I sogni si avverano?

Matteo passò la domenica tra mugugni e recriminazioni per essere stato troppo impulsivo il giorno precedente.
Frammenti di immagini e brandelli di conversazioni scorrevano ora lenti ora veloci sulle pareti di casa, mentre lui cercava di riunire i pezzi che riflettevano il suo stato d’animo.
Aveva acquistato da poco una porzione di una villetta quadrifamigliare a Rubano in una zona di recente lottizzazione poco distante dal centro del paese, dove fino a pochi anni prima c’erano vigne e campi di erba medica. La casa non era molto ampia su due livelli, ma andava benissimo per lui ancora single. Su due lati aveva una piccola striscia di verde, dove ora prosperavano solo erbacce.
“Quando mai avrò tempo di sistemarlo” diceva a chi gli faceva notare lo stato di abbandono del giardino “Dal lunedì al venerdì sono in giro per l’Italia. Durante il fine settimana vorrei rilassarmi senza rompermi la schiena per curare il verde”. Aveva pensato di rivolgersi a qualcuno in paese per sistemarlo, ma rimandava di settimana in settimana, mentre il tempo scorreva inesorabile senza prendere la nessuna decisione.
Il sottotetto avrebbe potuto col tempo ospitare un piccolo studio, ma adesso era ingombro di scatoloni semivuoti, un paio di PC dismessi con molta polvere. L’aveva trovato allo stato grezzo e così era rimasto anche se ora era pentito di non averlo sistemato subito. Nel lavoro era molto meticoloso senza lasciare nulla al caso, ma nelle faccende private era irresoluto e cincischiava in mille attività che cominciava senza portare a termine nulla. Così aveva preso la decisione di utilizzare la cameretta al piano superiore come studio attrezzando una parete con scaffalature e ripiani e un tavolo da lavoro.
L’arredo della casa non era scadente, ma rifletteva la sua personalità appena abbozzata e dispersiva. Si notava molto la mancanza di un tocco femminile, mq per questo sperava di aggiungerlo presto.
Il computer era acceso, ma era abbandonato perché Matteo stava pensando ancora al giorno precedente.
Aveva fantasticato a lungo prima dell’incontro su una vacanza romantica con Micaela in giro per l’Italia, loro due soli con la sua auto perché lei non amava o non sapeva guidare.
“Quale sarebbe stata la prima destinazione?” si chiedeva rapito nell’immaginare eventi distorti della realtà e apri Google Earth per assaporare meglio il viaggio irreale volando con gli occhi del web.
“Vediamo un po’. Verso ovest o nord o sud? Verona o Mantova? Oppure Cortina, Bolzano, le montagne incantate delle Dolomiti? Ferrara, Ravenna o Firenze?” non riusciva a decidere quale direzione voleva prendere.
Però quella sarebbe stata solo una prima tappa di un tour attraverso l’Italia, che amava ed aveva imparato a conoscere attraverso il suo lavoro.
Il giro comprendeva anche le isole dell’arcipelago toscano o forse no, perché quelle le avrebbe voluto visitare su una barca a vela di sicuro non nel mese di Agosto.
Avrebbe desiderato scendere verso Roma attraverso la Toscana e l’Umbria per restare diversi giorni lì, mentre assaporava il fascino di quei ruderi e chiese che aveva imparato ad amare durante le lunghe camminate in attesa della cena serale.
Ora però era deluso da Micaela, dalla persona amata che non rispondeva alle sue aspettative, che peraltro non erano realistiche. L’effetto dell’innamoramento era di farlo fantasticare, cosa piacevole e innocua se lui si manteneva nei limiti della realtà, ma purtroppo aveva ecceduto senza tener conto delle possibili reazioni. Aveva vissuto in sogno un senso raffinato della bellezza che ricercava in tutto ciò che lo circondava. Tuttavia non era stato molto pratico e sarebbe stato meglio rimandare a un altro momento tutte le questioni che richiedevano un giudizio sicuro nelle relazioni interpersonali, ma ormai la frittata era stata fatta.
Matteo era un sognatore incallito per effetto della timidezza innata e della paura ad esternare i propri sentimenti. Spesso durante i lunghi viaggi sognava situazioni impossibili a realizzarsi dove lui era concupito dall’amore segreto di turno. La ragazza, di cui si era innamorato senza che lei lo sospettasse minimamente, lo blandiva, lo circuiva, mentre lui glaciale ed algido si faceva pregare per accettare il corteggiamento.
Era intelligente, colto e raffinato qualità che esprimeva con naturalezza, sapeva parlare con criterio e proprietà, misurato ed attento, ma spesso rovinava tutto con uscite infelici che ferivano l’interlocutore.
Anche ieri non aveva percepito che Micaela era concentrata solo ed unicamente sugli esami che doveva sostenere mentre non c’era posto per altre divagazioni personali. Però lui non ascoltava ed era infastidito dal quel chiacchiericcio su qualcosa che non lo interessava. Per questo motivo aveva esternato quella proposta inopportuna sia per il tono di voce sia nel modo di esporla che aveva troncato bruscamente il loro rapporto.
Ora si stava domandando come avrebbe potuto riallacciare il discorso interrotto perché non riusciva a trovare una leva da usare per toccare la sensibilità di Micaela.
“E’ tutto compromesso oppure posso ancora sperare?” si chiedeva ansioso quando una breve melodia gli annunciava l’arrivo di un SMS.
Era Laura, che lo invitava ad unirsi a lei per visitare la mostra sull’arte orafa nel Salone. Lei faceva di tutto per farsi notare, ma lui non era molto propenso ad intavolare una relazione perché la riteneva troppo aggressiva e poco dolce.

“Non è la donna che cerco” si diceva sempre
“Cosa faccio?” si domandò smarrito finché decise di accettare l’invito e di trovarsi in Piazza delle Erbe fra mezz’ora.

(Cap. 4 del racconto “L’incontro”)

Nel paese dei palloncini

 

I veri viaggiatori
partono per partire
e basta:
cuori lievi,
simili a palloncini
che solo il caso
muove
eternamente,
dicono:
“Andiamo”,
e non sanno
perché
i loro desideri
hanno le forme
delle nuvole

 Charles Baudelaire

Ogni bambino sogna di essere nel paese dei palloncini, che colorati e variegati vengono riempiti d’aria e vengono legati con un cordino bianco.
Simone è uno di questi a naso in su ad osservare quello che gli è sfuggito di mano e che vola libero e leggero verso il cielo azzurro.
Dal nonno aveva sentito parlare di un mitico paese dal nome strano, che ora non ricorda più, dove si fabbricano i palloncini colorati come quello che ora dondolante è lassù inafferrabile, mentre lui non osa chiedere a Miriam, la mamma, di comprarne un altro.
Il racconto si era snodato lieve mentre la sua curiosità gli faceva porre sempre nuove domande.
“Nonno,” diceva “dove si trova questo paese dei balocchi?”
“No, Simone” replicava paziente il nonno “non è il paese dei balocchi. Lì, li fabbricano, perché un giorno la mamma possa comprartene uno”.
E Simone a bocca aperta e gli occhi spalancati ascoltava il racconto.
“Il palloncino di gomma rossa a forma di papera, trasparente è gonfio di aria ed è leggero come una nuvola in cielo. La tua papera segue il vento con lentezza, muovendosi dondolante in qua e in là. Sembra assente, ma lo vedi lì sopra la tua testa. Si gonfia col fiato del nonno, ma non teme il vento. E’ il ventre di Eolo”.
Una breve pausa per prendere fiato e riprendeva. “Sai chi è Eolo?”
“Si,” rispose senza pensarci troppo, perché nella sua innocenza non poteva porsi troppe domande “è uno dei sette nani!”
“No, Simone. E’ un signore che sta ovunque dove soffia il vento”.
Simone aggrottò la fronte perché non capiva. Secondo lui era uno dei sette nani della fiaba Biancaneve.
Il nonno sorrideva anche se il nipote rimaneva perplesso.
“Dunque, nonno, dove si trova questo meraviglioso paese?” concluse Simone.
Lui si alzò dalla sedia ed armeggiò nel cassetto della sua scrivania.
Gli occhi del bambino seguivano incuriositi le mani del nonno, che depose sul tavolo qualcosa di giallo piegato e ripiegato più volte, un po’ sgualcito, un po’ consunto nelle pieghe.
“Simone” iniziò a dire il vecchio “questa è l’Italia”.
“L’Italia?” domandò stupito “Ma non è quella vecchietta che ci vende i lupini?”
“No, no!” disse ridendo il nonno “Questa carta ingiallita descrive il paese dove viviamo”.
“Ma non mi sembra che servano tutti questi fogli per mostrare F…. E’ tanto piccolo il nostro paese”.
Allora il nonno cercò di spiegargli che non era il piccolo paese in cui vivevano, ma la nazione di appartenenza. Però alla fine finse di accettare il punto di vista del piccolo, mentre cercava Casalvieri, il paese dei palloncini.
“Ecco, è qui, il paese che cerchiamo” indicando un minuscolo puntino tra pianura e montagna.
Simone rimase a bocca aperta per lo stupore che un puntino contenesse tutti i palloncini colorati del mondo.
Ora Simone ripensa allo strano racconto del nonno, ma non saprebbe dire se si trova a nord o a sud di F…., oppure a destra o a sinistra, perché lui non conosce ancora i quattro punti cardinali.
Ricorda però bene la filastrocca che il nonno aveva recitato
Dove andranno
a finire i palloncini
quando sfuggono
di mano
ai bambini,
dove andranno,
vanno a spasso
per l’azzurrità..
 
Renato Rascel

“Dove andrà” di domanda impacciato e confuso “il palloncino colorato che mi è sfuggito di mano? Andrà là dove diceva il nonno nella sua filastrocca?”
Simone è sempre a naso in su a seguire quel minuscolo puntino che si perde nell’azzurro del cielo.

L'incontro

Era una calda serata di fine maggio quando Micaela scese a Padova dal locale delle 18 e 30 proveniente da Venezia. Era accaldata e sudata, mentre nelle narici conservava la sensazione di sporco e di sudore che l’aveva accompagnata per tutto il viaggio interminabile per le soste in ogni stazione. Quel treno era sempre affollato di lavoratori e studenti che tornavano a casa la sera ed era sempre più lercio ed in ritardo. Doveva smettere di prenderlo, perché un senso di vomito l’accompagnava anche dopo l’arrivo.
“Ancora pochi mesi e poi basta fare la pendolare” diceva tra sé mentre scendeva nel sottopasso per recuperare la bicicletta. Le mancavano pochi esami e poi la tesi liberatoria.
Micaela frequentava con ottime votazioni l’università; di Venezia per prendere la laurea in architettura.
Era sua intenzione dopo un tirocinio presso uno studio di architetti, già individuato, di mettersi in proprio, di essere indipendente nella creatività e nella professione. Sarebbe stata dura, ma gli stimoli non mancavano. La famiglia modesta e senza grandi risorse finanziarie l’aveva assecondata con grandi sacrifici. Di questo era ben conscia e non aspettava altro che smarcarsi economicamente da loro per ripagarli delle rinunce.
Spinse la bicicletta verso via Jacopo Avanzi per andare all’Alì Market dell’Arcella vicina al Santuario di Sant’Antonio, non nella Basilica del Santo più nota e famosa, ma il convento dove il Santo era vissuto ed era morto durante il trasporto da Camposanpiero. Questo complesso imponente e vario era quasi sconosciuto ai turisti, che frequentavano solo la grande Basilica vicino a Prato della Valle.
Aveva fretta perché era ormai era orario di chiusura e doveva assolutamente comprare la crema per il viso, che le sarebbe servita la mattina dopo.
Si aggirava inquieta ed agitata tra gli scaffali alla ricerca di quello che le serviva, quando si scontrò con un giovane che teneva un cestello pieno di merce. Un attimo e il contenuto rotolò per terra col botto di un pinot grigio, che bagnò la corsia.
“Porca miseria!” esclamò il giovane con voce rabbiosa “Guarda dove metti i piedi! Non sei sola qua dentro per correre come una pazza!” Lo scoppio d’ira e il viso contratto da una smorfia di rabbia fecero girare gli astanti, mentre udivano la voce alzarsi di tono.
Micaela restò impietrita senza proferire una parola, tanto che avrebbe potuto dire a sua discolpa se non qualche scusa.
Era rossa in viso, mentre la testa si riempiva di mille pensieri che stentavano a prendere forma. Lo sguardo era fisso sul giovane, che dopo lo scoppio d’ira si stava ricomponendo, mentre raccoglieva da terra quello che non era andato rotto o rovinato.
“Scusa le parole irose proferite” disse con tono conciliante mentre l’ira andava sbollendo, “Non volevo offenderti. Mi chiamo Matteo” e tese la mano verso Micaela.
“Sono io a dovermi scusare per la goffagine nel cercare la crema” replicò accettando quel gesto di conciliazione “Micaela”.
Lei si chinò per aiutare l’uomo a raccogliere e riporre nel cestino le ultime cose, mentre lo osservò con attenzione.
Non era molto alto, ma il corpo era muscoloso senza eccessi. I capelli erano scuri dal taglio moderno né lunghi né corti. Sul viso regolare spiccavano due occhi color nocciola e una corta barba ben curata.
“E’; un bel ragazzo” pensò mentre gli sfiorava una mano percependo un brivido nel corpo.
Anche Matteo osservava con cura Micaela, della quale notò i capelli rosso ramato e gli occhi verdi da gatta. Era alta nella norma anche se la corporatura minuta la faceva sembrare più longilinea di quello che era in realtà. Non era appariscente con quel seno piccolo da adolescente nascosto dalla camicetta. I capelli, rossi, erano belli e mossi quel tanto da conferire al viso chiaro e leggermente lentigginoso una grande luminosità.
Non riusciva a staccare lo sguardo da lei pentendosi di essere stato sgarbato ed iroso.
Si aiutarono a vicenda per completare gli acquisti prima di avviarsi alle casse.
Lo screzio di pochi minuti fa era ormai relegato tra i ricordi remoti mentre chiacchieravano con calma di loro e delle loro attività attuali.
Usciti dal supermercato restarono ancora a parlare, perché tra loro stava nascendo una reciproca simpatia.
Micaela era alla ricerca di un uomo che la trattasse da pari a pari, per quello che faceva e desiderava ottenere dalla vita, quindi percepiva che Matteo poteva essere una possibile persona.
Prima di salutarsi, lei senza sollecitazioni disse sorridente e maliziosa: “Scambiamoci i numeri di telefono, così possiamo incontrarci una seconda volta”.
Matteo rimasto sorpreso piacevolmente replicò con immediatezza: “Perché; solo una seconda volta?”
Anche lui era single e alla ricerca di una ragazza dal carattere dolce e romantico, perché mal sopportava le donne aggressive ed autoritarie. Aveva sempre avuto difficoltà di approccio con le ragazze, perché era introverso e un po’ timido, a volte rinunciatario, sempre pronto a chiudersi a riccio su se stesso.
Dopo essersi salutati lui l’osservò, mentre Micaela si allontanava in bicicletta. Si chiese se quella poteva essere la donna che cercava e non aveva trovato finora.
Scosse la testa e si infilò nella macchina per raggiungere Rubano, dove abitava.

Titolo da definire- frammento #3

“Silvia, “ cominciò la madre tra titubanze e tentennamenti “capisco che ormai sei una donna ed io non sono stata in questi anni quello che si dice una madre priva di pecche. Però non posso fare a meno di disapprovare il rapporto che hai con l’insegnante di recitazione, quella regista ormai matura con cui ti vedi e ti senti”.
Si fermò osservando attentamente la figlia in piedi dinnanzi a lei senza distogliere lo sguardo.
Silvia diventò rossa per l’ira che stava montando dentro di lei e aprì la bocca per urlarle in faccia tutto il malumore che aveva covato in questi anni, ma non uscì alcun suono.
Sembrava incapace di parlare, di connettere i molti pensieri che frullavano liberi nella mente, ma un’improvvisa afasia le impediva di pronunciare qualsiasi lettera.
“Siediti e calmati” proseguì la madre, mentre le faceva posto sul divano.
Elisa parlò con pacatezza e a tono basso mentre Silvia calmava a poco a poco il tumulto interno che le aveva impedito di proferire parola.
Discussero a lungo del rapporto con Laura, degli errori che Elisa aveva commesso con le figlie, dei rapporti tesi con Riccardo con un confronto serrato ed aspro allo stesso tempo.
Silvia difese con ostinazione la scelta di evitare gli uomini che identificava tutti col padre, un traditore. Continuava a non interpretare perché la madre non voleva accettare la sua opinione di escludere gli uomini dai suoi pensieri.
Lei era confusa nell’esposizione e nei pensieri che nascevano all’interno, non riusciva a svolgere logicamente le idee, che si ammassavano caoticamente come uno stormo di uccelli impauriti dagli spari dei cacciatori.
Elisa senza fretta e con pacatezza smontava tutte le teorie, le argomentazioni, i pensieri, perché le affermazioni era prive di solidità, sconnesse e piene di luoghi comuni.
Avrebbe avuto vita facile a convincerla nel lungo termine, se Silvia avesse proseguito sul cammino intrapreso, ed aspettava sorniona.
Non aveva fatto i conti con la tenacia e l’ostinazione della figlia, che riusciva a rendere razionali i propri pensieri tramite le risposte di Elisa, come quei software che affinano i propri modelli attraverso le tecniche di intelligenza artificiale.
Silvia si sentiva rinfrancata e sempre più lucida nei pensieri, mentre riannodava i fili della mente.
“Mamma, “ disse ergendosi davanti a lei “siamo qui da diverso tempo e nessuna dellle due è riuscita a convincere l’altra. Non capisco perché dopo anni di silenzio e di disinteresse ora vuoi convincermi che il mio rapporto con Laura è sbagliato. Inoltre hai coinvolto anche Riccardo, che non vedo e non sento da oltre quattro anni. Ormai sono una donna e la mia sessualità la decido io”.
Poi si allontanò senza salutare per rinchiudersi nella sua stanza. Per sbollire l’ira della lunga discussione mise le cuffiette dell’IPOD per ascoltare i Coldplay. Mentre la musica invadeva col suono martellante la sua mente, lei si sentiva come un uccello prigioniero che poteva osservare solo quella vista offerta dalla gabbia.
Elisa rimase per un po’ seduta percependo che era fallita prima come moglie poi come madre. Il suo rapportarsi con le altre persone era quello di porsi al centro dell’attenzione mentre faceva affidamento su un potere che forse era solo nella sua immaginazione.
Pensava di diventare archeologa e girare il mondo, ma era diventata schedatrice di ruderi, reperti fatiscenti e qualche crosta sfuggita alle ruberie. Un momento di scorramento l’assalì, mentre stava pagando il prezzo della tensione accumulata in tutti questi anni. Era svuotata di tutto dai pensieri alle forze, mentre pensava al ruolo a cui era stata condannata senza che lei potesse opporsi.
Si alzò lentamente con gli occhi pieni di tristezza per andare, ma non lo sapeva nemmeno lei.

Aprì la porta e sparì.

Silvia che si aspettava che la madre la raggiungesse nella sua stanza per dire qualcosa udì la porta chiudersi e poi il silenzio che calava nella casa.
Tolse le cuffiette e andò nella sala, dove trovò appoggiato sul divano il telefono di Elisa che pulsava per una chiamata in arrivo e un paio di SMS in attesa di essere letti. Corse alla dependance nella speranza vana di trovarla immersa nei suoi pensieri, ma anche lì regnava buio e silenzio.
Si accasciò disperata mentre le lacrime bagnavano il suo viso. Ora sapeva che non l’avrebbe più rivista.
(tratto da “Titolo da definire – racconto a due mani” – cap. 18)

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