Facciamo il punto – aggiornamento delle mie pubblicazioni

Scrivere queste righe mi è costato qualche patema, perché mi sembra rubare un po’ della vostra attenzione. In particolare di abusare della vostra pazienza.
Veniamo al dunque. In questi giorni ho pubblicato il cartaceo de Le linee parallele si incrociano, come era mia intenzione dopo la pubblicazione digitale su Amazon, Smashwords, Mondadori, Ibook e tanti altri E-Store. La potete trovare qui su Amazon.it al prezzo di 8,30€.

Le linee parallele si incrociano
Le linee parallele si incrociano

Quasi in contemporanea ho pubblicato in digitale su Smashwords, Mondadori, Ibook e altri la versione rinnovata de I tre cunicoli a 1,77€ – prezzo di Mondadori – e la versione cartacea su Lulu a 11€. Per i possessori di Kindle si devono accontentare della versione mobi di Smashwords, perché Amazon ha rifiutato sia il cartaceo sia il digitale. Secondo loro ho usato materiale disponibile sul web e in particolare su newwhitebear.wordpress.com. Ovviamente ho contestato questa versione e ho ritirato i file, già pronti per la pubblicazione con tanto di ISBN. Un vero peccato perché il cartaceo sarebbe costato meno. Quindi ho ripiegato su Lulu. Comunque la mia esperienza Amazon è totalmente negativa. Non solo per questa odiosa discussione ma anche perché il due siti di autopublishing – Createspace e KDP Select – cercano di favorire le loro soluzioni a pagamento, ostacolando il fai da te. Pazienza.
I tre cunicoli - ebook
I tre cunicoli – ebook

I tre cunicoli - versione cartacea 11€
I tre cunicoli – cartacea

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Passiamo a un’altra notizia, che spero possa farvi piacere.
Dal 6 marzo al 12 marzo si tiene per il settimo anno la settimana internazionale dell’ebook, durante la quale autori e piattaforme offrono condizioni particolari per la lettura in digitale.
Quest’anno partecipo anch’io con i tre ebook pubblicati sulla piattaforma Smashwords
I tre cunicoli offerto in download gratuito in occasione della sua nuova uscita, anziché $1.99. Per scaricarlo usa il codice coupon VF93E.
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Goethe e la felicità nascosta
Goethe e la felicità nascosta

Goethe e la felicità nascosta continua a essere in download gratuito.

Buona lettura

Capitolo 62

Era venuto il tempo per dedicarsi alle due figlie, che erano cresciute in bellezza e in età. La maggiore aveva ormai diciassette anni, la minore quindici. Diverse come costituzione e temperamento avevano vissuto lontano da Giacomo. I due padri naturali erano spariti da tempo e non frequentavano più il palazzo. Lui, come padre di nome, doveva occuparsene e provvedere alla loro sistemazione.
“Mi ripugna costringerle a sposare persone che non amano. Alla fine finiscono come Costanza” rifletteva dopo il rientro nel settembre del 1526 nel suo palazzo. “Hanno ricevuto una buona educazione. Sono rispettose e cortesi. Dovrei trovare un buon partito che le possa rendere abbastanza felici. Un’impresa non facile da realizzare”.
Era una notte del novembre dello stesso anno, quando ne parlò per la prima volta con Isabella durante una delle rare visite nel suo letto da parte della moglie.
“Madonna” esordì mentre rifiatavano dopo qualche abbraccio passionale. “Madonna, le nostre figlie sono ormai grandi e pronte ad andare spose a qualche buon pretendente come è consuetudine in questa epoca ..”.
“Che volete dire, Messere” rispose irrigidendosi nell’ascoltare quelle parole.
“Nulla, Madonna. Semplicemente mi preoccupavo del loro futuro prima che qualche servo le deflorino o le mettano incinte”.
La donna si staccò da lui cercando nel buio di osservarne il viso. Rifletteva che in otto anni, da quella volta che le aveva rinfacciato la paternità delle ragazze, non aveva mai parlato di loro o si era preoccupato del loro stato.
“Come mai stanotte vi vengono questi pensieri?” chiese tra lo stupito e l’agitato.
“Così. Mi sembrava giusto parlarne con voi che ne siete la madre. Volete forse che finiscano male o tra le braccia di qualche pretendente poco attento alla loro felicità?”.
In questo periodo Giacomo faceva valere la sua personalità nei rapporti con Isabella, perché aveva la sensazione di dare troppo e di non ricevere molto in cambio. La percepiva lontana e distaccata come se volesse essere lasciata in pace. E forse questa sensazione corrispondeva al vero, perché negli ultimi due anni era diventate più casuale che ordinario il loro vivere insieme.
Isabella, sentendolo, comprendeva che la situazione si era capovolta: gli dava troppo poco tanto che ultimamente si era risentito più del dovuto. «Onde riuscire ad intrattenere una relazione positiva, soprattutto se comporta anche un lato sessuale, è necessario instaurare un fragile equilibrio tra le necessità ed i desideri di ognuno di noi e trovare un senso più profondo al nostro rapporto. Il parlare delle nostre figlie, che in realtà sono solo mie, rientra in questa logica. Giacomo si dimostra sensibile a attento, anche se so che non mi è molto fedele».
Questo equilibrio al momento era fragile ed instabile e a lei non conveniva romperlo bruscamente.
“Messere, avete ragione. Beatrice e Anna meritano maggiori attenzioni di quanto ne abbiamo dedicato finora. Ma ditemi come intendete procedere” chiese Isabella, stringendosi a lui.
“E’ questo il punto. Non so come procedere. Ho la sensazione di commettere degli errori” rispose ricambiando l’abbraccio e facendo scivolare le mani su quel corpo ancora piacente.
“E se ne riparliamo più tardi con maggior calma. Cosa ne dite” replicò la donna inarcando la schiena.
“Avete ragione, Madonna” disse l’uomo prendendola.
La passione fece dimenticare loro tutti i buoni propositi e l’argomento finì tra quelli che erano chiamati ricordi.
Delle tre dame che aveva frequentato con una certa assiduità in quegli anni, l’unica che gradiva le sue attenzioni nel 1526 era la sola Costanza, vedova e risoluta a non rimaritarsi con molta facilitò. Giulia aveva trovato un nuovo amante giovane e focoso, che si dedicava con cura alla sua persona senza farla sentire troppo vecchia coi suoi trentacinque anni. Eleonora era poco in città, perché aveva seguito il marito come ambasciatore a Venezia, dimenticando ben presto Giacomo e le sue cortesie. Nella città lagunare aveva incrociato un giovane moro che l’aveva stregata.
Dunque Giacomo aveva ripiegato sulla ancor giovane Costanza, che viveva sola nel grande palazzo di fianco al canale Naviglio.
“Messer Giacomo” gli disse una mattina dopo una notte di passione. “Messer Giacomo, non mi risposerò con altri se non con voi. Provo affetto e riconoscenza per voi, perché sapete donarmi istanti di dolce amore senza pretendere molto in cambio”.
C’era sintonia tra loro attraverso una spiritualità raffinata, l’assenza di egoismo e la stretta unione spirituale fra due persone che si rispettano. L’effetto era di far fantasticare la donna, aspetto di per sé piacevole e innocuo, finché si era mantenuto nei limiti della realtà. Però con la sua uscita aveva travalicato i confini, sconfinando in un mondo del tutto inesplorato.
“Cosa intendete dire, Madonna?” chiese Giacomo un po’ allarmato.
“Nulla di più di quello che avete inteso. Vi amo, anche se non sono sicura di essere riamata da voi. Ma non m’importa questo punto. Sto bene con voi e vi aspetterò con ansia per riabbracciarvi, ogni qualvolta voi vi presenterete alla mia porta”.
“Ma voi invecchierete nell’attesa” disse l’uomo guardandola nel viso.
“Sento che vi appartengo. E vi sarò fedele” tagliò corto Costanza, mentre con le mani frugava il corpo di Giacomo.
“Siete impertinente ma adorabile, Madonna Costanza” replicò l’uomo rispondendo alle sollecitazioni della donna.
Sempre più spesso passò le giornate con lei senza riprendere l’argomento della dichiarazione d’amore. Lei lo accettava come era senza pretendere nulla di più. Le era sufficiente essere posseduta e ricambiare con ardore giovanile la passione che le ardeva dentro
Una mattina di dicembre dello stesso anno Giacomo si risvegliò nel letto di Costanza in preda alla febbre.
“Madonna, non mi sento bene. Il corpo brucia ma provo freddo. Vorrei tornare nel mio palazzo” le disse mentre brividi gli squassavano il corpo.
“Messere, che avete?” rispose allarmata la donna. “Avete l’occhio lucido e il viso caldo bollente. Chiamo la carrozza per farvi condurre alla vostra dimora. Fattemi sapere qualcosa. Sono in ansia per voi”.
Arrivato al palazzo, Giacomo si mise a letto nelle sue stanze.
“Ghitta” disse alla serva. “Chiamate Madonna Isabella. La voglio accanto a me”.
La serva lo guardò sbigottita. Non l’aveva mai visto così bianco cadaverico, mentre tremava come foglia al vento sotto le coperte.
“Messere, come state” gli disse Isabella, accorsa preoccupata al suo capezzale.
“Brucio tra le fiamme dell’inferno, Madonna”.
“Non scherzate troppo. Non posso vedervi ridotto in questo stato. La vostra fronte arde come la legna nel camino. Chiamo Antonio, il nostro medico”.
Tra alti e bassi la salute di Giacomo peggiorò giorno dopo giorno, mentre la notizia della sua infermità arrivava fino al Castello. Alla porta del palazzo, nonostante il tempo inclemente, era una processione di servi, che venivano a informarsi sulle condizioni del malato. Il duca mandò il medico personale per un consulto ed era profondamente addolorato per la malattia che aveva colpito il suo ingegnere.
Giulia chiese a Isabella di vedere Giacomo. Eleonora mandò un biglietto augurale. Costanza rimase nell’ombra a struggersi con le pene d’amore.
Isabella era costantemente al fianco di Giacomo, avendo riscoperto quanto fosse importante per lei quell’uomo.
Il 17 gennaio del 1527 Giacomo spirò dolcemente fra le braccia della moglie, pianto dalle figlie, dalla fedele serva e dalle amanti storiche.
 
“Signore, signore”. Giacomo udì come in lontananza una voce che lo chiamava. “Signore, si è addormentato ma la biblioteca chiude”.
Si guardò intorno. Era in un angolo defilato e nascosto della sala di lettura. Fuori c’era buio e sentiva le braccia pesanti e intorpidite.
“Oh” fu l’unica parola che uscì dalle labbra, mentre lentamente si alzava. Aveva la testa greve e poco lucida, mentre infilava il cappotto per uscire.
Era rimasto tutta la giornata nella biblioteca a dormire, mentre aveva vissuto nove anni in un altra epoca molto remota. L’ultimo bagliore di quel mondo era stato il suo funerale.
“Mai vista una partecipazione femminile così numerosa” disse sorridendo dentro di sé.
Quattro gironi dopo la sua morte in una giornata rigida e serena il suo corpo era stato trasferito nella chiesetta di San Lazzaro, che stava all’inizio del viale d’ingresso. Come era costume su un lato dell’unica navata stavano le donne, sull’altro gli uomini. Mentre i banchi occupati dalle persone di sesso femminile erano insufficienti a contenerle tutte, sull’altro c’erano molti vuoti. Il paggio in rappresentanza del duca, il fratello, qualche fattore, Bizzo, il fedele cocchiere e i servi e pochi altri.
Sul primo banco stava Isabella con le due figlie, che piangevano come fontane. Di fianco a loro Costanza e Giulia con gli occhi rossi di lacrime e di dolore. Dietro una moltitudine di donne, tra le quali spiccava Ghitta, che appariva come un’inconsolabile vedova.
L’arciprete officiò la messa funebre con grande commozione della popolazione femminile e la cauta indifferenza di quello maschile.
Cominciò l’orazione funebre con queste parole.
«Messer Giacomo, uomo di rare virtù e marito esemplare, fedele sposo di Madonna Isabella ..»
Nell’udire quelle parole Giacomo scoppiò in una grande risata, mentre osservava i visi delle donne che lo avevano accompagnato in quei lunghi anni alla ricerca di un minimo indizio di dissenso da quelle incaute affermazioni. Nessuna accennò al benché microscopico movimento del viso mentre continuavano a piangere silenziosamente e in maniera composta e signorile. Nessuna trovò da ridire su quelle parole che suonavano false alle orecchie di Giacomo.
Al termine della cerimonia, prima che la bara venisse sigillata e calata nella cripta della chiesa, Isabella, Giulia e Costanza deposero una rosa rossa con un minuscolo messaggio attaccato per dimostrare la loro devozione. Poi si abbracciarono calorosamente e restarono così finché la pesante lastra di marmo non sigillò la tomba.
L’unica assente era Eleonora, impegnata col suo moro, a dimenticare le attenzioni di Giacomo.

Capitolo 45

La primavera mostrava il suo volto sorridente e rinnovato, come Laura verso Alfonso, che dopo il periodo trascorso a Parigi era rientrato a Ferrara. La missione aveva avuto successo e forte dell’appoggio francese percepiva di essere ancora saldamente seduto sul trono. Il ducato nella sua integrità non era ancora salvo ma il tempo avrebbe smussato gli angoli e riconosciuta la sua autorità su tutti i possedimenti.
La relazione con Laura diventava sempre più stabile come le voci che circolavano che il duca avesse un’amante segreta, mentre si allentava il legame con la duchessa.
“Chi sarà mai?” si chiedeva la gente, avvezza alle avventure galanti di Alfonso. “E’ la solita passione effimera oppure stabile?”. Però nessun volto nessun nome prendeva corpo e le chiacchiere si infittivano
Nel mentre la gravidanza di Lucrezia proseguiva tra alti e bassi, tra le cure del governo durante l’assenza del consorte e quelle private relative ai parenti. Si sentiva sempre più debole ma nello stesso tempo determinata e ottimista a portare a compimento anche questa ottava gestazione
Anche la duchessa aveva un amore non troppo segreto, Francesco Gonzaga, suo cognato. Nella primavera del 1519 moriva consumato dal cosiddetto mal francese, lasciandola nello sconforto. Si ritrovava sola col consorte che dopo il rientro in città era sempre più distante e senza l’affettuoso sostegno del duca di Mantova. La cognata Isabella, che non era mai stata tenera con lei, strappò la lettera abbastanza formale che Lucrezia le aveva inviato per le condoglianze.
La duchessa avvertiva che qualcosa era mutato, nonostante si fosse avvicinata alla religiosità in maniera quasi totale, indossando il cilicio sotto la veste ducale.
Arrivò maggio mentre lei era sempre più inquieta. Non le erano sufficienti confessori e padri spirituali, comunicarsi tutti i giorni e pregare. Il peso dei suoi trentanove anni li avvertiva tutti, mentre la gravidanza si complicava. Il 15 di giugno del 1519 nacque una bambina, Isabella Maria, ma la duchessa fu assalita dalla febbre, mentre la figlia fu battezzata in gran fretta.
Il 24 giugno se ne andò, ormai incapace di comprendere il suo stato.
Alfonso in quei giorni non vide Laura, che l’aspettò paziente, sapendo che la duchessa era morente. Non si augurava che morisse nella speranza di succederle nel letto ufficialmente ma pregò per la sua anima.
Quando il paggio le recapitò il messaggio che era morta, sbiancò e si ritirò nella sua stanza, perché non voleva vedere nessuno. Si raccolse in preghiera e raccoglimento, pianse lacrime sincere. Comprese che da questo momento la sua vita sarebbe cambiata.
“Come?” si chiese. “Sarà nell’amore per Alfonso oppure nell’essere abbandonata?”
Non immaginava come sarebbe stato dipinto il domani ma doveva guardare avanti. Non era come pensava sua madre nel caso che tra lei e il duca ci fosse stata rottura. Era certa che avrebbe trovato un’altra persona con la quale condividere la vita.
“Ho solo diciannove anni e un’intera esistenza da consumare” rifletteva mentre pregava e piangeva la duchessa.
Era una calda sera di fine luglio, quando Laura incontrò Alfonso per la prima volta dopo la morte di Lucrezia. Erano seduti sotto il pergolato del casale del Verginese e parlavano tra loro sottovoce come se avessero paura che il vento potesse carpire loro dei segreti.
“Mi siete mancato, Alfonso. Ho percepito un vuoto dentro di me che non riuscivo a riempirlo. Però la morte della Duchessa, i funerali e il lutto hanno congiurato contro di noi” gli disse la ragazza, guardandolo negli occhi.
“Avete ragione. Tutto ha cospirato ma la morte di Lucrezia mi ha colpito” rispose il duca, tenendole le mani.
“Perché? Non pensiate che sia insensibile alla morte di qualcuno. Ho pianto lacrime sincere. Ho pregato con fede per la sua anima nella speranza che il buon Dio l’accolga in Paradiso. Ma vi domando cosa vi ha colpito, se volete dirmelo”.
“Ho sempre ritenuto Lucrezia una donna determinata nel raggiungere gli obiettivi che si prefiggeva. Anche in questa occasione l’ha dimostrato. Era malata ma ha sopportato la gravidanza con orgoglio, decisa a portarla a termine. Dopo la nascita della bambina, è stata assalita dalle febbri da puerpera e perdeva sangue dal naso. Però non era sua intenzione lasciarci. Temeva la morte, nonostante si fosse avvicinata a Dio. E’ rimasta aggrappata alla vita con tutte le sue forze ..”.
Alfonso fece una breve pausa, mentre Laura lo ascoltava in silenzio.
“Dunque era vero quel che hanno detto dopo la sua morte” rifletteva tacendo. “Non volevo credere alle voci circolate secondo le quali la duchessa aveva vissuto gli ultimi attimi nel terrore di morire”.
La ragazza raccolse le sue forze per formulare una domanda al duca.
“Come avete intuito che la vostra amata consorte fosse terrorizzata dalla morte imminente?”.
“Quando alcuni giorni dopo la nascita di Maria Isabella fui ammesso finalmente al suo capezzale, lessi nel suo viso stravolto dalla febbre, l’ansia, l’angoscia che la morte fosse accanto a lei. Sono sbiancato in viso per la consapevolezza di questa realtà. Non sono stato in grado di controllare le mie emozioni. Così lei ebbe la certezza che nonostante fosse decisa a vivere, non ce l’avrebbe fatta. Solo dopo questo incontro, è riuscita a distendere i lineamenti, preparandosi per la morte imminente”.
“Quel che dite è terribile e nello stesso tempo straordinario. Difficilmente una persona accetta serenamente un verdetto tanto spaventoso quanto irreversibile”.
“Basta. Parliamo d’altro. Lasciamo questi ricordi in un angolo” disse Alfonso per chiudere questo argomento.
Aveva provato commozione per la perdita della duchessa ma doveva guardare avanti e pensare al futuro che si apriva dinnanzi a lui.
Quel futuro aveva un nome Laura.

Capitolo 44

Giacomo, dopo essersi vestito a fatica, rimpiangendo l’assenza di Ghitta, scese nella corte alla ricerca di Eleonora. C’erano ancora nel casale parecchie dame e cavalieri, seduti al fresco del pergolato. Lo osservarono e bisbigliarono qualcosa, mentre lui finse indifferenza ai loro pettegolezzi. Il suo obiettivo in quel momento era la ricerca di qualche servo per ottenere l’informazione che gli interessava.
“Madonna Eleonora, dove la posso trovare?” chiese incrociando una serva che sta portando una brocca di sidro a una coppia leggermente defilata rispetto alle altre.
“Non saprei. Vengo dalle cucine e non l’ho ancora vista. Provate nelle sue stanze, al primo piano” rispose garbata.
“Grazie”. Giacomo salì al primo piano, sperando che l’informazione fosse giusta.
“Non posso bussare a tutte le stanze. Potrebbe essere imbarazzante” rifletteva mentre incrociava un cameriere.
“Mi perdoni. Mi sono perso e sono alla ricerca delle stanze di Madonna Eleonora”.
“Sono le ultime due. In fondo a questo corridoio” rispose indicando con la mano direzione e porta.
“Grazie”.
Entrato dopo aver bussato, la trovò davanti allo specchio, mentre una serva la stava pettinando.
“Buon giorno, Madonna” disse Giacomo baciandole una mano.
“Buon giorno, Messer Giacomo. Riposato bene?”
“Magnificamente. Siete una padrona di casa veramente eccezionale”.
“Andate pure, Maria. Lasciateci soli” disse per licenziare la donna.
Aspettò che fosse uscita, prima di abbracciarlo e dargli un bacio appassionato.
“E’ stato tutto magnifico. Festa, cerimonia e poi il resto della notte con voi. Questa giornata rimarrà per sempre nella mia testa ..”
“E perché avete consentito a dama Giulia di entrare nel letto al vostro posto, stamani?” chiese con un tono di voce duro.
“Me l’aveva chiesto poco prima che ci coricassimo. Forse non avete gradito?” replicò traendolo a sé.
“No. Avrei preferito alzarmi insieme a voi”.
“Perché?”.
“Questioni personali, che per il momento tengo per me”.
“Averlo saputo, avrei detto di no, trovando una scusa. Siete in collera con me?” chiese contrita la ragazza.
“Con voi, no. Siete deliziosa e fragrante come una rosa. Ma con dama Giulia, sì. Ma non parliamo più di questa dama. Vorrei vedere la mia consorte, Madonna Isabella” domandò con tono addolcito.
“Sta ancora dormendo sotto l’effetto della tisana purificatrice. Di solito si svegliano a metà pomeriggio. Però se volete vederla riposare, vi accompagno. Così troverete la strada da solo più tardi”.
Giacomo si aspettava di uscire ma lei con un gesto rapido si tolse la veste, rimanendo nuda. Aveva un corpo giovane e splendido che ammirò prima di stringerla a sé. Era entrato con propositi bellicosi ma quella vista lo calmò. Madonna Isabella poteva continuare a riposare tranquilla.
“Alla fine la colpa è stata di Giulia che con una scusa si è intrufolata nel letto. Eleonora ha creduto di farle un favore” rifletté mentre sentiva pulsare il corpo della donna che premeva su di lui.
Da Isabella ci andarono più tardi. Dormiva serena nel buio di una stanza d’angolo, mentre una serva nell’ombra sedeva accanto alla porta. Un respiro regolare, un palpitare ritmico del petto indicavano che era rilassata e tranquilla.
“Quando accenna al risveglio, avvertitemi” disse Giacomo, uscendo in silenzio per tornare nella sua stanza.
Non gradiva incontrare altre persone, doveva riflettere sulla situazione. Quindi preferì isolarsi. Era seduto su una sedia di legno, osservando fuori dalla finestra il cielo azzurro appena toccato da qualche sbuffo di nuvola, quando udì un bussare discreto.
“Avanti” disse con voce stentorea.
“Non ci fate compagnia a tavola per il pranzo?” chiese Eleonora vestita di azzurro e bianco.
“No. Non ho fame. Aspetto che Madonna Isabella si svegli” rispose stancamente Giacomo. “Siete uno splendore” disse ammirandola.
“Allora faccio preparare questo tavolo e mangeremo qualcosa insieme. Desiderate qualcosa in particolare?”.
“Non ho fame. Va bene tutto, purché sia qualcosa di leggero”.
Pranzarono e si stesero sul letto a riposare nell’attesa del risveglio. Era metà pomeriggio, quando la serva bussò per annunciare che Isabella stava svegliandosi. Giacomo si affrettò a raggiungerla, mentre Eleonora preferì restare nell’ombra.
“Madonna Isabella” disse l’uomo tenendole una mano. “Come state?”
“Oh! Messer Giacomo!” rispose aprendo gli occhi. “Mi sento bene come mai prima d’ora. Riposata e rilassata. Evidentemente dopo il brindisi mi devo essere addormentata, perché ricordo solo di aver visto il buio. Però mi ha lasciato un gusto dolce in bocca. Dovete sapere che ho fatto un sogno bellissimo e nello stesso tempo singolare. Ve lo voglio raccontare. Sedetevi accanto a me”.
“Certamente. Ascoltare i sogni mi piace” replicò sistemandosi vicino.
“Dopo essermi addormentata, mi è parso di essere passata in un’altra dimensione. Non saprei descrivervi come e cosa. Però ero in un paese sconosciuto, accecato dal sole. Quattro uomini dalla pelle scura, come Alì ..”.
“Lasciate perdere Alì, il padre di Anna. Continuate il racconto” la interruppe bruscamente.
“Quattro uomini portavano sulle spalle una specie di sedia di vimini intrecciati, che non avevo mai visto. Io ero seduta lì. Dietro stavano un sacerdote che assomigliava al maestro di ieri sera e delle fanciulle che agitavano uno strano strumento e cantavano. Mi hanno messo su un’imbarcazione che non avevo mai visto. Questa scivolava leggera su un fiume. Non era il nostro Eridano, dalle acque grige tumultuose e venate dal verde dei pioppi. Era immenso, calmo e di un colore azzurro come il cielo. La barca filava veloce e ben presto siamo arrivati a un tempio, dove mi hanno fatto sedere su un altare bianco. Era ormai il tramonto e abbiamo aspettato che le stelle salissero alte nel cielo. Poi ..”.
“Poi?” incalzò Giacomo che voleva conoscere il seguito del racconto.
“Poi ho provato delle sensazioni piacevoli, Non saprei raccontarvele, perché erano solo impressioni. Percepivo benessere e piacere mentre l’aria fresca della notte accarezzava il mio corpo insinuandosi sotto la veste”.
“Tutto qui e nient’altro? ” le chiese, perché gli sembrava una narrazione incompleta.
“No. Ricordo solo questo. Però quella sensazione di piacevole benessere è ancora ben fissa nella mia mente. Mi sento leggera e appagata come se questo sogno ristoratore avesse rasserenato lo spirito. E’ stato un toccasana per la mia anima che mi ha fatto comprendere molto di voi. La vostra presenza al mio risveglio mi ha stimolata. Giacete insieme a me” concluse Isabella.
“Come volete, Madonna” le disse abbracciandola.
Mentre stavano uno accanto all’altra, osservando il soffitto nella penombra del tardo pomeriggio, Giacomo cominciò a parlare.
“Ora che siete riposata e appagata nello spirito e nel corpo, vestitevi perché si torna a casa”.
“Perché, Messere? Stiamo bene qui. Poi dama Eleonora ha detto che la festa continua ..” replicò sorpresa.
“La festa continuerà a casa nostra”.
“Non comprendo, perché dobbiamo lasciare questa casa prima che sia finita”.
“Non ammetto repliche. Preparatevi per tornare a casa” concluse con un tono che impediva una qualsiasi obiezione.

Capitolo 43

Mentre Giacomo si girava per scoprire il volto della misteriosa dama che si era accostata alla schiena, udì un leggero fruscio come se qualcuno fosse uscito furtivamente dal letto. Allungò una mano, sentendo solo l’impronta calda di un corpo, quello di Eleonora.
“Madonna Giulia!” esclamò sorpreso, voltandosi.
“Messer Giacomo, quando vi ho visto ieri sera, ho percepito prepotente la voglia di sentire il vostro calore ..”.
“Solo perché mi avete visto?”.
“No, era tempo che provavo nostalgia di voi ma non potevo, ero bloccata dalla duchessa Anna ..”.
“E il vostro cavaliere?” chiese curioso, abbracciandola.
“E’ noioso e saccente. Una vera nullità rispetto a voi” disse con un tono di disgusto. “Ora starà vagando alla ricerca di una nuova preda. Anzi penso a quale stia puntando come un cane da caccia. L’ho abbandonato al suo destino ..”.
Giacomo era perplesso e rifletteva pensieroso sulla singolare situazione, nella quale si trovava.
“Dama Eleonora mi ha invitato alla sua festa e ha stabilito di dividere la mia persona con dama Costanza. Una specie di staffetta, che secondo le aspettative non dovrebbe creare problemi a nessuno dei tre. Madonna Isabella, la mia consorte, è un’aggiunta inaspettata dell’ultima ora. Credo che dovrò onorarla, visti gli avvenimenti più recenti. Al momento è sotto gli effetti di una droga o pozione strana e magica ma si sveglierà eccitata come una cagna in calore e stimolata da tante attenzioni. Farò fatica a trattenerla e sottrarla agli assalti di tanti cavalieri. Se non lo faccio ora, la perderò per sempre. Dama Giulia avrebbe dovuto essere fuori dai giochi, perché aveva un amante ufficiale ma pare che abbia avuto un ritorno di fiamma verso di me. Delle tre è quella che gradisco maggiormente ma non posso scontentare le altre due. La gestione di tre dame non è un problema di poco conto per non creare una situazione di malumori e risentimenti. Ma in realtà sono quattro e la situazione diventa quasi insostenibile. In questa vita scopro sempre novità di ogni genere. Non posso affermare di rimanere annoiato o senza dovermi occupare di qualche madonna. Dame e cavalieri gareggiano nel passare da un’alcova all’altra come api sui fiori. O si rimane sempre giovani, magari con l’aiutino di qualche pozione magica o si tira le cuoia”.
Giacomo era perplesso e rifletteva su questi aspetti del tutto inaspettati, quando si staccò da Giulia come se gli procurasse fastidio.
“Vi sento freddo, messere” disse la ragazza delusa dall’atteggiamento poco caloroso dell’uomo “Forse non gradite la mia presenza?”
“No, no” si affrettò a dire. “Stavo semplicemente ragionando su ..”
“Su cosa, se non sono indiscreta”.
“Su di voi, sulla festa e sull’epoca nella quale viviamo”.
“Su di me? E cosa, di grazia?” chiese curiosa la donna.
“Madonna Giulia, nel vedervi accanto a me sono rimasto sorpreso, piacevolmente e gradevolmente sorpreso. Sono passati molti mesi dall’ultima volta che ci siamo visti e credevo che ..”.
“E proprio per questo che ho convinto dama Eleonora a cedermi il suo posto per un poco, così che possa rinsaldare la nostra vicinanza. Quel lontano ricordo sbiadito è ancora nitido. Aver trascorso troppo tempo alla corte della duchessa Anna mi ha intristita, incupita. Avevo la necessità di annusare il vostro odore, di percepire il vostro calore ed eccomi qua. Le sensazioni che provo sono le stesse di un tempo. Direi sono ancora migliori come il buon vino invecchiato”.
Giulia rimase un istante in silenzio prima di riprendere a parlare.
“Circolano delle strane voci tra gli invitati alla festa. E’ stato un continuo parlare, un sussurrare più o meno convinto che ha tenuto desti dame e cavalieri. Ognuno diceva la propria opinione. Su un aspetto erano tutti d’accordo. Quell’Iside ha offerto uno spettacolo strepitoso, incarnando la dea come mai nessuna altra c’era riuscita. Nessuno l’aveva mai vista prima di questa notte ma qualcuno afferma che sia la vostra consorte ..”.
Giacomo ebbe un breve sussulto, perché non si aspettava questa domanda da parte di Giulia.
“Da tutti gli altri sì, ma da lei proprio no. Altro che odore o calore! Lei è stata mandata avanti per chiedermi conferma delle chiacchiere. Costanza non sa nulla, almeno credo. Eleonora tiene la bocca cucita nella speranza che l’accompagni anche il prossimo anno. Giulia usa la seduzione per strapparmi una risposta in nome di una vecchia amicizia”. Sospirò, perché immaginava che questa domanda sarebbe stata ripetuta troppe volte nel corso di quei giorni. Non poteva negare l’evidenza, ma anche affermare che era la sua consorte, sarebbe stata una sofferenza. Da qualunque parte girava il problema, capiva che era stato un errore madornale acconsentire che Isabella partecipasse alla festa. Adesso c’era poco margine per gestire la situazione. «E’ meglio affrontare il toro per le corna. Posso muovermi con maggiore libertà nel contrastare la fila di cavalieri pronti all’assalto di Isabella» rifletté prima di rispondere.
“Si” replicò laconico.
Giulia aveva avuto buon fiuto ma non si aspettava una risposta così immediata. Però rimase perplessa, perché quell’uomo, che aveva conosciuto come affettuoso e gentile, si stava rivelando cinico, avendo assistito allo spettacolo notturno senza intervenire. Per lei come donna sarebbe stato inaccettabile. Si scostò da Giacomo, lo fissò con gli occhi ormai abituati alla penombra prima di prorompere in una predica.
“Sono delusa di voi ..”.
“Perché?” chiese sapendo già la risposta.
“Mi chiedete il perché? Mi pare ovvio. Se io fossi stata al posto di quella dama e il mio cavaliere avesse presenziato impassibile a quanto è avvenuto, non l’avrei mai più voluto vedere e forse anche di peggio ..”.
“Madonna Giulia, se voi foste stata al posto della dama di stasera, significa che volevate essere lì nella parte di Iside. E il vostro cavaliere cosa doveva fare? Prendervi a schiaffi oppure legarvi al colonnato del vostro palazzo? La mia consorte desiderava partecipare alla festa. L’ho accontentata, ignorando che voi l’avreste designata come Iside. Dovevo forse alzarmi e dire «Madonna, torniamo a casa». Sarei diventato lo zimbello di tutta Ferrara. Ho cercato solo di restare calmo, trattenendo l’ira che avevo in corpo. Oggi sarà un altro giorno. Però sono rimasto deluso dalla vostra domanda. Non mi aspettavo che voi me l’avreste chiesto. Dagli altri si ma da voi no”.
Detto questo, Giacomo si alzò tirando i pesanti tendaggi per far entrare il sole, mentre la donna era rimasta in silenzio nel letto.
“Voi se volete, potete stare. Io mi preparo per la nuova giornata”. Detto questo si diresse verso una stanza dove avrebbe trovato acqua fresca e i suoi indumenti.
 
Febbraio era stato come al solito nevoso ma meno rigido del consueto. Verso la fine del mese le giornate erano fredde ma soleggiate. Un giorno, era il 22 febbraio del 1519, il paggio che Laura conosceva bene le recapitò una missiva.
 
«Mia adorata Laura!
Sono a due giorni di strada da Ferrara e aspetto il momento di potervi stringere a me.
Vostro Alfonso»
 
Il 24 febbraio il duca fece il suo ingresso in città acclamato e salutato da tutta la città. La missione francese era riuscita, sia pure parzialmente, e il ducato, almeno in parte, salvo. Subito organizzò un incontro con Laura, della quale aveva avvertito la mancanza nei lunghi mesi di lontananza.
La ragazza riprese gli incontri nella dimora di Rossetti dopo un lungo periodo costellato solo dal lungo silenzio dell’amato e dalle interminabili chiacchierate con la madre. Quel racconto aveva lasciato il segno nella mente della ragazza, che più di una volta aveva approfondito aspetti e particolari di quell’incontro.
“Madre, mi avete raccontato tutto oppure solo dei pezzettini?” chiese una sera mentre erano accanto al camino.
“Perché me lo chiedete? Pensate che vi abbia mentito?” replicò risentita, perché non voleva svelare anche il secondo incontro più drammatico del primo. Il famoso conte era morto mentre faceva all’amore con lei. Una situazione scioccante e al tempo stesso grottesca. Quasi era morta per lo spavento, sentendo sopra il suo corpo quello inerte dell’uomo, che la stava soffocando. Quel ricordo non era mai riuscito a cancellarlo dalla mente ma l’aveva occultato nel punto più profondo della mente.
“No, madre. Ragionavo che dopo avervi pagata con tutti quegli scudi d’oro, loro non si fossero accontentati. Ma forse mi sbaglio”.
“Figlia, avevo solo sedici anni e tanti ideali per la testa, amavo vostro padre e non volevo finire come Beatrice. Quindi resistetti a tutte le sirene dorate che mi proponevano. Vista l’inutilità delle proposte mi lasciarono in pace, mentre Beatrice, e forse altre, finirono nel gorgo delle donne di bordello”.
Laura ripensava a quest’ultimo colloquio, che giudicava equivoco e non chiarificatore, mentre si stringeva a Alfonso.
“Cosa state pensando, Madonna? Vi sento poco partecipe oggi come se un pensiero vi stia angustiando” le disse il duca, stringendola forte e con calore.
“Mi spiace, Alfonso, che vi sembri fredda dopo una così lunga astinenza. In realtà mi sembra ancora di sognare come nelle notti passate ..”.
“Chi sognate?”
“Voi. Tutte le notti mi siete apparso nel sonno. Sentivo la vostra presenza su di me, mentre la passione accendeva la mia mente. Poi mi svegliavo ed ero sola nel mio letto. Piangevo per la gioia di aver percepito che eravate con me, e per la tristezza che la realtà fosse diversa. Ecco perché potevo apparire distaccata, perché temevo che non fosse reale la vostra esistenza”.
Alfonso scoppiò a ridire, dicendo che c’era la sua ombra e non il suo corpo.
“Dammi un pizzicotto e mi sentirai urlare per il dolore” l’incitò il duca. “Sono reale e non un fantasma che appare nei sogni di una ragazza fresca e matura come voi”.
Laura scacciò tutti i pensieri e si strinse con vigore all’uomo che amava.
Dei discorsi della madre tutto sommato gliene importava poco. Adesso finalmente dopo molti mesi assaporava la gioia di giacere con Alfonso.

Capitolo 42

Laura sentiva veramente come sua la dimora di Rossetti. La frequentò ancora qualche volta prima che Alfonso le annunciasse la sua partenza per Parigi.
“Devo incontrare il re di Francia, Francesco I, per difendere il mio ducato e sottrarlo alle mira del papa Leone X. Starò via qualche mese ma poi sarò tutto per voi”.
Laura annuì e non disse nulla.
“Cosa dovrei dire? Non partite, Alfonso! Restate qui, accanto a me! Gli affari di stato sono più importanti della mia persona” erano questi pensieri conseguenti all’annuncio della partenza.
Si limitò ad abbracciarlo con calore, perché per molti mesi non avrebbe potuto farlo. Era triste ma provò a nasconderla, perché non desiderava creargli delle difficoltà, avrebbe atteso con fiducia il suo ritorno come fanno tutte le mogli. Qualche giorno dopo il duca affrontò il lungo e pericoloso viaggio, sapendo che al suo rientro l’avrebbe trovata pronta ad accoglierlo.
Arrivò l’inverno in anticipo sui tempi ma a lei questo importava poco. Sentiva la mancanza di Alfonso. Aspettò con impazienza l’arrivo di qualche messaggio, che annunciasse il suo rientro in città, ma nessun paggio bussò alla sua porta per diversi mesi.
La ragazza ripensava nelle lunghe veglie invernali a quello che il duca aveva detto una delle ultime volte. «Il casale del Verginese e la dimora di Rossetti saranno vostre. Ma ho in serbo un’altra gradita sorpresa.». Si chiedeva di che tipo, perché non si era sbilanciato né tradito nel fornire altre indicazioni. Però accanto a questi pensieri piacevoli ce ne erano degli altri fastidiosi, perché continuavano a ronzargli nella testa come mosche moleste.
Paola aveva interrotto il suo racconto prima di descrivere l’incontro col conte e quello che era seguito. Laura le aveva detto che non voleva ascoltare il proseguimento ma non era vero. La curiosità era enorme esaltata da quella voglia pruriginosa di conoscere il mondo erotico degli adulti, perché il suo era limitato. Quei brevi accenni l’avevano stimolata e incuriosita a sapere cosa aveva provato, cosa era successo e come era finito. L’eccitava mettere a confronto la sua esperienza con quella della madre. Però non sapeva come riuscire a far riprendere la narrazione in modo spontaneo senza una sua esplicita richiesta. Le sembrava di essere diventata una bambina che osservava da una fessura nella porta cosa succedeva tra un uomo e una donna nella camera da letto.
“Non comprendo questa morbosa curiosità, che non ho avuto il coraggio di confessare a padre Fidenzio. Eppure ho rapporti stabili con un uomo. Una persona meravigliosa e delicata. Non ho da imparare nulla, perché so già tutto. Nonostante ascolterei a bocca aperta il racconto di mia madre”.
Questo pensiero compariva ciclicamente ma non trovava il modo di innescare il processo. Però era rimasta impressionata da quello che aveva rivelato Paola: Beatrice aveva solo tredici anni quando aveva subito quella violenza. Lei si rivide a quell’età. Era acerba nel fisico con la personalità che si stava formando. Era una persona in costruzione debole e facilmente manipolabile. Da poco era diventata donna e questo le aveva pesato non poco, perché era giunto inaspettato e per nulla preparata.
“Non è che ora ne sappia qualcosa di più ma in verità la comparsa del sangue non mi impressiona più come quella prima volta, quando mi sono svegliata con dolori e quel liquido rossastro e appiccicoso un po’ ovunque”.
Scacciò questi pensieri ricorrenti e si concentrò su Alfonso. Era un amante veramente straordinario che le sapeva donare istanti magnifici. Mai una volta si era dimostrato scortese, nemmeno nelle giornate di umore più nero. Laura lo adorava e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di renderlo felice. Si sentiva serena quando lo ascoltava, quando erano nel letto. Una sensazione di benessere che non poteva descrivere. Era convinta che anche lui provasse analoghe sensazioni ma erano solo impressioni.
Nell’ultimo messaggio era stato tenerissimo, lasciando trasparire la grande voglia di stringerla a sé. Lei rispondeva con messaggi meno elaborati ma tuttavia sinceri. Adesso era meno impacciata nello scrivere, nel rispondere alle sue missive. Le parole non uscivano più stentate dalla sua mente ma fluiva più naturalmente.
Era una serata di metà febbraio del 1519, dopo l’ennesima sfuriata della neve durata un paio di giorni, che aveva ricoperto tutto per molti piedi. L’attività di berrettaio del padre andava avanti stancamente, perché quello che era pronto non poteva essere ritirato e le nuove commesse erano scarse. La gente era rintanata in casa.
“Laura, potete andare in cucina a tenere compagnia a vostra madre e riscaldarvi un po’ al fuoco del camini. Per stasera finisco io gli ultimi lavori” le disse Francesco. La ragazza accolse l’invito con gioia perché era davvero infreddolita. Aveva le mani ruvide dal freddo, tutte screpolate e con qualche doloroso gelone che non dava tregua.
“Se mi vedesse Alfonso, cosa direbbe?” pensò mentre si fregava per togliere quel pallore glaciale.
Trovò la madre che ricamava una veste accanto al fuoco del camino.
“Per chi è, madre?”.
“Per voi. Sarà nel vostro corredo di nozze. Ai miei tempi portai con me solo un paio di camice di lino, diverse di canapa grezza, due giornee, una gamurra, due gornelle. Le lenzuola per la prima notte e un altro paio per tutti i giorni di tela ruvida e grossa. Una tovaglia fine per la domenica e una più grezza per tutti i giorni. E poco altro. Tutto acquistato con qualche scudo di quelli famosi del conte ..”. Un lungo sospiro interruppe la descrizione del corredo.
“Gli altri convinsero Francesco a sposarmi” riprese. “E sì, servivano degli scudi d’oro per convincere i genitori di Francesco, affinché mi sposasse. Ci volevamo bene ma lui era un bravo apprendista nella bottega del berrettaio Ludovico, mentre io ero solo una bella fanciulla giovane e non più ..”.
Tacque, incupendo il viso. Il demone della curiosità si appollaiò sulla spalla di Laura. «Chiedile del famoso incontro col conte» le sussurrava maligno.
Era calato il silenzio mentre osservavano le lingue di fuoco che guizzano e crepitavano nel camino.
“Ma voi, madre, eravate giovane e bellissima. Questo era più che sufficiente” disse nel tentativo di portare il discorso sul famoso incontro.
“No, figlia mia. Sono qualità che servono a poco per sposare un buon partito come Francesco. Utili se vuoi finire in un bordello di Capo delle Volte, ma non apprezzate per le nozze. Una vecchia storpia ma danarosa vale molto di più di una fanciulla bella e robusta. Senza quei famosi scudi d’oro non avrei mai sposato vostro padre e tu non saresti nata. Si, ascoltai il consiglio di Beatrice ..”
“Ma ditemi, madre. Che fine ha fatto quella bambina?” la interruppe Laura come per sviare il discorso su un terreno neutro.
“Che fine vuoi che abbia fatto? Quella a cui sono destinate tutte le disgraziate come lei. Dopo quel primo incontro col conte, si sparse la voce che per due testoni d’argento avrebbe accolto dentro di sé qualsiasi signore. E così fu condannata a vita. A quindici anni rimase gravida e il bastardino non si sa dove sia finito. L’ho vista qualche tempo fa ingrigita, sfatta e invecchiata. Vive barattando il corpo per un pezzo di pane ..”.
“Madre, perdonatemi se ho portato il discorso sull’evento lontano. Non era mia intenzione riaprire una ferita ..”.
“No, no. Dovevo farlo per sgravarmi da questo segreto. Dunque ..”.
E riprese il filo della narrazione da dove l’aveva interrotto qualche mese prima, mentre Laura non perdeva una sola sillaba del racconto. Il demone della curiosità aveva raggiunto l’obiettivo.

Capitolo 41

Giacomo stava nel letto con Eleonora che si stringeva a lui. Era infastidito e leggermente infuriato per quello che era avvenuto durante la cerimonia. Se l’avesse saputo in anticipo, non ci avrebbe condotto Isabella. Su questo punto non aveva il minimo dubbio, anche se non conosceva la donna troppo a fondo.
“Non c’è mai stato molto affiatamento tra noi ma ho provato più che un pizzico di gelosia verso Isabella. Alla fine è pur sempre la mia consorte” rifletteva adirato, mentre la ragazza lo baciava sul collo, senza che lui desse segni di attenzione, rimanendo rigido e freddo.
“E’ stata magnifica Madonna Isabella” disse all’improvviso, rompendo un silenzio carico di tensione. “La cerimonia delle lampade è stata un successo. Negli ultimi quattro anni, da quando mi hanno affidato l’organizzazione, mai la festa ha raggiunto il livello di emotività di stasera. E’ stato tutto così naturale e spontaneo che ha rapito gli animi di uomini e donne”.
“Per gli uomini ci credo pienamente. Madonna Isabella avrebbe resuscitato anche un morto per come si è comportata. Ma le donne ..” esclamò Giacomo visibilmente adirato e contrariato, che a stento reprimeva l’ira.
“Madonna, volete spiegarvi?” aggiunse qualche istante più tardi con un tono duro e freddo.
“Messere, questa è una cerimonia vecchia di mille e cinquecento anni e forse più ..”.
“Sarà anche vecchia ma gli uomini se la sono spassata..”.
“Dovete sapere che, dove sorge la chiesa di Santo Stefano a Bologna, prima stava l’altare di Iside e il 12 di agosto di ogni anno si celebrava la cerimonia delle lampade ..”.
“Ebbene che nesso c’è con lo spettacolo indecoroso al quale ho assistito stanotte senza poter far nulla per Madonna Isabella?” replicò stizzito.
Eleonora continuò la narrazione ignorando l’interruzione di Giacomo, che comprese che doveva rimandare le spiegazione al termine.
“Il tempio era governato da un sacerdote anziano e da giovani sacerdotesse. La sera del 12 agosto attendevano l’arrivo del buio dinnanzi alla statua di Iside, la grande protettrice della vita, in grado di resuscitare Osiride, il suo sposo. La cerimonia iniziava al tramonto con il sacerdote avvolto in una tunica di lino bianco immobile davanti alla dea, mentre le sacerdotesse agitavano il sistro e gli altri sacerdoti tenevano in mano delle lampade a forma di piroga spente. Quando la luna era alta sul cielo un rullo di tamburi avviava la cerimonia dell’accensione delle lampade. La luce vinceva le tenebre e permetteva la resurrezione della vita. Sulle rovine del tempio venne costruita la chiesa, quando il cristianesimo si impose ma il culto di Iside rimase nell’ombra e continuò nei secoli successivi tramandati di generazione in generazione dalle donne di famiglia, che ne erano le custode e al tempo stesso le sacerdotesse del tempio. Loro dovevano agire di nascosto per sottrarsi alla chiesa cristiana e per non finire bruciate come streghe. La bisnonna Donnina Visconti fuggì da Bologna a Ferrara col figlio Giovanni per sottrarsi alle faide tra i Bentivoglio e i Piccinino. Si stabilì in questa dimora e trasportò qui il culto di Iside. Ogni anno un sacerdote viene in gran segreto nella Diamantina per la cerimonia delle lampade. Passò il testimone alla nipote Bianca Bentivoglio, quando la accolse presso di sé come dama di compagnia, l’organizzazione della cerimonia, trasmettendole tutti i segreti. Lei è mia madre, che è convolata a nozze col conte Antonio Brasavola. Cinque anni fa partecipai alla mia prima cerimonia dopo un lungo periodo di addestramento. L’anno successivo preparai e curai la mia prima cerimonia, poi mia madre lasciò tutte le incombenze a me, perché si sentiva vecchia ..”.
“Ho ascoltato in silenzio la tua narrazione. Ora è il tempo delle domande” disse Giacomo ancora innervosito dagli avvenimenti che avevano avuto al centro sua moglie.
“Cosa vuoi sapere?” chiese Eleonora mentre beveva da una coppa dell’acqua fresca.
“Madonna Isabella è stata drogata ..”.
“No, Messer Giacomo. Era una pozione magica ..”.
“Sarà come dite voi, Madonna, ma era incapace di intendere e volere. Ha subito tutti gli amplessi senza proferire una parola ..”.
“Però ha inarcato la schiena e ha fatto gemiti di piacere. Non credo che non sia rimasta soddisfatta. Provava godimento e passione ..”
“Ve lo concedo, Madonna ma mi ha infastidito il fatto. Anzi ..”.
“Vi siete rifiutato di unirvi a lei” replicò seccata.
“La preferisco cosciente. Ma ditemi. Cosa simboleggia l’unione carnale con la cerimonia? Non vedo collegamenti a parte fare sesso ..”
“Il ritorno alla vita di Osiride. Tutti gli uomini che hanno fatto sesso rappresentavano il ritorno del consorte che si unisce con la moglie. Lei incarnava Iside”.
“Sarà ma non siete convincente, Madonna Eleonora. Però potevate avvertirmi quale sarebbe stato il ruolo della mia consorte. Ma negli anni passati come procedevate nella scelta?”
“All’inizio era una ragazza vergine e di buona famiglia, che veniva preparata dalla sacerdotessa, ma poi .. E’ diventato sempre più difficile trovare una fanciulla adatta al ruolo. Deve avere un certo comportamento da consentire alla cerimonia di svolgersi come l’avete osservato stanotte. E Madonna Isabella è stata perfetta senza che nessuno l’abbia istruita. Si è calata nella sua parte in maniera spontanea e naturale come se fosse veramente Iside. Se ve lo avessi preannunciato, credo che avreste rinunciato ad accompagnarla.” rispose sospirando.
“Certamente ci avrei pensato su due volte. Comprendo anche le difficoltà nel trovare la donna giusta. Sono diventate sempre più rare”.
“Lo scorso anno fu un disastro. Abbiamo dovuto ricorrere a una delle mie serve. Nonostante avesse provato in precedenza è rimasta sempre fuori dal ruolo. Ha creato un clima di disagio. Quest’anno invece ..”.
Eleonora tacque e si strinse a Giacomo mentre gli accarezzava il petto.
“Vi prego. Convincete Madonna Isabella per il prossimo anno. E’ stata perfetta, sublime. Sembrava veramente Iside. Un comportamento regale. Se voi non aveste rinunciato ad accoppiarvi con lei, avreste capito come era permeata nel ruolo. Vi assicuro che ho ascoltato i commenti e tutti erano d’accordo. Sembrava una dea in grado di resuscitare i morti . Non solo in senso metaforico. Vi invidio”.
“Può darsi che quello che affermate sia vero, Madonna. Ma ho assistito a uno spettacolo che mi ha innervosito. Dovete capirmi. Se non avessi visto .. il solo pensiero non mi avrebbe creato ..”.
La ragazza gli sfiorò la guancia con la mano.
“Se non è gravida, vedrò e penserò alla vostra richieste ..” continuò asciutto allontanando la mano della ragazza con moto di fastidio.
“No, non rimarrà gravida. Non è mai successo in mille anni e non succederà nei giorni a venire. La pozione che il sacerdote le farà bere funziona benissimo contro questo pericoloso incidente. Non ricorderà nulla salvo che una sensazione di leggerezza. E’ scivolata lieve sulle acque del Nilo raggiungendo la beatitudine dei sensi. Ma ora basta di queste chiacchiere. Pensiamo a noi. La notte è volata via”.
Giacomo era duro come il ghiaccio ma la ragazza usò argomenti persuasivi fino a farlo sciogliere come il burro al contatto col fuoco.
Il sole era alto sull’orizzonte, quando Giacomo avvertì una presenza diversa nel letto.

Capitolo 40

A Isabella l’uomo sembrava più vecchio di lei, perché aveva notato capelli e barba grigi. Però non ne era certa per via della scarsa illuminazione. Era alto di statura, molto più di lei, di questo ne era sicura, perché aveva una corporatura minuta e bassa. L’aspetto era di una persona imponente e ieratica, che incuteva soggezione più che paura. Il vecchio, come l’aveva battezzato in assenza di un nome, indossava una tunica bianca a sacco che gli copriva anche le braccia. Due mani bianche, lunghe e affusolate fuoriuscivano dalle ampie maniche. Si sedette in silenzio alla sinistra della donna e fece un cenno col capo a un misterioso dominus. Si chiese a chi era diretto quel messaggio silenzioso. Non era riuscita a indovinarlo.
“Che significato ha quel gesto misterioso?” si domandò curiosa e nel contempo preoccupata perché non comprendeva cosa stava succedendo.
L’uomo si alzò e con voce forte e possente pose una domanda alla comunità che lo stava ascoltando senza quasi fiatare.
“Chi è la prescelta? Dov’è la giovane fanciulla vergine e pura, regina della festa?”.
Ci fu uno scoppio di ilarità contagioso, che ruppe il solenne silenzio., come se la battuta fosse uno scherzo del destino e non una domanda seria
“Una giovane fanciulla vergine e pura? Semplice utopia, maestro! Forse una bambina lo è ma qui non ci sono bambine. Lo eravamo forse appena nate ma la verginità ora è un lontano ricordo” replicò una voce femminile. Un nuovo scoppio di risate accompagnò la boutade.
“Allora chi è la prescelta per la cerimonia?” ridomandò quello che avevano chiamato maestro. Tutti come se fossero stati comandati da un misterioso filo alzarono il braccio verso Isabella.
“Ecco l’eletta” replicò volgendosi di lato e prendendole la mano per mostrarla a tutti. “Si dia inizio alla festa” disse mentre si sedette senza lasciarla. Due servi le posero sul capo una ghirlanda di fiori profumati come simbolo della regalità.
Lei rimase perplessa, perché era stata designata sulla base di qualche motivo oscuro e del tutto sconosciuto a lei. Le parve una decisione presa a sua insaputa con un rituale che giudicava singolare. Non comprendeva il significato di quella incoronazione e dei motivi per i quali sedeva accanto al cerimoniere. Forse avrebbe capito più avanti cosa si pretendeva da lei e quale ruolo avrebbe ricoperto nella cerimonia. Un attimo di ansia e paura attanagliò la mente ma subito si rassicurò, perché, se ci fosse stato qualcosa di pericoloso, Giacomo l’avrebbe protetta.
Uno squillo di trombe e un rullo di tamburi avviarono la festa.
I musici allietarono gli invitati, mentre i servi erano affaccendati a servire i commensali. Piatti scarsi e poveri, molta acqua e poco vino. La luna rossa salì verso il cielo impallidendo mentre illuminava il giardino coi suoi raggi sempre più luminosi. Le luci erano appena soffuse, lasciando i visi e spazi in ombra.
Isabella mangiò con calma lo scarso cibo che tuttavia era gustoso e raffinato, domandandosi i motivi di tanta parsimonia. Ai convivi ricordava vivande e libagioni in abbondanza, anzi fin troppo. La curiosità si faceva largo dentro di lei. Prima quella strana domanda del tutto inutile e retorica, poi l’indicazione caduta sulla sua persona, lei che era sicuramente la più anziana del gruppo e non era una fanciulla vergine e pura da molto tempo. Infine un convivio che assomigliava più a una cena di quaresima che a un convito estivo. Erano tutti motivi di riflessione per Isabella.
“Cosa riserverà il resto della serata? E in particolare a me. Messer Giacomo ha parlato di una festa. Questo vecchio di una cerimonia. Per il momento ho quasi digiunato con scarse libagioni come se tutto dovesse seguire un preciso copione di astinenza. Il mio consorte l’ho intravvisto fugacemente senza che si mostrasse apertamente, come se si volesse nascondere. Forse non vuole dimostrare interesse verso me e mettermi in imbarazzo. Certamente dama Eleonora che sta di fronte a lui è una bella donna, giovane e piacente, che farebbe impazzire qualsiasi uomo. Dovrò gareggiare duramente con lei per riconquistare i favori del mio consorte, anche se messer Giacomo dice che non è nulla per lui. Però è qui e non mi ha degnato di uno sguardo”.
La luna raggiunse lo zenit mentre i suoi raggi rendevano più visibili oggetti e persone, ricoprendoli di una patina d’argento.
Notò che il vecchio aveva fatto un movimento circolare col capo come per dare inizio a qualcosa. Non comprendeva cosa sarebbe avvenuto tra qualche istante, finché silenziosi due paggi vestiti con una tunica bianca non l’affiancarono e le fecero segno di seguirli. Isabella era incerta ma l’uomo le prese la mano facendola alzare.
Raggiunse un’ampia sala dove stava un immenso letto a baldacchino e due poltrone. In silenzio la spogliarono e cominciarono a cospargere in ogni punto del corpo ungenti e creme profumate. Provava brividi di piacere ma anche imbarazzo perché quelle mani maschili la toccavano e la frugavano senza ritegno. Pur non essendo la prima volta che le capitava, in questa occasione provava un misto di impaccio e piacere e doveva mordersi il labbro per non lasciarsi sfuggire gemiti di passione, mentre il rossore colorava le guance. Indossata una tunica bianca di lino e infilati dei calzari leggeri di foggia orientale, adesso era pronta per tornare tra i commensali.
Ripreso il posto a capotavola, osservò che molti degli invitati indossavano una veste simile alla sua e a quella del vecchio, mentre altri si avviavano verso la casa. Isabella si chiese nuovamente per quale motivo tutti indossavano un identico abito Nessuno diceva nulla, tutto si svolgeva in silenzio senza musica o suoni e con la sola luce lunare. Immersi un’atmosfera rarefatta e singolare, gli altri parevano sereni e rilassati, almeno questo era la sensazione che provava. Le donne avevano in mano uno strano oggetto, che emetteva dei suoni particolari, a forma quadrata con delle lame. Piccoli bagliori argentati brillavano nel buio. Era agitato senza una sincronia particolare mentre il timbro era indistinto e non assomigliava a nessuno strumento musicale che conosceva.
“Quale valore simbolico ha questo agitare uno strumento musicale da parte delle donne?” si chiese, comprendendo che la cerimonia stava prendendo il via. Un rullo di tamburi accompagnò l’ultimo commensale che riprendeva il suo posto. Le luci erano spente, la luna illuminava la scena. Sulla tavolata spoglia e ricoperta da una tovaglia bianca c’erano strani luccichii come piccoli bagliori. Gli unici suoni erano quelli provenienti dallo strano oggetto che agitavano incessantemente le donne.
Isabella si osservava intorno sbigottita e impaurita per l’atmosfera magica carica di tensione.
Il vecchio sollevò una coppa che brillava sotto i raggi lunari, alzandosi in piedi. Notò la presenza di una uguale dinnanzi a lei, mentre l’uomo senza proferire parola la invitava col capo a sollevarla. Quando lo fece, anche gli uomini eseguirono il medesimo gesto, mentre le donne continuavano a muovere quell’oggetto che brillava argenteo.
Si chiese se doveva berne il contenuto, incerta sul da farsi. Questa strana cerimonia le dava sensazioni non ben definite e le metteva una certa angoscia. Tutti erano in attesa che lei lo vuotasse e aspettavano solo questo momento. Appoggiò incerta le labbra sul bordo metallico freddo. Il liquido le appariva di colore grigio argento. Sorseggiò diffidente ma aveva un gusto gradevole che le scaldava la gola. Vuotò il calice e lo levò istintivamente verso la luna. Tutti compirono il medesimo gesto quasi all’unisono.
Percepiva strane percezione, mentre un calore saliva dallo stomaco al viso. Le paure svanirono, l’euforia le contagiò la mente. Le sembrò di essere diventata lieve come una piuma, poi tutte le luci si spensero.
“Hanno spento le luci o sto svenendo?” si chiese in un attimo di lucidità, mentre sentiva delle robuste mani che la sollevavano.
Isabella fluttuava leggera come se fosse su una barca che scivolava silenziosa sull’acqua. Suoni indistinti, mani, lampi di luce. Una cacofonia di sensazioni disparate la pervadevano senza che lei riuscisse a metabolizzarle. Frammenti del passato si mescolavano nel presente come se fossero parte del futuro che non conosceva ancora. Strani ricordi che sfumavano, senza essere ricordati, persi nel silenzio della mente, affollavano la testa.
Quando riaprì gli occhi, si trovò nella stanza dove poco prima era avvenuta la cerimonia della vestizione. Le sembrò che fossero passati pochi attimi dal momento che la luce degli occhi si era spenta. Era sul letto avvolta nella tunica bianca di lino, composta come un sudario di morte. La testa girava, facendole perdere il senso dell’equilibrio come se dovesse cadere in un abisso nero e pauroso. Uno stato di confusione mentale non le consentiva di percepire esattamente cosa stava avvenendo intorno a lei. Sentì sollevare il capo mentre del liquido dolce cercava di passare attraverso le labbra serrate, colando lentamente verso il collo.
“Bevete senza timore”. Era una voce suadente che le ordinava di aprire la bocca.
E poi nuovamente sparirono luci e pensieri.

Capitolo 39

Il paggio puntale la mattina successiva ascoltò le parole di Laura. «Il solito posto. Un’ora dopo il sorgere del sole.» , In novembre le giornate sono corte, il sole sorge tardi e tramonta presto ma il cielo spesso imbronciato le fa sembrare ancora più brevi.
La ragazza non riuscì a dormire per l’ansia di riabbracciare Alfonso ma un pensiero continuava a tormentarla. «Perché mia madre ha voluto raccontarmi quel lontano episodio?». Era una domanda che esigeva una risposta ma lei non riusciva a trovarne la motivazione razionale. Poteva non proferire parola né narrarle i dettagli. Poteva tenere per sé quel segreto che nessuno conosceva. Eppure più di una volta ne aveva accennato con allusioni non troppo velate. Pensava di trasmetterle un po’ di esperienza di vita per evitare quell’errore giovanile, che a quanto pareva non fu unico ma ripetuto altre volte.
“Forse vuole confidenze da parte mia? Ma i miei rapporti con Alfonso sono di ben altra natura. Vuole mortificarsi e mettere a confronto le sensazioni della prima volta? La sua è stata traumatica, sicuramente ha lasciato uno strato di dolore interno. La mia è stata dolce. Il duca è un esperto amatore dopo due mogli e le innumerevoli dame di corte passate dal suo letto e le molte meretrici che ha frequentato. Sapeva come prendermi senza violenza ma con la dolcezza. E’ vero ho provato dolore ma senza traumi e blocchi psicologici. Ha aspettato con pazienza dopo diversi incontri finché non mi ha sentito pronta a volare”.
Laura continuava a guardare nel buio e a riflettere su sua madre. Aveva detto che non avrebbe voluto ascoltare il seguito ma non era vero. Avrebbe sollecitato Paola a continuare il racconto, a porle domande precise su come, quando e quante volte. Avrebbe scandagliato le emozioni della madre. Avrebbe voluto conoscere tutto, nei minimi particolari. Però un altro pensiero la angustiava: era quello di Beatrice, che appena tredicenne, aveva perso l’innocenza dei suoi anni. Non riusciva a immaginare quale sensazioni dolorose avesse provato e come la sua psiche ne fosse rimasta sconvolta.
“La povertà riesce a sconfiggere tutte le resistenze dell’anima. Abbruttisce lo spirito e trasforma il corpo in merce di scambio. Sono stata fortunata ad avere dei genitori che mi hanno permesso di restare fuori da queste turpitudini, di osservarle con occhio distaccato”.
Si alzò e guardo fuori dalla finestra. Il cielo era ancora nero e l’alba non troppo vicina. Tornò nel letto nel vano tentativo di assopirsi ma i pensieri continuavano ad aggrovigliarsi nella mente. Si rassegnò e sognò a occhi aperti l’incontro ormai imminente con Alfonso. I tre mesi di assenza, di mancanza di notizie l’avevano sfiancata anche se apparentemente si mostrava distaccata e serena. Dentro di lei ribollivano dubbi e ansie senza che riuscisse a mettere ordine.
“Ora la penitenza è terminata. La quaresima è finita. Posso stringermi a lui, baciarlo e farmi possedere. Questa astinenza ha accesso un desiderio prorompente che non ero più in grado di controllare”.
Si alzò per tempo, si pettinò con cura. Sotto la gamurra di lana pesante indossò un camicione di tela grezza e grossa, mentre sopra avrebbe messo la pellanda per proteggersi dal freddo pungente della mattina. Era impaziente di mettersi in cammino verso Santa Giustina, che sperava di trovare aperta per accendere un cero davanti l’immagine. Finora l’aveva protetta e tutte le sere tra le solite preghiere ne recitava una per la santa quale ringraziamento per come procedeva il rapporto con Alfonso.
La carrozza si presentò puntale a raccoglierla e si diresse verso via dei Piopponi, che percorse fin quasi in fondo per fermarsi di fronte a una casa con la facciata decorata in cotto rosso. Sulla porta l’attendevano un paggio e una serva che l’aiutarono a scendere. Laura osservò con cura questa dimora, tanto diversa dal casale del Verginese ma ugualmente calda. Percepì immediatamente che le sarebbe piaciuta, che si sarebbe trovata magnificamente bene.
“Mi sento a casa” disse sottovoce ammirando il soffitto a cassettoni di legno scuro intarsiato con motivi floreali. I fuochi nei camini crepitavano allegramente dandole il benvenuto. Si accomodò in un ampia sala riscaldata da bracieri e illuminata da molti candelabri in argento. Aspettò con calma apparente l’arrivo del duca.
L’attesa non durò a lungo, almeno questo era stata la sensazione. Lo sentì arriva, udì il suo passo nervoso e deciso e alla fine lo vide sulla porta. Voleva corrergli incontro ma si trattenne mentre lui si precipitava ad abbracciarla con passione.
“Laura” disse abbracciandola con ardore e baciandola sul collo.
!Alfonso, mi siete mancato in tutti questi mesi. Mi pareva di impazzire non potervi toccare, annusarvi, giacere con voi” rispose la ragazza.
Il duca cominciò a sciogliere i lacci che legavano la veste mentre la trascinava verso la camera da letto. Lei freneticamente tentava di aprire il corsetto ma entrambi erano impacciati e impazienti.
I gemiti, i gorgogli di piacere risuonavano nella stanza in un ribollire di coperte d’agnello. Sembravano due affamati di passione che dopo anni si ritrovavano. Non mangiarono nulla. Non avevano intenzione di sprecare un solo attimo. Placata la furia amorosa, rimasero al caldo sotto le pelli a parlare come due giovani amanti.
“Questa dimora” cominciò il duca. “E’ stato il dono di Ercole, mio padre a Rossetti, l’architetto del ducato. E’ la città nova, l’addizione voluta dal duca dopo aver inglobato entro le nuove mura cittadine campagna e orti. Qui tutto è regolare, squadrato senza curve o strettoie. I nuovi e vecchi patrizi si stanno costruendo le ville di città, basse e con ampi giardini o parchi, abbandonando le vecchie case nella città vecchia tortuosa e maleodorante, popolata da meretrici e lenoni. Una città nova nella vecchia che vede il suo confine delimitato dal canale Panfilio e dal corso della Zuecca”.
Laura annuiva ascoltando la voce calda e possente del duca..
“Qui mi piacerebbe col tempo abitare tra il verde degli alberi e il canto degli uccelli, come ero abituava al Verginese”.
“Per voi ho in mente un’altra soluzione ma tutto a tempo debito. Se questa dimora vi garba ve la potrò donare tra qualche anno”.
“Dunque diventate nuovamente padre?” chiese sommessamente la ragazza.
“Sì. La mia consorte, la duchessa Lucrezia è gravida. Nascerà secondo i calcoli dei cerusici e delle levatrici sul finire di giugno. Lei non era troppo soddisfatta mentre io sì. Un altro figlio è sempre il benvenuto” replicò allegramente il duca.
Laura pensò che sarebbe stato bello avere un figlio da Alfonso ma non subito tra qualche anno. Li avrebbe legati ancora più solidamente, mentre l’ombra del racconto interrotto della madre oscurò per un attimo il cielo sereno che splendeva sopra di lei. Poi come era venuto, se ne andò, mentre lasciava il posto a chiacchiere e carezze.
Percepì che quei fili recisi bruscamente qualche mese prima si erano riannodati senza che rimanesse il segno dell’interruzione. Avevano ripreso da quella giornata di metà settembre come se il tempo avesse fatto un balzo in avanti.

Capitolo 38

“Ghitta” chiamò Giacomo con tono imperioso.

“Sono qui, Messere. Cosa posso fare per voi?”.

“Preparate il bagno per Madonna Isabella e chiedetele quali vestiti desidera indossare ..”

“Ma i vestiti sono nelle sue stanze ..” disse sorpresa la serva che non vedeva di buon occhio quel servizio. Temeva gli sgarbi di Zelinda, la cameriera personale della donna.

“Appunto. Le chiedete con garbo cosa indossare e dove si trovano. Li andrete a prendere e l’aiuterete a vestirsi” sorridente scandì con lentezza le parole, vedendo che la ragazza era imbronciata.

“Messere Giacomo, mi basta una tunica pulita per tornare nelle mie stanze. Non vedo la necessità che Ghitta mi lavi e mi vesta” intervenne preoccupata Isabella, ritenendo inopportuno questo servizio.

“Madonna, qui comando io. E voi” si rivolse alla ragazza. “E voi muovetevi in fretta, perché poi dobbiamo fare colazione. Ci sono anch’io da accudire. Devo essere in città per il tocco”.

Isabella era impacciata e imbarazzata al pensiero che Ghitta la lavasse ma aveva compreso che Giacomo era il più forte. L’aveva umiliata rinfacciandole i tradimenti col marchese, offrendole del denaro come se fosse una donna di strada, avendo rapporti non proprio ortodossi inizialmente come pretendeva l’amante attempato. Sembrava che sapesse tutto di loro come se fosse stato presente ai loro incontri.

“E’ vero che successivamente la notte è trascorsa più distesa e serena tanto che alla fine è stato un piacevole intermezzo. Però ora mi ha in pugno. Conosce le mie debolezze e le usa al tempo giusto senza forzature”. Così rifletteva Isabella, accoccolata su Giacomo nell’attesa che Ghitta la chiamasse.

La mattinata volò in un baleno e al tocco Giacomo giunse alla dimora di Eleonora come da accordi. Non era propriamente entusiasta al pensiero che Isabella partecipasse alla misteriosa festa in campagna ma l’aveva promesso incautamente e non poteva far marcia indietro. Pose la domanda alla ragazza.

“Madonna Isabella, la mia consorte” sottolineò col tono della voce il rapporto che c’era tra loro. “La mia consorte chiede di essere invitata alla festa in Diamantina. Non so se sia opportuno che ..”.

“Ci mancava proprio una persona di sesso femminile per la cerimonia notturna. Madonna Isabella ci risolve il problema che come gli altri anni era di difficile soluzione. Io farò coppia con voi. A dama Costanza ho assegnato un certo cavaliere, che potremmo scambiarci nelle quattro notti senza problemi. Forse viene anche dama Giulia .. non preoccupatevi si trascina il suo attuale amante. Sapete che è sposata? Ma tiene un amante quasi fisso da tempo. Le altre coppie le conoscerete sul posto. Per la vostra madonna devo mandare un servo per informarla che è la benvenuta stasera e prendere accordi per andarla a prendere? Naturalmente potrà rimanere finché vuole nel casale”.

“Va bene per il servo per condurla qui. Nel frattempo il mio staffiere rientrando la metterà sull’avviso. A che ora dovrà trovarsi pronta?”

“Per il tramonto. La cena propiziatoria inizia alle nove e poi via coi festeggiamenti. Ma ora godiamoci questi momenti. Stasera ci sarà minore intimità”.

Eleonora cominciò ad armeggiare col corsetto di Giacomo che avrebbe voluto spogliare.

“Madonna, se mi volete in forza stanotte è meglio mangiare qualcosa e oziare. Quella appena passata è stata alquanto faticosa” replicò col viso serio.

La ragazza strinse le labbra.

“La vostra madonna è così focosa da mettervi fuori combattimento?”

“No. Sarebbe troppo lungo da spiegare e poi non penso che possa interessare i miei rapporti con madonna Isabella” rispose sorridente, mentre la stringeva con ardore.

“E sia come dite. Ma non pensate di rispettarmi come una sorella e di dormire stanotte. Sarà una festa speciale e una nottata ancora di più”.

Isabella era in fibrillazione, eccitata al pensiero della festa notturna. Era da molti anni che non partecipava a questi eventi. L’ultima volta era stata prima della nascita di Beatrice, la primogenita. Una nube nera oscurò per un attimo la mente, pensando che assomigliava come una goccia d’acqua a Abramo, il commerciante di stoffe, l’ebreo affascinante al quale aveva ceduto più di una volta. Non era il momento di ricordare, doveva sbrigarsi, perché il tramonto sarebbe arrivato in fretta.

“Cosa indosso per la sera?” si chiese guardandosi allo specchio.

“Giacomo ha detto, e gli credo perché era sincero, che il vestito blu era uno splendore. Ne ho un altro rosa e azzurro con una scollatura ancor più generosa. Al collo metto la collana di topazi e agate gialle. La solita crocchia con la treccia va più che bene con un filo di perle”.

Stava chiamando Zelinda per il bagno, quando ripensò alla mattina.

“Ghitta mi ha rilassata e profumata come una rosa. Sarà lei a lavarmi con l’aiuto della mia cameriera”.

La fece chiamare anche se visibilmente mostrava la sua contrarietà. Isabella non disse nulla. Percepiva già che la tensione stava sparendo dopo il bagno e i massaggi con unguenti profumati.

Si ammirò davanti allo specchio e si domandò se sarebbe ancora piaciuta, perché ultimamente frequentava solo persone più vecchie di lei.

Notò una piccola ruga sui bordi degli occhi e cambiò umore.

Il servo di Eleonora giunse puntuale per accompagnarla in Diamantina, dove arrivò con le prime ombre della sera.

La donna, scesa dalla carrozza, ebbe un attimo di scoramento. Le altre invitate erano giovani o giovanissime. Non avrebbe potuto competere con loro. Si sentiva vecchia con i primi segni sul viso. Nessuno venne ad accoglierla: percepiva di essere una nota stonata nel contesto, avrebbe voluto riprendere la carrozza e tornare nel suo palazzo. Cercò con lo sguardo Giacomo, perché non conosceva nessuno all’infuori di lui. Mentre si muoveva agitata e dubbiosa, venne trafitta dagli sguardi focosi di qualche cavaliere. Comprese di essere ancora piacente e si rilassò. L’ansia era sparita.

“Non sono da buttare” si disse eccitata al pensiero di attirare le voglie di giovani ragazzi, che la spogliavano con la vista.

Si aggirò inquieta e euforica per il parco, illuminato da torce e grandi candelabri, che creavano effetti speciali tra gli invitati.

“Madonna” udì alle spalle una voce maschile. “Non vi ho mai visto. Chi siete? Siete un sogno o una realtà?”

Si girò verso un cavaliere che l’osservava con gli occhi, che la denudavano, e stava per rispondere, quando si sentì chiamare «Madonna Isabella, siete la benvenuta» e prendere per un braccio.

“Dama Eleonora non mi presentate questa splendida madonna? Dove l’avete scoperta?” chiese l’uomo che l’aveva avvicinata poco prima.

“Messere, dopo, dopo. Avrete il tempo per conoscerla a fondo. Ora le devo dare il benvenuto” replicò la padrona di casa, spingendola verso l’ingresso.

Isabella guardò questa fanciulla, molto più giovane di lei.

“Non potrò mai competere con lei. Giovane, fresca, senza rughe. Cosa possono pretendere da una donna di trentacinque anni?” rifletté entrando in casa.

“Dame e Messeri!” disse con voce forte e decisa. “Ecco l’invitata di riguardo della nostra festa. Sarà al centro dei nostri festeggiamenti” e la lasciò sola la centro della sala.

Isabella si sentiva imbarazzata, oggetto di sguardi e valutazioni di tanti giovani. Le guance assunsero un colore rosato per l’emozione e la lingua si arrotolò in bocca.

Una giovane dama si staccò dal gruppo per baciarla sulla bocca, seguita dal resto degli invitati. Solo Giacomo non era presente in quella processione di benvenuto. Si domandò dove fosse. L’imbarazzo cresceva, perché non comprendeva i motivi di tante attenzioni e nel contempo cresceva la stima delle proprie capacità di attirare gli sguardi lascivi di tanti uomini. Non era mai capitato prima di questo momento che tante persone di sesso maschile provassero per lei desiderio e stimolo sessuale. Alle feste di corte, organizzate in onore di qualche ospite speciale, si era sempre ritrovata con uomini che la osservavano come un oggetto semplicemente da portare a letto per sfogare gli istinti più bassi. Questa sera veniva considerata come una donna appetibile da conquistare.

“Venite, madonna” disse Eleonora prendendole una mano, mentre l’accompagnava verso una lunga tavolata.

Si ritrovò seduta su una poltrona di legno e pelle nera che pareva quella di un principe. Alla sua sinistra stava un’altra uguale che al momento era vuota. Da quella postazione leggermente sollevata poteva dominare le due tavole che lentamente venivano occupate dai commensali. Alla sua destra stava sorgendo una luminosa luna piena rosata che avrebbe illuminato il giardino. Il cielo limpido si stava riempendo lentamente di stelle. Isabella in silenzio ascoltava il brusio di quelle voci giovanili e scrutava i loro visi alla ricerca di Giacomo, che scovò seduto di fronte a Eleonora. Un moto di gelosia avvampò il suo viso. L’aveva ignorata preferendo le grazie di quella giovane fanciulla sicuramente avvenente. Mai una volta girò verso di lei.

Un liuto annunciò l’ingresso di una misteriosa figura di uomo dalla chioma e barba fluente che si sedette accanto a lei.

“Chi è” si chiese, osservandolo.