La seconda prova

Era una sera di metà agosto, quando Micaela decise di chiamare Matteo.
Non aveva risposto al messaggio, perché era fermamente decisa di non lasciarsi distrarre da altri pensieri. Doveva dare quell’esame fondamentale per l’assegnazione provvisoria della tesi e superarlo con un’ottima votazione. Questo era l’obiettivo prima della pausa estiva.
Quindi non c’era posto nella testa per qualcosa che fosse diverso dallo studio; si era gettata a capofitto concentrata e determinata, chiudendosi nella stanza, spegnendo il telefono e Ipod, uscendo solo alla sera per incontrare Silvia per disintossicare la mente da formule, figure, disegni. Sembrava una reclusa che prendesse l’ora d’aria.
Gli altri diventavano scuri nel volto e nel corpo, belli ed abbronzati, Micaela impallidiva sempre più per far concorrenza alla luna. Era smagrita, il viso si era affilato come un coltello, il corpo allo specchio lasciava trasparire sotto la pelle le fragile struttura di cui era dotata. I genitori erano seriamente preoccupati per lei che sembrava consumarsi lentamente come una candela che gocciolava sul raccogli cera e dicevano “E’ meglio un somaro vivo, che una figlia studiosa e brava morta”.
Finalmente il giorno dell’esame arrivò col sollievo di tutti e con esso anche la grande notizia che era stato superato più che brillantemente.
Il clima afoso e caldo di fine luglio, che gravava come una capa umida su Padova, sembrava diventato d’incanto fresco e ventilato come in primavera, perché la tensione si era disciolta e stemperata lasciando il posto all’allegria e alla rilassatezza. Tutto era andato come Micaela si era prefissata, poiché tutti gli obiettivi erano stati centrati, quindi ora poteva rilassarsi, riprendere la vita di sempre e pensare serena al futuro.
Nel suo futuro ora c’era posto per le vacanze, per l’inizio della tesi, per pensare alla ripresa dei contatti con Matteo. Però non voleva assecondare nulla, voleva vivere alla giornata con una navigazione a vista senza perdere mai il contatto con la realtà. Percepiva che ormai gli studi erano terminati anche se mancavano due esami banali e la tesi, impegnativa e stimolante. Poi finalmente si sarebbe potuta affrancare dai genitori senza dimenticare mai i sacrifici che avevano sostenuto in silenzio e ripagarli di tutte le attenzioni che avevano avuto per lei. Sentiva il loro calore che l’aveva protetta in tutti questi anni, mentre lei percepiva di avere fatto molto poco verso di loro con atteggiamenti a volte egoistici. Loro invece si erano dimostrati dei buoni genitori sempre presenti con discrezione in ogni momento da quello lieto a quello difficile.
Micaela aveva in tasca il titolo della tesi, una lettera di presentazione per lo studio Accakappa, dove avrebbe lavorato per sviluppare l’argomento assegnato, e molta sicurezza nelle sue capacità.
Accakappa era un importante studio professionale di architettura veneto che si occupava di pianificazione territoriale e recupero ambientale di aree storiche degradate, composto da un gruppo di architetti giovani e grintosi. Il sogno di Micaela fin dal primo giorno di università era quello di occuparsi del territorio e del suo recupero senza tradirlo o stravolgerlo. Ora il suo desiderio si stava traducendo in realtà, perché si sarebbe aggregata al gruppo di lavoro che doveva riconvertire le aree industriali dismesse alla periferia est di Padova con un’operazione di archeologia industriale. Il gruppo era guidato da un architetto senior di circa quarantanni, che dirigeva altri due giovani, laureati da un paio d’anni, che stavano crescendo in fretta sia professionalmente sia intellettualmente. A parte una decina di giorni a cavallo di ferragosto avrebbe seguito e lavorato con loro per i restanti giorni di agosto.
“Gli altri sono in vacanza” si diceva allegra e rilassata “Io invece lavoro sodo e mi abbronzo come un muratore nel cantiere”.
Matteo era sparito dalla sua testa, non ricordava nemmeno le fattezze del volto tanto era concentrata nell’attività assegnatale. Faceva di tutto cercando di rubare ogni segreto, di cogliere tutte le sfumature di quel lavoro che le piaceva molto. Riempiva decine e decine di fogli con appunti ed osservazioni, scattava centinaia di fotografie, prendeva schizzi e faceva disegni, cercava di rendersi utile e allo stesso tempo non essere d’impiccio.
Era l’unica donna del gruppo e ben presto ne divenne la mascotte per la grintosa simpatia che emanava. Non chiedeva mai nulla, ma ascoltava in silenzio le loro discussioni, prendendo appunti, che poi si sarebbero rivelati utili ed importanti quando si trattava di rielaborare idee e soluzioni. Era la prima ad arrivare al cantiere ed era l’ultima a lasciarlo. Aveva una notevole capacità di sintetizzare in schizzi, in disegni le loro idee come se fosse un vecchio del mestiere. Questo era stato apprezzato in maniera tale che ben presto avevano smesso di guardarla come una giovane laureanda che intralciava i loro movimenti.
Il lavoro era suddiviso in due momenti: al mattino nel cantiere le rilevazioni dello stato degli immobili, delle loro dimensioni, del loro posizionamento, il pomeriggio nello studio a tradurre numeri e fotografie in idee, a discutere sulle possibili soluzioni per scegliere quella tecnicamente ed economicamente fattibile.
Micaela non sembrava accusare stanchezza, sempre col quaderno della Ruggeri a quattro colori dove annotava tutto, ogni minimo particolare, e il blocco di Pigna per gli schizzi e disegni. Era stata apprezzata subito perché le avevano riconosciuto una memoria fotografica insolita e una precisione nel riportare ogni dettaglio che rendeva quasi superfluo l’uso della fotografia. Anzi per certi versi era migliore perché riusciva a captare dei particolari che sfuggivano all’inquadratura fotografica.
Alla sera sfinita, ma contenta accatastava meticolosamente i vari blocchi prima di andare a letto. Di solito dormiva di un sonno profondo senza sogni apparenti, ma a volte sognava di essere l’architetto famoso, che disegnava favolosi interni per case e ville in tutta Italia. Aveva gusto e senso estetico molto sviluppato riuscendo ad accostare il moderno dalle linee sobrie e pulite all’antico austero ed imponente. Soffitti a volta affrescati, pavimenti in mosaico veneziano, luci e ombre di vecchi palazzi gentilizi prendeva forma, rinascevano a nuova vita riacquistando la brillantezza dei tempi passati sotto l’abile regia di Micaela.
Alla mattina aveva ancora negli occhi la magia del sogno, che stentava a scomparire dalla mente ed avrebbe voluto che questo acquistasse concretezza e materialità, ma era ancora presto prima che potesse essere realtà.
Arrivò finalmente il sospirato “rompete le righe” per San Lorenzo per dare inizio a quelle vacanze che stentavano ad arrivare.
Micaela si concesse un lungo sonno ristoratore per recuperare energie fisiche e mentali dopo lo stress degli esami e le fatiche di un lavoro non retribuito ma stimolante.
I suoi erano da dieci giorni in vacanza lasciando la casa vuota e silenziosa. Padova a cinque giorni dal ferragosto era ormai svuotata come una zucca, gli amici erano partiti compresa Silvia che se era andata via qualche giorno prima con Gianni verso una località a lei sconosciuta o meglio della quale non ricordava il nome. Era veramente sola mentre in casa risuonava unicamente il suo respiro. Si stirò voluttuosamente come una gatta al sole mentre pensava a come trascorrere questa prima giornata di ferie.
Cominciò a scorrere il lungo elenco di messaggi ricevuti ai quali non aveva ancora risposto, quando si imbattè in quello di Matteo, che era stato dimenticato e confuso fra quelli ritenuti inutili o non degni di risposta.
Un sussulto scosse il suo corpo e una nuvolaglia cupa sfiorò la fronte, che aggrottò mentre borbottava qualcosa.
D’istinto compose la risposta e premette invio.
(Capitolo 10)

Cosa fare?

Micaela aveva smarrita tutta l’euforia delle gita a Cortina, che era evaporata come le gocce di pioggia nel Sahara. Un misterioso pozzo sembrava aver inghiottito lei e tutti i suoi pensieri, mentre la desuetudine a guidare reclamava il prezzo della vendetta. Tutti i muscoli erano indolenziti, la testa era svuotata come una zucca di Halloween, le gambe malferme e esauste non volevano ubbidire per trascinare il corpo, così stancamente seguiva a malapena Silvia più arrancando che camminando.
L’amica parlava a mitraglia con uno strepito incessante per il messaggio di Gianni, per la promozione, per essere a Cortina in Corso Italia in mezzo a gente che odorava di euro.
Micaela si fermò e disse decisa: “Non ce la faccio più. Tu continua senza di me. Io mi fermo qui dentro questo caffè aspettando che tu concluda la tua passeggiata”. Poi con passo insolitamente risoluto si avvio verso l’esercizio pubblico dall’altra parte della strada.
Si fermò un attimo indecisa se entrare o rimanere all’esterno della Pasticceria Lovat, poi optò per un tavolo vicino alla grande vetrina, da dove poteva osservare il passeggio di Corso Italia e sbirciare il banco ripieno di paste, dolci ed altre prelibatezze.
Silvia rimase in silenzio sull’altro lato del corso perché la sorpresa era tale da lasciarla interdetta. Non riusciva a comprendere l’atteggiamento dell’amica, che senza segnali premonitori aveva deciso di staccare, di fermarsi, di lasciarla sola senza nessuna spiegazione plausibile.
Si chiese cosa aveva sbagliato nei confronti di Micaela, perché non c’erano stati screzi o nubi temporalesche cariche di elettricità nei loro cieli. Però, come un lampo rischiara il cielo nero carico di pioggia, ora comprendeva che la causa non era lei, ma quel dannato messaggio che aveva ricevuto un paio di ore fa.
“Mi devo fermare con lei! Non posso lasciarla lì a rimuginare i suoi pensieri, a macerarsi nel dubbio e nell’incertezza.” disse sottovoce mentre attraversava il corso “Dobbiamo parlarne”.
Micaela guardò l’amica che si sedeva di fronte a lei: “Non voglio essere d’impiccio e rovinarti la passeggiata lungo il corso. Non mi offendo se tu prosegui tranquilla. Mi sento svuotata, priva di energia e di stimoli visivi. Stare qui mi permette di recuperare le forze spese durante il viaggio” le disse con un filo di voce mentendo a se stessa.
“Non mi lascio ingannare tanto facilmente” rispose proseguendo “Ti senti confusa per via del messaggio di Matteo”.
Micaela capì di avere perso prima con se stessa e poi con l’amica. Era inutile difendere il fortino quando le mura erano state abbattute, quindi tanto valeva parlarne apertamente senza cortine di fumo o giri di parole inutili.
“Si, hai ragione” disse “Quel messaggio mi sta mettendo angoscia. Non avrei voluto riceverlo”.
Mentre un cameriere si era avvicinato per raccogliere le ordinazioni, cominciarono a parlare del rapporto tra lei e Matteo, del suo carattere possessivo ed irruento, dei suoi dubbi e delle sue speranze, della sua vita presente e del futuro.
Sembrava un fiume in piena che limaccioso scorreva lambendo gli argini pronto ad aprirsi un varco per uscire dall’alveo.
“Cosa fare” era il pensiero ricorrente al quale non riusciva a dare un contorno definito e razionale, perché, da qualunque parte lo attaccava, trovava dei punti deboli, delle contraddizioni insanabili alle quali non riusciva a dare risposte ragionevoli.
Il suo istinto le consigliava di sbarrare tutte le porte, perché quel rapporto era viziato da un peccato capitale: le loro visioni della vita erano distanti e viaggiavano su piani paralleli. Percepiva nettamente che non ci sarebbe stato scampo per i sentimenti, perché sarebbero stati travolti da incomprensioni e litigi. Non riusciva a dare un volto a queste sensazioni, ma l’intuito e la ragione parlavano così.
Però la parte istintiva e razionale della sua personalità era incrinata dall’irrazionalità che si chiamava “amore".
Però si domandava se era amore, innamoramento o un surrogato di entrambi quel sentimento che la spingeva a riannodare il filo interrotto qualche settimana fa. Anche questa era una bella domanda che rimaneva senza risposta, mentre la confusione regnava sovrana dentro di lei.
Silvia si adoperava con tutte le sue forze a dare delle risposte convincenti ai dubbi di Micaela, ma finiva per creare con nuove domande incertezze reiterate e rinvigorite da altri dubbi.
Lei aveva percepito un brivido quando la prima volta Matteo le aveva sfiorato la mano e proprio per questo motivo era stata spinta a chiedergli un nuovo incontro fornendogli il suo numero di telefono.
Aveva capito subito di aver commesso un errore, ma la parte razionale dell’Io era stata sovrastata dal quel senso di imprevedibile trasporto amoroso che la sensualità e il fascino di lui aveva trasmesso con tanta chiarezza.
Adesso più di prima percepiva che sarebbe stato un errore riannodare il filo del dialogo interrotto bruscamente in Piazza delle Erbe, ma non riusciva a trasformare questa premonizione in volontà ferma e decisa da usare come scudo protettivo.
Silvia più possibilista disse con voce calma: “Concedigli ancora una prova come farò anch’io con Gianni. Così non avrai dubbi se Matteo è veramente l’uomo della tua vita”.
Micaela a malincuore scuotendo la testa rispose che avrebbe seguito il suo consiglio, ma non subito, perché fra due settimane doveva sostenere il secondo esame programmato.
Le due amiche tenendosi per mano dopo avere pagato il conto si alzarono per riprendere la loro passeggiata.
(Capitolo 9)

La storia ricomincia

Passarono diversi giorni, mentre in Micaela svaniva il ricordo di quel sabato insieme al viso di Matteo. Si gettò a capofitto nello studio tenendo chiuso telefono e cuore, perché per loro non c’era posto nella sua testa.
Superato non senza qualche patema l’esame, perché aveva palesato non poche incertezze in molti passaggi, mascherandoli con abilità e fortuna, si concesse un week end di relax con Silvia,l’amica di sempre.
Partirono il sabato mattina presto per Cortina senza mete precise affidandosi all’incoscienza e spensieratezza dei loro venticinque anni.
Silvia era allegra perché il notaio le aveva riconosciuto la professionalità e la disponibilità sul lavoro con un congruo aumento di stipendio.
“Mi ha chiamato in maniera inaspettata ieri sera prima di chiudere l’ufficio” cominciò Silvia “mi sono chiesta cosa doveva dirmi di tanto importante ed urgente alla vigilia del fine settimana prima di andarmene”.
“Immagino la sorpresa oppure nutrivi qualche timore?” le chiese Micaela mentre percorreva con prudenza la tangenziale di Mestre come al solito al collasso.
“In un certo senso un brivido di freddo aveva percorso il mio corpo, mentre un’apprensione più simile all’angoscia aveva bloccato i miei pensieri. Sapevo che Luisa, la collega più anziana, si era lamentata perché il notaio preferiva me nello sbrigare le pratiche più complesse e delicate” riprese con calma Silvia facendo un lungo respiro come se dovesse andare in apnea per molti minuti.
Continuò raccontando lo stupore misto a gioia quando capì che il notaio aveva apprezzato sia il modo di lavorare, sia la disponibilità a passare lunghe ore nello studio. Oltre all’aumento di stipendio l’aveva premiata affidandole un incarico di maggiore responsabilità e concludendo le disse che non doveva preoccuparsi per Luisa, perché era una brava e diligente segretaria, ma le mancava quel quid per essere promossa a capo di tutta la segreteria.
Superato non senza patemi d’animo quell’imbuto spaventoso che era il nodo di Mestre, il viaggio proseguì tranquillo verso Cortina con le due amiche impegnate a conversare su moda, vacanze prossime e venture, libri da leggere, canzoni da ascoltare, aperitivi da bere mentre all’interno si diffondevano le note dell’ultimo CD dei Coldplay.
Solo un argomento era stato evitato accuratamente da tutte due: uomini ed amori. Ricordi troppo bruschi riecheggiavano nella loro testa per estrarli e lasciarli liberi di mordere la carne e i pensieri in maniera feroce ed implacabile.
Ci sarebbe stato tempo nella giornata per estrarre dai loro armadi gli scheletri ingombranti e polverosi dei ricordi amari, perché entrambe volevano capire dove avevano sbagliato e cosa pretendevano dal futuro compagno.
La giornata era splendida soleggiata e limpida, calda senza eccessi anche se ormai erano ai primi di luglio. Lasciata l’autostrada a Ponte delle Alpi, presero la strada di Alemagna, che le avrebbe portate a Cortina.
Passando da Longarone, Silvia esclamò: “Lassù in quella gola c’è la famosa e tragica diga del Vajont! Due anni fa l’ho visitata. E’ un orrido che mette i brividi pensando che ha spazzato via paesi e persone come se un mostro armato di spugna e raschietto avesse passato la sua mano sopra di loro cancellando tutto”.
Micaela annuì distratta senza dire nulla, perché era il primo viaggio lungo che faceva alla guida di un auto e voleva rimanere concentrata sulla strada. Silvia le aveva detto partendo da Padova: “All’andata guidi tu, io faccio il ritorno”. Non aveva avuto il coraggio di confessarle che guidare l’auto la rendeva particolarmente nervosa e che questo sarebbe stato il primo viaggio lungo dopo la patente. La tensione l’aveva fatta sudare abbondantemente, mentre avvertiva che grossi aloni macchiavano la camicetta leggera nella schiena, sotto le ascelle. Grosse gocce di sudore scivolavano silenziose nell’incavo del seno perdendosi in basso. Le sembrava di captare un odore acidulo di cipolla che proveniva dal suo corpo, mentre pensava: ” Puzzo come un caprone e non posso fare nulla”.
Silvia non smetteva un attimo di parlare allegra e vivace e instancabile come un passerotto saltava da un argomento ad un altro, finché disse con grande sollievo di Micaela: “Tra non molto all’ingresso in paese prima di prendere la strada per Cortina c’è un simpatico e tipico locale di montagna, Al caminetto. Gerani rossi alle finestre, tavolini rustici in legno, un ottimo caffè e strudel favoloso. Poi se non ci fermiamo rischio di allagare la macchina!”
Micaela si rilassò perché erano ormai quasi due ore che guidava. Non c’era muscolo del corpo che non fosse contratto o indolenzito per la grande tensione che le aveva fatto compagnia dal primo metro del viaggio.
Finalmente poteva concedersi un momento di tregua: gli occhi erano stati concentrati solo sulla strada e sul traffico che sfrecciava veloce intorno a lei, mentre lei non si poteva permettersi di spaziare libera sul panorama.
I pensieri ingabbiati e impastoiati nella sua mente potevano ora uscire felici e tranquilli e spargersi nell’aria frizzante del mattino.
“Che pace!” esclamò Micaela, “Ancora un poco e poi la mente avrebbe incrociato le braccia”, proseguì mentre assaporava lo strudel ancora caldo, che si scioglieva in bocca.
Un lungo suono modulato uscì dalle loro borse interrompendo il rumore felice della loro colazione.
“Chi è che disturba?” dissero all’unisono guardandosi un po’ turbate negli occhi.
Avrebbero voluto non controllare il display, ma la curiosità superò ogni barriera e aprirono le borse.
Micaela assunse un’espressione corrucciata aggrottando le sopracciglia mentre leggeva il messaggio.
Silvia disse distesa: “E’ Gianni. Vorrebbe ricominciare. Mi chiede scusa per l’atteggiamento di qualche settimana fa. Cosa ne dici? Devo concedergli ancora una chance oppure lo mando al diavolo? Tutto sommato se lo merita”.
L’amica non rispose assorta nei pensieri che tumultuosi erano entrati in fibrillazione ed alzando gli occhi disse: “E’ Matteo, che non ha il coraggio di affidare alla voce quello che mi dice con un messaggio”.
Le due amiche si guardarono con espressioni differenti: una distesa e sorridente, l’altra seria e dubbiosa.
Silvia sapeva già cosa rispondere, mentre Micaela era tormentata da mille dubbi e tante insicurezze, che entravano ed uscivano come api nell’alveare. Per lei la magia della giornata era finita con quel messaggio ed ora non poteva fare altro che chiedersi “Rispondo di no oppure gli concedo ancora una prova?”, senza trovare la risposta giusta.
(Capitolo 8)

Le amiche si confidano

Silvia si era chiusa nel suo bilocale nei pressi della Stanga e non aveva alcuna intenzione di vedere qualcuno, né tanto meno di parlare. La settimana che stava finendo era stata orribile e non era ancora terminata.
Si era litigata due giorni fa ferocemente con la madre, che disapprovava la relazione con Gianni ed erano volate parole grosse, nonostante la sorella avesse tentato inutilmente di mettere pace tra loro. Ormai aveva capito che la frattura tra loro era insanabile e quindi meno la vedeva meglio era.
Se ne era andata dalla casa materna due anni prima dopo l’ennesimo litigio con la madre che l’avrebbe voluta più docile nell’ascoltare i consigli e meno impulsiva nelle decisioni e nelle scelte. Aveva un temperamento irrequieto e cocciuto accompagnato da una personalità volitiva e decisa, che a tutti costi voleva rendersi indipendente ed autonoma.
La madre, un donnone un po’ manesco, dal carattere autoritario e dispotico non amava essere contraddetta e non accettava repliche, perché l’ultima parola doveva essere sempre la sua. Caratterialmente era peggiorata vistosamente dopo che il marito stanco delle angherie e dei continui litigi tra loro anche per i particolari più insignificanti e banali della loro vita in comune era fuggito lontano da Padova in una località sconosciuta, mentre lei era rimasta sola con due figlie ancora bambine da crescere e con tutti i problemi del vivere quotidiano. Qualcuno diceva che l’avevano visto imbarcarsi per l’America, altri affermavano che con barba e capelli tinti viveva con un’altra donna più abbordabile di questa. Di sicuro nessuno, comprese moglie e figlie, sapeva dove fosse finito, perché sembrava essersi volatilizzato come nebbia al sole.
La sorella, più anziana di Silvia di un paio d’anni, un po’ furbescamente, un po’ opportunista non affrontava mai la madre direttamente, fingendo di ascoltarla e di assecondarla per poi fare l’esatto contrario.
Silvia invece, sospinta dal carattere non docile e orgoglioso, replicava senza paura, finendo col litigare in continuazione. Quindi man mano che cresceva e soprattutto che acquistava indipendenza economica, gli scontri diventavano sempre più frequenti ed aspri, finché non se ne andò anche lei. Con grande sacrificio ottene un mutuo dalla banca per comprare un bilocale in località Stanga, che non era una zona di gran pregio perché era assediata da un traffico convulso e nevrotico ed era zeppo di uffici del terziario, che si riempivano alla mattina per svuotarsi verso sera. Però l’appartamento aveva il pregio di essere vicinissimo al posto di lavoro raggiungibile anche a piedi e di non costare eccessivamente.
Con regolarità andava a trovare la madre e la sorella, perché dopo la loro prima visita aveva deciso di bandirle dalla propria casa per evitare di sentire critiche astiose sulla posizione del bilocale, sugli arredi, su qualsiasi oggetto presente nell’abitazione. Però nonostante le più buone intenzioni l’incontro finiva regolarmente con una fuga precipitosa prima che degenerasse in baruffa. Due giorni fa la tattica della ritirata strategica non aveva funzionato e il contrasto si era trasformato in lite, tanto che era mancato pochissimo che venissero alle mani. Poi ancora innervosita e contrariata per la litigata con la madre aveva rotto burrascosamente con Gianni a coronamento di una settimana di passione e tensioni in ufficio. Certamente non era un periodo brillante per le relazioni interpersonali tanto che pensò di essere vittima del malocchio di qualche combinazione astrale.
Quel sabato voleva essere lasciata in pace ed era infastidita da quel continuo trillare del telefono che impietosamente la cercava. Si rifiutò testardamente di guardare sul display il nome di chi la cercava, mentre voracemente, distesa sul letto, mangiava barrette di cioccolata in continuazione.
Non le sembrava il caso di ingurgitare altre calorie visto il sovrappeso che aveva accumulato giorno dopo giorno, ma doveva placare la fame nervosa che si era impadronita di lei.
Era ormai sera, quando si decise di dare un’occhiata distratta ed indispettita al display dopo che per l’ennesima volta la suoneria insistente del telefono le aveva lacerato i pensieri.
“Cavoli" esclamò mettendosi ritta “Ma è Micaela che mi cerca! Cosa sarà mai successo vista l’insistenza con la quale mi ha cercato nel pomeriggio”.
“Ciao. Cosa è capitato di tanto grave per cercarmi con tanta insistenza?” disse un po’ risentita rispondendo alla chiamata.
“Dove ti sei nascosta? Perché non volevi rispondere?” replicò stizzita Micaela.
“Ti metti anche tu a farmi prediche e darmi ordini?” rispose Silvia con tono bilioso ed incollerito.
“Calmati, non intendo litigare anche con te” riprese Micaela un po’ più conciliante “Volevo solo ragionare sul mio rapporto con Matteo. Però il tuo atteggiamento non troppo disponibile mi induce a pensare che forse è meglio rimandare ad altro giorno la chiacchierata”.
“Scusami," disse con voce più addolcita ed affabile “ma ho passato giorni terribili. Oggi volevo smaltire tutta l’ira che avevo dentro di me. Però forse parlare mi farebbe bene. Cosa ne pensi dell’idea di venire da me per trascorrere il resto della serata insieme? Non sono in condizioni presentabili per uscire. Però una buona pizza e una birra posso ordinarle e poi tante ciaccole tra noi ci faranno bene”.
“Okay" rispose rinfrancata Micaela “E’ una buona idea e di ciaccole ne dobbiamo fare molte. Tra mezz’ora sono sotto casa tua. Ciao”.
 
Micaela tra un triangolo di pizza e l’altro le raccontò la mattinata tempestosa trascorsa tra i banchi di Piazza delle Erbe compreso il brusco ritorno a casa.
Voleva comprendere per quale misteriosa chimica si sentiva attratta da Matteo, ma nello stesso tempo provava fastidio stare con lui. Le sembrava di impazzire perché la parte razionale della sua personalità le suggeriva di lasciarlo perdere e di concentrarsi sugli esami e la tesi, mentre istintivamente si sentiva sedotta dai suoi modi garbati e dolci.
Il suo atteggiamento le ricordava quel carmine di Catullo studiato al liceo “Odi et amo” che recitava così
 

Odi et amo

quare id faciam,

fortasse requiris

nescio, sed fieri sentio

et excrucior

 
“Silvia, ” disse un po’ affranta nella voce, un po’ incerta nella scelta delle parole “devi spiegarmi perché io non provo odio verso Matteo, ma solo senso di fastidio e nello stesso tempo sentire la sua voce mi rende fragile ed incapace di dire no. Stamattina quando mi ha proposto di trascorrere le vacanze insieme, la parte di me che prova fastidio si è ribellata all’altra metà che mi stimolava a rispondere affermativamente. Non capisco più nulla. Non riesco a guardarmi allo specchio senza litigare con la mia immagine”.
Mentre Micaela parlava due minuscole gocce umide scivolavano silenziose dalle ciglia verso le guance lasciando dietro di sé una minuscola traccia colorata.
Le due amiche cominciarono a scavare dentro di loro alla ricerca delle risposte che con tanta ansia cercavano nelle parole, che si scambiavano l’un l’altra, come un ininterrotto gioco psicologico.
Certezze non ne trovavano ma motivi di riflessione, si.
(Capitolo 7)

La lite (versione uno)

Matteo stava riaccompagnando a casa Micaela dopo aver sostato a lungo in Prato della Valle in una fresca serata di fine settembre. Stranamente dopo una giornata calda la sera si presentava fresca ed arieggiata.
Il tempo che era stato bello per tutto il giorno stava volgendo al brutto come la conversazione tra i due giovani.
Fecero una prima sosta dopo aver oltrepassato la spaccatura nelle mure cittadine nelle vicinanze della pista di pattinaggio.
Micaela non sopportava più l’insistenza di Matteo, si sentiva oppressa e privata della propria capacità decisionale.
Voleva troncare quel rapporto diventato intollerabile per la gelosia di Matteo, per il morboso innamoramento fino a diventare una specie di incubo diurno e notturno.
“Matteo” esordì Micaela “stai diventando insopportabile. Non riesco a respirare liberamente senza sentire il tuo fiato su me, senza provare un vago senso di minaccia”.
Matteo la guardò incattivito e si spostò di lato appoggiandosi alla ringhiera che separava la pista dal pubblico.
“Io ti amo” replicò con voce tremolante per la rabbia “Ti amo, come mai ho amato nessun’altra. Non ti voglio perdere perché sei parte di me. Non comprendi i mei sentimenti?”
Micaela lo guardò e vide scattare il verde pedonale. S’affrettò a superare la strada per incamminarsi in Via Acquapendente verso casa.
Matteo come impazzito restò per un attimo fermo ed incredulo di essere lasciato lì come uno stoccafisso, poi si riscosse e si avviò a rincorrerla, ma il rosso aveva dato via libera alle auto impazienti di scattare e volare via.
Lei nel frattempo a passo svelto percorreva la via sotto le chiome dei grandi platani che contornavano la strada.
Suo malgrado dovette aspettare il prossimo verde utile prima di lanciarsi all’inseguimento di Micaela.
Come un forsennato la raggiunse e la strattonò per un braccio per fermare la corsa.
Lei si divincolò e gli urlò “Vattene! Non voglio più vederti!”, mentre tutti si giravano ad osservare il litigio tra i due giovani.
“No, “ replicò rabbioso “non me ne vado. Non mi puoi piantare così”.
L’alterco durò molti minuti, mentre dalle finestre alcune donne osservavano, commentavano e scuotevano la testa, finché Matteo furibondo e rosso per l’ira non decise di andarsene senza salutare.
Micaela riprese la corsa infilandosi in una via laterale e poi in un’altra, e un’altra ancora cercando di far perdere le sue tracce, finché non vide l’insegna “ALIMENTARI” sopra un negozio.
Prontamente entrò non prima di aver guardato a destra e a sinistra e dietro nel timore di scorgere la sagoma di Matteo.
Era il tipico negozio di alimentari anni sessanta senza vetrina e col banco disposto frontalmente all’ingresso alla cui sinistra c’era il posto per la cassiera, ora desolatamente vuoto.
Il bancone era in armonia col resto dell’ambiente. La parte bassa era in legno color mogano ormai consunto dagli anni, quasi all’altezza degli occhi stava la vetrina che mostrava disposti ordinatamente salumi, formaggi e piatti pronti. Il tutto sormontato da una mensola di vetro con pacchi pasta ed altro intervallati tra loro per consentire al cliente di vedere il proprietario ed Piero mentre li servivano. Le donne erano costrette a rovesciare il capo per vederli il viso in una posizione innaturale. Ai due lati estremi facevano bella mostra due affettatrici a volano Berkel B114 rosse, che erano sfuggite alla modernizzazione che le pretende tutte rigorosamente elettriche. Quasi centralmente stavano altri due pezzi di antiquariato alimentare due bilance Bizerba con fondo scala di 2 kg,
In bella mostra sul bancone penzolavano gli insaccati,mentre alle spalle disposti ordinatamente stavano scatolette e bottiglie che si specchiavano nello specchio con la pubblicità dei salumi Negroni.
Nel posto della cassiera troneggiava un vecchio registratore di cassa manuale ormai dismesso perché il regime fiscale imponeva quelli che erogavano lo scontrino fiscale ben mimetizzato alle spalle del proprietario.
Di fronte alla vecchia cassa stava la cella frigorifera con la porta dello stesso legno della parete con lucidi meccanismi cromati.
Accatastate ordinatamente lungo la parete libera stavano confezioni di acqua minerale gassata o naturale di marche diverse accanto ad una mini enoteca.
Delle vecchie lampade riadattate e riconvertite all’elettricità illuminavano l’interno senza sfarzo e luccicanti luci.
Non meno fuori moda era anche l’esterno con una banale insegna metallica, che sormontava l’ingresso. “ALIMENTARI” troneggiava in blu sul fondo bianco, mentre qualche traccia di ruggine affiorava qua e là come piccoli fiori spuntati dalla neve.
Posizionato in una delle vie laterali e meno trafficate del quartiere era sempre pieno di donne che pazientemente facevano la coda per essere servite da Piero.
Gli altri esercenti della Madonna Pellegrina guardavano con invidia Sgorzon con suo negozio antiquato ed anonimo ai loro occhi sempre affollato di clienti e dai pingui incassi. Loro si erano svenati per ristruttuare i loro esercizi, ma la cassa era sempre più vuota.
Il segreto stava in pochi ingredienti: il modo professionale ed accattivante del proprietario e di Piero, i prodotti di livello eccellente e spesso unici che erano in vendita e soprattutto Piero con la sua carica dirompente di umanità che sapeva cogliere e percepire tutte le sfumature delle clienti.
Non erano infrequenti i litigi tra le clienti pur di farsi servire da Piero, che aveva sempre la battuta pronta per smorzare le tensioni.
“Bone, tose” diceva sempre in dialetto che piaceva anche a quelle donne che faticavano a comprendere il veneto.
Lui si divertiva con loro che sgranavano gli occhi perché non comprendevano la parlata veneta di Piero.
“Volete la traduzione in tricolore?” e grandi risate accompagnavano questa battuta, mentre loro un po’ impacciate ma felici di stare al centro dell’attenzione generale annuivano soddisfatte.
Circolavano anche diverse dicerie sul conto di Piero fra le clienti. Un pettegolezzo che andava per la maggiore era che una di loro fosse stato colta dal marito, mentre era a letto con lui.
Mentre si rivestiva e per nulla intimorito lo aveva apostrofato male dicendo “Non vali niente a letto. Parola di tua moglie. Se tu sapessi fare il tuo mestiere, lei non sarebbe a letto con me”. Naturalmente tutte si interrogavano per scoprire chi era, ma tutte negavano di essere la donna incriminata.
La sera in cui Micaela entrò casualmente nel negozio di Piero e lo conobbe lei ascoltò l’ennesima versione ormai condita di ulteriori piccanti particolari su questa voce, accedendo la curiosità di lei sulle qualità amatorie di Piero.
(bozza di capitolo)

La lite (versione due)

Nella prima domenica di settembre si teneva a Monselice la tradizionale Giostra della Rocca, un evento in costume che richiamava nella cittadina patavina un gran folla di turisti e curiosi. Era un classico appuntamento molto sentito nella zona.
Matteo da quando aveva intrapreso la professione di informatico si recava lì per installare sovraintendere all’installazione di tutte le apparecchiature informatiche necessarie al buon svolgimento della manifestazione. I primi anni erano stati entusiasmanti muoversi, aggirarsi senza vincoli tra figuranti, contradaioli festanti e protagonisti delle gare.
Però quest’anno passata l’eccitazione della novità non provava più gli stimoli iniziali, perché ora gli sembrava routine. Pensando di fare cosa gradita ad Micaela e sperando che la giornata fosse più piacevole, la invitò ad accompagnarlo.
Partirono di buon’ora con la macchina di Matteo sotto un bel cielo azzurro, limpido e senza nubi. Lei era allegra perché poteva assistere a questo evento da una postazione privilegiata, il palco d’onore, per il pass che lui le aveva procurato.
Durante il viaggio ci furono i primi screzi, che diventarono crepe nel corso della giornata.
Matteo era nervoso per la domenica sprecata. Anche Micaela ci mise del suo per creargli ulteriori grattacapi e malumori, tanto che bisticciarono su tutto dal mangiare a come si erano vestiti.
Così la giornata che sembrava promettere bene, cominciò a rannuvolare con nubi nere e cariche di pioggia, come gli umori dei due giovani che volsero al brutto, anzi alla tempesta.
Micaela vestita leggera disse di avere freddo e voleva tornare subito a Padova prima della pioggia, mentre lui doveva controllare che per la cerimonia finale con le premiazioni attesa per le 18 tutto filasse liscio senza intoppi. Lei stava imbronciata sul palco d’onore completamente estranea alle grida di giubilo della contrada vincitrice il Palio dei Santi, aspettando solo il momento di riprendere la strada di casa.
La tensione cresceva fra i due ragazzi mentre cominciarono a volare parole pesanti come i goccioloni che il cielo stava dispensando.
Finalmente bagnati ed infreddoliti Matteo e Micaela si immisero sulla statale Adriatica per rientrare a Padova.
Lui era incattivito perché non era soddisfatto per i troppi intoppi informatici, che avevano costellato la giornata, ed era stressato dalle lamentele continue di Micaela, che non stava zitta un secondo.
Lei con la camicetta bagnata ed appiccicata al corpo e i sandali distrutti si lamentava in continuazione perché era colpa di Matteo se si trovava in quello stato. Starnutiva e soffiava in continuazione il naso.
“Mi hai fatto prendere un accidente” disse mentre l’ennesimo starnuto inondava il parabrezza della macchina.
“Dovevi vestirti più adeguatamente” replicò lui irato ed arrabbiato per la pessima idea di averla invitata durante l’esecuzione della sua attività professionale.
Fuori infuriava un violento temporale, mentre Micaela era sempre più petulante ed indisponente, finché arrivati al semaforo della Paltana lui non aprì la portiera mettendola sulla strada senza proferire una parola.
Passato un primo momento di sbigottimento coi capelli ridotti a tagliatelle cominciò a tempestare il vetro della macchina perché voleva risalire e ripararsi dalla violenza della pioggia. Però lui quando scattò il verde mise la prima e sparì verso Padova.
Micaela incredula rimase lì sul ciglio della statale sfiorata pericolosamente da macchine e corriere senza comprendere se l’acqua che scorreva sul viso fosse pioggia o lacrime..
A questo punto incamminarsi verso la città sarebbe stata pura follia, quindi attese il rosso e si avvicinò ad un auto che aveva alla guida un uomo dalla corporatura abbondante.
Bussò al vetro e disse: “Il mio ragazzo mi ha abbandonata qui sotto il temporale e non so come arrivare a Padova”.
“Sali” rispose garbatamente mentre apriva la portiera per farla accomodare.
Micaela gocciolante e tremante per il freddo inondò il sedile con l’acqua che colava dai capelli e dal corpo come una fontana.
“Micaela ” si presentò starnutendo in continuazione.
“Piero” rispose mentre ripartiva in direzione di Padova “Bello scherzo ti ha fatto il tuo ex”.
(bozza di capitolo)

Un pomeriggio diverso

Matteo dopo aver parcheggiato la macchina in Prato della Valle si incamminò a piedi per via Roma.
“Una passeggiata fino al Pedrocchi mi farà bene” pensava svogliatamente, mentre gli occhi guardavano passanti e vetrine senza che l’immagine rimanesse fissata nelle mente.
Micaela gli aveva fatto perdere la testa senza capire il perché e cosa l’aveva colpito in lei.
“Certo è una bella ragazza” continuava a ragionare dentro di sé “I capelli rosso ramati si notano, gli occhi mobili ed intelligenti non fanno fatica a colpire chi li osserva. Però non sono stati questi particolari fisici a coinvolgermi nei sensi. No, non è stato questo”.
Era un pensiero fisso che non l’abbandonava da quando era tornato a casa furioso per essere stato lasciato così in Piazza delle Erbe.
“Cosa sto andando a fare?” si domandava stupito “Laura non mi interessa. E’ una brava ragazza, ma non è quella che cerco! Rischio di alimentare delle attese false”.
Continuava a camminare con passo svelto e deciso come un automa caricato a molla, mentre aveva un solo pensiero: Micaela.
Si dava del somaro, perché era stato troppo impulsivo nelle sue avance senza nemmeno chiedersi se lei lo aveva accettato. Il temperamento focoso ed irascibile si sovrapponeva al quello dolce e romantico in un alternanza di luce e di ombra. Ora prevaleva l’uno ora l’altro. Questa mattina aveva prevalso il lato oscuro ed era stato un patatrac.
Però lui non riusciva a dominare il lato marziano del suo carattere, che esplodeva all’improvviso come la sarabanda finale dei fuochi d’artificio. Certamente si imponeva di rimanere calmo e razionale, ma bastava poco per dare fuoco alle polveri e lo spettacolo pirotecnico iniziava non sempre positivamente perché non riusciva ad incanalare le proprie energie là dove la ragione imponeva di andare.
Così anche questa mattina era stato troppo irruente, ma su questo ci aveva già riflettuto. Adesso doveva pensare a come ricucire lo strappo, mentre si domandava nuovamente perché aveva accettato l’invito a uscire con Laura.
Era immerso nei suoi pensieri come la carena di una nave scivolava veloce sul mare verde bottiglia, quando sentì un forte richiamo “Matteo, sono qua! Dove stai correndo?”
Si fermò come folgorato da un’improvvisa saetta, mentre si guardava intorno un po’ smarrito. Tutti i passanti lo guardavano incuriositi, mentre lui si sentiva nudo e svuotato da ogni energia.
La mise a fuoco, mentre attraversava la strada verso l’ingresso del caffè Pedrocchi.
Laura era senza dubbio una bella ragazza dai capelli castano chiari tendenti al dorato, longilinea e minuta. Era dotata di un’intelligenza pronta e pratica, dal temperamento vivace ed allegro. Era responsabile della segretaria, che guidava con mano ferma e decisa, in un grande studio notarile nel centro di Padova. Da grande appassionata d’arte appena poteva non mancava di frequentare mostre, musei e monumenti. Quel sabato pomeriggio era libero da impegni, che spesso la tenevano occupata tra genitori, casa da accudire ed il lavoro extra allo studio, dunque era proprio l’ideale per andare a visitare nel Palazzo della Ragione la mostra sull’arte orafa, che le avevano detto essere fantastica.
Non gradiva molto visitare luoghi d’arte da sola perché diceva “E’ come fare all’amore con un manichino gonfiabile”. Quindi cercava sempre un compagno d’avventura tra i non molti amici che aveva. L’unico abbastanza disponibile era Matteo, mentre gli altri con una scusa od altro trovavano sempre la maniera per defilarsi. Aveva provato ad intrufolarsi in quelle comitive organizzate,ma dopo le prime esperienze si era detta “E’ meglio andarci da sola che con quella pattuglia di vecchi rincitrulliti, bavosi e perennemente stanchi, pronti solo a mangiare ed infilare velocemente i servizi igienici”.
E così spesso soffriva in silenzio senza poter scambiare alcuna opinioni con qualcuno sul cromatismo di Van Gogh o i tenui acquerelli di Boldini o la pittura bizzarra di Dalì.
Era andata abbastanza bene questa volta, perché Matteo aveva accettato il suo invito e sarebbe stato un magnifico pomeriggio da trascorrere in sua compagnia.
“E’ il compagno ideale, perché ha sensibilità ed intelligenza. E poi ha una cultura veramente fuori del comune. Conosce tutto, sa riconoscere particolari quasi invisibili” era solita ripetersi quando pensava a lui “Non ha un carattere facile ed a volte sembra un musone solitario, ma quant’è dolce e romantico” continuava sospirando, perché avrebbe voluto avere una storia con lui.
Si erano conosciuti quasi per caso un paio d’anni fa a Ferrara: lui frequentava ancora l’università nella città estense, lei era una dei tanti turisti a visitare la mostra di Gauguin a Palazzo dei Diamanti. Stanca ed accaldata si era rifugiata nel vicino parco sedendosi sull’unica panchina libera vicino ad un ragazzo dal viso dolce, che sembrava assorto e distaccato dal frastuono allegro di bambini e genitori che affollavano il posto. Lo osservò e subito un’empatia la travolse spingendola a parlare con lui, che inizialmente sembrava impacciato e timido. La conversazione poi si librò leggera come una piuma svolazzando in qua e in là su molteplici argomenti, tanto da decidere di trascorrere il resto della giornata insieme.
Dopo quel pomeriggio piacevole ed diverso si sentirono qualche volta senza mai incontrarsi per un cumulo di imprevisti, finché due anni fa ricevette una telefonata inaspettata.
“Ciao”; esordì Matteo “Ti ricordi di me?” “Certamente” rispose Laura sorpresa di sentire la voce di lui che era finita da tempo nell’album dei ricordi piacevoli.
“Da pochi giorni abito e lavoro a Padova. Hai impegni per stasera?” le chiese senza troppi giri di parole.
Laura avrebbe voluto dire subito “No, sono liberissima”, ma preferì prendere tempo, non accettare con troppo entusiasmo l’invito, farsi desiderare un po’ e disse che sarebbe stata contenta di incontrarsi in un giorno non ben definito più avanti.
Adesso si domandava se aveva fatto bene a tenere un comportamento un po’ freddo e distaccato quella prima volta, ma ormai non c’era più l’opportunità per retrocedere le lancette dell’orologio perché il tempo fugge e scorre via. Era inutile recriminare sulla quella decisione ed era meglio pensare al presente.
Laura lo abbracciò con calore baciandolo sulle guance, mentre provava un brivido di freddo lungo la schiena. Cancellò subito la sensazione di gelo dal corpo ed allegra s’incammino verso l’ingresso della mostra, tenendolo abbracciato con calore.
(capitolo 6)

Riflessioni

Micaela era rientrata visibilmente contrariata salutando a malapena la madre prima di rinchiudersi nella sua stanza.
Scelse un CD anni settanta, mise le cuffie per non disturbare nessuno e si sdraiò sul letto ad ascoltare la musica.
Però la testa continuava a ronzare come un alveare impazzito con i pensieri che entravano ed uscivano in continuazione senza un attimo di sosta, mentre lei si sentiva su piani sensoriali diversi: da un lato la fredda razionalità che le imponeva di analizzare criticamente il suo operato, dall’altro le calde emozioni che aveva sentito pervadere i sensi e le sensazioni.
Continuava a ripetersi che non avrebbe dovuto accettare l’invito di oggi, anzi non avrebbe dovuto nemmeno dare il suo numero a Matteo, ma quell’impulso sincero e spontaneo era sorto senza troppi ragionamenti sotto la spinta di una sensibilità emotiva non razionale.
“Ormai è troppo tardi per tornare indietro.” disse mentre fischiettava il motivetto che le cuffie diffondevano nella sua mente “A volte sono troppo impulsiva e mi lascio trascinare dalla voglia di trovare un uomo come lo sogno tutte le notti. Fisicamente non ha molta importanza, purché non ci siano difetti troppo invalidanti o palesi. Però è il carattere che conta. Voglio essere trattata alla pari: dividere oneri e onori in casa e fuori. Voglio essere rispettata per quello che sono”.
Tolse CD e cuffie, alzandosi dal letto e disse “Ora basta piangere e recriminare. Fra due settimane ho un esame cruciale per il percorso che mi sono fissata. La ricreazione è finita, si torna allo studio”.
Aprì il libro, ma era svagata con la testa altrove come se fluttuasse in un mondo popolato di fantasmi e amebe, che la sfioravano dicendo “Vieni con noi nel mondo incantato dei sogni”.
La concentrazione era ridotta al lumicino tanto che dopo dieci minuti era ferma ancora sulla figura di pagina 256 senza nemmeno sapere cosa stava guardando.
Si riscosse e decise di riporre il libro, tanto era un inutile esercizio tenerlo aperto, perché la mente vagava altrove alla ricerca delle risposte che non era in grado di soddisfare.
Chiamò Silvia perché voleva confrontarsi con lei, che era più intuitiva e meno impulsiva senza trovarla.
Tornò alla musica e al letto nella speranza di quietare il tormento interno.
Doveva riflettere con molta serietà su di sé, sul rapporto che stava avviando con Matteo, sugli impegni prossimi e su quelli futuri. Insomma doveva fare una panoramica a 360° della sua vita.
Era sua abitudine programmare ogni dettaglio, a riempire la giornata con impegni sostenibili senza perdersi in sogni inutili. Però sembrava che il treno fosse uscito dai binari senza che lei se ne accorgesse, aveva deragliato in prossimità della stazione in aperta campagna. Intorno c’era il nulla, solo campi di erba medica appena tagliata. Adesso doveva rimetterlo prontamente in grado di riprendere la corsa per raggiungere l’obiettivo che si era prefissata. Oppure restava lì impantanata nella tela che li ragno aveva tessuto velocemente sopra di lei.
Rimise le cuffie per ascoltare ancora musica, per calmare il furore interno che la stava bruciando con troppa foga.
“Devo parlare subito con Silvia oppure il flipper dice ‘GAME OVER’. Dove sarà mai? Di solito è sempre in casa, ma oggi sembra volatilizzata” diceva fra sé sperando in una telefonata che non arrivava mai.
Silvia era l’amica più cara, che aveva conosciuto all’asilo, con la quale aveva fatto un lungo percorso scolastico. Si trovavano a meraviglia per la naturale empatia che le accomunava, Non c’erano particolari interessi in comune, ma era sufficiente un gesto, un occhiata fugace per far scattare la sintonia intellettuale che c’era fra loro. Quando uscivano con gli amici, non c’era mai competizione reale nello scegliere il ragazzo con il quale passare il pomeriggio o la sera, anche se apparentemente sembrava che si accapigliassero tra loro per avere le attenzioni del prescelto. Un segno convenzionale, uno sguardo innocente era il segnale, poi tutto era un gioco, una finzione scanzonata, che commentavano ridendo nella loro intimità di amiche.
Mai uno screzio aveva offuscato con una nube tempestosa la loro amicizia, composta di lunghe chiacchierate, nelle quali confidavano a vicenda i loro problemi, le loro ansie, le loro gioie, le loro aspettative.
Avevano pochi punti in comuni, tra i quali spiccava la passione per la divinazione con l’astrologia e i tarocchi. Era un interesse molto distante dalla loro natura razionale e concreta, ma era alimentata dall’intuizione e dalla sensibilità quasi mediatica che possedevano. Sia Silvia, sia Micaela non amavano leggere i propri transiti o i responsi dei tarocchi, ma affidavano questo compito all’altra per poi contestare l’interpretazione.
Micaela era sulle spine, perché ricordava che qualche tempo prima Silvia aveva letto nei tarocchi che lei avrebbe incontrato un uomo che le avrebbe fatto perdere la testa con una storia fosca e passionale, che sarebbe finita in tragedia. L’amica era seria, ma lei aveva riso dicendo “Io perdere la testa per un uomo conosciuto casualmente? Hai sbagliato la lettura della carta!” “No” rispose cocciuta Silvia “questo re di coppe  rovesciato vicino al sei di spade, alla regina di spade e al cavaliere di bastoni parla chiaro”. Avevano questionato a lungo sulle carte rimanendo ognuno della propria idea
Ora questi ricordi tornavano a galla come il corpo del suicida rimasto a lungo sul fondo del fiume e non facevano un bello aspetto.
“Si, ” diceva tra se Micaela, “dobbiamo parlare e capire bene il significato di quella sequenza. Perché tarda a chiamarmi?”
La musica dei Van der Graf Generator adesso era libera di diffondersi per la stanza senza le costrizioni delle cuffie, mentre la ragazza aspettava la melodia “Aqualung”; dei Jethro Tull uscire dal telefonino.
(capitolo 5)

I sogni si avverano?

Matteo passò la domenica tra mugugni e recriminazioni per essere stato troppo impulsivo il giorno precedente.
Frammenti di immagini e brandelli di conversazioni scorrevano ora lenti ora veloci sulle pareti di casa, mentre lui cercava di riunire i pezzi che riflettevano il suo stato d’animo.
Aveva acquistato da poco una porzione di una villetta quadrifamigliare a Rubano in una zona di recente lottizzazione poco distante dal centro del paese, dove fino a pochi anni prima c’erano vigne e campi di erba medica. La casa non era molto ampia su due livelli, ma andava benissimo per lui ancora single. Su due lati aveva una piccola striscia di verde, dove ora prosperavano solo erbacce.
“Quando mai avrò tempo di sistemarlo” diceva a chi gli faceva notare lo stato di abbandono del giardino “Dal lunedì al venerdì sono in giro per l’Italia. Durante il fine settimana vorrei rilassarmi senza rompermi la schiena per curare il verde”. Aveva pensato di rivolgersi a qualcuno in paese per sistemarlo, ma rimandava di settimana in settimana, mentre il tempo scorreva inesorabile senza prendere la nessuna decisione.
Il sottotetto avrebbe potuto col tempo ospitare un piccolo studio, ma adesso era ingombro di scatoloni semivuoti, un paio di PC dismessi con molta polvere. L’aveva trovato allo stato grezzo e così era rimasto anche se ora era pentito di non averlo sistemato subito. Nel lavoro era molto meticoloso senza lasciare nulla al caso, ma nelle faccende private era irresoluto e cincischiava in mille attività che cominciava senza portare a termine nulla. Così aveva preso la decisione di utilizzare la cameretta al piano superiore come studio attrezzando una parete con scaffalature e ripiani e un tavolo da lavoro.
L’arredo della casa non era scadente, ma rifletteva la sua personalità appena abbozzata e dispersiva. Si notava molto la mancanza di un tocco femminile, mq per questo sperava di aggiungerlo presto.
Il computer era acceso, ma era abbandonato perché Matteo stava pensando ancora al giorno precedente.
Aveva fantasticato a lungo prima dell’incontro su una vacanza romantica con Micaela in giro per l’Italia, loro due soli con la sua auto perché lei non amava o non sapeva guidare.
“Quale sarebbe stata la prima destinazione?” si chiedeva rapito nell’immaginare eventi distorti della realtà e apri Google Earth per assaporare meglio il viaggio irreale volando con gli occhi del web.
“Vediamo un po’. Verso ovest o nord o sud? Verona o Mantova? Oppure Cortina, Bolzano, le montagne incantate delle Dolomiti? Ferrara, Ravenna o Firenze?” non riusciva a decidere quale direzione voleva prendere.
Però quella sarebbe stata solo una prima tappa di un tour attraverso l’Italia, che amava ed aveva imparato a conoscere attraverso il suo lavoro.
Il giro comprendeva anche le isole dell’arcipelago toscano o forse no, perché quelle le avrebbe voluto visitare su una barca a vela di sicuro non nel mese di Agosto.
Avrebbe desiderato scendere verso Roma attraverso la Toscana e l’Umbria per restare diversi giorni lì, mentre assaporava il fascino di quei ruderi e chiese che aveva imparato ad amare durante le lunghe camminate in attesa della cena serale.
Ora però era deluso da Micaela, dalla persona amata che non rispondeva alle sue aspettative, che peraltro non erano realistiche. L’effetto dell’innamoramento era di farlo fantasticare, cosa piacevole e innocua se lui si manteneva nei limiti della realtà, ma purtroppo aveva ecceduto senza tener conto delle possibili reazioni. Aveva vissuto in sogno un senso raffinato della bellezza che ricercava in tutto ciò che lo circondava. Tuttavia non era stato molto pratico e sarebbe stato meglio rimandare a un altro momento tutte le questioni che richiedevano un giudizio sicuro nelle relazioni interpersonali, ma ormai la frittata era stata fatta.
Matteo era un sognatore incallito per effetto della timidezza innata e della paura ad esternare i propri sentimenti. Spesso durante i lunghi viaggi sognava situazioni impossibili a realizzarsi dove lui era concupito dall’amore segreto di turno. La ragazza, di cui si era innamorato senza che lei lo sospettasse minimamente, lo blandiva, lo circuiva, mentre lui glaciale ed algido si faceva pregare per accettare il corteggiamento.
Era intelligente, colto e raffinato qualità che esprimeva con naturalezza, sapeva parlare con criterio e proprietà, misurato ed attento, ma spesso rovinava tutto con uscite infelici che ferivano l’interlocutore.
Anche ieri non aveva percepito che Micaela era concentrata solo ed unicamente sugli esami che doveva sostenere mentre non c’era posto per altre divagazioni personali. Però lui non ascoltava ed era infastidito dal quel chiacchiericcio su qualcosa che non lo interessava. Per questo motivo aveva esternato quella proposta inopportuna sia per il tono di voce sia nel modo di esporla che aveva troncato bruscamente il loro rapporto.
Ora si stava domandando come avrebbe potuto riallacciare il discorso interrotto perché non riusciva a trovare una leva da usare per toccare la sensibilità di Micaela.
“E’ tutto compromesso oppure posso ancora sperare?” si chiedeva ansioso quando una breve melodia gli annunciava l’arrivo di un SMS.
Era Laura, che lo invitava ad unirsi a lei per visitare la mostra sull’arte orafa nel Salone. Lei faceva di tutto per farsi notare, ma lui non era molto propenso ad intavolare una relazione perché la riteneva troppo aggressiva e poco dolce.

“Non è la donna che cerco” si diceva sempre
“Cosa faccio?” si domandò smarrito finché decise di accettare l’invito e di trovarsi in Piazza delle Erbe fra mezz’ora.

(Cap. 4 del racconto “L’incontro”)