetto misterioso. A proposito cosa contiene?”

Vanessa sbuffa, perché stava bene accoccolata su di lui. Adesso deve rispondere alla sua domanda. “Non saprei” dice leggermente stizzita.

Poco importa” afferma il ragazzo. “Quello di certo è stato consegnato a Berthod de la Roche. Ma è il misterioso cofanetto che mi incuriosisce. Ricordi quello che Il cardinale Caetani ha detto a Pietro?”

No” sbuffa la ragazza in modo rumoroso attraverso la bocca. “É l’ultimo dei miei pensieri attualmente. Ma non dovevamo scordarci Pietro e tutto il resto?”

Luca ride di gusto, spalancando gli occhi. Per la prima volta Vanessa molla la presa, da quando si sono visti dieci giorni prima. Gli sembra quasi un sogno. Tuttavia è convinto che sia un fuoco di paglia. La riabbraccia con calore, rimanendo in silenzio.

Sentono Mme Monzon che li chiama. “Petit dèjeuner”. I due ragazzi si guardano e scoppiano a ridere. “Alzarci?” dice Luca, spalancando gli occhi. “In camera!” Poi si rivolge a Vanessa. “Van, dì alla …” si ferma, perché stava dicendo ‘grassona’. Si corregge all’ultimo istante. “a Madame Monzon che la voglio a letto”.

Ma dai!” esclama la ragazza. “É talmente gentile che non posso chiederle questo. E poi non fa servizio in stanza”. Si alza e aggiunge. “Tempo cinque minuti e il principino è servito”. Prima che Luca possa replicare, sparisce dalla camera.

La giornata si srotola lenta tra il letto e la sala da pranzo. Il tempo è ancora corrucciato ma pare che voglia virare al bello.

Nei giorni seguenti il ragazzo, pur fingendo improbabili dolori, si riprende e fanno diverse escursioni nei dintorni, dove si respira un aria di mistero. Aleggia tutto intorno il mistero del tesoro dei Templari. Tutto pare in funzione di questo. I divieti, le librerie, il museo e i piccoli paesi che fanno da corona a Rennes-le-Château.

Dopo una settimana rilassante i due ragazzi prendono congedo da Mme Monzon.

Rennes-le-Château, 2 marzo 2015, ore dieci.

Pierre è tornato a Rennes-les-Bains per le medicazioni. La lingua duole e i graffi si stanno rimarginando. Deve usare precauzione, perché il taglio è profondo. Maledice ancora quei due italiani, che l’hanno conciato male. Fatica a parlare e deve assumere solo dei liquidi.

É immerso nei suoi pensieri, quando sente squillare il suo telefono. Guarda il display e gli scappa un’imprecazione.

Hello” dice, aprendo la comunicazione. Immagina che la conversazione non sarà facile ma nemmeno piacevole. Conosce il motivo di quella telefonata. Avrebbe voluto che fosse più in là nel tempo ma sospira di fronte all’ineluttabile.

…”.

Sì, Gran Maestro. Sono ancora alle calcagna di quei due italiani”.

…”.

No” risponde con una smorfia di dolore. Parlare gli costa fatica. “Non hanno scoperto nulla. O meglio non hanno trovato nulla. Sono furbi ma spero di mettere un po’ di sale sulla loro coda”.

…”.

Cosa dice?” fa Pierre, sgranando gli occhi.

…”.

Se questo è il suo volere” dice, corrugando la fronte, “sarà fatto”.

Il tono di libero fa capire che la telefonata è chiusa. Resta a osservare il cellulare, ripensando a quello che gli è stato ordinato. Non riesce a crederci, come se fosse un gioco da ragazzi. ‘Ma quali rischi corro?’ riflette. ‘Fa presto lui a dire fa questo, fa quello. Però chi si mette nelle peste sono io. Mica viene il Gran Maestro della Quercia a salvarmi il culo’. Scuote il capo, mentre infila in tasca il telefono. Quello che gli chiede è grosso ma sa che non può opporsi. Adesso però deve pensare a rimarginare la ferita in bocca nel migliore dei modi, perché ci tiene a tornare a mangiare cibi solidi.

L’ordine del Gran Maestro della Quercia è perentorio. Deve mettere a punto una strategia che gli riservi il rischio minore. ‘Dove?’ si domanda. ‘Chi?’ e tutto non gli appare così semplice e in discesa. Per il momento può stare tranquillo. Non c’è urgenza, Tutto è sotto controllo. Mentre è immerso in questi pensieri, scorge in lontananza i due ragazzi. Gli sembrano due piccioncini innamorati. Sogghigna divertito, masticando amaro. Distende il viso, perché come un lampo ha chiaro la strategia da impiegare.

Una storia così anonima – parte quarantaquattresima

Foto personale
Foto personale

Fauçon, 29 novembre 1307, prima vigilia. Anno secondo di Clemente V

L’alba sorge su un mare grigio, solcato da onde biancastre. Il Fauçon beccheggia tranquillo, mentre avanza sicuro nell’affrontare la distesa del golfo del Leone, agitato dal vento di mistral. Il cielo plumbeo si confonde all’orizzonte con le acque dello stesso colore. Le nuvole non si colorano di rosa ma nascondono il sole che sta sorgendo.

Pietro si dirige a prua e si inginocchia verso levante, verso un’ipotetica Gerusalemme lontana, per recitare le orazioni del mattino. I marinai lo guardano incuriositi, mentre lavano il ponte di coperta.

Si preannuncia tempesta” lo informa il capitano, sistemato al fianco del timoniere. “Non temete. Sarà di poco conto”.

Le nubi si ingrossano sul golfo del Leone, che la caracca sta attraversando diretta verso Genova. Le onde si fanno più impetuose, mentre riducono la velatura per affrontare la burrasca in arrivo. Il Fauçon balla vistosamente, mentre in coperta stanno solo il timoniere e pochi marinai. É un tratto di mare infido, dove le tempeste sono violente e repentine, molto temuto da tutti i marinai. Navigare sotto costa può costare caro ma anche al largo presenta delle incognite. I venti cambiano spesso di direzione senza tanti preavvisi.

Pietro scende nella stiva dove è alloggiato il suo bardo. Controlla che sia imbragato bene e non compia escursioni pericolose. Gli accarezza il muso per tranquillizzarlo.

Il vento ha cambiato direzione e adesso spinge la nave verso levante, spinto dal vento di ponente. Come si è levato impetuoso, si calma a semplice brezza. Il mare continua a essere agitato, mentre le onde sono meno pronunciate. Il grosso della nuvolaglia punta verso le montagne alle loro spalle, mentre in lontananza si può scorgere qualche squarcio di sereno.

‘Il capitano’ pensa Pietro, allontanandosi dal suo bardo per risalire in coperta, ‘conosce bene il quadrante dei venti e la violenza delle tempeste’.

Altre burrasche violente e improvvise accompagnano il viaggio della caracca, finché dopo tre giorni scorgono a sinistra di prua la costa frastagliata, sulla quale si infrangono rabbiose le onde. Dietro si trova il porto di Tolone.

Facciamo scalo” dice il capitano, indicando che doppiata la punta si accosta verso terra. “Il Fauçon ha superato bene anche questo viaggio. Ma la velatura richiede qualche rattoppo e gli uomini un po’ di alcol e qualche donna”.

Pietro non si scandalizza nel sentire questo ma percepisce una nota di inquietudine. ‘Fermarci a terra per qualche giorno’ pensa il frate, ‘vuol dire ritardare il rientro in Lombardia’. Questo gli piace poco.

La sosta si prolunga più di quanto preventivato dal capitano. Il vento di libeccio spinge verso terra in maniera pericolosa col rischio di rimanere incagliati in qualche secca. Bisogna aspettare che cambi direzione.

Dopo una settimana dalla partenza Pietro sbarca sulla costa ligure in una rada vicino a Finale. Bacia la terra, mentre il Fauçon si allontana verso il largo per riprendere il suo viaggio. Il frate si mette in cammino, seguendo la costa alla ricerca di un punto per attraversare gli Appennini in modo facile. La neve non è ancora arrivata, perché le cime sono ancora scure e non imbiancate. Tuttavia il cielo non promette nulla di buono. Chiede notizie, si informa per evitare le strade impervie e sconosciute.

Un oste gli ha suggerito una via relativamente facile per passare nella pianura del Po. Il punto è la foce di un torrente, Acquasanta, da dove parte una mulattiera che lo costeggia. Il sentiero non è disagevole e il passo è a modesta altezza. Dopo due giornate di viaggio arriva alla foce all’ora sesta. Si ferma in una locanda per la notte, prima di affrontare il tratto di montagna che lo condurrà nella pianura del Po.

Il tempo tiene?” domanda alla locandiera, mentre attende la zuppa di verdure.

La donna scuote il capo. “Forse” dice, “il cielo non promette bene. Ma dove siete diretto?”

Di là dalle montagne” risponde Pietro, che non vuole dare molte indicazioni.

Se riuscite a passarle domani” fa l’ostessa, mentre gli pone davanti una scodella fumante e del pane di segale, “forse vi scansate una tempesta di neve. Le mie ossa sono doloranti e indicano che il tempo vira al peggio”.

Al primo albore il frate si rimette in viaggio, lasciando alle spalle un mare scuro increspato di bianco. Il vento è gelido e le nuvole compatte sono colore del latte. ‘É meglio mettersi in movimento’ pensa Pietro, avviandosi per lo stretto sentiero che costeggia il corso d’acqua. La salita non è ripida ma nemmeno dolce. Le nuvole avvolgono le cime. Il clima diventa più freddo per un insidioso vento che prende d’infilata la vallata stretta e tortuosa.

All’ora sesta si trova nel punto più alto della strada. Da lì comincia la discesa verso la pianura. Attorno alla locanda ci sono poche case di legno e qualche prato bruciato dal freddo. ‘É inutile proseguire’ si dice Pietro, entrando in quel posto di ristoro. ‘Sono stato fortunato, perché qualche fiocco di neve volteggia lieve nell’aria e questo riparo è quello che ci vuole. Domani di buon mattino e con le indicazioni dell’oste mi rimetto in cammino per raggiungere il monastero’.

Narbonne, 29 novembre, primo albore Anno secondo di Clemente V

Louis esce dalla locanda, dove ha trascorso la notte. Parte presto, se vuole intercettare il Fauçon, quando attracca. Il tragitto è lungo, costeggiando il mare, mentre il tempo non è promettente. Nuvole nere sono basse sull’orizzonte. Uscito dalla contea di Provenza, sa che deve contare solo su se stesso. In Lombardia non troverà di certo degli appoggi. Conta sulla fortuna e sul suo intuito per catturare quel frate, che pare imprendibile.

Bestemmia, mentre si avvolge nel mantello per ripararsi dal vento e dalle prime gocce di pioggia. Non può perdere tempo per sostare al riparo nell’attesa che smetta di piovere. L’andatura è rallentata dal terreno fangoso ma avanza con caparbietà.

Dopo una settimana arriva a Tolone per scoprire che il Fauçon è ripartito da poche ore. Impreca con violenza, perché arriva sempre con un attimo di ritardo. Spinge il cavallo al galoppo per raggiungere Genova, perché gli hanno detto che la nave è diretta verso quel porto. ‘Non ce la farò mai a essere più veloce di quella caracca’ si dice, avvolto nel mantello, che svolazza alle sue spalle, ‘ma ci devo provare’.

Dopo tre giorni arriva alla locanda, dove Pietro ha sostato per la notte. É l’ora del vespro e il buio ormai avvolge tutto. Si ferma per la notte.

É molto lontano Genova?” chiede all’ostessa nell’attesa del pasto serale.

No” risponde la donna, senza aggiungere altre indicazioni. Quell’uomo le appare arrogante. ‘É di certo un francese’ pensa. ‘E io non li posso vedere’.

Quanto?” continua Louis, che ha davanti una scodella fumante di zuppa.

Mezza giornata” dice l’ostessa, mentre si allontana.

Lui vorrebbe chiedere altre informazioni ma ha compreso che difficilmente riuscirà a ottenerle. Proverà domani con la fantesca, che gli sembra più malleabile.

All’ora seconda del giorno seguente, Louis scende per fare colazione prima di mettersi in viaggio verso Genova. A servirlo è una giovane ragazza, alla quale chiede alcune informazioni.

Posso chiedervi qualcosa?” dice il francese nel suo italiano stentato.

Sì” risponde la ragazza, abbassando lo sguardo verso terra, per nascondere il rossore dell’imbarazzo.

Si è fermato un frate? Un uomo avvolto in un mantello bianco con una croce rossa sulla spalla?” domanda senza troppe speranze. ‘É come cercare un ago in mezzo alla paglia’ pensa.

Sì” sussurra la serva.

Louis sobbalza. Si aspettava una risposta negativa. “Quando si è fermato?” l’incalza l’uomo, spera nel classico colpo di fortuna.

É ripartito ieri mattina al primo albore” dice la ragazza, allontanandosi.

‘Dunque quel maledetto frate’ pensa, ‘è in viaggio verso Bologna’. Termina velocemente la colazione per mettersi in viaggio al più presto. Il tempo minaccia pioggia e alla sua destra le montagne sono imbiancate.

All’ora nona è al porto di Genova, dove vede dondolare il Fauçon sotto la sferza del vento della pioggia. Passa in rassegna le bettole che spuntano numerose intorno alla darsena alla ricerca di altre informazioni. ‘Sì, il frate è sceso a Finale’ dice un marinaio che puzza di alcol e di vomito.

Tornato in città, si informa se ci sono punti di valico agevoli per raggiungere la via Emilia.

No” era la risposta invariabile che ascoltava. “Dovreste raggiungere Pontremoli o la marca di Toscana” gli suggerisce un mercante. “Da lì si possono scavalcare gli Appennini”.

Louis riparte verso sud per raggiungere la Toscana sotto una pioggia gelida e pungente.

Una storia così anonima – parte quarantatreesima

Il mio melo - foto personale
Il mio melo – foto personale

Rennes-le-Château, 28 febbraio 2015, ore quindici.

Vanessa e Luca, arrivati davanti alla chiesa, vedono quello che sta scritto sull’architrave dell’ingresso. ‘Terribilis est locus iste‘.

Non male come accoglienza” chiosa il ragazzo, facendo una smorfia di dolore. “Van, cosa pensi di trovare sotto l’altare?”

Niente” risponde la ragazza, accennando a un sorriso ironico.

Luca stringe gli occhi per la ferita che pulsa in continuazione. Se foste stato per lui, si sarebbe sdraiato sul letto a riposare. Risolto l’enigma della scritta, ha accusato un giramento di testa e una forte emicrania. ‘Dicono che sono i sintomi di pericolo’ pensa, mentre si veste. ‘Potrebbe indicare le complicazioni di un trauma cranico’.

Tuttavia Vanessa è stata irremovibile. “Andiamo” ha detto asciutta. Mme Monzon ha scosso la testa in segno di disapprovazione, quando li ha visti uscire. Per lei era un azzardo andare in giro dopo aver rimediato quella botta in testa. Velatamente ha consigliato Luca di andare in uno degli Association Audoise sociale et mèdicale della zona. “Non sono ospedali veri e propri” ha suggerito invano, “ma centri medici ben attrezzati e con personale preparato”. Una giornata di riposo però, secondo lei, gli avrebbe giovato, anziché sforzarsi per camminare. La ferita, secondo Mme Monzon, non era grave ma la botta non è stata lieve.

A Luca ogni tanto aveva dei capogiri con perdita di equilibrio, mentre si avvicinavano alla chiesa. Ha stretto i denti e ha cercato di non mostrare il suo disagio. Arrivati davanti all’ingresso, il ragazzo alza gli occhi per leggere la scritta e si deve appoggiare a Vanessa per non cadere.

Cos’hai?” gli chiede brusca la ragazza.

Ho perso l’equilibrio” mormora il ragazzo, varcando la porta.

Fatti pochi passi verso l’altare, Luca si siede sul banco in prima fila. ‘Devo riposare’ si dice, osservando statue e stazioni della Via Crucis. ‘Rischio solo di cadere da solo’.

Non vieni?” domanda Vanessa, avvicinandosi alla pedana, dove ha trovato la scritta. Scruta se vede qualcosa sotto l’altare. Una lastra, un qualsiasi segnale. Si volta per osservare l’amico, che è visibilmente pallido con gli occhi semichiusi. Alza le spalle e continua la sua esplorazione. C’è solo una lastra disposta in maniera stramba davanti all’altare con una strana iscrizione. La ragazza si abbassa tra le colonnine che sorreggono l’altare. Le sembra di vedere qualcosa. Un’ombra, una pietra smossa. Si gira verso Luca ma rimane impietrita. Alle sue spalle c’è Henri che li guarda minaccioso. Sta per urlare quando la figura scompare. ‘Ho avuto un’allucinazione?’ si chiede con viso terreo per la paura.

Cos’hai visto?” domanda Luca, che non osa girarsi. Il dolore alla testa gli impedisce qualsiasi movimento. Si fa forza per non svenire e si chiede se riuscirà a tornare alla gite.

Un fantasma” è la prima risposta di Vanessa, che scoppia in una risata nervosa.

Bene” dice il ragazzo. “Non devo preoccuparmi alle spalle”.

La ragazza si avvicina a Luca. Della lastra o di quello che dovrebbe occultare un oggetto non gliene importa più nulla. L’unico pensiero è uscire da lì. Il più in fretta possibile.

Hai trovato qualcosa?” fa Luca, accennando ad alzarsi.

No. Sì” farfuglia Vanessa con le mani che si muovono in maniera frenetica.

Luca non riesce a comprendere l’agitazione dell’amica che fino a pochi istanti prima ostentava una calma e un distacco quasi glaciale. Si alza ma ricade pesantemente sul banco, dove era seduto. ‘Non ce la faccio’ pensa il ragazzo. ‘Non ce la faccio, Devo stare seduto ancora. É stata una pazzia uscire in questo stato’.

Ma hai trovato qualcosa?” insiste Luca.

Forse. Ma…” tentenna Vanessa, che non osa voltare le spalle all’ingresso. ‘Quell’uomo ci perseguita’ pensa in preda al panico, vedendo l’amico stremato e incerto sulle gambe. Sa che Henri può diventare pericoloso per entrambi e lei non sarebbe in grado né di difendersi né difendere Luca.

Ma che hai?” dice il ragazzo, che immagina alle sue spalle una minaccia. Non ha mai visto l’amica così agitata. “Hai visto un fantasma?”

Magari” risponde Vanessa che gira intorno all’altare senza perdere di vista l’ingresso.

Si china sotto l’altare tocca la pietra, che pare mobile. La solleva e appare una cavità buia. Non osa infilare la mano, mentre con gli occhi tiene sotto controllo l’entrata della chiesa.

Luca” gli chiede, “ce la fai a venire qui?”

Ci provo” risponde poco convinto. A fatica si alza e avanza trascinando i piedi. Vede girare le statue, gli arredi. Si appoggia con le mani sull’altare per non cadere. “Mi spiace, Van. Più di così non riesco”.

Vanessa si guarda in giro e prende una candela che accende. Con quella tremula fiammella illumina la cavità, che appare vuota e minacciosa.

Non c’è nulla” dice dispiaciuta. “Niente” e rimette a posto la pietra. “Appoggiati a me” fa Vanessa, prendendo per le spalle Luca. “Torniamo alla nostra camera. MI dispiace. Non dovevo costringerti a uscire”.

Con passo incerto i due ragazzi escono dalla chiesa delusi e doloranti per avviarsi verso la gite.

Pierre è rimasto all’ombra di un muretto. Ha preferito restare defilato. La botta del mattino è stata dolorosa e non si sente in grado di affrontarli di nuovo. ‘Cosa cercavano sotto l’altare?’ si dice, pronto a sostituirsi, non appena se ne siano andati. LI vede uscire un po’ barcollanti. Sorride, perché nemmeno loro sono messi meglio di lui. Non hanno nulla né in mano, né occultato da qualche parte. Nessun rigonfiamento. Attende ancora qualche minuto prima di muoversi verso l’ingresso della chiesa. ‘La ragazza’ riflette, entrando, ‘era intorno all’altare. Come stamattina. Quindi cercava qualcosa che non ha trovato’. Ride sommessamente. Una risata storta per via della sutura alla lingua, che duole maledettamente. Si avvicina, ci gira intorno. Osserva quei segni che paiono rune sul bordo del piedistallo, dove appoggia l’altare. Guarda con attenzione sotto e vede una pietra smossa. La solleva, scoprendo una cavità buia. Non esita a infilarci la mano senza precauzioni. Non c’è nulla.

‘Merda’ si disse, rimettendo a posto la pietra. ‘Ora non so cosa cercavano’. Scuote la testa e si avvia verso Le dragon de Rhedae, perché percepisce che deve riposare. Le ferite dolgono non poco e la testa si fa pesante.

Una storia così anonima – parte quarantaduesima

Carnevale - Foto personale
Carnevale – Foto personale

Rhedae, 25 novembre 1307, primo albore – anno secondo di Clemente V

Simon li ha salvati, sviando Louis. Li fa entrare in una vecchia abitazione adiacente al castello, non messa meglio del ripostiglio precedentemente usato. Le imposte sono marce, gonfie di umidità e non riparano per nulla. Il pavimento in mattoni rossi, almeno una volta erano di quel colore, è tutto dissestato, come il camino. Una vera desolazione. Marcel si guarda intorno e fa una smorfia di disgusto. ‘Di male in peggio’ si dice. Pietro appare disteso, incurante dello spettacolo poco edificante della casa, perché ha raggiunto l’obiettivo della sua missione.

Restate qui in silenzio” sussurra Simon. “Vado a recuperare quello che avete lasciato al castello”. Si avvolge nel mantello e torna fuori, mentre la neve sospinta dal vento fa mulinelli.

La notte trascorre veloce tra il dormiveglia e l’attenzione ai rumori provenienti dall’esterno. Manca poco al primo albore, quando Pietro si volge verso levante per iniziare il lento salmodiare delle preghiere del mattino. Marcel lo osserva con un misto di curiosità e ammirazione. ‘Quel frate’ si dice, sgranando gli occhi per abituarli al buio, ‘sembra fragile come un vetro ma invece è forte come il ferro temprato delle spade. Ha una forza d’animo incredibile e un intuito eccezionale’.

Simon si è raccomandato, prima di lasciarli, di non accendere luci o fuochi e di passare da lui, prima di riprendere il cammino. Pietro e Marcel escono dall’abitazione guardinghi. “Via libera” sussurra la guida, dirigendosi verso il cortile del castello. Ha smesso di nevicare ma il cielo rimane latteo. Un vento gelido da tramontana ha indurito la neve caduta nella notte. Scricchiola sotto le calzature dei due uomini, producendo un sinistro rumore. Bussano alla porta di Simon, che era pronto ad accoglierli.

In silenzio entrano a riscaldarsi. La notte è stata dura senza la possibilità di ripararsi dal freddo pungente, che imposte e porte non hanno trattenuto fuori. Ogni tanto hanno chiuso gli occhi per riaprirli quasi subito, sentendo gemere gli infissi sotto la sferza del vento.

Ho preparato qualcosa di caldo” dice Simon, indicando due scodelle fumanti sul tavolo. “Niente di speciale. Una zuppa di verdure con pane di segale”.

Entrambi ringraziano con un cenno del capo, mentre la bevono accanto al camino, che riscalda la stanza.

Grazie” dice Pietro, che con le mani prende i tocchi di pane, rimasti sul fondo. “Gesù e Maria Maddalena sapranno esaudire i vostri desideri”.

Marcel sorride, mentre Simon annuisce col capo. “In questa bisaccia” dice il cataro, indicando con la mano un sacco, “ci sono due pani e formaggio di capra stagionato. Non è molto ma vi servirà nel viaggio”.

L’uomo esce a controllare, se non ci siano occhi indiscreti in vista, e con un cenno della mano li fa uscire, augurando loro ‘Buon viaggio’. Resta sulla porta, finché non sono scomparsi, inghiottiti dal buio della scala che porta verso l’uscita segreta alla base dello sperone roccioso, su cui poggia il castello. Pietro copre il suo bardo con una pesante coperta di lana e si assicura che sia in buone condizioni per affrontare un viaggio per nulla facile.

Una pallida luce li accoglie all’uscita e con lentezza e prudenza affrontano il sentiero che li conduce lontano da Rhedae. Camminano senza parlare, tenendo per le briglie i cavalli, scendendo verso Couiza. Poco prima del paese, Marcel rompe il silenzio.

Dove pensate di andare?” gli chiede, mentre fanno una piccola sosta.

Verso la costa” risponde Pietro, che sta rifocillando il suo bardo. “Sarebbe mia intenzione imbarcarmi su una nave da carico diretta verso le coste liguri”.

Marcel si gratta la barba grigia, riflettendo sull’informazione. ‘Si potrebbe puntare su Ruscino verso mezzogiorno’ pensa la guida, ‘un posto sicuro sotto la protezione del regno di Maiorca. Si allunga la strada ma non si fanno brutti incontri’. La guida ragiona anche di raggiungere Narbona, dove c’è un porto importante, al riparo delle tempeste invernali. Tuttavia riflette che si torna in territorio, governato dal re capetingio. Quindi pericoloso per il templare.

Frare Pierre” inizia Marcel, pulendosi la bocca con la manica della giacca, “ci sono due strade. Una sicura verso sud, L’altra più a levante più pericolosa. Dove volete essere guidato?”

Quale è quella più facile da raggiungere?” domanda Pietro, fissandolo in viso.

Quella più pericolosa” risponde la guida. “Si torna in territorio governato dal re capetingio”.

Bene” dice il frate, “affronterò questo rischio. Se mi indicate la via, posso farcela da solo, così voi potete tornare alle vostre occupazioni”.

No” afferma Marcel, guardandolo in viso. “Vi guiderò io per strade prive di pericolo fino a Narbona”.

Sotto un cielo plumbeo i due viandanti si avviano verso la costa, che raggiungono dopo due giorni.

Restate qui” dice Marcel, facendo segno di fermarsi. “Arrivo fino a Port-le-Nouvelle alla ricerca di una nave da carico in partenza verso le coste liguri”.

Pietro si sistema in un posto riparato in attesa del ritorno della sua guida. É l’ora sesta, quando lo vede comparire.

Alla fonda c’è un caracco, Fauçon, che per l’ora nona è di partenza per Genova” lo informa Marcel. “Il comandante è disposto a darvi un passaggio fino a Savona. Non vuole avere grane nel porto di Genova”.

Mi sta bene” risponde pronto Pietro, alzandosi per mettersi in marcia verso il porto.

Marcel lo guida sicuro, evitando i posti pericolosi. Si presentano al comandante del Fauçon, che è pronto per imbarcare Pietro e il suo bardo. Riconosce nel frate un templare e gli fa un prezzo speciale. La caracca è stata a suo tempo una nave del Tempio, guidata da Roger de Flor. Adesso naviga tra la costa catalana e i porti italiani trasportando bestiame e altri beni. Viaggia sempre a pieno carico. La nave ha uno portellone laterale per favorire l’imbarco di cavalli o bestiame. L’Usciere viene chiamato. É un’imbarcazione tonda, dalla linea poco slanciata. Ha due vele quadre con una croce simile a quella dei templari e una triangolare sull’albero mezzano. Panciuta, con la poppa tondeggiante galleggia tranquilla vicino alla riva.

Mi date dieci scudi d’argento” dice il capitano, accogliendo Pietro. “Vi lascerò in un porto minore della costa ligure prima di Genova. Qui sono molto fiscali e non voglio avere noie con loro”.

Il frate annuisce, mentre conta il denaro pattuito. Poi si volta verso Marcel, che sta immobile col viso triste. Nei giorni, che ha accompagnato il templare, ha imparato a conoscerlo e apprezzarlo. Gli dispiace abbandonarlo ma sa che il suo compito è finito. Il frate lo abbraccia in silenzio in un lungo e commosso addio, prima di far scivolare una piccola borsa tintinnante nelle mani di Marcel, che vorrebbe ritirarle per evitare il contatto col denaro.

Prendete” dice il templare, stringendogli a pugno la mano. “Siete stato prezioso. Un vero amico”.

Il rude montanaro appare turbato dall’emozione, che cerca di mascherare, abbassando il cappuccio.

Presto” fa il comandante, che è impaziente di prendere il largo prima che il buio impedisca la partenza.

Viene abbassato il portellone laterale per far salire a bordo Pietro col suo bardo. Dopo averlo sigillato, mollano gli ormeggi e la caracca, sfruttando la brezza di terra, si avvia verso il mare aperto.

Rhedae, 25 novembre 1307, terza vigilia – anno secondo di Clemente V

Louis è infuriato. Qualcuno gli ha fatto credere che il frate stava fuggendo. Ha rincorso un fantasma, ha perso l’opportunità di mettere le mani sul templare, che pare sfuggirgli viscido come un’anguilla. Ritorna, digrignando i denti, alla chiesa, che trova vuota. Lo cerca al castello ma invano. ‘Dove si sarà cacciato?’ si domanda, muovendo nervosamente le mani sull’elsa della spada. ‘Le porte della città sono chiuse. Di certo non ha preso il volo’. La neve cade incessante, sia pure con minore intensità. Non sa dove cercare.

‘Di sicuro’ pensa, ritornando sui suoi passi verso il castello, ‘ha un complice tra questi eretici’. É ben conscio che la sua presenza infastidisce qualcuno, che non vede di buon occhio la presenza di un cavaliere francese nella marca catalana. Non crede che il frate sia uscito di notte da Rhedae sotto la bufera di neve e di vento. ‘Aspetterà il primo albore per andarsene’ si dice, mentre si reca al posto di guardia accanto all’unica porta per allontanarsi dal paese.

Quando albeggia, le guardie aprono i portoni. Louis, ben occultato, osserva chi esce e chi entra. All’ora sesta non ha visto la sagoma inconfondibile del templare. Sbuffa perché intuisce che ancora una volta il frate gli è sgusciato silenzioso tra le mani.

Ma se qualcuno volesse uscire non visto” domanda al capitano delle guardie, “potrebbe farlo?”

Il soldato riflette. Ha sentito delle voci che attraverso le segrete del castello è possibile uscire non visti. Però non sa come sia possibile e dove si esca.

Ci sono delle voci” comincia il capitano, “che dicono che esita un’uscita segreta. Dove sia non lo so. Parlano di un posto imprecisato del castello. Dove conduca, non mi è dato di sapere, ammesso che sia vero”.

Louis impreca, bestemmiando. ‘Sì’ pensa, ‘ha avuto aiuti. Da chi? Come?’ Nervosamente ritorna al castello per prendere il suo cavallo e mettersi all’inseguimento del frate.

Si ferma per la notte a Couiza, nell’attesa partire verso la costa. Secondo alcuni sarebbe probabile che si sia diretto verso Narbona. Louis sa di essere in svantaggio di una giornata ma conta di recuperarla strada facendo. ‘Se sono fortunato’ si dice, mentre consuma il pasto serale, ‘potrei trovarlo in attesa di un imbarco verso le coste liguri o pisane’.

Due giorni all’ora nona arriva al porto di Narbona, osservando un caracco che sta lasciando la costa verso il mare aperto.

Dove è diretta quella nave?” domanda a un marinaio, seduto davanti a una bettola.

Fauçon?” gli risponde, tracannando un boccale di vino.

Non saprei’ dice Louis. “Quell’imbarcazione che sta prendendo il largo” e indica il caracco con la mano.

Forse a Genova oppure a Pisa” replica l’uomo con un violento rutto.

Il cavaliere sa di essere arrivato in ritardo di poco ma in ritardo. Il frate ha preso il volo. ‘Difficilmente’ ragiona Louis, ‘riuscirò a intercettarlo, quando sbarca’. Poi va alla ricerca di un alloggio per la notte.