Se una giornata qualunque di aprile…

Una notte magica San Giovanni

 

Siamo ad aprile ma metto ancora il trench, perché fa freddo. Il sole non si vede coperto da nuvole scure che minacciano pioggia. Stringo la cintura e alzo il bavero dell’impermeabile chiudendolo bene alla gola.

Mi dico che avrei fatto bene a prendere una sciarpa di lana ma mi é sembrato eccessivo. Adesso la rimpiango. Forse anche un cappello non avrebbe suscitato ilarità nei pochi passanti che incrocio. Loro sono vestiti più di me. Il Burberry modello Westminster è bello e chic ma oggi serve a poco. Lo so, mi dico, che è un cappotto inglese assai costoso ma definirlo tale mi sembra esagerato. Oggi servirebbe qualcosa di più pesante.

Cammino svelto lungo Corso Italia diretto alla metropolitana. È una giornata feriale ma sembra domenica mattina presto, quando a Milano sono tutti ancora a dormire dopo i bagordi del sabato sera.

C’è qualcosa che stona ma non percepisco cosa o meglio lo capisco ma mi lascia perplesso. Per essere un mercoledì mattina mi sembra che tutti si siano nascosti. Le persone che incontro sono frettolose ma questo a Milano è la norma. Quello che è fuori standard è l’esiguo numero che camminano, tutti con la testa incassata tra le spalle.

Scendo le scale di Piazza Missori per prendere la linea gialla. Due fermate e sono in via Montenapoleone. Qui ho appuntamento con Sofia, una bella ragazza di venticinque anni. Ha un paio di anni meno di me ma è molto matura per la sua età. Ci troviamo bene insieme ma non è la mia ragazza. Il problema non è l’età: è che non è il mio tipo dal punto di vista fisico. Il corpo filiforme con un seno appena pronunciato non è il mio massimo. Mi piacciono le donne in ciccia. Non grasse ma con quel filo di carne che quando le abbracci senti consistenza.

Quando prendo Sofia fra le mie braccia per salutarla con un casto bacio sulle guance, sento solo ossa e fragilità. Temo sempre quando la stringo di rompere un prezioso calice di cristallo. Però con lei mi trovo bene. È solare, sorride sempre in maniera spontanea. Si può parlare di tutto: di libri, di musica e delle notizie del giorno senza mai annoiarsi. Però non è il mio tipo. La considero la sorella minore che non ho ma non la mia compagna. Forse lei è delusa dal mio atteggiamento ma io sono fatto così. Deve piacermi sotto tutti i punti di vista.

Immerso nei miei pensieri arrivo ai tornelli per obliterare il biglietto. Mi fermo stranito. Possibile che non ci sia anima viva, mi dico guardandomi intorno, nemmeno qualcuno nel gabbiotto da dove controlla che nessuno li salti?

Mi stringo nelle spalle e penso che sia una giornata di festa. “Ma è possibile?”

Scuoto la testa come per scacciare questa ipotesi balzana, mentre infilo il biglietto nella fessura per sbloccare l’apertura. Passo oltre e faccio i gradini che mi portano alla banchina. Odio le scale mobili senza nessun motivo e preferisco le scale. Mi fermo poco prima della linea gialla dove curiosamente ci sono dei dischi con su scritto ‘tu resti qui’. Una giornata strana senza dubbio, mentre ascolto la voce gracchiante di una donna. «Il convoglio arriva tra tre minuti. Rispettare la linea gialla e il distanziamento. Nessun assembramento».

Mi guardo intorno e mi accorgo di essere l’unico viaggiatore che aspetta. Altra stranezza della giornata, perché di norma c’è calca per prendere la metropolitana. Però è quella parola ‘distanziamento’ che ballonzola nella mia testa. Mi chiedo il motivo ma non finisco di riflettere, quando arriva il convoglio. Le porte si aprono ed entro. «I signori viaggiatori sono pregati di non sedersi sui sedili contrassegnati con una croce. I trasgressori sono puniti con quattrocento euro di multa».

Sento il clac delle porte che si chiudono mentre il convoglio prende velocità. Le stranezze si sommano da quando sono uscito dall’Hotel Charlie, penso sedendomi su un sedile privo di contrassegni. Io vivo in questo albergo, quando sono a Milano e tutto mi è sembrato normale. La receptionist bionda ossigenata con il sorriso falso sulle labbra. Il cameriere che mi ha servito la colazione stamattina. Gli inservienti che si muovono lentamente nell’attesa che gli ospiti lascino le loro stanze. Ho visto pure Piero, l’altro habitué dell’hotel. Però appena ho messo un piede fuori della porta girevole lo scenario è mutato. Pochissimi passanti, zero macchine, qualche rara bicicletta, mezzo davvero insolito per Milano.

Sono immerso nei miei pensieri, quando sento la solita voce gracchiante che annuncia: «Montenapoleone. Prossima fermata Montenapoleone». Mi riscuoto, perché non mi sono accorto della fermata Duomo. Mi alzo e mi preparo a uscire. Nemmeno qui vedo anima viva. Si sentono solo i miei passi che salgono le scale. Fuori la giornata non è mutata: sempre grigia con minaccia di pioggia. Mi rifugio nel Caffè degli artisti, dove mi aspetta Sofia.

Il locale è sempre animato a qualsiasi ora del giorno e oggi non fa eccezione. Come per magia quella sensazione strana che mi ha accompagnato svanisce. Tiro un sospiro di sollievo, perché tutto torna alla normalità. Forse era solo suggestione.

Sofia mi aspetta seduto al nostro tavolo, quello in angolo vicino alla vetrata. Si alza e mi abbraccia dandomi un bacio sulle guance. Che strano, mi dico, di solito è il contrario. Ci sediamo e mi prende le mani. Vorrei sottrarmi alla stretta ma ho il timore che si offenda. Lascio fare. «Cosa prendi? Io la solita cioccolata in tazza con la brioche» le chiedo mentre la osservo in viso. Ha una strana espressione: lo sguardo è tra il preoccupato e lo speranzoso. Non capisco cosa mi voglia trasmettere. Sto per chiedere il motivo, quando mi precede.

«Da stasera alle venti non si potrà più circolare liberamente fino a nuovo ordine. Si rischia una multa salata o la galera».

La guardo stranito, perché mi sembra una cosa inverosimile ma tengo per me questi pensieri. «Vuol dire che non ci vedremo nei prossimi giorni e non potrò tornare a casa?»

Sofia annuisce e chiede speranzosa: «Traslochi da me oppure mi ospiti nella tua stanza?»

La richiesta mi coglie di sorpresa e farfuglio qualcosa che lei interpreta come un sì. Adesso sono incastrato e devo solo scegliere dove.

Covid la saga continua….

Di norma non scrivo post sull’attualità perché ho impostato il layout in altro modo ma ogni tanto lo faccio.

immagine tratta da

https://in.mashable.com/tech/11362/china-launches-coronavirus-app-to-detect-if-users-are-at-a-risk-of-infection

In questo caos a volte sboccato sul COVID si è scritto troppo. Non sono un esperto e non mi do la patente di professore. Non ho la preparazione adatta ma almeno provo a usare la mia testa nel leggere la marea di notizie che circolano.

In questi giorni impazzano news che secondo me rischiano di creare o false certezze o aspettative immotivate. Mi riferisco al patentino di immunità e all’app IMMUNI.

https://in.mashable.com/tech/11362/china-launches-coronavirus-app-to-detect-if-users-are-at-a-risk-of-infectionPerò prima di affrontare i due temi credo sia utile spiegare senza la presunzione di fare il saccente cosa succede quando si prende il virus. Non mi interessa come si prende ma i tempi della malattia. Quello che scriverò si basa su dati presenti sui media. Sarà utile per quello che dirò più avanti.

Il soggetto A al giorno zero è contagiato. Come ogni ospite che si rispetti, appena trova una porta aperta, si accomoda nel nuovo ambiente e cerca di replicarsi. In media, per soddisfare questo primo step, Covid-19 impiega fino a tre giorni, poi, dopo aver preso possesso della nuova casa, induce la manifestazione dei sintomi. E questo avviene tra il settimo e il quattordicesimo giorno. Quindi dal giorno zero al giorno sei porto a spasso il virus e posso trasmetterlo ad altre persone. Come per ogni intruso noi cerchiamo di difenderci attraverso degli anticorpi. Se tutto va bene dal quindicesimo giorno l’abbiamo messo nell’angolo. Attenzione non vuol dire che il virus sia stato debellato. Anzi il nostro organismo deve produrre tanti anticorpi finché non lo ha neutralizzato completamente e questo avviene di norma fino al trentesimo giorno dell’aggressione.

Adesso parliamo del patentino di immunità. Questo dovrebbe essere una sorta di indice che sono guarito clinicamente e che non rischio di essere contagiato di nuovo o in futuro.

Per capire come questo possa indurre ad abbassare la guardia faccio un parallelo con l’influenza, forse improprio ma secondo me utile a comprendere quello che voglio dire.

Ci sono soggetti che non si vaccinano e non si ammalano. Altri non vaccinati prendono l’influenza. Altri vaccinati che rimangono immuni, infine soggetti pur essendo vaccinati si ammalano lo stesso. Però ci sono persone che si ammalano più volte nel corso dello stesso inverno. Questo si verifica ogni anno. In conclusione il nostro corpo reagisce alla malattia in modo diverso.

Tornando al COVID sembra che si possa replicare un meccanismo appena descritto.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarato che non ci sono “prove” che le persone guarite dal coronavirus siano protette da un secondo contagio, anche se hanno gli anticorpi. L’agenzia delle Nazioni Unite ha anche messo in guardia dai “passaporti immunità” e “certificati zero-rischi” alle persone che sono state contagiate. Questo creerebbe false aspettative e potrebbe aumentare il rischio di diffusione del contagio. Inoltre ha dichiarato che i test per gli anticorpi non sono affidabili.

In conclusione non esiste nessuna prova che non ci si possa ammalare di Covid 19 due volte. Sono semplici ipotesi per due motivi: primo non esiste il vaccino, secondo le casistiche sono troppo limitate per essere veritiere. Il patentino di immunità è al momento una semplice speranza.

Passiamo all’app IMMUNI. Il nome è furbo perché induce chi lo scaricherà a pensare che con questa tenga il COVID fuori dalla porta.

Si sono lette ipotesi fantasiose su questa app che al momento è coperta da una cortina di silenzio. Al momento i dati disponibili sono troppo vaghi per immaginare la sua utilità e il suo funzionamento.

Di certo non mi avviserà se sono in prossimità di un contagiato dal virus o di uno che si trova nella fascia tra i quindici e trenta giorni e meno che meno se la persona è nella fascia tra zero e sei giorni, detta di incubazione.

Questo per motivi tecnici e di privacy. L’app come è stato scritto, almeno dalle poche notizie trapelate, raccoglie informazioni anonime da altri dispositivi dotati del medesimo strumento. Se dovesse fare quello che il nome erroneamente fa intendere, dovrebbe interrogare sul cloud il database con il codice acquisito, ritrovare tutte le informazioni sulla salute della persona e segnalarlo. Non esiste tecnologia in grado di fare tutto questo in un tempo utile per avvertire il soggetto, ammesso che nella raccolta dati siano presenti le informazioni cercate. Ancora più utopistico è pensare che un app sia in grado nella frazione di pochi secondi scansionare il contatto e stabilire se sta incubando il COVID. Non si capisce perché allora si non possa usarla su se stesso.

Altra fake news è quella detta dagli esperti che se usata dal sessanta percento della popolazione può portare l’epidemia a zero contagi nell’arco di un mese. Intanto il numero di dispositivi idonei a supportare l’app in possesso agli italiani è pari circa il sessantasei per cento della popolazione. Tradotto vorrebbe dire che tutti i possessori dovrebbero scaricare l’app. Sarà possibile? E poi su quale base scientifica è stata scelta questa percentuale? Forse perché il settanta percento sarebbe irrealistico e irraggiungibile? Diciamo che è un tentativo di depistare gli italiani. Lo scopo non lo conosco ma si potrebbe intuire.

Però cos’è questa app? Dovrebbe essere un data tracking che tiene nota delle persone con cui siamo entrati in contatto e poter risalire a questi nel caso malaugurato che la persona risulti positiva al COVID. Su questo ci sarebbe da aprire un romanzo sugli effetti di simile operazione sulla sanità nazionale. Basta pensare se nei 21 giorni di raccolta dati io sono entrato in contatto con centinaia di persone – ovviamente possono essere di più se pensiamo alla frequentazione di supermercati o posti di lavoro. Suppongo che il cinquanta percento risulti positivo, dato prossimo alla realtà e lo spiego dopo, quale bailamme di tamponi e quarantene si scatenerebbe scavando a ritroso nei contatti. Ospedali, laboratori, medici e infermieri sarebbero in grado di reggere questo urto? Questo approccio può funzionare su piccole comunità ma non per l’intero paese. Questo vale al di là dei valori percentuali.

Spiego come ho calcolato il cinquanta percento di positivi, probabilmente possono essere di meno. A Vo’ l’esito dell’esame su tutta la popolazione residente ha detto che il quarantacinque percento è risultato positivo asintomatico, ovvero ha il virus presente senza sintomi. Se a questo dato aggiungiamo il cinque percento di chi ha sintomi il numero fa cinquanta. Bisogna ricordare che gli asintomatici sono il veicolo più insidioso per la diffusione del virus perché sono riconoscibili solo per interposta persona.

Volendo trarre una conclusione questa app potrebbe alla fine non servire allo scopo dichiarato ma essere un’arma subdola di controllo se non è gestita correttamente.

Altro tema caldo di questi giorni l’obbligo della mascherina. Esattamente come e quando non si sa ma se per caso esiste l’obbligo qualcosa non torna. Perché? Banale. Devo essere messo in condizione di rispettare la regola.

Prendendo con qualche dubbio, Arcuri ha dichiarato che lo stato è in possesso di 47 milioni di mascherine e che presto saremo autosufficienti. Sorge spontanea la domanda: perché sono introvabili e le persone le devono ordinare in Cina via Internet? Qualcuno afferma che servono 7 milioni al giorno, mentre al momento ne produciamo 5 milioni. Forse si riferisce agli ospedali, alle case di riposo o strutture socio-sanitarie. Il motivo è semplice. Basta pensare che siamo sessanta milioni e gli occupati, se non ricordo male, circa venti milioni. Dunque per questi servono ne servono altrettanti tutti i giorni per rispettare le regole di sicurezza sanitaria sul posto di lavoro. Poi ci sono i restanti italiani. Non la useranno tutti i giorni ma ne devono avere una per quando escono. Sembra che non esista l’obbligo quando si sta all’aria aperta ma le persone escono per correre o fare la passeggiata? Cosa fa: la mette dal tabaccaio e poi la toglie? Comunque serve.

Le mascherine in maggioranza del tipo monouso ovvero dopo l’utilizzo si dovrebbero gettare. Ammesso che non lo faccia, devo sanificarle come quelle lavabili. Serve l’alcol ma questo è scomparso dagli scaffali da oltre due mesi come i guanti, i gel igienizzanti, che si trovano a singhiozzo, e l’amuchina. Domanda: hanno smesso di produrli oppure c’è dietro un disegno? Ovviamente spero di no ma che la produzione sia indirizzata alle strutture sanitarie.

Infine ultimo sassolino. Si vocifera che le mascherine non dovranno costare più di novanta centesimi. Visto che per cinquanta pezzi ho speso 25€ ovvero 50 centesimo al pezzo spedizione e tasse comprese mi domando perché si fa la cresta di quaranta centesimi? Non voglio pensare male ma che sia l’effetto della produzione nostrana.

Lascio alcuni link per chi volesse leggere qualcosa in più.

Articolo

https://www.repubblica.it/tecnologia/2020/04/22/news/coronavirus_sull_app_immuni_si_sa_troppo_poco_ecco_perche_temiamo_-254703493/?ref=RHPPLF-BH-I254707704-C8-P11-S2.4-T1

“Immuni”, un aggiornamento sull’aggiornamento

https://www.interlex.it/privacyesicurezza/covid19-8.html

I molti dubbi sull’app italiana per il contact tracing

https://www.interlex.it/privacyesicurezza/covid19-7.html

“Immuni”, la soluzione proposta è a rischio privacy?

https://www.interlex.it/privacyesicurezza/gelpi28.html

Un aggiornamento sull’applicazione di contact tracing digitale per l’emergenza coronavirus

https://innovazione.gov.it/un-aggiornamento-sull-applicazione-di-contact-tracing-digitale-per-l-emergenza-coronavirus/

Disegna la stua storia con Leherrison – mi racconti una storia…

Leherrison propone al nipote Marcel una storiella un po’ attuale per passare le lunghe ore da reclusi.

Ecco la storia raccontata dalla zia.

Zia, m’annoio… mi racconti una storia?

– Passami il nostro librone che te ne leggo una.
– No, inventala te
Bien. Allora siediti qui vicino a me e ascolta.

Molte lune prima che tu nascessi, un’astronave proveniente da un’altra galassia atterrò a luci spente sul nostro pianeta. Ne rotolò fuori un esserino bianco tutto tondo con una miriade di appiccicose ventose rosse urticanti: erano antenne ricetrasmittenti.

Appena fuori se ne andò in giro rimbalzando senza sosta su ogni cosa o persona incontrasse lungo il cammino. Ah, dimenticavo: l’alieno possedeva un superpotere che lo rendeva invulnerabile… l’in-vi-si-bi-li-tà.
Il tipetto era stato mandato qui dal suo Gran Capo KZ-X con una missione da compiere: pescare almeno un miliardo di umani caricarli sull’astronave e portarli al suo cospetto. Non era difficile, bastava li marchiasse appiccicandoci una delle sue ventose rosse e il gioco era fatto. In pochi giorni, riuscì indisturbato a stipare sull’astronave un bel po’ di umani e ferirne molti altri prima che il dottor Nougat, laureato col pieno dei voti in galassiologia, intuita la sua presenza, gli dichiarasse guerra.

Ma che armi usare per sconfiggere un essere col superpotere dell’invisibilità? Spade laser ad argon, a kripton o elio-neon? Può darsi, ma dove indirizzarle se il nemico non si vedeva?
Non riuscendo a venirne a capo, Nougat radunò in video-consulto i più grandi galassiologi della terra e, all’unanimità, decisero di farlo spaventare mascherandosi e cospargendo ogni cosa o persona con un liquido puzzolentissimo antischifido. Ma a nulla servì: quello continuò prepotente a rimbalzare dappertutto pescando e ferendo altre migliaia di umani.

Fu scompiglio nell’intero Paese e presto il numero esagerato dei pescati e de feriti da medicare rese la situazione insostenibile. Così, i galassiologi si riunirono nuovamente e architettarono un piano: se l’alieno non si ferma, allora ci fermiamo noi fino a che non se andrà, decisero.
Quindi, la stessa sera, su ogni schermo grande o piccolo del Paese apparve il faccione ben rasato del Presidente che ordinò a tutti ma proprio tutti gli umani di restare buoni buoni in casa fino a nuove disposizioni.

Dall’indomani non una saracinesca si alzò né auto si mise in moto, tacquero le campane delle chiese e i giardinetti; si fermarono i treni, le navi e gli aerei. Nessuno mise più il naso fuori dalla porta di casa.
Il Paese sprofondò in un silenzio insopportabile, proprio come fosse dentro una gigantesca bolla di sapone. Di giorno, ogni tanto si sentiva il fischio di un merlo o l’abbaio di un cane accompagnato dal ticchettio dei tacchi del suo amico a due zampe; mentre di notte, il silenzio era così denso che si riusciva persino a origliare il chiacchiericcio delle stelle.

Quello, per gli umani, fu l’inizio di un’interminabile sfilza di giornate sempre più rallentate, sottovuoto, svogliate, stordite, stranianti, sospese.
Alcuni soffrirono la mancanza di un sorriso, altri scoprirono una nuova dimensione del tempo; altri ancora riscoprirono se stessi e diventarono: poeti, filosofi, cuochi, pasticceri, inventori, scienziati, pittori e non solo.
Tanti diedero un nuovo valore alle parole libertà e futuro.
Pochi fortunati ritrovarono la bellezza delle gemme che nel frattempo si aprivano sui rami: da decenni non ci avevano fatto più caso, così presi a vivere il proprio moto circolare frenetico, ormai davano la vita per scontata.
Lo smarrimento generale cadde persino su chi da tempo era abituato a star da solo, facendolo sentire terribilmente isolato.
Qualcuno, che fino ad allora si credeva invincibile, dovette ammettere di essere fragile… fragile come tutti noi umani

– Perché hai i luccicanti agli occhi, zia Caty?
– Perché… perché non riesco proprio ad andare avanti in questa orrenda lunga Storia, Marcel.
Mi daresti una mano tu?

ed ecco che io arrivo in aiuto per completarla.

Non sono Marcel ma ci provo.

Il nostro esserino si trovò sorpreso dalla mancanza di umani. C’erano solo uccelli, cani e gatti in giro ma quelli non facevano al caso suo. Tornato all’astronave comincio la conta. Uno, due, tre… mille, mille e uno, mille e due… diecimila, diecimila e uno, diecimila e due… ventimila… Uffa che noia, pensò l’esserino che non si divertiva più. Ci aveva trovato gusto a marcare e ferire gli umani, perché non meritavano nulla di più.

Però. C’è sempre un però nelle storie. L’ordine era tassativo: «O torni con un miliardo di umani oppure resti confinato tra loro».

L’esserino si grattò un’antennina e poi si strofinò gli occhi. Il pensiero di restare tra gli umani lo solleticava ma allo stesso tempo aveva perso interesse a beccarne altri.

Mentre l’esserino si aggirava sconsolato tra le via della grande metropoli che all’improvviso era diventata vuota e silenziosa, il nostro Nougat si arrovellava il cervello per trovare una soluzione al caso. Già immaginava le scappellate al suo passaggio, le croci al merito e le comparsate da Vespa nel salotto buono.

«Ma come lo posso beccare?» disse parlando ad alta voce come un matto, muovendosi nervoso nella sua casa di ringhiera. «È invisibile, sfuggente e cambia aspetto. L’unico modo è mettergli un po’ di sale sulla coda come si fa per catturare gli uccelli».

Nougat davanti allo schermo di una TV, dove si parlava solo di questo ebbe un’idea geniale. “Se li faccio uscire tutti e indosso il mantello dell’invisibilità posso appostarmi presso un probabile candidato a essere marchiato. Non appena riconosco che è stato unto, zac… lo avvolgo nella coperta della scemenza e catturo anche l’esserino malefico”.

Nougat trovò che questo era l’unico modo per debellarlo. Se nell’attesa un bel numero di umani veniva marchiato o ferito, beh!, si disse, ho creato l’immunità del gregge.

Parliamo di …

Di norma no pubblico qualcosa relativo all’attualità ma questa volte faccio un’eccezione.

WHO Officially Names Novel Coronavirus 'Covid-19', No More ...

Parliamo di … è l’argomento del giorno e ci credo 😀 !

Però non voglio parlare di come difenderci, cosa fare, chi è l’untore. Tutti argomenti che lascio al chiacchiericcio di esperti o presunti tali, di guru che scoprono l’acqua calda.

Preferisco soffermarmi su alcune considerazioni e proporre qualche riflessione.

Innanzitutto parliamo di Cina, immenso paese popolato da 1 miliardo e mezzo di persone e grande quanto l’Europa.

Se leggiamo i dati relativi al coronavirus c’è da rimanere strabiliati. Poco più di 80.000 persone hanno contratto il virus. Questo numero rapportato alla popolazione totale è zero, zero zero… Beh! Diciamo che è insignificante. Se consideriamo la città di Wuhan, paesone di quasi sette milioni di persone non è che il rapporto sia molto significativo. Facciamo anche la tara per difetto la considerazione non cambia. Come sono riusciti in questo miracolo i cinesi? Molto semplice hanno messo in quarantena tutta la provincia di Hubei e in particolare il suo capoluogo, Wuhan. Nessuno poteva entrare o uscire. In questo modo hanno evitato che la Cina diventasse un immenso lazzaretto.

Se analizziamo i nostri numeri, c’è da rimanere sbigottiti. Un numero infinitamente minore di popolazione rischia di mettere in ginocchio tutta l’Italia. Evidentemente qualcosa non ha funzionato nel contenere l’epidemia. Vuol dire che l’area a rischio non è stata sigillata a dovere, presumo, o in modo tardivo. Poi qualcuno suggerisce che il virus circolava da tempo. Può darsi ma credo cambi poco. Non siamo stati colti di sorpresa visto che in Cina c’era da oltre un mese. Quindi dovevamo sapere come agire per evitare la sua diffusione.

Infine riflettiamo sulle regole per contenere la diffusione del virus. Il famoso decalogo è un insieme di punti che tutti, indipendentemente dal momento, dovrebbero attuare. Lo dice il buon senso e una corretta pratica dell’igiene personale.

Le nuove regole sono inefficaci perché anziché consigliare le persone a restarsene per qualche settimana a casa si consente di visitare mostre – è ridicolo il discorso del contingentamento degli ingressi -, di fare viaggi in Italia e all’estero, dove siamo presi per appestati. A proposito di entrate contingentate o di distanza minima di un metro, chi controlla? Devo girare col metro e prendere a pedate il mio prossimo che si avvicina a novanta centimetri? Cerchiamo di essere seri.

Visto che i morti sono tutti, o quasi, over 65 anni, li si vuole obbligare a stare tappati in casa, come se questa fosse una fortezza dove il virus non arriva. Si dimentica che il 25% della popolazione supera questa soglia e che molti vivono da soli oppure non dispongono di una stanza e bagno personale. Ergo si dovrebbe attivare un servizio di assistenza che non esiste o sistemarli in strutture protette inesistenti. Per contro tutti i giovani possono infettarsi come vogliono. Tanto loro sono forti e robusti. Hai la febbre? Resta a casa! Tanto i tuoi familiari sono vaccinati!

E qui mi fermo.