On the road

On the road
 
Sulla strada
starei sempre
con la pioggia
e con il sole:
camminare,
incontrare
nuovi luoghi,
nuova gente.
Col tempo ho capito
che non è importante
la meta,
ma il viaggio in sé.

Senza titolo

“Non passava giorno che lo scoiattolo se ne andasse in giro. Al mattino si lasciava cadere sul muschio giù dal faggio, oppure, a volte, dalla punta di un ramo finiva nello stagno proprio sul dorso di una libellula, che poi senza fiatare lo portava sull’altra riva. Prendeva sempre la prima strada che gli si parava davanti. Ma se poi gli capitava un viottolo laterale lo imboccava, e se gli riusciva di scordarsi dei progetti che aveva per la giornata, se li scordava. Così un giorno stava andando dall’elefante, che traslocava e aveva bisogno di aiuto, quand’ecco che vide un sentiero sabbioso tutto pieno di curve. Lo prese. C’era un cartello che diceva: STRADA VERSO IL LIMITE. E’ lì che voglio andare!, pensò lo scoiattolo. Ma con grande dispiacere incontrò subito un’altra deviazione…”

 
Laura rileggeva l’inizio della fiaba, che aveva scritto tanti anni fa, quando aveva appena sedici anni, almeno così risultava dalla data in fondo ai fogli.
Era una mattina fredda, ma soleggiata di Marzo, quando salì nel sottotetto alla ricerca del vestito rosso dismesso alcuni anni prima. Non sapeva nemmeno lei perché aveva intrapreso quella ricerca tanto stramba quanto insolita.
Aveva trovato una fotografia di gruppo dove indossava quel vestito e disse: “Accidenti! Stavo veramente bene con quel vestito rosso. Ero la più bella tra le mie amiche e poi c’era anche Marco! Chissà dove l’ho cacciato!”
Era una fotografia dei tempi dell’università, quando formavano un bel gruppo affiatato: erano sempre insieme, spensierati ed allegri.
La vista di Marco, del vestito rosso riaccese dentro di lei un fuoco mai spento, che covava da mesi sotto le ceneri, così che decise di intraprenderne la ricerca.
Rovistando nei cassetti di un vecchio cassettone dismesso molti anni, aveva trovato dei fogli un po’ ingialliti, stropicciati e scritti a mano, di cui aveva perso la memoria. Si fermò a leggerli, mentre ritornava l’adolescente che sperava di diventare un giorno una famosa scrittrice.
Aveva sognato di scrivere romanzi, racconti e fiabe di successo, emula di J.K. Rowling oppure famosa come  Virginia Woolf. Insomma c’era in lei l’illusione di ottenere denaro e fama scrivendo, ma ben presto abbandonò ogni velleità letteraria, perché aveva capito che non era la strada giusta o forse non ne aveva le capacità. Chiuse tutti gli scritti in una cartellina gialla a copertina rigida chiusa con una clip mandandoli in soffitta come i sogni di adolescente.
Dopo il ritrovamento di quei fogli la sua mente cominciò a divagare ed a ripercorrere gli ultimi sette mesi. Pensò con amarezza a Marco, al suo “ADDIO” tanto angosciante quanto misterioso ed incomprensibile, al lavoro che le stava dando molte soddisfazioni, alla corte assidua ma discreta di Paolo, all’amica Sofia, che aveva trovato l’amore in maniera casuale, alla vita di tutti i giorni vuota senza amore.
Marco era stato il suo ragazzo durante gli anni di università, ma poi lui un brutto giorno le disse senza lasciarle scampo: “Laura, tu sei una cara ragazza con cui sono stato bene in tutti questi anni, ma il tempo ha spento il fuoco dentro di me e non voglio ingannarti. Ormai siamo adulti, ci siamo laureati con ottime votazioni, stiamo cercando lavoro per dare un senso al nostro futuro, ma le nostre strade si devono per forza separare. Sono certo che troverai il ragazzo che cerchi e con cui potrai condividere gioie e dolori della tua vita. Quello non potrò essere io! Mi sembra giunto il momento di dirci addio ed augurarci tutto il bene del mondo”.
A Laura sembrò che il mondo le fosse caduto addosso, rimase in silenzio e non riusciva nemmeno a piangere.
Stava per aprire bocca per dire qualcosa, quando Marco le pose un dito sulla bocca: “Non dire nulla. Non serve. Diciamoci solo ADDIO e poi ognuno vada per la sua strada”.
Detto questo si voltò allontanandosi senza aggiungere niente di altro, mentre lei era rimasta lì muta e pietrificata.
Quanto tempo rimase su quella panchina all’ombra del grande cedro del Libano, che aveva visto ed ascoltato tante storie come questa?
Laura non ricordava, ma le sembrava che fosse passato un secolo tanto aveva indugiato lì incapace di dare un senso compiuto ai pensieri e alle azioni.
Tornata a casa, aprì l’armadio e tolse il vestito rosso, che conservava come ricordo del primo bacio con Marco, quando quattro anni prima aveva dichiarato con solennità ed dolcezza: “Laura, ti amo!”
Lo impacchettò, ripiegandolo con cura, e lo mise in una custodia trasparente. Salì nel sottotetto e lo nascose accuratamente, perché le ricordava troppo l’amore per lui.
Del vestito rosso se ne dimenticò in fretta, ma Marco era sempre lì presente di giorno e di notte nei suoi pensieri, nei suoi sogni, che assomigliavano più ad incubi che a visioni oniriche.
Non riusciva a darsi pace, né a capacitarsi del perché Marco le avesse detto ‘addio’. Tutto sembrava filare liscio, senza intoppi, né litigi o motivi di attrito. A lei sembrò che fosse scoppiato in temporale senza che nessuno avviso fosse piovuto dal cielo, tutto all’improvviso, gettandola nello sconforto.
Per diversi giorni non volle vedere nessuno, nemmeno Sofia, la più cara amica, la confidente a cui affidava tutti i segreti più riposti, si negava al telefono e non rispondeva né agli SMS né ai messaggi di posta. Insomma sembrava sparita dalla terra, inghiottita da un buco nero con grande disperazione dei genitori, che cercavano di consolarla e sostenerla psicologicamente.
Poi lentamente uscì dal limbo in cui era precipitata, una caduta senza paracadute e senza fine, riprendendo a vivere e mangiare. Rispose finalmente al telefono: era Sofia preoccupata per il lungo silenzio, anche se sapeva il perché.
“Laura! Finalmente! Sei uscita dal letargo?” disse tutto d’un fiato e, senza darle modo di rispondere, riprese: “Stasera sei a casa mia! Niente se, niente ma! Ho preparato una cenetta solo per noi due e poi rimani a dormire da me! Hai capito? Ci sei ancora?”
“Sofia, “ riuscì a dire prima di scoppiare in un pianto a dirotto.
“Laura! Non piangere! Non riesco a sentire quello che mi vuoi dire! Inoltre non sopporto le donne che piangono per niente! Allora alle sei sono a casa tua e fatti trovare pronta! Sai che non tollero aspettare! Ciao e a dopo”.
La comunicazione si interruppe bruscamente mentre Laura con il telefono in mano e grossi lacrimoni che le rigavano il viso era ancora inebetita e sconvolta.
Si riscosse, guardò l’ora e trasalì. Erano già le cinque passate e se voleva essere puntuale aveva pochissimo tempo a disposizione. Doveva sbrigarsi perché sapeva che Sofia avrebbe fatto una sfuriata delle sue, se non era già sull’uscio alle sei in punto.
Depose la cornetta e si precipitò nella sua camera per cercare qualcosa di carino da indossare per la serata e per preparare una borsa con gli indumenti per la notte e quanto poteva servirle a casa di Sofia.
Quella telefonata l’aveva fatta rinascere e non voleva sprecare l’occasione per dimenticare tutti i dolori accumulati nell’anima in quei giorni.
Quel pianto era stato proprio liberatorio.

(Capitolo iniziale del racconto "Non passava giorno .." )-

Profumo di fieno

Profumo di fieno

Le narici inalano
il profumo,
che entra nell’aria
del mattino.
La vista segue
uccelli neri
che si alzano e
si abbassano
repentini
sull’orizzonte.
La mente si nutre
di queste sensazioni
e vola lontano.

Vista dall'oblò

Il Poeta rimase un po’ di tempo sottocoperta, anche dopo la partenza delle tre Muse. Aveva necessità di raccogliere le idee sparse tra la nave che andava seguendo il filo dei pensieri e l’etereo web, che virtualmente lo immaginava come un orso bianco di aspetto e candido di pelo.
Si domandava incerto e dubbioso se la sua vita virtuale doveva cessare con l’eutanasia del suo blog oppure no. L’eutanasia – letteralmente buona morte (dal greco ευθανασία, composta da ευ-, bene e θανατος, morte) – era la pratica che consisteva nel procurare la morte nel modo più indolore, rapido e incruento possibile a un essere umano ipotetico, che desiderava sparire dal web e dal mondo non reale del blog.
“Perché?” si domandava Lui “Perché devo rimanere blog? E se rimango, quale gioia ne trarrò?”
Domande e risposte, che evocavano altre domande, frullavano nella testa del Poeta, che per oltre un anno aveva allevato il proprio avatar, mentre lo guidava tra i meandri ora stretti ora larghi del mondo immaginario di Internet.
Era un bel rompicapo, perché lì aveva conosciuto altri fantasmi come lui desiderosi di parlare, di scrivere, di immaginare mondi e persone che prendono forme e sembianze fantasiose e reali.
Tutto questo accendeva la fantasia del Poeta mentre veniva stimolata la vena poetica per emulazione e raffronto con tanti altri.
Lui poteva lasciare libera la mente di vagare senza mete precise e di cullarsi nei suoi pensieri, ora che la severa Calliope se ne era andata.
Non si sentiva libero di esprimersi come avrebbe voluto, perché lo spirito della Musa aleggiava minaccioso sottocoperta. Si aggirò come animale in gabbia osservando lo spettacolo visto dall’oblò. Cosa vedeva di tanto interessante? Spruzzi di acqua salata simili a lacrime che copiose rigavano il viso, squarci di vita che avevano visto lui come protagonista, gli amori giovanili dei quali aveva scordato il viso.
Era un caleidoscopio di ricordi che si componevano colorati davanti agli occhi della mente, per poi sparire un istante dopo e ricomparire in altre forme.
Il poeta doveva mettere ordine ai pensieri che fluttuavano liberi per la stanza per essere pronto domani a riprendere il filo del discorso interrotto dalla pausa notturna. Quale argomento doveva trattare, quando le Muse si sarebbero presentate dalla scala che attraverso il boccaporto conduceva sottocoperta.
Doveva parlare del presente o del passato prossimo remoto? “Bella domanda!” si disse Lui pensando alla risposta che sicuramente gli avrebbero chiesto. “La risposta è incerta” proseguì Lui nel dialogo immaginario con Calliope, che reggeva sempre il libro che stava scrivendo.