Senza titolo

II

Tutto mi urta:
il suono dei passi strascicanti,
il sussurro del cielo imbronciato,
l’inutilità della gente senza capo.
Fossi lontano da tutti
per sfogare questo malessere,
che mi invade.
Fossi nel più paurosi dei silenzi
per impazzire al pensiero
di essere solo.
Fossi capace di urlare al mondo: LADRO,
per dimostrare la superiorità
di essere un uomo che pensa.

IV

Volendo pensare,
domando a me stesso:
a cosa penso?
perché penso?
Tutto sarebbe più facile,
se non volessi pensare.
E’ l’elemento razionale,
che  travolge l’esistenza.
Ecco perché vorrei impazzire per te!
Ecco perché non vorrei più ragionare per te!
Questo non lo potrò mai fare!
Questa è la mia punizione,
che mi sono serbato
per essermi accorto di amare te.
Così crederò, insano,
di amareggiarti,
perché penso:
“non potrà dire mai:
‘E’ impazzito per me’

Ballons 2008Il 2008 è alle porte ed auguro a tutti gli amici un 2008 ricco di soddisfazioni e sereno!
                               ORSO


 natività

Auguri! Felice Natale a tutti gli amici!
                ORSO

La neve

Minuscoli frammenti
del cielo
bagnano
e pungono
il mio volto.
Strani suoni
scricchiolanti
salgono dalla terra
calpestata dai miei piedi.
Tra turbinii
di stelle di cristallo
scorgo il tuo volto,
mentre incerto
mi viene incontro.
Ti guardo,
ti ascolto,
ti assaporo
come un frutto.
Come ti amo.

Epilogo

Al termine di quella giornata di amore Goethe e Angelica promisero di scriversi, come fecero per circa un anno e mezzo, perché un giorno lui sarebbe tornato a Roma a prenderla.
 

Roma, il 5 Agosto 1788, martedì
Lei dirà ancora una volta dei sogni, ma io so che Lei mi perdonerà. La notte scorsa mi sono sognata che Lei era tornato. La vedevo arrivare da lontano e Le sono corsa incontro sino alla porta di casa, ho afferrato entrambe le sue mani e le ho premute sul mio cuore così forte che mi sono svegliata, me la sono presa con me stessa per avere sentito la mia felicità sognata con troppa violenza tanto da abbreviarmi così il piacere. Ma sono contenta di questa giornata perché oggi ho ricevuto la Sua cara lettera del 19 luglio. Il fatto che Lei nonostante le tante distrazioni, gli affari e gli amici ritorni con lo spirito a Roma, non mi meraviglia, che Lei si ricordi di me è un segno della Sua bontà per la quale Le sono infinitamente grata. Mi rallegra il fatto che Lei stia bene e Le auguro una ininterrotta serie di giorni piacevoli. Io vivo la vita con la speranza di una migliore. Caro amico, quando ci vedremo di nuovo? Vivo sempre tra timore e speranza è purtroppo è più timore che speranza, ma debbo tacere, a che serve lamentarmi. Lei vuole sapere a cosa sto lavorando. Ho finito le seguenti opere: il ritratto di Lady Harvey, il ritratto del cardinale Rezzonico per il senatore e oggi ho terminato il Virgilio. Sono molto contenta della preparazione in chiaroscuro, il pezzo ha molta forza e i colori sono riusciti molto diafani. Ho lavorato abbastanza e cerco di fare del mio meglio – per fare questo devo immaginare che è domenica e che Lei viene nel mio studio – ah, i bei tempi! La lettera del suo giovane amico mi ha molto rallegrato, mi fa piacere anche sapere che il signor Keiser tornerà e che conoscerò anche il signor Herder. Ma Lei non verrà,questo è l’eterno dolore e la mia angoscia. Stia bene e non si dimentichi di me.
La onoro e La adoro con tutto il cuore.
Angelica.

 
Così Angelica scriveva a Goethe, che era tornato a Weimar nel giugno 1788, una lettera traboccante di pathos e di amore represso nel ricordo del periodo in cui si erano frequentati con assiduità durante il lungo soggiorno romano del poeta.
Lei soffriva la lontananza

Il ritorno a casa

Venne l’autunno e poi l’inverno, mentre aveva completato il suo autoritratto, rimasto a lungo sotto un candido telo di lino. Il ritratto del poeta giaceva malinconico in un angolo, coperto da un velo trasparente.
I rapporti tra loro si stavano raffreddando, come la stagione incipiente, anche se continuavano a frequentarsi con regolarità.
Goethe sentiva che era giunto il momento dell’addio: la nostalgia della patria, di Weimar stava diventando troppo insopportabile.
Angelica aveva capito che la storia stava terminando e che non sarebbe riuscita a trattenerlo.
“Sento un vuoto dentro di me. L’amore mi consuma, ma Wolfgang non lo alimenta più col necessario vigore. Anche se non lo dice apertamente, ha deciso di partire di tornare in patria. Riuscirò a sopravvivere alla sua partenza?”
L’angoscia si impadroniva di Angelica, che aspettava con ansia la decisione del poeta, che tardava ad arrivare.
Si consumava lentamente, giorno dopo giorno, in uno stillicidio di vane speranze e tristi presentimenti, trascurando i suoi lavori.
All’inizio del 1788 Goethe cautamente cominciò a parlare di un suo possibile rientro a Weimar, adducendo come pretesto certe lettere del duca Karl August, che gli chiedeva di riprendere il governo del minuscolo ducato.
“Angelica, mia cara, “ diceva il poeta, “non vorrei lasciarti qui, ma prenderti con me! Non riesco a decidermi nella risposta al mio Duca, perché vorrei restare qui accanto a te. Anche la duchessa Anna Amalia mi scrive chiedendomi di tornare, perché vuole ascoltare dalla mia voce il racconto di questo viaggio alla scoperta dell’Italia e del bello, dove ho trovato una donna meravigliosa sia per bellezza sia per capacità artistiche”.
Angelica sapeva che erano solo lusinghe che laceravano la ferita che si stava aprendo dentro di lei.
“Wolfgang, non mentirmi”, rispose con la voce rotta dall’emozione, “non mentirmi. Stai preparando l’addio e non sai come dirmelo.”
Il poeta capiva che l’innamoramento stava svanendo, come già in passato era capitato.
Forse quel viaggio non era stato programmato per sfuggire alle insistenze di Charlotte?
“Non posso mentire a me stesso,” pensava con apprensione mista ad ansia, “non posso mentire nemmeno a lei, che ha capito. Però io ho necessità di riacquistare la mia libertà psicologica, di non avere legami stabili. Poi lei è sposata, ho conosciuto il marito, Antonio Zucchi, le chiacchiere sulla nostra relazione stanno serpeggiando tra gli amici comuni. Posso trattenermi ancora qui?”
Si avvicinò ad Angelica, stringendola a sé per fugare quei dubbi, sapendo che era un atto inutile.
Lei lasciò fare senza opporre resistenza: “Vuole convincermi che le mie paure sono infondate, ma tutto è inutile. Lo so. Lui vuole tornare libero, andarsene di soppiatto come oltre due anni fa ha fatto partendo da Karlsbad! Però godiamoci questi ultimi sprazzi d’amore. Dopo sarà il vuoto dentro di me, dentro la mia vita. Saprò dimenticarlo? Saprò cancellarlo dalla mia esistenza?”
Goethe la trascinò sul divano, ma lei disse: “Wolfgang, no! Non qui! Andiamo di sopra!”
Salirono in silenzio e giacquero sul letto sempre pronto ad accoglierli.
I giorni passavano, mentre la primavera si avvicinava. In silenzio il poeta cominciò a raccogliere le sue cose: i manoscritti delle opere, le bozze delle poesie, gli appunti del viaggio, i disegni e tutti i ricordi accumulati in questi due anni.
Continuò a frequentare Angelica, a girare per Roma con lei, che al suo passaggio suscitava sguardi di ammirazione e saluti dai passanti.
Angelica soffriva il distacco annunciato in silenzio, ma no dichiarato da Goethe.
“Mein Gott! Perché devo patire questi tormenti dell’anima? E’ forse la punizione divina del tradimento verso il marito? Vorrei che il giorno non arrivasse mai! Ma arriverà e deflagrerà con una forza immane dentro il mio cuore!”
Ormai il tempo volgeva al bello stabile ed era favorevole all’inizio del viaggio di ritorno.
Un pomeriggio di fine marzo 1788 Goethe arrivò allo studio di Angelica, che stava lavorando al quadro di Virgilio per non pensare al distacco.
“Angelica, mia adorata!” esordì, “Stamani ho ricevuto una pessima lettera dal mio Duca, che mi ordina di tornare sollecitamente a Weimar per riprendere le cure del governo del ducato. Mi è crollato il mondo addosso! Sono rimasto affranto tutta la mattina. Quindi in fretta e furia devo preparare i bagagli e partire”.
Angelica prese a piangere silenziosamente senza voltarsi verso di lui: “Wolfgang, non mentire, ne sei incapace! E’ arrivato il momento dell’addio tanto annunciato, tanto negato tenacemente da te. Concedimi l’ultimo afflato d’amore senza dire nulla. Vieni e saliamo per l’ultima volta quelle scale, che hanno conosciuto il nostro amore. Ti prego, resta in silenzio e in silenzio esci dalla mia vita”.
Deposti i pennelli, si avviò verso quelle stanze dove si era consumato un amore impossibile, aspettandolo di sopra.
Si era chiusa una parentesi della sua vita.

(parte diciottesima)

La storia continua

I giorni si snodavano leggeri e quieti, mentre i due amanti erano sempre più uniti.
Goethe trasformò Iphigenie in Tauris in un’opera teatrale, la lesse dinnanzi ad Angelica, che paziente ascoltò il testo. Poi si dedicò ad immaginare le scene, che dipinse con la consueta maestria, mentre il poeta era soddisfatto del lavoro riuscito.
Il viaggio in Sicilia era servito a lui per ritrovare la vena poetica e una splendida amante, a lei per rinsaldare il vincolo amoroso.
Angelica non riusciva a lavorare molto allo studio, perché spesso accompagnava Goethe in giro per la città che conosceva bene e perché il suo italiano perfetto le consentiva di tradurre i pensieri del poeta.
L’unica opera importante, iniziata durante l’assenza di Goethe, era il ritratto del principino di Gloucester e di sua sorella, che terminò con un po’ d’affanno alla fine dell’estate come quello della baronessa de Kruederer, perché era sempre impegnata con lui.
Il poeta non aveva trovato di suo gradimento il suo ritratto, perché era troppo semplice e non solenne come quello dell’amico Tischbein. Tuttavia l’accettò sia pure senza troppo entusiasmo, lasciandolo nello studio di Angelica.
“Angelica,” disse Goethe, guardando quel ritratto ormai terminato sul cavalletto, “ mi avete ritratto troppo modestamente. Sembro dimesso e senza importanza”.
“Wolfgang,” rispose la donna “io ti vedo così: bello, giovane e dai lineamenti nobili. Ti sembra troppo dimesso? Allora lascialo, lì sul cavalletto, affinché io lo possa ammirare, quando un giorno tu deciderai di tornare a Weimar. Si, lo so e lo sento, che tra un po’ affronterai il viaggio di ritorno. Non dire nulla! Così posso cullarmi nell’illusione che tu resterai sempre qui con me”.
Goethe stava per replicare, ma tacque, perché sapeva che tra non molto avrebbe cominciato i preparativi per tornare in Sassonia, a Weimar.
Si avvicinò ad Angelica, la prese tra le braccia baciandola con passione, mentre lei si lasciava trasportare dai sensi.
“Si, lo sento che Wolfgang sta meditando il ritorno a casa. Lo sento inquieto, stanco del girare per Roma. La vena poetica si sta affievolendo a poco a poco. Ora scrive pochissimo, qualche ritocco in qua e in là. Riuscirò a sopravvivere senza di lui, senza la sua presenza, senza il suo corpo nel mio letto? Io sento amore per lui dentro di me, che arde alimentato dalle mie mani, dalle sue mani. Adesso sono solo le mie che aggiungono della legna per tenere vivo il fuoco della passione. Mi sta baciando con passione. Ma è vera passione la sua? Mi ricordo quei versi che ho ascoltato tempo fa ‘
Ob ich dich liebe, weiss ich nicht’ Si, se mi ama non lo so!”
Dopo quel lungo bacio Angelica si staccò da lui e lo prese per mano per condurlo di sopra nel grande letto che aspettava impaziente il caldo dei loro corpi.
“Godiamoci ancora questi momenti finché lui è qui e mi desidera ancora! Verranno tempi che io starò sola in queste stanze coi miei pennelli, i ritratti di tanti committenti nobili senza potere assaporare la passione, l’esser donna innamorata e trepidante” questi erano i pensieri che si accavallavano nella sua mente con tristezza e nostalgia, mentre salivano le scale per consumare alcune ore di passione.
Era una fresca giornata di Settembre ancora soleggiata e calda, quando Angelica volle condurre Goethe a visitare il famoso palazzo Barberini, ospiti di Cornelia Costanza.
Il palazzo era famoso per le numerose tele che adornavano le grandi stanze poste al primo e secondo piano e l’ampia scala elicoidale del Borromini.
“Wolfgang, questo è uno dei più belli di Roma. E’ ricco di quadri ed affreschi, ma non voglio toglierti la soddisfazione di vederli filtrati dal mio gusto estetico. Cornelia è rimasta vedova da pochi mesi ed è tornata nel suo vecchio appartamento, dove ci riceverà. E’ una donna minuta, apparentemente fragile, ma dal carattere deciso ed orgoglioso. Ti stupirà!”
Il cancello era aperto per accogliere gli ospiti: un rigoglioso giardino all’italiana li accolse con  cespugli di rose di tutti i colori, mentre un’imponente magnolia ombreggiava una parte.
Sembrava un tipico palazzo cittadino, ma l’ampio giardino, che circondava la costruzione, e lo spazioso cortile faceva pensare ad una bella villa suburbana. All’interno dello spazio chiuso da alte mura c’era un teatro dove si svolgevano rappresentazioni teatrali o musicali. Nell’ingresso furono accolti da Cornelia, che fece gli onori di casa.
“Nobildonna Cornelia, “ disse Angelica, che già la conosceva, “questo signore è Johann Wolfgang Goethe, il famoso poeta tedesco, che è venuto in Italia per ammirare Roma, i suoi monumenti e le tutte le opere ivi ospitate”.
Goethe fece un perfetto inchino baciando la mano della donna, dicendo in un italiano approssimativo: “Entrando ho ammirato uno spettacolo inaspettato passando dall’esterno. Un giardino meraviglioso, un ingresso degno di un principe e Voi, mia signora, che saluto e ringrazio per il cortese invito”.
Cornelia fece strada per lo scalone elicoidale fino al suo appartamento, mentre gli ospiti a naso insù osservavano stupefatti gli affreschi che abbellivano gli alti soffitti.
La padrona di casa fece ammirare la collezione di quadri e di mobili, anche se si lamentava che per via dei lasciti testamentari molti quadri erano stati alienati, visitando anche l’enorme biblioteca che occupava il secondo piano di un’intera ala.
Trascorsero l’intera giornata in quella splendida dimora.
Mentre accompagnava Angelica verso la sua casa sul Pincio, Goethe disse: “Quella Nobildonna è veramente straordinaria. Ha un vigore del tutto insospettato. Poi ha una cultura del bello che mi ha ammaliato, ben degno di un principe!”
“Si, Wolfgang, “ continuò Angelica, “come ti avevo preannunciato, è colta e raffinata. L’ho conosciuta appena arrivata a Roma ed abbiamo stretto una cordiale amicizia”.
Giunti dinnanzi al portone si salutarono augurandosi una serena serata.

(parte diciassettesima)

Fine del racconto

La parte sedicesima del racconto sarà l’ultima, terrò chiuse nel cassetto senza pubblicarle le ultime due.
Lascio un po’ di curiosità a chi con pazienza ha letto tutte le altre. Così ognuno può liberare la propria fantasia sulla parola fine.
Il blog era nato per pubblicare solo poesie e torna alle origini.

I pensieri

Mi domando
dove volano i pensieri,
tra nuvole bianche
e sbuffi di sole.
Sono leggeri
ed eterei
che si stagliano
come sentinelle
delle mia mente.
Penso
e quindi ripenso
a te,
che mi fai
da compagna
da tanti anni