Il Romanzo ricomincia

Lui con fare misterioso si mise alla scrivania, ignorando quello che appariva e scompariva dall’oblò della nave. Non voleva essere distratto da sirene e onde spumeggianti, aveva necessità di stare concentrato, perché Calliope, Καλλιόπη "colei che ha bella voce", era molto esigente nei confronti dei poeti e non amava che la poesia epica fosse disturbata da altri pensieri.
Calliope stava corrucciata seduta sull’angolo destro della scrivania sorreggendo con la sinistra la tavoletta su cui scriveva l’epica e con la destra il libro che Lui stava scrivendo.
Erato ed Euterpe stavano in disparte, pronte ad intervenire quando il Poeta si avventurava tra amori, sentimenti ed emozioni.
Lui era conscio di essere un osservato speciale, perché percepiva l’anelito leggero come un soffio di Lei, che lieve si aggirava tra le stanze.
Il Poeta tornò indietro nel tempo tra ricordi sbiaditi e corrosi per gli anni trascorsi, ma sentiva che l’ispirazione era lì latente e pronta ad uscire dalla mente.
Aprì il quaderno rosso dai fogli mobili ingialliti dal tempo e cominciò a leggere tra le righe.
La scrittura rotonda col nero di china spiccava netta sulle linee azzurrine.
 
Hai gli occhi azzurri
di un azzurro meraviglioso
che invitano a ricordare.
Quanti ricordi si destano in me,
ricordi che mai potrò dimenticare,
perché mi consentono di vivere felice ora.
Il ricordo è un sogno
e come tale voglio viverlo!
Vorrei vivere per ricordare
tutti quei ricordi belli
e vorrei scacciare
tutti quei ricordi amari.
Ah! Se potessi.

(tratta da Poesie di Marzo – Marcolongo)

Era una calda giornata di giugno quando Lui, il Poeta, vide per la prima volta Lei. Subito ci fu una scintilla, che nessuno dei due percepì in quel momento, ma che accese il fuoco dentro di loro.
Si erano conosciuti per interposta persona, che affidò il messaggio al telefono, perché loro erano incerti e dubbiosi.
Cominciarono a parlare dapprima sommessamente, poi sempre più fitto ad alta voce fino a diventare un suono squillante.
Cosa si dicevano mentre sotto il sole del pomeriggio inoltrato andavano per strade deserte, incuranti del caldo e della luce accecante?
Il Poeta cercava di rammentare inutilmente quel primo dialogo fatto di frasi incerte e esitanti, che si scambiarono allora. Però ricordava gli occhi luccicanti che lo osservavano e lo scrutavano per carpirne i sentimenti.
Ancora telefonate, allora era un epoca antica senza SMS e mail, arrivarono nei giorni successivi per lunghe chiacchierate a capire se era possibile avviare un discorso serio.
Poi Lui decise: “Si, va bene. E’ quella che fa per me” e l’aspettò alle 17 e 30 fuori dal portone dove Lei lavorava. Era sorpresa, ma non troppo, così dava da intendere, quando lo vide lì con i pantaloni bianchi e la maglietta carota intenso.
Lei era vestita leggera con un abitino azzurro a fiori bianchi e disse: “Ciao” mettendosi al fianco del Poeta.
Sull’angolo della strada una venditrice di lupini offrì loro due imbuti di carta gialla con dentro lupini bagnati e salati, che piluccarono tra una chiacchera e l’altra. Passò il tempo fino al momento del distacco, che preannunciava un arrivederci a domani non detto ma trasmesso in silenzio. Ecco la forza del pensiero e della voglia di rivedersi.

Il Poeta si rilassò sulla sedia osservando l’oblò, dal quale scorse i delfini che saltando sulle onde dei ricordi accompagnavano allegri la nave della memoria.
Calliope, severa ed accigliata, era moderatamente soddisfatta del comportamento di Lui e lo lasciò distrarre prima di richiamarlo ai suoi doveri.

Il poeta e il clandestino

“Il clandestino che hai a bordo e segue ogni tuo viaggio, che non vedi, ma avverti, sottocoperta, si aggira come una spia per la nave, sale e scende dai boccaporti, fruga in cambusa, s’intrufola in tutte le cabine, lascia impronte ovunque. Viaggiate insieme, per mari scarlatti, per isole verdi.
Mi sono abituata alla tua occulta presenza. Narratore o poeta. Non posso fare nulla. Tu guidi la nave dove vuoi. Ma chi è la Lei?”

Così la Musa parlava a Lui, che teneva uno spazio tutto suo nel web.
Lui non capiva come fanno tutti i poeti che per finzione poetica liberano le onde della fantasia sulla carta, come la risacca si infrange sulla spiaggia deserta.
“Perché la Musa mi chiede chi è la Lei?” rimbalzava la domanda nella mente di Lui “Ma non v’è dubbio, né incertezza: è la Musa ispiratrice, Colei che da una vita mi accompagna nella buona e nella cattiva sorte”.
E Lui si alzò dalla sedia, abbandonò il Pc al suo destino, che sarebbe diventato uno screensaver colorato da immagini di Van Gogh, mentre dalla finestra osservava il mondo.
Il cielo era imbronciato di nuvole scure, che di lì a poco avrebbero riversato sulla terra il loro carico di acqua. I campi di erba medica erano di un bel verde smeraldo luccicante di umidità, pronti a fiorire di un azzurro lilla e a profumare l’aria con la fraganza di un morbido profumo. L’albicocco sfiorito mostrava le sue foglie tenere e sensuali agli sguardi del merlo, che con occhio attento cercava qualcosa da ingolare.
La gazza nella sua livrea blu serica e bianca volava tra i giardini in fiore e i tetti umidi di pioggia.
Lui, che ora metteva il berretto da poeta, ora quello di narratore di storie impossibili, sentì l’ispirazione sgorgare netta e limpida dalla visione di tanta pace.

 
E’ tornato il sereno.
E’ tornato dopo la pioggia,
che ha smesso.
E tutti ne provano gioia.
E’ tornato il sereno.
E’ tornata un tenue felicità,
velata dalle gocce di pioggia,
che battevano sulla strada assonnata.
E’ tornato il serena.
E’ tornata la calma
nel mio cuore spaurito
per l’improvvisa oscurità che s’era fatta.
 
Così scriveva nella mente, Lui, parole intinte di inchiostro simpatico che presto sarebbe sparito.
Però Lui sapeva che Lei non era una clandestina, ma una dolce realtà che si aggirava silenziosa e discreta nella sua vita.
Si, ecco ora sapeva cosa doveva fare: scrivere il romanzo che si era interrotto, riannodare i fili dei ricordi, volare con la fantasia verso lidi lontani.

Vulandra

Vulandra

Corre leggero
sul prato
imperlato da gocce
di rugiada,
piccole come perle.
E il refolo di vento
lo fa innalzare
verso il cielo
orlato di nuvole,
verso l’infinito
dove si perde
lo sguardo del fanciullo.
Sono affascinato
da quei rombi
multicolori,
che adornano
il cielo e
volano leggeri
trattenuti dal filo invisibile.
Disegnano un volto
e riconosco te.

Claire e il Big One

Erano le nove di mattino del 15 settembre 2037, quando Claire seduta sulla sedia a dondolo del nonno faceva colazione sotto il pergolato prospiciente l’ingresso.
Il cielo era di un blu intenso, come spesso capitava in questo periodo, senza una nuvola, mentre l’aria era pulita e trasparente senza un filo di umidità, frizzante e tiepida.
Claire udiva l’incessante martellare del picchio acorn, che splendido con la sua uniforme nel folto del querceto lavorava il tronco col becco. Non lo vedeva, nascosto com’era dall’imponente chioma della quercia, ma lo sentiva picchiettare con regolarità il tronco.
Nella radura di fronte a lei due scoiattoli rossi si affannavano a raccogliere le ghiande cadute dai rami per trasportarle nella loro tana nascosta ed impenetrabile ai suoi occhi. Era la quercia dove molti anni prima suo padre aveva sepolto il nonno, che assisteva sereno alla raccolta delle ghiande.
Erano passati trent’anni da quando Claire aveva ereditato i venticinquemila acri di territorio intorno e la fattoria, che ora la ospitava. Aveva ricevuto molte offerte per vendere tutto e sarebbe diventata ricca, molto ricca, ma aveva sempre rifiutato, perché diceva che il danaro non fanno la felicità e li poteva assaporare la felicità.
Si era sposata dopo pochi mesi con John, da cui aveva avuto Andrea, una donna ora, non bellissima, ma dal carattere forte come il suo e quello del nonno, che non aveva mai conosciuto. Claire scelse quel nome in omaggio al nonno Andy, anche se John non era d’accordo, come poi capitava spesso su tanti altri argomenti. Il matrimonio andò a strappi per un paio d’anni, poi lei divorziò, perché mal sopportava quel marito ipocrita e senza afflato. Si risposò altre due volte, poi verso la soglia dei cinquanta decise che era meglio restare sola che circondarsi di uomini che miravano solo ai suoi danari ed a quella enorme estensione che valeva una fortuna.
Portò fin da piccola Andrea nella fattoria del nonno, insegnandole l’amore verso la natura e il rispetto dell’ambiente. La bambina crebbe con la visione di quel territorio selvaggio e libero negli occhi, giurando che come la madre l’avrebbe conservato così come lo vedeva ora.
Claire si rifugiava lì da sola, quando Andrea era dal padre, oppure con la figlia, finché non diventò adulta. Poi decise di trasferirsi definitivamente nella fattoria, quando cessò di lavorare, apportando alcune modifiche alla casa. Fece costruire un ricovero per i cavalli con annesso il piccolo corral, dove sostavano uno stallone bianco, due giumente pezzate e un paio di puledri, ed un piccolo forno a legna, che utilizzava per cuocere il pane, i dolci e le focacce dolci.
Claire amava gli animali ed in particolare i cavalli, che lasciava liberi di correre nei suoi possedimenti. Il genitore dello stallone bianco, che fiero dominava il branco, era stato comprato ad un’asta militare sottraendolo a diventare carne per hamburger. Era un magnifico esemplare pezzato bianco e rosso dal garrese alto e slanciato, che portò subito alla fattoria lasciandolo libero di andare dove voleva. Però lui tutte le sere ritornava nel recinto sempre aperto, dove trascorreva la notte. Acquistò poi un paio di giumente per tenergli compagnia e nacque dopo un anno lo stallone bianco. Era il suo cavallo, che accorreva ogni volta che Claire lo richiamava, lasciandosi cavalcare solo da lei. Andrea invece cavalcava la giumenta dal mantello baio, che una volta era stata una campionessa di trotto. Allo stato brado c’erano i numerosi figli dello stallone roano e delle prime giumente, a cui si aggiungevano quelli che stavano nel corral.
Quella mattina di settembre si era alzata presto a preparare una focaccina con l’uva del vigneto posto alle spalle della fattoria. Erano già maturati i grappoli dorati per il gran caldo e la lunga estate siccitosa ed erano il cibo preferito dei numerosi uccelli che popolavano i boschi intorno alla casa. Faticava a salvare qualche chicco, ma lei era felice nel vedere il gran movimento che facevano nel vigneto.
Dunque la sera prima era riuscita a staccare un bel grappolo dorato e dolcissimo, che aveva impiegato nel preparare la focaccia e poi aveva messo a cuocere nel forno, facendo molta attenzione che non cadesse qualche brace nell’erba secca. Aveva sempre il terrore che il prato prendesse fuoco e con esso anche la fattoria.
Mentre l’impasto si cuoceva e si dorava nel forno, Claire preparò la solita cuccuma di caffè nero e denso, che versò nella tazza. Non amava bere il caffè freddo, ma lo desiderava bollente e scottante da sorseggiare con calma.
Era lì sulla sedia a dondolo del nonno, che ormai era un pezzo di antiquariato come il mobilio povero e spartano che adornava la casa, e osservava il movimento degli scoiattoli, ascoltava il martellare del picchio, intento a costruirsi un nuovo nido, mentre lo stallone bianco restava tranquillo nel recinto, lanciando alcuni nitriti di richiamo per i fratelli che stavano liberi nelle radure più basse.
Claire aveva letto che i sismologhi dell’università di San Francisco prevedevano che il Big One si sarebbe svegliato in questi anni e si era ripromessa che, se doveva morire per mano della terra che tremante avrebbe aperto le sue fauci, il momento sarebbe arrivato lì tra quelle mura e in questo posto, che amava più della sua vita.
Era lì dondolante con la sinistra che stringeva quel che rimaneva della focaccia e nella destra la tazza con un leggero strato di caffè, quando percepì che di lì a poco sarebbe avvenuto l’irreparabile.
L’aria si era fermata, immota e silenziosa, il picchio aveva smesso di lavorare, gli scoiattoli si erano rintanati nel folto del bosco, mentre lo stallone bianco lanciò un lungo nitrito e guardò Claire, implorandola di salire in groppa. Poi lanciato l’ultimo sguardo si avviò seguito dalle giumente e dai puledri verso l’erba alta, sparendo ben presto dalla vista.
Lei rimase lì ad aspettare la visita del Big One, che prepotente saliva dalle viscere profonde della faglia di Sant’Andrea. Tutto cominciò a ruotare, a sussultare, a muoversi sempre più freneticamente.
Poi scese il silenzio, mentre Claire si addormentava per sempre cullata dal dondolo del nonno.

Andare a vivere in un romanzo inedito

Andare a vivere in un romanzo inedito aveva i suoi vantaggi. Tutte le noiose banalità quotidiane che sbrighiamo nella vita reale intralciano lo scorrere della narrazione e quindi sono in genere evitate. L’automobile non aveva bisogno di fare il pieno, al telefono non si sbagliava mai numero, c’era sempre acqua calda a sufficienza e c’erano solo due tipi di aspirapolvere quello verticale e quello che ci si trascina dietro. C’erano altre differenze più sottili. Per esempio, non ti dovevano mai ripetere una frase perché non l’avevi capita bene, non c’erano due persone con lo stesso nome, non si parlava mai contemporaneamente né si aveva il fastidio di avere una parola sulla punta della lingua. Soprattutto, sapevi sempre chi era il cattivo. Ma c’erano anche alcuni svantaggi. Una carenza di colazioni…”

Paolo stava leggendo queste poche frasi dal libro “Il pozzo delle trame perdute” di Jasper Fforde, è ricordò gli appunti, scritti alcuni prima quando aveva grandi velleità di scrittore. Però evidentemente l’ispirazione era mancata, poiché il racconto finiva con dei puntini di sospensione oppure era troppo scarso per aspirare a diventare come Calvino e la sua trilogia “I nostri antenati”.
“In effetti non era molto” disse ridendo mentre riponeva in una cartellina rossa quel pezzo di carta. In effetti assomigliava più ad un incipit che l’inizio di un racconto, ma in un qualche modo quelle poche righe scritte tanti anni fa e del tutto simili a quelle lette lo affascinavano.
“Mi piacerebbe vivere in un romanzo inedito, ” concluse soddisfatto “perché diventerei famoso. Tutti mi saluterebbero scappellandosi davanti a me”.
Chiuse gli occhi, mentre la fantasia lo prese con delicatezza per porlo in un romanzo inedito “Non passava giorno” di Marcolongo, talmente inedito che non aveva trovato neppure uno straccio di editore disponibile a pubblicarlo.
Il primo dubbio che gli venne in mente era del tipo “Ma i personaggi mi accetteranno o mi cacciano fuori a pedate?”, poi si domandò se la trama gli sarebbe piaciuta e via altri mille dubbi.
Forse sarebbe stato meglio ritornare nel mondo dei reali e studiare meglio la partenza per il mondo del romanzo inedito.
Così Paolo dolcemente atterrò nuovamente nella sua stanza, incerto se sentirsi felice del rientro o amareggiato per la mancata esperienza.
Mentre era alla ricerca del manoscritto in cui voleva andare a vivere, s’imbattè in un libro fresco di stampa “Vento Rosso” di Argenio.
“E se io andassi a vivere lì?” si domandò trepidante e smanioso di vivere questa nuova avventura.
Cominciò a leggerlo con avidità, dimenticando il progetto iniziale che lo voleva in altro romanzo, che però aveva il difetto di non averlo sfogliato.
Pensava che in poche ore sarebbe arrivato alla fine, ma si accorse che lo divorava molto più lentamente di quanto aveva pensato.
Era bello ed avvincente, ma richiedeva molta concentrazione per non perdere dialoghi e sensazioni, per comprendere la psicologia dei personaggi, per assaporare i passaggi e le emozioni.
Era un po’ stanco ed affamato, ma ora doveva concentrarsi su questo romanzo e la sua trama, perché doveva valutare la possibilità di andare a vivere lì.
Provò a pensare come avrebbe potuto soggiornare in quel contesto e sentì un lungo brivido lungo la schiena. Qualcosa gli sussurrava che forse non si sarebbe trovato bene tra fughe, vivere precario e stress da ansia, poche presenze femminili incerte.
“Si, il romanzo è bello, pieno di sentimenti ed emozioni, ma è troppo serio per me” rifletteva deponendo il libro sulla scrivania “e forse mi conviene ripiegare su qualcosa di meno drammatico. Andiamo alla ricerca del manoscritto ‘Non passava giorno’ e cominciamo a leggerlo”.
D’altra parte Vento Rosso non era più inedito e quindi non poteva soddisfare la condizione di un libro non ancora pubblicato.
Prima domanda che si pose era “dove poteva scovare un romanzo inedito, che non essendo pubblicato non si trovava in circolazione?”
“Bella stupidata ho fatto!” disse mentre rovistava su Internet con tutti i motori che conosceva alla ricerca di questo benedetto romanzo “Almeno avrei dovuto essere più cauto”.
Google alzò bandiera bianca dopo un paio di tentativi male assortiti, estraendo dal suo cilindro una caterva di Marcolongo, ma nessuno di costoro era quello buono o almeno a prima vista sembrava così.
Passò su Yahoo con risultati ancora più deludenti, perché sembrava la fotocopia conforme di Google. E così anche per gli altri motori di ricerca: tanti Marcolongo, ma nessuno era quello buono.
“Proviamo col titolo, tanto non credo che ce ne siano altri in circolazione” disse sosddisfatto mentre si apprestava al nuovo giro di ricerca.
E riprese ad esplorare il web, come un bravo investigatore. Mentre i motori ruggivano macinando le informazioni, Paolo si chiese dove aveva scoperto questo racconto tanto inedito quanto sconosciuto anche a Google, perché gli eravenuto il dubbio di avere preso una solenne cantonata.
Poi come per incanto sbucò fuori dalle pagine di Google che il racconto esisteva veramente e non era una finzione letteraria.
Si appoggiò allo schienale soddisfatto come un gatto che ha appena mangiato il classico topolino e pensò: “Bene, il racconto esiste ed è scaricabile da internet. Mi basta leggerlo e poi…” e la fantasia cominciò a volare lontano dentro il racconto inedito.
Aveva già dimenticato il proposito di leggerlo prima di andarci a vivere

La famiglia Punto e Virgola

Punto e virgola

 
Qualcuno ha decretato la morte del punto e virgola, come con molta arguzia Stefano Bartezzaghi, un autentico mito della lingua italiana, ha scritto su Repubblica il 5 Aprile scorso.
Pietro Citati nell’edizione del 7 Aprile di Repubblica parla di assassinio del punto e virgola, perché, secondo lui, “una lingua deve la propria eleganza alla ricchezza dei suoi strumenti espressivi”.
Personalmente non ne ho fatto mai molto uso, ma ogni tanto il vezzo di mettere un punto e virgola in un periodo troppo lungo ce l’ho.
Però ricordo con molta nostalgia una poesia di Gianni Rodari, che leggevo tanti anni fa a mia figlia “La famiglia Punto e Virgola”.

C’era una volta un punto
e c’era anche una virgola:
erano tanti amici,
si sposarono e furono felici.
Di notte e di giorno
andavano intorno
sempre a braccetto.
“Che coppia modello –
la gente diceva –
che vera meraviglia
la famiglia Punto e Virgola”.
Al loro passaggio
in  segno di omaggio
persino le maiuscole
diventavano minuscole:
e se qualcuna, poi,
a chinarsi non è lesta
la matita del maestro
le taglia la testa.

(Da Filastrocche in cielo e in terra – Ed. Enaudi)

 
Veramente le leggevo tutte le poesie di Rodari, come facevo coi racconti tratti da “Novelle fatte a macchina” e “Tante storie da giocare”.
Oggi prendendo quei libri dalla biblioteca si nota come le pagine sono state consumate dallo sfogliare ripetuto. Però torniamo al nostro argomento.
Ha ragione Citati quando parla di assassinio, perché ridurre il punto e virgola a semplice emoticon che ammicca è un autentico delitto.

La crociata è partita dagli inglesi, che hanno trovato inutile conservare questa punteggiatura ormai introvabile negli scritti di tanti autori anglosassoni.

“The line” è nel Regno Unito sotto accusa ed oggetto di accesi dibattiti. The Guardian in occasione del tradizionale pesce d’Aprile ha riportato questa curiosa notizia (ovviamente falsa) “Il presidente francese Sarkozy ha ordinato per difendere l’uso del punto e virgola che deve essere usata almeno tre volte per pagina in tutti i documenti ufficiali”.

Perché il suo uso è oggetto di contraddittorio tra gli studiosi di lingua?
Leggiamo cosa dice l’Accademia della Crusca “Il punto e virgola segnala una pausa intermedia tra il punto e la virgola e il suo dipende spesso da una scelta stilistica personale. Si adopera soprattutto fra proposizioni coordinate complesse e fra enumerazioni complesse e serve ad indicare un’interruzione sul piano formale, ma non sui contenuti”.
Si deduce che il punto e virgola è un vezzo stilistico. Poiché i periodi complessi, le enumerazioni complesse sono ormai merce rara nei romanzi, il punto e virgola tende a sparire.
Tutti scrivono svelti, periodi nervosi, corti e concisi, come se costi fatica scrivere due pensieri in più.
Cosa facciamo del punto e virgola?
Lunga vita alla famiglia Punto e Virgola!