La vacanza

Il viaggio fu piacevole tanto che le sembrò brevissimo. Osservò la campagna assolata che sfilava veloce dal finestrino, il Po che pigramente scorreva sotto il ponte della ferrovia, le stazioni grande e piccole che salutavano il suo passaggio.
Poi si inerpicò lungo i contrafforti appenninici addentrandosi nelle viscere buie delle gallerie, finché fischiando non si fermò in Santa Maria Novella a Firenze.
Durante il viaggio aveva ricapitolato tutte le istruzioni di Silvia: era rimasta fuori solo la chiamata ai genitori, che non avevano risposto. Non era un grosso problema, perché avrebbe riprovato all’ora di cena.
Aveva ripensato a tutti gli avvenimenti della mattina dal sentirsi sola alla telefonata provvidenziale dell’amica. A mente lucida si rendeva conto che era stata molto impulsiva nel mandare quel messaggio ambiguo ma esplicito. Pentirsi era inutile, come fingere che non fosse successo nulla. Sul telefono c’erano diverse chiamate senza risposta di Matteo, che inutilmente aveva cercato di mettersi in contatto con lei, e c’era un SMS laconico ma secco “Chiamami”.
Però lei se ne era ben guardata dal richiamarlo, anzi ogni motivo che annunciava una telefonata era fonte di disagio e nervosismo. Così decise di chiuderlo nuovamente finché non fosse arrivata a Firenze. Voleva, prima di parlare con lui, aprirsi con Silvia, che sicuramente sarebbe stata in grado di darle buoni consigli.
Il pensiero dell’amica le fece tornare in primo piano quella telefonata non sollecitata ma tanto gradita. Aveva sentito parlare di premonizioni, di sesto senso, di intuizioni sensitive, ma mai aveva toccato con mano questo aspetto misterioso e indecifrabile che fa esclamare “Me la sentivo”.
Mentre il treno correva veloce verso Firenze in una giornata calda e soleggiata d’agosto, Micaela aveva cominciato a scavare dentro di sé alla ricerca di segnali certi di queste sensazioni premonitorie. Era sicura di aver conosciuto una persona mai vista o di essere già stata in un certo posto, ma aveva attribuito queste sensazioni all’immaginazione fervida che aveva.
Un giorno passeggiando in Prato della Valle le sembrò di essere andata a ritroso nel tempo all’epoca della Serenissima quando i nobili padovani scivolando sul Brenta raggiungevano Venezia. Un senso di angoscia l’aveva presa alla gola, mentre il cielo si riempiva di nuvolaglia nera che non prometteva nulla di buono. Un violento fortunale si stava abbattendo su di lei, che finita nel Brenta annegava. Lanciò un urlo d’aiuto e s’accorse che tutti la stavano guardando stupiti ed incerti sui motivi del suo grido. Il viso si imporporò per avere richiesto un soccorso che stava solo nella sua mente. Mormorando alcune frasi di scusa e rassicurazione si allontanò velocemente per sottrarsi alla curiosità dei passanti. Una pesante cappa di angoscia gravava su di lei mentre non riusciva a distogliere la mente da quella immagine che la vedeva scivolare sotto le acque nere del fiume. La sensazione della mancanza di ossigeno era terribile, sentiva l’acqua entrare nelle narici, in bocca, mentre la vista si appannava e diventava tutto buio. Si interrogò a lungo per trovare una risposta razionale a quell’episodio angosciante senza trovare una spiegazione convincente optando alla fine per lo stress degli esami. Altre due o tre volte si trovò coinvolta in episodi dove l’acqua era l’elemento predominante anche se per fortuna erano stati meno cruenti di quello immaginato in Prato della Valle.
Giunse alla conclusione che in una delle precedenti vite vissute aveva avuto a che fare con l’acqua e mai in modo positivo. Poi dimenticò tutto mentre queste sensazioni lasciavano il posto a pensieri più piacevoli.
Ora, mentre viaggiava verso una vacanza insperata e non programmata, le tornavano alla mente tutti questi episodi ed altre percezioni che non era riuscita a catalogare con certezza e razionalità.
“Quante volte mi sono detta che il mio intuito mi ha guidato nella scelta” si diceva mentalmente ripercorrendo quegli istanti “E’ stato solo intuito oppure era preveggenza?”
Ora non ne era più tanto certa, perché ricordava certe passeggiate notturne per la casa evitando gli ostacoli disseminati sulla sua strada. Eppure era sicura che non vedeva altro che buio, né i contorni degli oggetti, né la loro disposizione.
In maniera inspiegabile il giornale abbandonato sul sedile di fronte era aperto casualmente su un un articolo che parlava del sesto senso che esisteva veramente e non era paranormale. L’aveva letto ed era rimasta scioccata sul contenuto.
“Diamine!” esclamò silenziosamente “E’ casuale pensare ad episodi e sensazioni misteriose, mentre sotto il mio naso stava proprio un articolo che parla di questo?”
Era ancora tutta assorta in queste riflessioni, quando sentì la voce gracchiante dell’altoparlante che annunciava l’imminente arrivo a Firenze.
Raccolse la borsa, il giornale spiegazzato e alcune riviste preparandosi a scendere, mentre cancellava dalla mente tutti i pensieri.
“Basta pensieri!” si disse “Sono in vacanza e voglio goderla tutta”.
In fondo al binario vide Silvia che agitava una mano in segno di saluto di fianco ad un uomo che identificò per Gianni.
Accelerò il passo per poterla abbracciare.
(Capitolo 13)

Il messaggio

Il messaggio era comparso non per una magia strana, ma perché lei l’aveva richiamato dalle viscere del telefono. Però gli occhi non volevano leggere mentre voleva sapere.
Tutto durò una frazione di secondo, poi pensiero, vista, sentimenti furono un tutt’uno e all’unisono cominciarono ad imprimere vocali e consonanti che formavano le parole nella retina ricomponendo il messaggio.
“Tra dieci giorni sarò da te. Matteo”.
Micaela osservava il messaggio e taceva, lo rileggeva e non pensava, era ipnotizzata dal telefono come dagli occhi del mago.
“Quanto tempo è passato?” si domandò incredula, mentre le noti di “un senso di me” di Elisa si diffondevano per la stanza.
Il panico l’avvolse completamente come la tela del ragno avviluppava la preda che incautamente si era avvicinata troppo.
Era certamente Matteo che stava facendo sentire la sua voce, ma “La voglio ascoltare?” si domandò ancora una volta mentre il suono continuava assordante per i timpani.
Meccanicamente premette il tasto verde e appoggiò il telefono all’orecchio, mentre una voce familiare veniva percepita dalla mente.
Era Silvia, che per un misterioso sesto senso veniva in soccorso dell’amica.
“Sei diventata muta?” disse ridendo.
Micaela trasse un profondo respiro, perché l’ansia le aveva ottenebrato la vista e cominciò a parlare dapprima titubante, perché non era certa di sentire chiara e forte la voce dell’amica, poi sempre più franca come l’onda di piena si precipitava a valle rombando.
Silvia le raccontò che si era appena svegliata confortata dal calore di Gianni, quando aveva percepito nella mente che Micaela aveva necessità di parlare con lei. Dapprima stentava a credere di essere desta, perché le sembrava inverosimile di aver captato in modo corretto questa richiesta di aiuto senza segnali od indicazioni certe. Poi questa sensazione era diventata sempre più forte e cogente e così aveva chiamato.
“Come hai intuito che sentivo il bisogno di confidarmi con te?” chiese ancora una volta Micaela “La testa era confusa, i pensieri correvano impazziti, ma io non ho pensato a te così intensamente” proseguì incredula ma felice di sentire quella voce amica e rassicurante.
“Me lo sentivo” rispose laconica Silvia “Racconta. Ma no, come stai? Sei in ferie? Se vuoi c’è ancora un posticino libero nell’agriturismo dove siamo. Raggiungici a …”.
“No, non è giusto che abbiate una single tra i piedi” la interruppe e cominciò a raccontare.
Il discorso era confuso, sconclusionato, senza nessun ordine temporale così come i pensieri che fluivano fuori caoticamente.
“Calmati. E riprendi dall’inizio. Non ci sto capendo nulla” riprese Silvia “Prepara la valigia, chiudi la casa e prendi l’Eurostar per Firenze. Là sarò a prenderti”.
“Ma.” balbettò Micaela. “Niente ma” la zittì l’amica “Sei in stato confusionale. Questi dieci giorni saranno benefici. Lo stress ti sta ammazzando”.
Continuava a domandarsi per quale strana premonizione le aveva telefonato intuendo il suo stato di disagio e faticava a seguirla nelle istruzioni cosa prendere con sé, quale treno, dove scendere, cosa fare.
“Hai capito tutto?” le chiese alla fine.
“No!” fu la risposta laconica e tremolante di Micaela che distratta da mille pensieri aveva divagato pensando al messaggio di Matteo, ai genitori ignari dei nuovi progetti, a come Silvia aveva percepito il suo affanno. Un nuovo pensiero la mise in ansia: non aveva denaro sufficiente per una vacanza o almeno così credeva.
“Ascoltami!” disse spazientita Silvia ” prendi la moleskine, la penna e comincia a scrivere senza pensare ad altro”.
Le rispose che non poteva venire, perché non aveva denaro sufficiente per la vacanza. Mentre diceva questo, le guance erano diventate rosse per l’imbarazzo e la voce si era incrinata per la vergogna di ammettere di non potersi permettere dieci giorni di ferie.
“Sciocca” le rispose ridendo “Per me paga Gianni. Quindi io posso pagare per te! Hai soldi sufficienti per pagarti il treno?” E poi cominciò a dettare tutto quello che doveva fare nella mattinata.
“E un’ultima cosa.” le disse perentoria Silvia “Spegni il telefono e tienilo spento finché non sei sul treno. Così non ti vengono altre tentazioni. E’ sufficiente seguire tutte le istruzioni. A dopo”.
Micaela guardò il telefono mentre si spegneva ancora incredula per tutti gli avvenimenti che si erano susseguiti da quando aveva aperto gli occhi.
Era ancora in camicia da notte ripensando allo scambio di SMS con Matteo, alla telefonata provvidenziale dell’amica, a dieci giorni di ferie in un agriturismo vicino a Siena, al lungo viaggio che l’attendeva e alla giornata che era solo all’inizio.
Se voleva prendere quel benedetto Eurostar doveva sbrigarsi e molto in fretta senza pensare a niente.
Ci sarebbe stato tutto il tempo per riflettere durante il lungo viaggio verso Firenze.
(Capitolo 12)

Riflessioni agostane

Aveva appena premuto invio che immediatamente era pentita come la prima volta quando gli aveva dato il numero.
“Se fosse in un qualche atollo sperduto del Pacifico sollazzato da una bella polinesiana,” diceva poco convinta Micaela “non leggerebbe il mio messaggio”, ma tra poco avrebbe dovuto ricredersi, perché non era in un atollo della Micronesia.
Si interrogava sulla molla che la spingeva a cercare Matteo e perché sentiva dentro di sé un’attrazione quasi incontrollabile verso di lui.
Era riuscita a resistere quasi un mese a non rispondergli, a non pensare a lui, a dimenticarlo fisicamente, poi nello spazio di un minuto aveva composto il messaggio senza rileggerlo spedendolo immediatamente prima di avere il minimo ripensamento.
Era nel letto con una leggerissima camicia da notte che frusciava sul corpo accaldato con carezze morbide e sensuali. Rifletteva e assaporava il piacere del tessuto sulla pelle, era stato forse questo contatto a risvegliare in lei il desiderio di Matteo o forse la tensione di quel mese intenso che era evaporata durante la notte come il sudore dal corpo.
Rifletteva. Era stata la cocciuta determinazione a non concedersi distrazioni, la chiave del successo, l’avere centrato l’obiettivo di quella estate calda ed asfissiante: avere in tasca il titolo della tesi.
C’erano ancora molti dubbi, molti punti interrogativi sul come avrebbe svolto il tema, con quali contenuti avrebbe riempito i fogli, ma conosceva l’argomento e questo le era sufficiente.
Rifletteva. Come avrebbe incastrato Matteo nel mosaico che stava componendo per il futuro, non le era ancora noto. Si domandava se la presenza di lui non fosse stata troppo ingombrante e dispersiva per il ruolino di marcia che si era imposta fino al febbraio del prossimo anno.
Questo era un punto importante, uno snodo cruciale, che doveva affrontare con la mente sgombra dal altri pensieri o non offuscata da emozioni e sentimenti. Ci sarebbe riuscita oppure sarebbe stato un flop colossale, ma non lo sapeva o almeno credeva di ignorarlo.
Rifletteva. Non le erano ancora chiari, quali sentimenti provava per quel uomo. Era innamoramento o era amore? Come poteva distinguere l’innamoramento dall’amore? E l’innamoramento cos’era?
Domande su domande senza risposte certe, mentre una sottile lingua d’angoscia si insinuava subdola nella mente di Micaela. Quel senso di euforica contentezza con la quale si era svegliata lasciava il posto all’ansia della solitudine e del dubbio.
I genitori erano lontani, Silvia era partita da qualche giorno con Gianni, la compagnia dei compagni di lavoro si era disciolta da qualche ora, Matteo non sapeva dov’era, lei si sentiva accerchiata dal silenzio e dalla solitudine.
Rifletteva. Lo scoramento stava prendendo il sopravvento sulla determinazione feroce che l’aveva sostenuta finora, quando un trillo le annunciò l’arrivo di un messaggio.
Si stava domandando perché aveva scritto “Mi sento sola e vorrei la tua compagnia”, testo ambiguo e sicuramente non veritiero, ma ormai la frittata era fatta senza possibilità di rimedio.
Quel trillo era come la fucilata per il condannato a morte. Aspettò, controllò il respiro che si era fatto affannoso, calmò i battiti del cuore che aveva accelerato il ritmo. La mente era in subbuglio con tanti pensieri contrastanti tanto che pareva un formicaio assalito da un nemico invisibile.
“Lo leggo o lo cancello?” si poneva come domanda insistente mentre la parte irrazionale si esercitava a braccio di ferro con la volontà decisa a resistere alla tentazione.
“Se lo leggo, saprò conservare la lucidità?” era la seconda domanda che esigeva una risposta.
“Perché mi pongo tutte queste domande?” farfugliò mentre guardava il display “Ricevuto messaggio – Leggi”
Sapeva perfettamente chi l’aveva inviato, perché era stata lei a sollecitarlo.
Però era terrorizzata dal leggerlo, perché temeva che la risposta fosse “Dovevi pensarci prima”. E se invece c’era “Tra un’ora sono lì da te”, come avrebbe reagito: contentezza o disappunto.
La confusione nella testa era totale, le pareva che fosse il mercato di Prato della Valle vociante ed assordante, dove a stento si riusciva a camminare.
Micaela si agitò nel letto appoggiata allo schienale col telefono in mano, mentre sentiva la camicia accarezzarle la pelle accenderle il desiderio.
Pigiò il tasto “leggi” e il messaggio comparve.
(Capitolo 11)

La seconda prova

Era una sera di metà agosto, quando Micaela decise di chiamare Matteo.
Non aveva risposto al messaggio, perché era fermamente decisa di non lasciarsi distrarre da altri pensieri. Doveva dare quell’esame fondamentale per l’assegnazione provvisoria della tesi e superarlo con un’ottima votazione. Questo era l’obiettivo prima della pausa estiva.
Quindi non c’era posto nella testa per qualcosa che fosse diverso dallo studio; si era gettata a capofitto concentrata e determinata, chiudendosi nella stanza, spegnendo il telefono e Ipod, uscendo solo alla sera per incontrare Silvia per disintossicare la mente da formule, figure, disegni. Sembrava una reclusa che prendesse l’ora d’aria.
Gli altri diventavano scuri nel volto e nel corpo, belli ed abbronzati, Micaela impallidiva sempre più per far concorrenza alla luna. Era smagrita, il viso si era affilato come un coltello, il corpo allo specchio lasciava trasparire sotto la pelle le fragile struttura di cui era dotata. I genitori erano seriamente preoccupati per lei che sembrava consumarsi lentamente come una candela che gocciolava sul raccogli cera e dicevano “E’ meglio un somaro vivo, che una figlia studiosa e brava morta”.
Finalmente il giorno dell’esame arrivò col sollievo di tutti e con esso anche la grande notizia che era stato superato più che brillantemente.
Il clima afoso e caldo di fine luglio, che gravava come una capa umida su Padova, sembrava diventato d’incanto fresco e ventilato come in primavera, perché la tensione si era disciolta e stemperata lasciando il posto all’allegria e alla rilassatezza. Tutto era andato come Micaela si era prefissata, poiché tutti gli obiettivi erano stati centrati, quindi ora poteva rilassarsi, riprendere la vita di sempre e pensare serena al futuro.
Nel suo futuro ora c’era posto per le vacanze, per l’inizio della tesi, per pensare alla ripresa dei contatti con Matteo. Però non voleva assecondare nulla, voleva vivere alla giornata con una navigazione a vista senza perdere mai il contatto con la realtà. Percepiva che ormai gli studi erano terminati anche se mancavano due esami banali e la tesi, impegnativa e stimolante. Poi finalmente si sarebbe potuta affrancare dai genitori senza dimenticare mai i sacrifici che avevano sostenuto in silenzio e ripagarli di tutte le attenzioni che avevano avuto per lei. Sentiva il loro calore che l’aveva protetta in tutti questi anni, mentre lei percepiva di avere fatto molto poco verso di loro con atteggiamenti a volte egoistici. Loro invece si erano dimostrati dei buoni genitori sempre presenti con discrezione in ogni momento da quello lieto a quello difficile.
Micaela aveva in tasca il titolo della tesi, una lettera di presentazione per lo studio Accakappa, dove avrebbe lavorato per sviluppare l’argomento assegnato, e molta sicurezza nelle sue capacità.
Accakappa era un importante studio professionale di architettura veneto che si occupava di pianificazione territoriale e recupero ambientale di aree storiche degradate, composto da un gruppo di architetti giovani e grintosi. Il sogno di Micaela fin dal primo giorno di università era quello di occuparsi del territorio e del suo recupero senza tradirlo o stravolgerlo. Ora il suo desiderio si stava traducendo in realtà, perché si sarebbe aggregata al gruppo di lavoro che doveva riconvertire le aree industriali dismesse alla periferia est di Padova con un’operazione di archeologia industriale. Il gruppo era guidato da un architetto senior di circa quarantanni, che dirigeva altri due giovani, laureati da un paio d’anni, che stavano crescendo in fretta sia professionalmente sia intellettualmente. A parte una decina di giorni a cavallo di ferragosto avrebbe seguito e lavorato con loro per i restanti giorni di agosto.
“Gli altri sono in vacanza” si diceva allegra e rilassata “Io invece lavoro sodo e mi abbronzo come un muratore nel cantiere”.
Matteo era sparito dalla sua testa, non ricordava nemmeno le fattezze del volto tanto era concentrata nell’attività assegnatale. Faceva di tutto cercando di rubare ogni segreto, di cogliere tutte le sfumature di quel lavoro che le piaceva molto. Riempiva decine e decine di fogli con appunti ed osservazioni, scattava centinaia di fotografie, prendeva schizzi e faceva disegni, cercava di rendersi utile e allo stesso tempo non essere d’impiccio.
Era l’unica donna del gruppo e ben presto ne divenne la mascotte per la grintosa simpatia che emanava. Non chiedeva mai nulla, ma ascoltava in silenzio le loro discussioni, prendendo appunti, che poi si sarebbero rivelati utili ed importanti quando si trattava di rielaborare idee e soluzioni. Era la prima ad arrivare al cantiere ed era l’ultima a lasciarlo. Aveva una notevole capacità di sintetizzare in schizzi, in disegni le loro idee come se fosse un vecchio del mestiere. Questo era stato apprezzato in maniera tale che ben presto avevano smesso di guardarla come una giovane laureanda che intralciava i loro movimenti.
Il lavoro era suddiviso in due momenti: al mattino nel cantiere le rilevazioni dello stato degli immobili, delle loro dimensioni, del loro posizionamento, il pomeriggio nello studio a tradurre numeri e fotografie in idee, a discutere sulle possibili soluzioni per scegliere quella tecnicamente ed economicamente fattibile.
Micaela non sembrava accusare stanchezza, sempre col quaderno della Ruggeri a quattro colori dove annotava tutto, ogni minimo particolare, e il blocco di Pigna per gli schizzi e disegni. Era stata apprezzata subito perché le avevano riconosciuto una memoria fotografica insolita e una precisione nel riportare ogni dettaglio che rendeva quasi superfluo l’uso della fotografia. Anzi per certi versi era migliore perché riusciva a captare dei particolari che sfuggivano all’inquadratura fotografica.
Alla sera sfinita, ma contenta accatastava meticolosamente i vari blocchi prima di andare a letto. Di solito dormiva di un sonno profondo senza sogni apparenti, ma a volte sognava di essere l’architetto famoso, che disegnava favolosi interni per case e ville in tutta Italia. Aveva gusto e senso estetico molto sviluppato riuscendo ad accostare il moderno dalle linee sobrie e pulite all’antico austero ed imponente. Soffitti a volta affrescati, pavimenti in mosaico veneziano, luci e ombre di vecchi palazzi gentilizi prendeva forma, rinascevano a nuova vita riacquistando la brillantezza dei tempi passati sotto l’abile regia di Micaela.
Alla mattina aveva ancora negli occhi la magia del sogno, che stentava a scomparire dalla mente ed avrebbe voluto che questo acquistasse concretezza e materialità, ma era ancora presto prima che potesse essere realtà.
Arrivò finalmente il sospirato “rompete le righe” per San Lorenzo per dare inizio a quelle vacanze che stentavano ad arrivare.
Micaela si concesse un lungo sonno ristoratore per recuperare energie fisiche e mentali dopo lo stress degli esami e le fatiche di un lavoro non retribuito ma stimolante.
I suoi erano da dieci giorni in vacanza lasciando la casa vuota e silenziosa. Padova a cinque giorni dal ferragosto era ormai svuotata come una zucca, gli amici erano partiti compresa Silvia che se era andata via qualche giorno prima con Gianni verso una località a lei sconosciuta o meglio della quale non ricordava il nome. Era veramente sola mentre in casa risuonava unicamente il suo respiro. Si stirò voluttuosamente come una gatta al sole mentre pensava a come trascorrere questa prima giornata di ferie.
Cominciò a scorrere il lungo elenco di messaggi ricevuti ai quali non aveva ancora risposto, quando si imbattè in quello di Matteo, che era stato dimenticato e confuso fra quelli ritenuti inutili o non degni di risposta.
Un sussulto scosse il suo corpo e una nuvolaglia cupa sfiorò la fronte, che aggrottò mentre borbottava qualcosa.
D’istinto compose la risposta e premette invio.
(Capitolo 10)

Cosa fare?

Micaela aveva smarrita tutta l’euforia delle gita a Cortina, che era evaporata come le gocce di pioggia nel Sahara. Un misterioso pozzo sembrava aver inghiottito lei e tutti i suoi pensieri, mentre la desuetudine a guidare reclamava il prezzo della vendetta. Tutti i muscoli erano indolenziti, la testa era svuotata come una zucca di Halloween, le gambe malferme e esauste non volevano ubbidire per trascinare il corpo, così stancamente seguiva a malapena Silvia più arrancando che camminando.
L’amica parlava a mitraglia con uno strepito incessante per il messaggio di Gianni, per la promozione, per essere a Cortina in Corso Italia in mezzo a gente che odorava di euro.
Micaela si fermò e disse decisa: “Non ce la faccio più. Tu continua senza di me. Io mi fermo qui dentro questo caffè aspettando che tu concluda la tua passeggiata”. Poi con passo insolitamente risoluto si avvio verso l’esercizio pubblico dall’altra parte della strada.
Si fermò un attimo indecisa se entrare o rimanere all’esterno della Pasticceria Lovat, poi optò per un tavolo vicino alla grande vetrina, da dove poteva osservare il passeggio di Corso Italia e sbirciare il banco ripieno di paste, dolci ed altre prelibatezze.
Silvia rimase in silenzio sull’altro lato del corso perché la sorpresa era tale da lasciarla interdetta. Non riusciva a comprendere l’atteggiamento dell’amica, che senza segnali premonitori aveva deciso di staccare, di fermarsi, di lasciarla sola senza nessuna spiegazione plausibile.
Si chiese cosa aveva sbagliato nei confronti di Micaela, perché non c’erano stati screzi o nubi temporalesche cariche di elettricità nei loro cieli. Però, come un lampo rischiara il cielo nero carico di pioggia, ora comprendeva che la causa non era lei, ma quel dannato messaggio che aveva ricevuto un paio di ore fa.
“Mi devo fermare con lei! Non posso lasciarla lì a rimuginare i suoi pensieri, a macerarsi nel dubbio e nell’incertezza.” disse sottovoce mentre attraversava il corso “Dobbiamo parlarne”.
Micaela guardò l’amica che si sedeva di fronte a lei: “Non voglio essere d’impiccio e rovinarti la passeggiata lungo il corso. Non mi offendo se tu prosegui tranquilla. Mi sento svuotata, priva di energia e di stimoli visivi. Stare qui mi permette di recuperare le forze spese durante il viaggio” le disse con un filo di voce mentendo a se stessa.
“Non mi lascio ingannare tanto facilmente” rispose proseguendo “Ti senti confusa per via del messaggio di Matteo”.
Micaela capì di avere perso prima con se stessa e poi con l’amica. Era inutile difendere il fortino quando le mura erano state abbattute, quindi tanto valeva parlarne apertamente senza cortine di fumo o giri di parole inutili.
“Si, hai ragione” disse “Quel messaggio mi sta mettendo angoscia. Non avrei voluto riceverlo”.
Mentre un cameriere si era avvicinato per raccogliere le ordinazioni, cominciarono a parlare del rapporto tra lei e Matteo, del suo carattere possessivo ed irruento, dei suoi dubbi e delle sue speranze, della sua vita presente e del futuro.
Sembrava un fiume in piena che limaccioso scorreva lambendo gli argini pronto ad aprirsi un varco per uscire dall’alveo.
“Cosa fare” era il pensiero ricorrente al quale non riusciva a dare un contorno definito e razionale, perché, da qualunque parte lo attaccava, trovava dei punti deboli, delle contraddizioni insanabili alle quali non riusciva a dare risposte ragionevoli.
Il suo istinto le consigliava di sbarrare tutte le porte, perché quel rapporto era viziato da un peccato capitale: le loro visioni della vita erano distanti e viaggiavano su piani paralleli. Percepiva nettamente che non ci sarebbe stato scampo per i sentimenti, perché sarebbero stati travolti da incomprensioni e litigi. Non riusciva a dare un volto a queste sensazioni, ma l’intuito e la ragione parlavano così.
Però la parte istintiva e razionale della sua personalità era incrinata dall’irrazionalità che si chiamava “amore".
Però si domandava se era amore, innamoramento o un surrogato di entrambi quel sentimento che la spingeva a riannodare il filo interrotto qualche settimana fa. Anche questa era una bella domanda che rimaneva senza risposta, mentre la confusione regnava sovrana dentro di lei.
Silvia si adoperava con tutte le sue forze a dare delle risposte convincenti ai dubbi di Micaela, ma finiva per creare con nuove domande incertezze reiterate e rinvigorite da altri dubbi.
Lei aveva percepito un brivido quando la prima volta Matteo le aveva sfiorato la mano e proprio per questo motivo era stata spinta a chiedergli un nuovo incontro fornendogli il suo numero di telefono.
Aveva capito subito di aver commesso un errore, ma la parte razionale dell’Io era stata sovrastata dal quel senso di imprevedibile trasporto amoroso che la sensualità e il fascino di lui aveva trasmesso con tanta chiarezza.
Adesso più di prima percepiva che sarebbe stato un errore riannodare il filo del dialogo interrotto bruscamente in Piazza delle Erbe, ma non riusciva a trasformare questa premonizione in volontà ferma e decisa da usare come scudo protettivo.
Silvia più possibilista disse con voce calma: “Concedigli ancora una prova come farò anch’io con Gianni. Così non avrai dubbi se Matteo è veramente l’uomo della tua vita”.
Micaela a malincuore scuotendo la testa rispose che avrebbe seguito il suo consiglio, ma non subito, perché fra due settimane doveva sostenere il secondo esame programmato.
Le due amiche tenendosi per mano dopo avere pagato il conto si alzarono per riprendere la loro passeggiata.
(Capitolo 9)

La storia ricomincia

Passarono diversi giorni, mentre in Micaela svaniva il ricordo di quel sabato insieme al viso di Matteo. Si gettò a capofitto nello studio tenendo chiuso telefono e cuore, perché per loro non c’era posto nella sua testa.
Superato non senza qualche patema l’esame, perché aveva palesato non poche incertezze in molti passaggi, mascherandoli con abilità e fortuna, si concesse un week end di relax con Silvia,l’amica di sempre.
Partirono il sabato mattina presto per Cortina senza mete precise affidandosi all’incoscienza e spensieratezza dei loro venticinque anni.
Silvia era allegra perché il notaio le aveva riconosciuto la professionalità e la disponibilità sul lavoro con un congruo aumento di stipendio.
“Mi ha chiamato in maniera inaspettata ieri sera prima di chiudere l’ufficio” cominciò Silvia “mi sono chiesta cosa doveva dirmi di tanto importante ed urgente alla vigilia del fine settimana prima di andarmene”.
“Immagino la sorpresa oppure nutrivi qualche timore?” le chiese Micaela mentre percorreva con prudenza la tangenziale di Mestre come al solito al collasso.
“In un certo senso un brivido di freddo aveva percorso il mio corpo, mentre un’apprensione più simile all’angoscia aveva bloccato i miei pensieri. Sapevo che Luisa, la collega più anziana, si era lamentata perché il notaio preferiva me nello sbrigare le pratiche più complesse e delicate” riprese con calma Silvia facendo un lungo respiro come se dovesse andare in apnea per molti minuti.
Continuò raccontando lo stupore misto a gioia quando capì che il notaio aveva apprezzato sia il modo di lavorare, sia la disponibilità a passare lunghe ore nello studio. Oltre all’aumento di stipendio l’aveva premiata affidandole un incarico di maggiore responsabilità e concludendo le disse che non doveva preoccuparsi per Luisa, perché era una brava e diligente segretaria, ma le mancava quel quid per essere promossa a capo di tutta la segreteria.
Superato non senza patemi d’animo quell’imbuto spaventoso che era il nodo di Mestre, il viaggio proseguì tranquillo verso Cortina con le due amiche impegnate a conversare su moda, vacanze prossime e venture, libri da leggere, canzoni da ascoltare, aperitivi da bere mentre all’interno si diffondevano le note dell’ultimo CD dei Coldplay.
Solo un argomento era stato evitato accuratamente da tutte due: uomini ed amori. Ricordi troppo bruschi riecheggiavano nella loro testa per estrarli e lasciarli liberi di mordere la carne e i pensieri in maniera feroce ed implacabile.
Ci sarebbe stato tempo nella giornata per estrarre dai loro armadi gli scheletri ingombranti e polverosi dei ricordi amari, perché entrambe volevano capire dove avevano sbagliato e cosa pretendevano dal futuro compagno.
La giornata era splendida soleggiata e limpida, calda senza eccessi anche se ormai erano ai primi di luglio. Lasciata l’autostrada a Ponte delle Alpi, presero la strada di Alemagna, che le avrebbe portate a Cortina.
Passando da Longarone, Silvia esclamò: “Lassù in quella gola c’è la famosa e tragica diga del Vajont! Due anni fa l’ho visitata. E’ un orrido che mette i brividi pensando che ha spazzato via paesi e persone come se un mostro armato di spugna e raschietto avesse passato la sua mano sopra di loro cancellando tutto”.
Micaela annuì distratta senza dire nulla, perché era il primo viaggio lungo che faceva alla guida di un auto e voleva rimanere concentrata sulla strada. Silvia le aveva detto partendo da Padova: “All’andata guidi tu, io faccio il ritorno”. Non aveva avuto il coraggio di confessarle che guidare l’auto la rendeva particolarmente nervosa e che questo sarebbe stato il primo viaggio lungo dopo la patente. La tensione l’aveva fatta sudare abbondantemente, mentre avvertiva che grossi aloni macchiavano la camicetta leggera nella schiena, sotto le ascelle. Grosse gocce di sudore scivolavano silenziose nell’incavo del seno perdendosi in basso. Le sembrava di captare un odore acidulo di cipolla che proveniva dal suo corpo, mentre pensava: ” Puzzo come un caprone e non posso fare nulla”.
Silvia non smetteva un attimo di parlare allegra e vivace e instancabile come un passerotto saltava da un argomento ad un altro, finché disse con grande sollievo di Micaela: “Tra non molto all’ingresso in paese prima di prendere la strada per Cortina c’è un simpatico e tipico locale di montagna, Al caminetto. Gerani rossi alle finestre, tavolini rustici in legno, un ottimo caffè e strudel favoloso. Poi se non ci fermiamo rischio di allagare la macchina!”
Micaela si rilassò perché erano ormai quasi due ore che guidava. Non c’era muscolo del corpo che non fosse contratto o indolenzito per la grande tensione che le aveva fatto compagnia dal primo metro del viaggio.
Finalmente poteva concedersi un momento di tregua: gli occhi erano stati concentrati solo sulla strada e sul traffico che sfrecciava veloce intorno a lei, mentre lei non si poteva permettersi di spaziare libera sul panorama.
I pensieri ingabbiati e impastoiati nella sua mente potevano ora uscire felici e tranquilli e spargersi nell’aria frizzante del mattino.
“Che pace!” esclamò Micaela, “Ancora un poco e poi la mente avrebbe incrociato le braccia”, proseguì mentre assaporava lo strudel ancora caldo, che si scioglieva in bocca.
Un lungo suono modulato uscì dalle loro borse interrompendo il rumore felice della loro colazione.
“Chi è che disturba?” dissero all’unisono guardandosi un po’ turbate negli occhi.
Avrebbero voluto non controllare il display, ma la curiosità superò ogni barriera e aprirono le borse.
Micaela assunse un’espressione corrucciata aggrottando le sopracciglia mentre leggeva il messaggio.
Silvia disse distesa: “E’ Gianni. Vorrebbe ricominciare. Mi chiede scusa per l’atteggiamento di qualche settimana fa. Cosa ne dici? Devo concedergli ancora una chance oppure lo mando al diavolo? Tutto sommato se lo merita”.
L’amica non rispose assorta nei pensieri che tumultuosi erano entrati in fibrillazione ed alzando gli occhi disse: “E’ Matteo, che non ha il coraggio di affidare alla voce quello che mi dice con un messaggio”.
Le due amiche si guardarono con espressioni differenti: una distesa e sorridente, l’altra seria e dubbiosa.
Silvia sapeva già cosa rispondere, mentre Micaela era tormentata da mille dubbi e tante insicurezze, che entravano ed uscivano come api nell’alveare. Per lei la magia della giornata era finita con quel messaggio ed ora non poteva fare altro che chiedersi “Rispondo di no oppure gli concedo ancora una prova?”, senza trovare la risposta giusta.
(Capitolo 8)

Le amiche si confidano

Silvia si era chiusa nel suo bilocale nei pressi della Stanga e non aveva alcuna intenzione di vedere qualcuno, né tanto meno di parlare. La settimana che stava finendo era stata orribile e non era ancora terminata.
Si era litigata due giorni fa ferocemente con la madre, che disapprovava la relazione con Gianni ed erano volate parole grosse, nonostante la sorella avesse tentato inutilmente di mettere pace tra loro. Ormai aveva capito che la frattura tra loro era insanabile e quindi meno la vedeva meglio era.
Se ne era andata dalla casa materna due anni prima dopo l’ennesimo litigio con la madre che l’avrebbe voluta più docile nell’ascoltare i consigli e meno impulsiva nelle decisioni e nelle scelte. Aveva un temperamento irrequieto e cocciuto accompagnato da una personalità volitiva e decisa, che a tutti costi voleva rendersi indipendente ed autonoma.
La madre, un donnone un po’ manesco, dal carattere autoritario e dispotico non amava essere contraddetta e non accettava repliche, perché l’ultima parola doveva essere sempre la sua. Caratterialmente era peggiorata vistosamente dopo che il marito stanco delle angherie e dei continui litigi tra loro anche per i particolari più insignificanti e banali della loro vita in comune era fuggito lontano da Padova in una località sconosciuta, mentre lei era rimasta sola con due figlie ancora bambine da crescere e con tutti i problemi del vivere quotidiano. Qualcuno diceva che l’avevano visto imbarcarsi per l’America, altri affermavano che con barba e capelli tinti viveva con un’altra donna più abbordabile di questa. Di sicuro nessuno, comprese moglie e figlie, sapeva dove fosse finito, perché sembrava essersi volatilizzato come nebbia al sole.
La sorella, più anziana di Silvia di un paio d’anni, un po’ furbescamente, un po’ opportunista non affrontava mai la madre direttamente, fingendo di ascoltarla e di assecondarla per poi fare l’esatto contrario.
Silvia invece, sospinta dal carattere non docile e orgoglioso, replicava senza paura, finendo col litigare in continuazione. Quindi man mano che cresceva e soprattutto che acquistava indipendenza economica, gli scontri diventavano sempre più frequenti ed aspri, finché non se ne andò anche lei. Con grande sacrificio ottene un mutuo dalla banca per comprare un bilocale in località Stanga, che non era una zona di gran pregio perché era assediata da un traffico convulso e nevrotico ed era zeppo di uffici del terziario, che si riempivano alla mattina per svuotarsi verso sera. Però l’appartamento aveva il pregio di essere vicinissimo al posto di lavoro raggiungibile anche a piedi e di non costare eccessivamente.
Con regolarità andava a trovare la madre e la sorella, perché dopo la loro prima visita aveva deciso di bandirle dalla propria casa per evitare di sentire critiche astiose sulla posizione del bilocale, sugli arredi, su qualsiasi oggetto presente nell’abitazione. Però nonostante le più buone intenzioni l’incontro finiva regolarmente con una fuga precipitosa prima che degenerasse in baruffa. Due giorni fa la tattica della ritirata strategica non aveva funzionato e il contrasto si era trasformato in lite, tanto che era mancato pochissimo che venissero alle mani. Poi ancora innervosita e contrariata per la litigata con la madre aveva rotto burrascosamente con Gianni a coronamento di una settimana di passione e tensioni in ufficio. Certamente non era un periodo brillante per le relazioni interpersonali tanto che pensò di essere vittima del malocchio di qualche combinazione astrale.
Quel sabato voleva essere lasciata in pace ed era infastidita da quel continuo trillare del telefono che impietosamente la cercava. Si rifiutò testardamente di guardare sul display il nome di chi la cercava, mentre voracemente, distesa sul letto, mangiava barrette di cioccolata in continuazione.
Non le sembrava il caso di ingurgitare altre calorie visto il sovrappeso che aveva accumulato giorno dopo giorno, ma doveva placare la fame nervosa che si era impadronita di lei.
Era ormai sera, quando si decise di dare un’occhiata distratta ed indispettita al display dopo che per l’ennesima volta la suoneria insistente del telefono le aveva lacerato i pensieri.
“Cavoli" esclamò mettendosi ritta “Ma è Micaela che mi cerca! Cosa sarà mai successo vista l’insistenza con la quale mi ha cercato nel pomeriggio”.
“Ciao. Cosa è capitato di tanto grave per cercarmi con tanta insistenza?” disse un po’ risentita rispondendo alla chiamata.
“Dove ti sei nascosta? Perché non volevi rispondere?” replicò stizzita Micaela.
“Ti metti anche tu a farmi prediche e darmi ordini?” rispose Silvia con tono bilioso ed incollerito.
“Calmati, non intendo litigare anche con te” riprese Micaela un po’ più conciliante “Volevo solo ragionare sul mio rapporto con Matteo. Però il tuo atteggiamento non troppo disponibile mi induce a pensare che forse è meglio rimandare ad altro giorno la chiacchierata”.
“Scusami," disse con voce più addolcita ed affabile “ma ho passato giorni terribili. Oggi volevo smaltire tutta l’ira che avevo dentro di me. Però forse parlare mi farebbe bene. Cosa ne pensi dell’idea di venire da me per trascorrere il resto della serata insieme? Non sono in condizioni presentabili per uscire. Però una buona pizza e una birra posso ordinarle e poi tante ciaccole tra noi ci faranno bene”.
“Okay" rispose rinfrancata Micaela “E’ una buona idea e di ciaccole ne dobbiamo fare molte. Tra mezz’ora sono sotto casa tua. Ciao”.
 
Micaela tra un triangolo di pizza e l’altro le raccontò la mattinata tempestosa trascorsa tra i banchi di Piazza delle Erbe compreso il brusco ritorno a casa.
Voleva comprendere per quale misteriosa chimica si sentiva attratta da Matteo, ma nello stesso tempo provava fastidio stare con lui. Le sembrava di impazzire perché la parte razionale della sua personalità le suggeriva di lasciarlo perdere e di concentrarsi sugli esami e la tesi, mentre istintivamente si sentiva sedotta dai suoi modi garbati e dolci.
Il suo atteggiamento le ricordava quel carmine di Catullo studiato al liceo “Odi et amo” che recitava così
 

Odi et amo

quare id faciam,

fortasse requiris

nescio, sed fieri sentio

et excrucior

 
“Silvia, ” disse un po’ affranta nella voce, un po’ incerta nella scelta delle parole “devi spiegarmi perché io non provo odio verso Matteo, ma solo senso di fastidio e nello stesso tempo sentire la sua voce mi rende fragile ed incapace di dire no. Stamattina quando mi ha proposto di trascorrere le vacanze insieme, la parte di me che prova fastidio si è ribellata all’altra metà che mi stimolava a rispondere affermativamente. Non capisco più nulla. Non riesco a guardarmi allo specchio senza litigare con la mia immagine”.
Mentre Micaela parlava due minuscole gocce umide scivolavano silenziose dalle ciglia verso le guance lasciando dietro di sé una minuscola traccia colorata.
Le due amiche cominciarono a scavare dentro di loro alla ricerca delle risposte che con tanta ansia cercavano nelle parole, che si scambiavano l’un l’altra, come un ininterrotto gioco psicologico.
Certezze non ne trovavano ma motivi di riflessione, si.
(Capitolo 7)

La lite (versione uno)

Matteo stava riaccompagnando a casa Micaela dopo aver sostato a lungo in Prato della Valle in una fresca serata di fine settembre. Stranamente dopo una giornata calda la sera si presentava fresca ed arieggiata.
Il tempo che era stato bello per tutto il giorno stava volgendo al brutto come la conversazione tra i due giovani.
Fecero una prima sosta dopo aver oltrepassato la spaccatura nelle mure cittadine nelle vicinanze della pista di pattinaggio.
Micaela non sopportava più l’insistenza di Matteo, si sentiva oppressa e privata della propria capacità decisionale.
Voleva troncare quel rapporto diventato intollerabile per la gelosia di Matteo, per il morboso innamoramento fino a diventare una specie di incubo diurno e notturno.
“Matteo” esordì Micaela “stai diventando insopportabile. Non riesco a respirare liberamente senza sentire il tuo fiato su me, senza provare un vago senso di minaccia”.
Matteo la guardò incattivito e si spostò di lato appoggiandosi alla ringhiera che separava la pista dal pubblico.
“Io ti amo” replicò con voce tremolante per la rabbia “Ti amo, come mai ho amato nessun’altra. Non ti voglio perdere perché sei parte di me. Non comprendi i mei sentimenti?”
Micaela lo guardò e vide scattare il verde pedonale. S’affrettò a superare la strada per incamminarsi in Via Acquapendente verso casa.
Matteo come impazzito restò per un attimo fermo ed incredulo di essere lasciato lì come uno stoccafisso, poi si riscosse e si avviò a rincorrerla, ma il rosso aveva dato via libera alle auto impazienti di scattare e volare via.
Lei nel frattempo a passo svelto percorreva la via sotto le chiome dei grandi platani che contornavano la strada.
Suo malgrado dovette aspettare il prossimo verde utile prima di lanciarsi all’inseguimento di Micaela.
Come un forsennato la raggiunse e la strattonò per un braccio per fermare la corsa.
Lei si divincolò e gli urlò “Vattene! Non voglio più vederti!”, mentre tutti si giravano ad osservare il litigio tra i due giovani.
“No, “ replicò rabbioso “non me ne vado. Non mi puoi piantare così”.
L’alterco durò molti minuti, mentre dalle finestre alcune donne osservavano, commentavano e scuotevano la testa, finché Matteo furibondo e rosso per l’ira non decise di andarsene senza salutare.
Micaela riprese la corsa infilandosi in una via laterale e poi in un’altra, e un’altra ancora cercando di far perdere le sue tracce, finché non vide l’insegna “ALIMENTARI” sopra un negozio.
Prontamente entrò non prima di aver guardato a destra e a sinistra e dietro nel timore di scorgere la sagoma di Matteo.
Era il tipico negozio di alimentari anni sessanta senza vetrina e col banco disposto frontalmente all’ingresso alla cui sinistra c’era il posto per la cassiera, ora desolatamente vuoto.
Il bancone era in armonia col resto dell’ambiente. La parte bassa era in legno color mogano ormai consunto dagli anni, quasi all’altezza degli occhi stava la vetrina che mostrava disposti ordinatamente salumi, formaggi e piatti pronti. Il tutto sormontato da una mensola di vetro con pacchi pasta ed altro intervallati tra loro per consentire al cliente di vedere il proprietario ed Piero mentre li servivano. Le donne erano costrette a rovesciare il capo per vederli il viso in una posizione innaturale. Ai due lati estremi facevano bella mostra due affettatrici a volano Berkel B114 rosse, che erano sfuggite alla modernizzazione che le pretende tutte rigorosamente elettriche. Quasi centralmente stavano altri due pezzi di antiquariato alimentare due bilance Bizerba con fondo scala di 2 kg,
In bella mostra sul bancone penzolavano gli insaccati,mentre alle spalle disposti ordinatamente stavano scatolette e bottiglie che si specchiavano nello specchio con la pubblicità dei salumi Negroni.
Nel posto della cassiera troneggiava un vecchio registratore di cassa manuale ormai dismesso perché il regime fiscale imponeva quelli che erogavano lo scontrino fiscale ben mimetizzato alle spalle del proprietario.
Di fronte alla vecchia cassa stava la cella frigorifera con la porta dello stesso legno della parete con lucidi meccanismi cromati.
Accatastate ordinatamente lungo la parete libera stavano confezioni di acqua minerale gassata o naturale di marche diverse accanto ad una mini enoteca.
Delle vecchie lampade riadattate e riconvertite all’elettricità illuminavano l’interno senza sfarzo e luccicanti luci.
Non meno fuori moda era anche l’esterno con una banale insegna metallica, che sormontava l’ingresso. “ALIMENTARI” troneggiava in blu sul fondo bianco, mentre qualche traccia di ruggine affiorava qua e là come piccoli fiori spuntati dalla neve.
Posizionato in una delle vie laterali e meno trafficate del quartiere era sempre pieno di donne che pazientemente facevano la coda per essere servite da Piero.
Gli altri esercenti della Madonna Pellegrina guardavano con invidia Sgorzon con suo negozio antiquato ed anonimo ai loro occhi sempre affollato di clienti e dai pingui incassi. Loro si erano svenati per ristruttuare i loro esercizi, ma la cassa era sempre più vuota.
Il segreto stava in pochi ingredienti: il modo professionale ed accattivante del proprietario e di Piero, i prodotti di livello eccellente e spesso unici che erano in vendita e soprattutto Piero con la sua carica dirompente di umanità che sapeva cogliere e percepire tutte le sfumature delle clienti.
Non erano infrequenti i litigi tra le clienti pur di farsi servire da Piero, che aveva sempre la battuta pronta per smorzare le tensioni.
“Bone, tose” diceva sempre in dialetto che piaceva anche a quelle donne che faticavano a comprendere il veneto.
Lui si divertiva con loro che sgranavano gli occhi perché non comprendevano la parlata veneta di Piero.
“Volete la traduzione in tricolore?” e grandi risate accompagnavano questa battuta, mentre loro un po’ impacciate ma felici di stare al centro dell’attenzione generale annuivano soddisfatte.
Circolavano anche diverse dicerie sul conto di Piero fra le clienti. Un pettegolezzo che andava per la maggiore era che una di loro fosse stato colta dal marito, mentre era a letto con lui.
Mentre si rivestiva e per nulla intimorito lo aveva apostrofato male dicendo “Non vali niente a letto. Parola di tua moglie. Se tu sapessi fare il tuo mestiere, lei non sarebbe a letto con me”. Naturalmente tutte si interrogavano per scoprire chi era, ma tutte negavano di essere la donna incriminata.
La sera in cui Micaela entrò casualmente nel negozio di Piero e lo conobbe lei ascoltò l’ennesima versione ormai condita di ulteriori piccanti particolari su questa voce, accedendo la curiosità di lei sulle qualità amatorie di Piero.
(bozza di capitolo)

La lite (versione due)

Nella prima domenica di settembre si teneva a Monselice la tradizionale Giostra della Rocca, un evento in costume che richiamava nella cittadina patavina un gran folla di turisti e curiosi. Era un classico appuntamento molto sentito nella zona.
Matteo da quando aveva intrapreso la professione di informatico si recava lì per installare sovraintendere all’installazione di tutte le apparecchiature informatiche necessarie al buon svolgimento della manifestazione. I primi anni erano stati entusiasmanti muoversi, aggirarsi senza vincoli tra figuranti, contradaioli festanti e protagonisti delle gare.
Però quest’anno passata l’eccitazione della novità non provava più gli stimoli iniziali, perché ora gli sembrava routine. Pensando di fare cosa gradita ad Micaela e sperando che la giornata fosse più piacevole, la invitò ad accompagnarlo.
Partirono di buon’ora con la macchina di Matteo sotto un bel cielo azzurro, limpido e senza nubi. Lei era allegra perché poteva assistere a questo evento da una postazione privilegiata, il palco d’onore, per il pass che lui le aveva procurato.
Durante il viaggio ci furono i primi screzi, che diventarono crepe nel corso della giornata.
Matteo era nervoso per la domenica sprecata. Anche Micaela ci mise del suo per creargli ulteriori grattacapi e malumori, tanto che bisticciarono su tutto dal mangiare a come si erano vestiti.
Così la giornata che sembrava promettere bene, cominciò a rannuvolare con nubi nere e cariche di pioggia, come gli umori dei due giovani che volsero al brutto, anzi alla tempesta.
Micaela vestita leggera disse di avere freddo e voleva tornare subito a Padova prima della pioggia, mentre lui doveva controllare che per la cerimonia finale con le premiazioni attesa per le 18 tutto filasse liscio senza intoppi. Lei stava imbronciata sul palco d’onore completamente estranea alle grida di giubilo della contrada vincitrice il Palio dei Santi, aspettando solo il momento di riprendere la strada di casa.
La tensione cresceva fra i due ragazzi mentre cominciarono a volare parole pesanti come i goccioloni che il cielo stava dispensando.
Finalmente bagnati ed infreddoliti Matteo e Micaela si immisero sulla statale Adriatica per rientrare a Padova.
Lui era incattivito perché non era soddisfatto per i troppi intoppi informatici, che avevano costellato la giornata, ed era stressato dalle lamentele continue di Micaela, che non stava zitta un secondo.
Lei con la camicetta bagnata ed appiccicata al corpo e i sandali distrutti si lamentava in continuazione perché era colpa di Matteo se si trovava in quello stato. Starnutiva e soffiava in continuazione il naso.
“Mi hai fatto prendere un accidente” disse mentre l’ennesimo starnuto inondava il parabrezza della macchina.
“Dovevi vestirti più adeguatamente” replicò lui irato ed arrabbiato per la pessima idea di averla invitata durante l’esecuzione della sua attività professionale.
Fuori infuriava un violento temporale, mentre Micaela era sempre più petulante ed indisponente, finché arrivati al semaforo della Paltana lui non aprì la portiera mettendola sulla strada senza proferire una parola.
Passato un primo momento di sbigottimento coi capelli ridotti a tagliatelle cominciò a tempestare il vetro della macchina perché voleva risalire e ripararsi dalla violenza della pioggia. Però lui quando scattò il verde mise la prima e sparì verso Padova.
Micaela incredula rimase lì sul ciglio della statale sfiorata pericolosamente da macchine e corriere senza comprendere se l’acqua che scorreva sul viso fosse pioggia o lacrime..
A questo punto incamminarsi verso la città sarebbe stata pura follia, quindi attese il rosso e si avvicinò ad un auto che aveva alla guida un uomo dalla corporatura abbondante.
Bussò al vetro e disse: “Il mio ragazzo mi ha abbandonata qui sotto il temporale e non so come arrivare a Padova”.
“Sali” rispose garbatamente mentre apriva la portiera per farla accomodare.
Micaela gocciolante e tremante per il freddo inondò il sedile con l’acqua che colava dai capelli e dal corpo come una fontana.
“Micaela ” si presentò starnutendo in continuazione.
“Piero” rispose mentre ripartiva in direzione di Padova “Bello scherzo ti ha fatto il tuo ex”.
(bozza di capitolo)

Riconoscimento

Ho ricevuto il premio dall’amica Jul, http://argeniogiuliana.splinder.com/ una donna con molto buon senso e soprattutto dotata di autentica intelligenza, che ringrazio per la stima che ha dimostrato nei miei confronti.

Grazie Jul per avermi onorato nuovamente della tua amicizia e considerazione.

A questo punto dovrei distribuire il premio ricevuto ad altri blogs da me giudicati meritevoli. Il fatto è che gran parte di essi sono stati già premiati svariate volte e questo mi mette in imbarazzo.

Quindi ho deciso di non nominare nessuno.