Mi chiamo Annie Valentine Cook e sono nata il 14 febbraio… parte terza

Con questa si conclude il mini racconto scovato in fondo al cassetto. Qui trovate la prima e la seconda parte.

Buona lettura.

copertina Amanda e il bosco degli elfi

Un giorno, aveva circa trent’anni, incontrò un uomo che definì “incredibilmente bello” e se ne innamorò perdutamente tanto che non si accorse nemmeno che era sposato con una donna gelosa e possessiva.

Stava salendo al primo piano per raggiungere il monolocale dove viveva da single, quando Susie, la moglie, l’affrontò decisamente.

«Siete una puttana!» le urlò in faccia sulla prima rampa, afferrandola per i capelli e strattonandola. «Lasciate stare il mio Paul!»

«E perché mai dovrei?» chiese ingenua Annie Valentine.

«È mio marito…».

«Tuo marito?» e sgranò gli occhi blu che sembravano contenere tutto il cielo. «Forse avete sbagliato Paul… Quello che frequento è libero come un uccello…”. Cercò di liberarsi dalla presa della donna, che la teneva inchiodata al corrimano per i capelli.

«Sì, come un uccello in gabbia. E la gabbia dorata sono io» replicò ironica con un sorriso storto.

«Lasciatemi!» Aveva il viso contratto da smorfie di dolore, perché lei tirava con vigore i suoi capelli.

«Certo!» e la scaraventò giù dalle scale. «E questo è nulla se vi vedo ronzare ancora attorno a Paul».

L’atterraggio non fu morbido ma nemmeno disastroso, perché era finita su rotoli di corda che le lasciarono solo dei lividi per qualche giorno.

L’uomo, conteso dall’amante e dalla moglie, telefonò una settimana più tardi.

«Mi spiace» cominciò senza troppi tentennamenti come se non dovesse giustificare nulla. «Susie, l’avrai conosciuta, è troppo gelosa ed è capace di tagliarti la gola e di evirarmi, se ti frequento ancora».

Così per l’ennesima volta fu lasciata.

Annie Valentine sull’amaca osservava nel crepuscolo della sera il mare appena increspato da spume bianche. Si domandò perché arrivata a quarant’anni non era ancora riuscita a trovare un compagno stabile ma solo tanti effimeri fantasmi che comparivano e sparivano senza lasciare tracce.

“Io dono tutta me stessa ma loro mi portano via ogni volta brandelli della mia anima senza chiedermi il permesso. Ormai ne è rimasta solo qualche piccola briciola. Non riesco nemmeno più a piangere, perché le ho esaurite tutte. Vorrei un uomo che mi rispettasse e donasse un pizzico d’amore sincero ma non lo trovo. L’unico era…”.

Vide una figura che lentamente camminava sulla battigia, illuminata dal sole morente. Questa si fermò e facendosi schermo la mano, la osservava dalla spiaggia come se fosse incerto se proseguire nella camminata o dirigersi verso il cottage di Annie Valentine.

Lei smise di dondolarsi e aspettò ansiosa.

Prese una decisione e si avviò deciso.

«Ciao, Annie».

«Ciao, Jack».

Si guardarono in silenzio incapaci di parlare. Poi Annie Valentine si alzò dall’amaca e gli prese la mano.

«Vieni». E lo trascinò verso la veranda.

L’uomo si lasciò condurre docilmente verso il patio laterale della casa, come se fosse guidato da un’entità superiore. Si sistemarono su due poltrone di vimini sempre muti e senza parole.

«Ti aspettavo» disse, tenendogli sempre stretta la mano tra le sue. «Sapevo che saresti arrivato. Oggi è un bel giorno».

Jack la guardò incredulo, perché non era vero che era capitato volontariamente da lei. Era giunto per caso su quella spiaggia poco frequentata e nascosta da un canneto di giunchi e mangrovie. Era solo il caso che l’aveva condotto lì. L’aveva riconosciuta ed era rimasto incerto se fermarsi a salutarla oppure no. Non aveva mai saputo dove abitava dopo essersene andato cinque anni prima in una notte stellata di agosto e lo ignorava, finché non si era imbattuto nel cottage durante la passeggiata solitaria.

Era stata l’ennesima serata burrascosa tra accuse e pianti, tra difese timide e sguardi infuocati. Così aveva deciso di troncare ogni rapporto con quella donna affascinante ma decisamente insopportabile. La loro relazione durava da tempo, anche se non ricordava quanto. “Un anno? Oppure due?” e si chiese se avesse importanza richiamare alla memoria la durata esatta. Concluse che erano i ricordi che doveva rammentare, il resto erano dettagli insignificanti. Il flusso della memoria prese a fluire come un tranquillo corso d’acqua che placido scende verso il mare.

Era iniziata sotto i migliori auspici, pareva un rapporto solido basato su un feeling preciso: amore e sesso, equamente suddivisi. Lei era passionale e donava tutta se stessa senza calcoli o fini nascosti. Lui aveva colto quella passione ricambiandola con uguale fervore. L’amore era sbocciato come una rosa in maggio. Da prima timido e acerbo come un bocciolo, poi in tutto il suo fulgore durante la fioritura ma alla fine era sfiorito, appassendo con la perdita dei petali che malinconicamente cadono a terra fino a rimanere nulla.

Una coppia perfetta agli occhi degli osservatori esterni. Lui alto, abbronzato coi capelli biondi, lei esile come un giunco nonostante i suoi trentacinque anni, dalla pelle ambrata come il miele scuro delle api di montagna e con quei due splendidi occhioni blu porcellana.

Però dopo poco iniziarono i contrasti, le incomprensioni, le rotture improvvise e le riconciliazioni inaspettate in un caleidoscopio di gesti e di parole. Jack mal sopportava il fare civettuolo di Annie Valentine, sempre pronta a raccogliere i sorrisi e gli ammiccamenti dei corteggiatori. Per lei non c’era nulla di male perché era un gioco a nascondino innocente e casto. Per lui era come se gli lanciasse una sfida che doveva raccogliere per allontanare quei calabroni insistenti. In questa alternanza di chiaro e di scuro, di esserci o nascondersi esternava di essere gelosa, perché lo voleva tutto per sé egoisticamente. Non sopportava che lui osservasse le altre donne, doveva essere sufficiente tutto quello che gli donava.

Il fluire dei ricordi s’interruppe, spezzando quel silenzio che era calato tra loro.

«Non dici nulla. Hai forse perso la parola?» Usò un tono dolce per far comprendere che era felice accanto a lui.

«Sto meditando che la vita è strana. Il destino ci conduce la dove meno ce lo aspettiamo». Non aveva smesso di fissarle quegli occhi blu che l’avevano stregato la prima volta, quando l’aveva conosciuta.

Annie Valentine corrugò lievemente la fronte e strinse le palpebre.

«Perché?»

«Oggi non dovevo fare questa passeggiata. Avevo un impegno importante, un incontro di lavoro ma all’ultimo istante è saltato tutto. Mi sono ritrovato libero e senza una meta precisa dove andare. Così ho cominciato a camminare per Main Street e soprappensiero mi sono trovato su questa spiaggia solitaria e nascosta che non conoscevo. Sono stato incerto se proseguire oppure ritornare verso le vie centrali popolate di persone chiassose e colorate…». Jack strinse le labbra e provò a riordinare le idee.

«Continua» lo sollecitò. «Continua il racconto, ti ascolto. La tua voce è musica per le mie orecchie».

«Percepivo la necessità di riflettere su di me e sulla mia vita passata, presente e futura. Quindi ho deciso di proseguire la camminata. Il sole al tramonto, il mare infuocato dai raggi solari che si immergevano nelle acque dell’oceano hanno fatto il resto».

Jack osservava quel viso che non pareva invecchiare ma rimanere sempre uguale a se stesso: giovanile e senza rughe come se il tempo si fosse fermato cinque anni prima. La fissò prima di porre quell’interrogativo che lo stava tormentando da quando lei l’aveva invitato sul patio. Una domanda stimolata dalla curiosità di conoscerne la risposta.

«Perché sapevi che sarei venuto?» chiese senza abbassare lo sguardo.

«Il cuore» rispose Annie Valentine. Una risposta semplice. «Il cuore» ripeté con calore.

L’uomo scosse il capo. Non era la risposta giusta. Il cuore può pensarlo ma il destino decide senza tenerne conto. «No. Il cuore comanda la mente ma non il destino».

Fece una breve pausa inspirando l’aria calda del tramonto prima di ripetere la domanda. «Come facevi a essere così sicura che sarei arrivato?». Adesso era certo che l’aveva compresa.

«Sono qui da giorni, da mesi, da anni in attesa del tuo arrivo senza perdere la speranza di rivedere il tuo viso, di riascoltare la tua voce, di toccare le tue mani. Come puoi osservare la pazienza è stata premiata».

Trasse un profondo respiro prima di riprendere la spiegazione.

«Da quando mi hai lasciato senza concedermi nemmeno il saluto conclusivo dopo l’ultima notte di passione, ho venduto la vecchia casa e mi sono trasferita qui in attesa del tuo ritorno. Sono stati anni bui e silenziosi senza una luce che li rischiarasse. Ho avuto pazienza senza mai perdere la fiducia in me stessa e la speranza che un giorno saresti passato di qui».

Annie Valentine tacque fissandolo senza incertezze negli occhi.

Jack non comprendeva il senso di quelle parole. Si erano lasciati burrascosamente cinque anni prima senza mai incrociarsi neppure casualmente. Per lui quel capitolo era chiuso per sempre e aveva cancellato dalla sua mente quel viso morbido e vellutato, quegli occhi luminosi e quello splendido corpo. «Mai e poi mai avrei ricominciato. Ho sofferto troppo per riprendere un rapporto eccitante e stimolante ma altrettanto snervante e ricco di imprevisti».

La mano calda di lei gli trasmetteva un senso che non riusciva a decifrare. «Ma oggi sono qui e la magia dell’esserci ha preso il sopravvento sulla razionalità del ignorare».

Annie Valentine, quando si erano frequentati, viveva in bella casa di legno sulla Main Street circondata da un giardino ben curato. Adesso era in cottage al limite della battigia, isolato e lontano dal caos chiassoso e dai rumori della città.

«Come potevo immaginare di trovarti qui?» Di nuovo sorgeva la domanda che lo stava assillando dal momento che l’aveva rivista. Scosse il capo perché non poteva credere che l’avrebbe incontrata dopo tutti quegli anni. Aveva giurato che sarebbe uscita dalla sua vita per sempre e non sarebbe mai più rientrata. “Per sempre? Che vacua parola è questa, priva di significato perché per sempre è solo un effimero spazio temporale che dura meno della nostra vita”. Invece si ritrovava sulla veranda di un cottage, seduto a osservare quegli occhi, che l’avevano stregato tanti anni prima, con lei che le teneva la mano.

Percepì che il vecchio fuoco non era morto ma covava silenzioso sotto uno spesso strato di ceneri. Era stata sufficiente una piccola scintilla per riattizzarlo, mentre riprendeva vigore. Si domandò se era saggio riallacciare i fili del passato, che erano pieni di nodi che non potevano essere sciolti. “Non è pericoloso credere che cinque anni siano passati invano, che ieri è oggi e che oggi sia domani?”. Una forza irrazionale lo stava prendendo per mano per condurlo verso un domani del quale non conosceva i contorni. Non si riconosceva in quest’uomo tanto diverso da quello pragmatico e freddo che era conosciuto da tutti.

Anche Annie Valentine avvertiva l’urgenza di trattenerlo. Era stato l’unico uomo della sua vita al quale aveva donato e dal quale aveva ricevuto qualcosa in cambio, anche se come tutti gli altri l’aveva lasciata. “Poco. Ma sufficiente a scaldare il cuore. Jack non crede che il cuore abbia avuto una grossa parte nel suo arrivo qui. Il cuore comanda anche il destino che si piega ai suoi desideri”.

Percepiva che era giunto il momento di piantare le radici, di costruire un futuro non più incerto e nebbioso ma chiaro e limpido. Era forte stavolta la sua volontà di costruire un percorso comune abbandonando i vecchi sentieri fino a quel momento battuti senza apprezzabili risultati. Dovevano tracciarne uno totalmente nuovo ma insieme e con la forza di un sentimento che non era mai morto.

Questa volta non avrebbe offerto il suo corpo per trattenerlo ma sarebbe stato lui a decidere se per il sì o per il no.

Non temeva una risposta negativa. L’avrebbe accettata come aveva accolto tutto quello che la sua vita le aveva offerto fino a quel istante. Nondimeno aveva una certezza perché il cuore non l’aveva mai ingannata come facevano gli altri sensi. Erano mesi che preparava la tavola per due ed erano mesi che la sparecchiava come se fossero in due a cenare.

«Fermati qui con me stasera» chiese con un tono dolce e vellutato. Non era una preghiera ma un invito da accettare o respingere. «La tavola è pronta. Le candele basta accenderle».

«E cosa serve per una cena serale al lume di candela?» La voce era ironica ma era incrinata dal desiderio di rispondere sì.

«Solo amicizia,..» e fece una pausa a effetto prima di riprendere il discorso. «Se però è amore, ti ritrovi qui a colazione».

FINE

Mi chiamo Annie Valentine Cook e sono nata il 14 febbraio… parte seconda

Ecco la seconda parte di questo vecchio racconto. La prima parte la trovate qui.

Buona lettura.

Alba – foto personale

Si sentiva sola nella grande casa prospiciente il mare, che intravedeva attraverso l’ampia vetrata del salone. Un mare blu trasparente appena increspato da onde basse invitava a essere solcato dalla fantasia imbarcata su una minuscola nave a vela.

Vedeva i velieri corsari che si avvicinavano alla costa per rapire fanciulle per i loro piaceri e fare bottino di oro ed argenti. Sentiva un brivido di piacere nella schiena al pensiero di essere ghermita, afferrata da uomini rudi e forti e trascinata sulla battigia prima di sparire nella stiva oscura e maleodorante. Però il pirata Barbanera l’avrebbe portata nella sua stanza per possederla nel grande letto posto a poppa.

La sua mente continuava a fantasticare su questa storia, che avrebbe gettato nel terrore più di una donna, un’avventura invece che lei pregustava nei minimi dettagli.

Sarebbe diventata la donna del pirata Barbanera, che avrebbe atteso a terra, tremante di paura e piena di ansia ogni volta che lui avesse solcato il mare per le scorribande corsare.

Lei sarebbe corsa verso il suo uomo abbracciandolo e baciandolo, mentre lodava Dio che l’aveva preservato dalla morte.

Avrebbe ascoltato impaziente rannicchiata fra le braccia il racconto dell’ultima avventura, che narrava di morte e di orrori, di oro e argenti, di vascelli spagnoli sventrati e bruciati.

Poi non sazia avrebbe chiesto di raccontare gli altri assalti, le battaglie con gli spagnoli, i saccheggi e le canzoni corsare.

Così tutta la notte prima di giacere con lui nel letto sottratto al Viceré delle Antille per godere della passione e dell’amore del pirata.

Il sole calava rosso e infuocato sull’oceano, quando si svegliò dal sogno che aveva cullato fra le braccia, mentre si ritrovava sola sull’amaca a dondolarsi.

E pianse la sua solitudine.

Era una splendida bambina coi capelli scuri e la carnagione leggermente ambrata come se si fosse dorata sotto il sole. Quel colore metteva in risalto il viso delicato e due grandi occhi blu porcellana, ereditati dal padre e spiccavano nel complesso di quella figura acerba. Quando il primo giorno della Primary School si presentò al cancello del college, la suora guardò male prima lei poi la madre e storse il naso.

«Non si accettano bambine di colore. Avete sbagliato ingresso. Più avanti c’è la scuola pubblica» disse con tono acido sbarrando il passo.

Patricia la fulminò e senza aprire bocca avanzò trascinando Annie Valentine per guadagnare il grande portone.

«Dove credete di andare?»

«Nel St. Therese’s College. Ora fattevi da parte, perché devo entrare». Patricia aveva lo sguardo fiammeggiante e accennò a spingere da parte la suora. «Se non vi sbrigate, domani andrete a spazzare i corridoi».

L’alterco, che stava radunando una piccola folla di curiosi, non sfuggì alle attenzioni di Madre Marie, la superiora, che accorse immediatamente.

Annie Valentine era frastornata, perché non comprendeva tutto quel trambusto. Avrebbe fatto volentieri a meno di andare a scuola ma la madre le aveva spiegato che era un posto dove avrebbe conosciuto altre bambine e imparato a leggere e a scrivere. Però il primo impatto non era quello che le avevano descritto i genitori. Suore altezzose, bambine che arricciavano il naso vedendola.

«Che sta succedendo?» chiese Madre Marie, osservando prima la consorella poi la donna di colore.

«Nulla» rispose calma Patricia. «Questa suora» e la indicò col capo «mi ha sbarrato l’accesso senza motivo. Mi ha impedito di accompagnare Annie Valentine Cook, mia figlia, di entrare nella scuola, alla quale è iscritta».

Il nome le suscitò un ricordo e un lampo nella mente. Era la figlia di un commodoro della Royal Navy. A Plymouth era conosciuto e stimato, soprattutto adesso che infuriava la guerra, con l’Inghilterra sotto attacco, un personaggio importante da trattare con tutti i riguardi.

«La prego di scusare sorella Agnes, che non l’ha riconosciuta. È un onore avere nel nostro college la figlia del commodoro Cook». Con falsa deferenza si mise da parte per farle entrare senza prima fulminare con un’occhiataccia la suora guardiana, per nulla convinta del proprio errore.

Non fu l’unico episodio sgradevole che Annie Valentine conservava nella mente di quei lunghi sette anni trascorsi in questa scuola esclusiva e altezzosa tra angherie e piccoli soprusi che subì da suore e campagne.

Con immenso sollievo salutò tutti nell’agosto del 1947 quando per l’ultima volta varcò quel cancello che le erano apparse come le sbarre di una prigione dorata. Adesso era una splendida ragazzina di tredici anni dal seno acerbo e dalle movenze feline e suscitava l’ammirazione dei coetanei e le invidie delle altre ragazze magre e dal viso deturpato dall’acne giovanile.

La rigida educazione religiosa del college lasciarono un’impronta indelebile nel suo carattere ingenuo e aperto. Mostrava verso il suo prossimo una fiducia spontanea e sincera, senza ravvisare malizie o fraintendimenti. Questa semplicità nel carattere la rendeva vittima di sottili tranelli, nei quali cadeva quasi senza accorgersene.

Quando nel dicembre dello stesso anno salpò coi genitori per fare ritorno nell’isola di Antigua, la sua spensierata innocenza fu oggetto di molte attenzioni da parte di uomini che avrebbero desiderato possederla. Sembrava più matura della sua età, come se fosse una ragazza di qualche anno più vecchia. Sarebbe caduta nella rete di queste persone se i genitori non l’avessero tenuta sotto controllo.

A diciotto anni era diventata una splendida fanciulla corteggiata da moltissimi uomini. Era un fiore da cogliere ma non era ancora arrivato il momento di recidere il gambo. Lei era indecisa a chi donarsi per prima, non vedeva inganni nelle loro attenzioni ma un sottile gioco di corteggiamento.

“Le suore mi hanno insegnato di mantenermi pura fino al giorno del matrimonio” si diceva mentre sdraiata sulla sabbia bianca della spiaggia di Deep Bay si dorava sotto il sole di giugno. “Mi domando per quale motivo dovrei conservarmi casta. Sento un forte richiamo verso gli uomini. Loro mi ronzano attorno fastidiosi come calabroni. Ma tutto questo mi eccita e mi stimola eroticamente”.

Era luglio 1955, quando seduta sul molo del porto di St. John’s vide sbarcare da una nave da crociera un ragazzone biondo, alto come una guglia della cattedrale. Rimase affascinata, lo seguì con lo sguardo finché non sparì tra la calca della folla. Stanca e annoiata riprese la strada di casa, mentre il sole picchiava duro. Non pensava più a quel ragazzo, quando all’improvviso lo incrociò su High Street. Ebbe un tuffo al cuore, si fermò per osservarlo con cura mentre camminava spedito con una piccola valigia verde.

“Dove sarà diretto?” si chiese, sperando che le chiedesse qualche informazione.

Come se un sottile filo avesse guidato i pensieri dell’uomo, lui si fermò alla ricerca di qualcuno. La vide ferma sul marciapiede e si avvicinò.

«Mi scusi» e posò la valigia per terra. «Saprebbe indicarmi dove si trova Green Bay Hotel? Mi hanno dato le indicazioni ma credo di essermi smarrito».

Annie Valentine non rispose subito come se fosse stata colpita da un’improvvisa afasia, poi si riscosse sfoderando un sorriso luminoso, mostrando una dentatura perfetta e candida.

«Se vuole, l’accompagno. Le spiegazioni sarebbero complicate».

«Grazie volentieri» e riprese la valigia.

Così iniziò l’avventura con John, un gallese galante ma rude e infingardo, che le fece conoscere i primi segreti del sesso. Annie Valentine si sentì attratta da lui a prima vista e perse il senso delle proporzioni. Non riuscì a distinguere le bugie evidenti che raccontava dalle verità che non volle mai accettare. Il loro rapporto fu tumultuoso nonostante l’opposizione di Patricia, che aveva intuito la vera natura di quel ragazzo biondo come il grano maturo.

«Lascialo» disse un giorno di settembre sua madre. «Ti sta nascondendo la verità su di lui e la sua famiglia. È un bugiardo nato. Ci evita come la peste, perché sa che smaschereremo le sue presunte verità in un batter d’occhio».

«Pat» disse la ragazza, che chiamava sempre sua madre col nick. «Lo amo e lui ama me. Mi ha chiesto di sposarlo. Se fosse per lui anche domani».

«Bene» rispose sorridente come se la gatta che era in lei avesse avvistato il topolino col quale giocare prima di ucciderlo. «Invitalo domani sera a pranzo. Io e tuo padre saremo lieti di accoglierlo come futuro genero».

Annie Valentine riferì a John l’invito di sua madre per la sera.

«Alle otto di domani sera. Sarai puntuale?» domandò con la voce tremolante per una risposta negativa.

«Puntualissimo. Sarà un vero piacere incontrare i tuoi genitori» replicò sorridente e gentile.

Il giorno dopo era sparito. Si era volatilizzato. Nessuno sapeva dov’era, nemmeno gli amici più fidati. Qualcuno affermò d’averlo visto sul traghetto notturno diretto alla Giamaica, altri imbarcarsi su una nave salpata verso il continente. John non si fece più vivo, lasciando Annie Valentine nel dolore più atroce col cuore spezzato. Pianse per lunghi giorni, nonostante Patricia tentasse di consolarla e farle intuire che tutto sommato le era andata bene, perché quel gallese era un farabutto, un bugiardo matricolato.

Lei era troppo sincera e passionale per non cadere nei tranelli dei corteggiatori. A volte era persino ingenua nel non credere alle evidenze dei fatti.

…Continua…

Mi chiamo Annie Valentine Cook e sono nata il 14 febbraio… parte prima

Questo racconto scritto nel lontano 2008 nasce dalla lettura di un incipit tratto da “Sex and the City” di Alexandra Eminsley, De Agostini trad. di Ida Rubini, pag 286 €15 ©Onions Publications Ltd 2007 ©Istituto Geografico De Agostini, Novara, 2008. Letto sull’inserto del sabato di La Repubblica “ALMANACCO DEI LIBRI” di sabato 9 febbraio 2008.

Buona lettura

Copertina Luca e altri racconti

«Mi chiamo Annie Valentine Cook e sono un bel mistero per me stessa. Non indovinerete mai perché il mio secondo nome è Valentine. Lo sapete già? È vero. Avete centrato il bersaglio. Sono nata il giorno di San Valentino. I miei genitori, un brillante ufficiale della Royal Navy e una ballerina di flamenco si sono sposati giovanissimi. Lui aveva ventidue anni, lei diciotto. Mia madre, Patricia, è originaria delle Indie Occidentali nella meravigliosa isola di Antigua. È bella, bellissima, una creola dalla pelle ambrata come il miele scuro delle montagne. Il giorno di San Valentino del 1933 ha visto un ufficiale della Royal Navy alto e impeccabile nella sua uniforma bianca scendere dall’incrociatore Queen Victory, attraccato nel porto di Sant John’s. “Quell’uomo sarà mio” si disse convinta. Era John Mark, mio padre. È stato un colpo di fulmine e si sono sposati due giorni dopo, perché J.M., come lo chiamava Patricia, doveva ripartire con la sua nave da guerra. Tre mesi dopo è tornato a prenderla per portarla in Inghilterra, dove sono nata il 14 febbraio del 1934. Avevano previsto una vita sentimentale per la loro primogenita di tutto rispetto. Il mio visino a cuore, il mio secondo nome, Valentine, e la mia data di nascita non potevano che condurmi alla passione e all’amore, dovunque dirigessi i miei passi. Invece no, l’unico risultato tangibile è stato di essere mollata. Mollata al ristorante, mollata nella tromba delle scale, mollata al cimitero: che importa dove? Dovunque ho diretto i mie passi, qualcuno ha pensato bene di calpestarmi. Se Left1 fosse una località, il sindaco avrebbe già dovuto consegnarmi la chiave della città. E se Left fosse un reame ne sarei la regina».

Annie Valentine Cook ormai era oltre la soglia dei quarantanni e non li dimostrava. Splendida pelle dorata in modo naturale, eredità della madre Patricia, e portamento austero, assunto dal padre John Mark, la rendevano gradevole agli occhi degli uomini. Questi si accalcavano attorno a lei come api in un campo di lavanda. Però analogamente al comportamento degli imenotteri dopo avere succhiato tutto quello che c’era da poppare se ne andavano senza alcun rimorso, svolazzanti in cerca di altro cibo. A differenza delle api operaie, tutte femmine, loro erano maschi solo desiderosi di impollinare Annie Valentine.

Così cominciavano le storie e così finivano in fretta le stesse. Lei era passionale e calda come la madre, ma a differenza della genitrice non riusciva a conquistare nessuno.

Patricia e John Mark si conobbero in un locale notturno delle Indie Occidentali, prima che la federazione di smembrasse negli anni seguenti in un nugolo di micro stati. Lei era originaria di Montego Bay, ma aveva vissuto dall’età di sei anni nella capitale di Antigua, Sant John’s, dove lavorava come danzatrice di flamenco al Kitty’s Hall. Lui era di stanza da un anno a Port Royal come ufficiale della Royal Navy nell’isola caraibica della Giamaica. Quella sera si recò con altri ufficiali da Kitty’s ad assistere allo spettacolo, dove la stella era Patricia. Quando lo vide entrare, decise di superarsi per attirare i sguardi di quell’ufficiale alto e imponente dai lineamenti regolari. A lei sembrava un dio della mitologia greca e avrebbe fatto carte false pur di conoscerlo.

“Devo farlo mio adesso oppure mi sfuggirà per sempre” si disse mentre sensuale ballava sull’onda della musica.

Lui rimase folgorato da quel corpo flessuoso ed erotico che si muoveva con grazia al ritmo del flamenco. Non riusciva a staccarle gli occhi da dosso. Ne aveva sentito parlare dagli altri ufficiali che c’erano stati nelle serate precedenti. Rifletté che la realtà superava di gran lunga l’immaginazione.

“Ci devo parlare. Come? Non lo so ma ci devo riuscire prima di lasciare il locale” si disse mentre l’osservava senza battere ciglio. Era alto, biondo con gli occhi blu porcellana, che avevano incantato più di una ragazza, ma lui cercava l’esotico, la donna particolare senza trovarla almeno fino a quella serata. Credeva in una leggenda orientale, che aveva ascoltato tante volte durante i viaggi nell’estremo oriente nel mar della Cina. Parlava di un filo rosso invisibile che lega le vite di due persone. Non aveva importanza il sesso ma contava che queste due un giorno si sarebbero incontrate senza lasciarsi mai più. Non sapeva quando ma era certo che sarebbe accaduto. Così il fato o meglio Eros decise che Patricia e John Mark si incontrassero. Tutto capitò per caso o almeno così apparve in apparenza. Lui era seduto al tavolo con Paul, David ed Eddie, quando lei passò nelle vicinanze volutamente per farsi notare e ammirare dall’uomo che aveva stabilito che sarebbe stato suo. Un bianco alticcio l’afferrò per un braccio per darle un bacio e stringerla a sé, ma lei non gradiva quelle attenzioni grossolane, mentre cercava di divincolarsi. John Mark si alzò e dall’alto del suo metro e novanta scaraventò a terra il malcapitato ubriaco, liberandole il braccio. L’uomo cominciò a imprecare con mio padre e, prima di poter reagire, fu preso da due buttafuori e senza troppi complimenti gettato come uno straccio fuori dalla porta.

«Grazie» sussurrò Patricia, mentre lo guardava languida.

«Siediti qui con noi».

«Non posso sedermi coi clienti del locale» disse, prima di aggiungere. «Però al termine dello spettacolo, sì».

«A che ora?» La guardava fisso negli occhi senza accennare a nessun movimento del viso.

«A mezzanotte».

«Bene. A quell’ora ti aspetterò qui».

Patricia si allontanò sotto il suo sguardo attento e interessato

John Mark sorridente si sistemò al tavolo e finì il suo rum. Diede un’occhiata circolare ai compagni tavola e mostrò una bella dentatura candida.

«Amici. Voi potete rientrare a bordo. Io resto a terra. Oggi è il mio giorno di permesso».

«Hai colpito e affondato quel naviglio leggero» replicò ironico Paul.

Una risata concluse quella battuta a cui lui rispose per nulla imbarazzato: «Però tu avresti voluto affondare quella splendida giunca».

«E chi avrebbe rifiutato un simile boccone» ribatté David.

A mezzanotte in punto riapparve Patricia, ancora più luminosa negli abiti sgargianti delle isole caraibiche.

«Dove?» le chiese, porgendole la mano.

«A casa mia» e gliela strinse con sensuale movimento.

Nessuno dei due si era presentato, come se conoscessero i loro nomi da una vita. La notte fu splendida come il cielo stellato di quel 14 febbraio.

Fu un autentico colpo di fulmine e due giorni dopo erano sposi. John Mark doveva ripartire con l’incrociatore per le esercitazioni navali.

«Patricia rimase da sola a Sant John’s per tre mesi. Mio padre, richiamato in patria, la portò con sé a Plymouth, un posto uggioso rispetto al clima di Antigua»

Annie Valentine sospirò a quei ricordi che sua madre le aveva raccontato tante volte. «Il 14 Febbraio del 1934 nacqui io, Annie Valentine, la loro primogenita in quella città che era diventata la nostra residenza, anche quando John Mark rimaneva lontano per mesi».

Annie crebbe e frequentò la Primary School presso le suore di Santa Teresa, che era una specie di collegio chic ed esclusivo di quella cittadina nel sud ovest dell’Inghilterra nella contea di Devon. Suo padre si congedò a trentacinque anni dalla Royal Navy e d’accordo con Patricia decise di tornare in Antigua, dove aveva intenzione di aprire un locale alla moda nella capitale dell’isola. Il progetto andò in porto anche con l’aiuto di Patricia, la cui bellezza non era per nulla sfiorita nella grigia e nebbiosa Plymouth.

Annie crebbe, completò gli studi presso una scuola privata gestita da inglesi e diventò una splendida ragazza.

Adesso, ormai quarantenne, desiderava un uomo con cui avere un figlio e condividere gli anni futuri, ma trovava solo persone desiderose di soli rapporti carnali e basta.

Si era lasciata sprecare troppo concedendosi per passione e amore mai corrisposti. Era un fiore da cogliere e non da impollinare, da succhiare e da abbandonare dopo essere stata sfruttata. Sapeva donare all’uomo del momento un’intensità di passione e un amore che non aveva paragoni, ma il suo modo di proporsi ingenuo e sincero invece di avvicinare gli uomini, li allontanava inesorabilmente.

CONTINUA…

1Left è il participio passato di to leave ovvero lasciato, abbandonato. Piccolo gioco di parole.