Amanda 15

Pietro si trovò in una specie di limbo nero tra il reale e il sogno. Non riusciva a percepire dove fosse, né aveva la forza di comprendere la sua condizione.
La sua mente fluttuava in un mondo incorporeo come se fosse nel regno dei defunti.
Provò a svegliarsi, ma gli occhi rimanevano senza scampo chiusi al mondo esterno. La mente non accennava a passare dallo stato di torpore a quello della veglia vigile.
“Dove sono?” si domandò con i sensi impastati da sensazioni sgradevoli e sconosciute.
Tutto continuava a rimanere buio senza alcun cenno che potesse sbucare un po’ di chiarore a illuminare la scena.
Gli ultimi ricordi parevano sbiaditi, lontani nel tempo. Eppure gli sembravano piacevoli e dolorosi allo stesso tempo.
Nonostante gli sforzi, la sua condizione non mutava. Era sempre la medesima di qualche istante prima. Però qualcosa stava modificando il suo stato. Leggere percezioni differenti si insinuavano nella mente, mentre provava ad alzare le mani.
Una la muoveva liberamente, ma l’altra sembrava ancorata saldamente al corpo. Per quanto sforzi facesse, per quanti comandi impartisse all’arto, quella non aveva nessuna intenzione di ubbidire.
“Cosa mi impedisce di muovere la mano? Sembra inerte, né reattiva”.
Con lentezza riuscì ad aprire un occhio, poi l’altro. Però la sensazione di oscurità rimaneva.
“Dove sono?” si chiedeva con qualche affanno e leggermente sgomento.
Vagamente scorgeva i contorni degli oggetti che gli parevano familiari. La sponda del letto, l’armadio alla sua destra, il chiarore appena sfumato che penetrava da una finestra posta alle sue spalle.
Quella luminescenza gli sembrava molto pallida come se fosse notte e la luna brillasse nel cielo.
“E’ veramente notte oppure i miei sensi sono ingannati da altre fonti luminose?”.
Continuava nella sua esplorazione personale dei sensi. La vista vedeva gli oggetti,
“Sì, quello che mi circonda è familiare. Li riconosco”.
L’udito percepiva il profondo silenzio del bosco e il leggero ansimare dei suoi polmoni. L’olfatto non era attivo. Nessun odore particolare giungeva alle narici.
“Ma cosa avrei dovuto sentire? Il profumo del bosco? Gli effluvi della tisana? Cosa?” si interrogava con sensazioni contrastanti.
Solo una mano era sensibile agli oggetti, la sinistra pareva inerte.
“Ne ho forse perso l’uso? Cosa sono queste bende che l’avvolgono?”
Si sforzò di ricordare cosa era successo prima di entrare in quel regno oscuro che aveva posto nell’oblio la sua mente.
Ecco allora, come per incanto, i ricordi cominciarono ad affiorare dal pozzo nero nel quale li aveva confinati, dando un senso alla situazione nella quale si trovava.
Ancora una volta un pensiero sovrastò il resto.
“Se ero seduto sulla vecchia sedia a dondolo, prima di sprofondare nel buio, come ho fatto a ritrovarmi nel letto al piano di sopra?” si chiedeva con una punta di dubbio e molta angoscia che pervadeva il petto.
Sembrava che qualcuno si stesse prendendo cura di lui. Un’anima amica.
“Chi sei?” si chiese sgomento. Ricordava che aveva percepito solo le mani dalla dita affusolate e bianche come la neve.
“E quali magie sta operando su di me?”
Altri frammenti si aggiungevano a quelli di prima. Un nuovo mosaico si ricomponeva nella mente. I ricordi di Amanda, uscita dalla sua vita diversi anni prima, la vita solitaria, il bosco amico, il grande abete che custodiva un segreto e quel nemico misterioso.
“Chi era? Perché mi inseguiva? Perché non dovevo voltarmi?” Tante domande prive di risposta si affacciavano bussando imperiosamente.
“E poi Angelica. Un angelo protettore. Ma è stata veramente lei a salvarmi?”
Adesso gli occhi spaziavano nel buio alla ricerca di qualcosa che non poteva vedere. Si drizzò sul letto a fatica. La mano sinistra continuava a rimanere inerte come se fosse staccata dal braccio e pesava terribilmente. Con la destra cercò l’interruttore per illuminare la stanza. Sembrava che fosse stato ingoiato dall’oscurità. Poi alla fine la luce l’accecò. Strinse gli occhi per abituarli alla nuova luminosità e con lentezza sollevò le palpebre.
Si osservò e vide che si era spogliato.
“Cosa sono questi misteri? Cado lungo il sentiero che mi portava a casa e mi ritrovo in poltrona. Sono preda di una febbre da cavallo e scopro che qualcuno mi ha spogliato e messo a letto al piano superiore. Magie o fantasie mie?”
Cautamente provò a mettere un piede per terra, ma la testa cominciò a girare vorticosamente.
Pietro ondeggiava pericolosamente verso il pavimento, quando percepì delle mani femminili che lo adagiavano sul letto.
“Chi sei?” domandò stupito.
“Riposa. Alle domande c’è tempo” rispose una voce del tutto sconosciuta. Non era Angelica.
“No. Voglio sapere. Altrimenti brucio come un fiammifero”.
“Dunque brucia, ma la fiammata è breve. Dormi. Sei troppo debole per ascoltarmi”
E nuovamente sentì gli occhi chiudersi e la pace invadere la mente.
“Chi sono queste fate che si stanno prendendo cura di me?” fu l’ultimo pensiero.

Amanda 14

Era settembre quando Amanda si prese una vacanza con le sue amiche. Sette giorni di relax, lontano dal lavoro, lontano dal quotidiano composto di alzate mattutine, otto ore di lavoro con un breve pausa pranzo, i lavori di casa e la solita cena serale. Erano giornate in fotocopia a parte il week end speso in gite per l’Italia, con puntate verso la Svizzera e l’Europa. E sempre in compagnia di Michi, Franzi e Anke.
Erano un quartetto di amiche affiatate sempre pronte ad aiutarsi l’un l’altra. Se una puntava a un maschio, le altre erano pronte a sostenerla. Su un ragazzo ne adocchiava una, le altre si ritiravano in silenzio senza competere. I rari screzi, che c’erano come era inevitabile, venivano prontamente risolti chiarendo i motivi che li avevano determinati.
Poteva sembrare una situazione idilliaca, ma non sempre era così. C’erano momenti di tensione, spesso determinati da circostanze esterne, che erano vissuti con nervosismo. Una volta avevano deciso di passare il fine settimana a Monaco di Baviera a girare per il mercatino di Natale. Quando il venerdì alle 17 dovevano ritrovarsi al monumento della Vittoria per partire, Anke non si fece trovare, né telefonò per avvertire del ritardo. Amanda cominciò a dare segno di impazienza, perché lei non sopportava i ritardi e per di più non giustificati.
“Cosa facciamo?” chiese senza dissimulare il nervosismo che stava montando mentre faticava a controllarlo.
“Nulla. Aspettiamo” rispose serafica Franzi continuando a fumare la sigaretta.
“Come nulla?” replicò seccata.
“Si, aspettiamo a basta. Se non ti va, puoi andartene” disse con poco garbo Michi.
“Suvvia! C’è necessità di scaldarsi per un piccolo ritardo? Anke, avrà avuto problemi a districarsi dall’ufficio” replicò paciosa Franzi.
“Certo!” riprese Amanda che sprizzava tensione da tutti i pori.
“Certo, avrà avuto problemi imprevisti sul lavoro. Però una telefonata l’avrebbe potuto e dovuto fare”.
Michi la guardò irritata come se stesse dicendo delle idiozie.
“Sicuro che una telefonata avrebbe risolto tutto ma c’è sempre qualcosa che non funziona come vorremo. Non ricordi più che un mese fa ci hai fatto aspettare quasi un ora? Hai telefonato per caso?”
“No, non ho telefonato, ma come potevo ero in riunione col capo!”
“E Anke non potrebbe essere nella stessa situazione?” proseguì tesa Michi.
“Sicuramente no! Ieri mi ha detto che il capo era partito per la Maldive con la segretaria! Quindi niente riunione!”
Amanda era furibonda, mentre la tensione cresceva. Era tanto palpabile che pareva concreta come una tela. Mentre Franzi continuava a fumarsi tranquillamente la sigaretta come se fosse estranea al piccolo battibecco, Michi aveva lo sguardo cupo e iroso, perché poco incline ad accettare che l’ultima arrivata dovesse dettare il ritmo e le convezioni da rispettare.
Amanda cominciò a muoversi in circolo a braccia conserte, nervosa e irritata senza accennare la ricerca di un pizzico di pazienza.
“Mi dai ai nervi!” sbottò Michi. “Non puoi stare ferma?”
 “No” e si avviò a passo deciso verso la macchina posteggiata per recuperare la borsa da viaggio.
“Che fai?” chiese stupita Franzi.
“Me ne torno a casa!”
“Uh! quanto sei suscettibile, oggi. Dai, Amy, non è successo nulla! Stiamo aspettando Anke che ritarda!”
“Bene. Voi l’aspettate e io me ne vado a casa. Così tolgo il disturbo e Michi si cheta” e aperto il bagagliaio estrasse la sua borsa.
In un batter d’occhio si diresse a piedi verso la casa a Gries, sparendo dal loro campo visivo.
“Piccola stronza!” disse Michi con voce cattiva.
“Però anche tu ..”
“Ti ci metti anche tu a rompere i co ..”
“Non c’è bisogno di scaldarsi troppo!” l’interruppe Franzi e indicò con la mano la figura di Anke.
“Eccola che arriva! Di corsa e trafelata. Che facciamo con Amy? La recuperiamo a casa?”
Michi alzò le spalle e andò incontro all’amica.
“Non vedo Amy. Non è ancora arrivata?” chiese ansimando come un mantice.
“No, la piccola stronzetta non voleva aspettare e se ne è tornata a casa” replicò acida.
Dopo un’altra breve litigata, Anke chiamò Amanda al telefono per ricomporre il litigio e partire tutte insieme per Monaco.
Erano tutte single, anche se gli anni stavano passando inesorabilmente. Però questo sembrava non pesare più di tanto. Dicevano che erano sempre in tempo per prendere il primo che capita, ma il primo non passava mai ad ascoltare loro.
Dunque il venti settembre si recarono all’aeroporto di Verona per imbarcarsi verso il mondo esotico del Messico. Era il primo viaggio lungo che affrontavano verso una destinazione affascinate e lontana. Si sentivano come tante scolarette al primo giorno di scuola.
Al check in incrociarono un gruppo di chiassosi ragazzi. Sembravano più giovani di loro ma gli sguardi maliziosi s’incrociarono.
“Hai visto come ci guardano?” chiese sottovoce Amanda.
“Sei già in fregola ancora prima di partire?” replicò ridendo Michi.
“Beh! Quel moretto non è niente male!”
“E no! Quello è mio!” disse sghignazzando Anke.
“Non leggo Anke appuntato sul petto”.
“Questo lo dici tu! Lui sta puntando i suoi fari addosso da quando ci siamo visti. Quindi è mio!” replicò decisa.
E nuove risate seguirono ad altre battute.
“E se non prendono il nostro aereo?” domandò tra il serio e il faceto Franzi.
“E noi li seguiremo” disse compunta Amanda.
“E il viaggio in Messico lo mandiamo a puttane?” continuò Anke.
“E’ il bello dell’imprevisto” sbottò nuovamente Amanda.
E così finirono a Londra al seguito dei ragazzi.
Naturalmente al posto del caldo Messico trovarono una piovosa e fredda Londra, mentre il bagaglio era completamente fuori posto.
Ma ne valeva la pena. Maglioni e giacche pesanti si possono comprare, la felicità si deve afferrare al volo.
E quella era un’occasione da non perdere.

Amanda 13

Pietro si assopì sulla poltrona complice la tisana di Angelica. Il sonno era agitato e gli incubi si sommavano tra loro.
Non era più nella baita ma in una casa sconosciuta. Il posto gli sembrava di conoscerlo, ma non ne era sicuro.
C’era qualcosa di ripetitivo che gli metteva angoscia, ma non riusciva a collegare logicamente i pensieri.
Si muoveva e si agitava, ma la mente continuava a sfornare film sempre più cupi. Niente colori ma solo otto tonalità di grigio del tutto sfocato. Era un caleidoscopio di immagini che si inseguivano in maniera incessante.
“Amanda, dove sei?” ripeteva con voce lamentosa.
Come un eco in una valle sperduta della testa quel grido si ripercuoteva in maniera incessante.
Eppure vedeva delle figure femminili senza scorgere quella della figlia. Compariva sempre e solo quella donna che aveva visto molti anni prima accanto al letto della sua Amanda.
“Non cerco te!” soleva ripetere all’apparizione di quella figura.
“Cerco Amanda”.
“Perché forse non sono Amanda?” l’eco di ritorno gli percuoteva la mente.
Non era quella che cercava ma sempre l’altra appariva.
“Non sei Elisa?” le chiese alla ennesima visione dopo una sua richiesta.
“Perché dovrei essere Elisa? Chi sarebbe questa donna?” gli rispose con voce dura e alterata dall’ira.
“Tu fingi di essere Amanda, ma in realtà sei Elisa. Stessa voce, stesso viso, stesso comportamento” ribadì seccato Pietro.
E lui si trovava in una località che come il mostro di Frankestein era la composizione di molti posti.
La casa assomigliava stranamente alla quella di ringhiera di Milano.
“Esisterà ancora? Sono passati tanti anni..” ma il posto non era quello.
“Dove sono?” e si interrogava senza ottenere una risposta. Sembrava la calle di Venezia dove aveva giocato da bambino con l’antico squero che produceva ancora gondole.
“Ma quello squero sarà ormai solo un pallido ricordo. Morto Bepi, nessun’altro ne avrà proseguito l’attività!”
Però la sala era quella della casa di Belluno: ampia e confortevole sempre abitata solo da lui con la vista sulle Dolomiti.
E l’incubo proseguiva con lui che precipitava in un canalone oscuro inseguito da grida roche e di scherno. Un roteare rovinoso lo accompagnava verso l’abisso senza che lui potesse fermarlo. E finiva immancabilmente in una stanza buia e stretta senza finestre e dall’aria soffocante.
E l’incubo ricominciava con nuove immagini e le stesse persone senza che lui potesse variare l’epilogo.
Si svegliò madido di sudore che gli imperlava la fronte e con un forte dolore proveniente dalla mano sinistra.
Guardò intorno: tutto era familiare. Non era cambiato nulla a parte la luce del sole sostituita dal buio della sera.
Sentiva un forte peso sul braccio sinistro, che era tutto fasciato e steccato.
“Dove sono? Cosa ha fatto l’arto di sinistra?”
Pareva aver dimenticato il sibilo misterioso e inquietante, la caduta, l’aiuto di Angelica. Eppure erano passate solo poche ore. Era come se qualcuno avesse resettato la memoria, facendolo tornare fanciullo.
“Ma quello è il campo di San Trovaso!  La c’è la chiesa e lì Palazzo Nani Mocenigo! E quel giardino dove ho passato tanti giorni a giocare a nascondino con Giorgio, Maria Grazia, Loretta e … E il campo dinnanzi alla chiesa … quante partite interminabili di pallone a consumare scarpe e ginocchia! Sto ancora sognando o sono sveglio?”
La febbre era alta e lo faceva delirare.
Pietro era incapace di risvegliarsi definitivamente, mentre un fuoco ardente lo divorava.
Era sempre seduto sulla poltrona senza riuscire ad alzarsi per coricarsi nel letto.
La temperatura era salita mentre sudava copiosamente e ricominciava con i sogni popolati da fantasmi e certezze.
Inseguiva una donna dai capelli rossi.
“E’ Elisa o Amanda?” si interrogava dubbioso.
“Quale importanza ha se non conosco nemmeno i motivi per i quali la sto inseguendo?”
Eppure la curiosità era forte e ogni volta che era vicino pronto ad afferrarla, questa figura gli sgusciava dalle mani. Pareva un anguilla che scivolava viscida dalla mano inutilmente stretta intorno a quel corpo.
Aveva il fiatone e le forze erano ridotte a ben poca cosa. Si fermò sotto l’abete di fronte alla baita a rifiatare e riordinare le idee ma sprofondò di nuovo nel buio più assoluto.
Non vedeva nulla, gli altri sensi erano come evaporati lasciandolo senza sensazioni.
“Sto morendo” disse con un filo di voce.
“Solo e senza il conforto di un’anima amica” e il buio diventò totale.

Amanda 12

Amanda, telefonato all’agriturismo, si mise d’accordo per affittare una camera doppia con bagno per l’intero mese di maggio e di giugno. Finita la colazione, o meglio il pranzo vista l’ora, alla pasticciera Alverà, si avviò lentamente a piedi seguendo le indicazioni sulla mappa di Cortina senza sbagliare un incrocio.
Prima di entrare fece comparire al suo fianco il bagaglio che era rimasto in attesa di essere richiamato.
Fin dal primo impatto trovò la sistemazione di suo gradimento.
“Il mio intuito non mi ha tradito. Non so il perché, ma quelle scarne note e le due fotografie mi hanno dato l’idea giusta di un posto tranquillo e rilassante. E non mi sono sbagliata”.
Erano questi i suoi pensieri mentre chiacchierava con la proprietaria che stava registrando i dati di Amanda.
L’accompagnò a visitare la stanza, che trovò accogliente, spartana ma confortevole e che aveva la vista sul bosco.
Sistemata la sacca con gli oggetti personali, scese nel giardino a raccogliere gli ultimi scampoli di luce. Il prato era curato con delle macchie colorate che interrompevano il verde riposante dell’erba primaverile. Si sistemò su una panchina addossata alla parete, con in mano una bibita dissetante. Quello che aveva fatto nella giornata odierna era sufficiente.
“Un tetto per la notte c’è. Per la cena nessun problema: il ristorante dell’agriturismo sembra invitante dalla lista del menù serale. Devo solo riordinare le idee e organizzarmi per il futuro che non si presenta limpido e sereno ma nemmeno occultato da nubi temporalesche”.
Accantonato il presente dedicò le successive riflessioni alle future mosse.
“Devo cercarmi un lavoro ma senza fretta. Il conto in banca mi garantisce un bel po’ di respiro. Posso scegliere con calma. La sistemazione è ottimale. E poi la signora, una persona squisita e gentile, ha detto che non ci sono problemi per la camera in luglio e agosto. E’ sufficiente fermarla a metà giugno. Devo decidere solo se restare a Cortina o proseguire il cammino alla ricerca di … Di che cosa?”.
E il giorno sfumava nella sera come la prima giornata di Amanda riemersa nel regno degli umani.
Nei primi giorni di permanenza percorse un paio di volte al giorno la strada che portava a Cortina. Non le pesava perché era allenata ma doveva trovare una soluzione migliore, perché non era pensabile che potesse continuare in queste lunghe passeggiate. Non aveva la patente, né pensava di prenderla nel futuro prossimo. Una mountain bike sarebbe stata comoda, ma la salitella finale era impegnativa. Un cinquantino era emozionante da guidare, mentre sentiva l’aria sbattere in faccia, ma forse era troppo pericoloso specialmente in caso di pioggia.
“Una minicar! Ecco la soluzione!. Non serve la patente. In caso di pioggia sono al coperto. E’ facile da guidare”.
Detto e fatto. Risolto il problema spostamenti, rimaneva quello del lavoro. Un offerta come stagionale in qualche hotel era pensabile e plausibile, visto che aveva una figura invidiabile e appariscente. Però fare la donna vetrina non era quello che cercava.
“E poi finita la stagione estiva che faccio? Aspetto una chiamata per quella invernale? Oppure fare la receptionist non è quello che si dice mettere a frutto gli studi e poi .. Quanti stress dovrei sopportare con tutte le richieste maliziose che dovrei subire?”.
In conclusione della minilaurea a Cortina se ne sarebbe servita poco o nulla e poi non voleva infognarsi in un ufficio a timbrare un cartellino o passare il suo tempo a rispondere al telefono. Cercava qualcosa di più sostanzioso e seducente.
E così a luglio si trasferì a Bolzano trovando un’occupazione che le garantiva uno stipendio dignitoso e qualche soddisfazione. Non era facile scovare un alloggio confortevole e adeguato alle entrate economiche attuali. Si sistemò nella vecchia Gries: una casa con pochi appartamenti e uno splendido giardino condominiale. Non era grande ma graziosa e quasi nuova più che sufficiente per le sue necessità.
“Un colpo di fortuna! Lì, non è facile essere accolti, ma la presentazione giusta mi ha spalancato le porte”.
Si era aggregata a un gruppo di ragazze, che avevano più o meno la sua età. Le aveva conosciute casualmente una sera di un week end di fine luglio nel bar Kaiser Joseph nella centralissima Piazza Walther. Non c’era un tavolo libero e lei ne occupava uno da sola. Sorseggiava uno spritz e piluccava qualche oliva e stuzzichino stanca e annoiata. Intorno giovani chiassosi e leggermente alticci consumavano il rito dell’aperitivo: vino bianco e acqua o boccali di Weizenbier. Si domandava come potessero tutti i week end dell’anno ripetere monotonamente le medesime azioni: bere, ubriacarsi, fumarsi una canna e avere il giorno dopo un mal di testa feroce.
Era immersa in queste riflessioni, quando si senti salutare.
“Ciao! Sono Michi. Non potresti ospitarci al tuo tavolo?”
Amanda sollevò gli occhi e vide tre ragazze bionde che l’osservavano con la speranza di una risposta affermativa.
“Ma certamente!” rispose pronta.
“Amanda” e allungò una mano verso Michi.
“Franzi” aggiunse sorridente la ragazza dai capelli mossi.
“Anke” replicò l’ultima e si sedettero al tavolo.
Amanda le studiò un attimo. Le apparvero simpatiche fin da subito, mentre avvertiva subito un’intesa vincente. Il sesto senso non l’aveva mai ingannata.
“Mi volete fare compagnia con uno spritz?”
“E perché no!” rispose Franzi che sembrava la più spigliata.
Da quella sera nacque una solida amicizia e il terzetto acquistò la presenza fissa di Amanda.

Amanda 11

“Angelica?” rispose Pietro con la voce incrinata dalla curiosità e dal dolore, che non dava tregua.
“Percepisco la tua presenza ma non ti vedo. Ho forse perso il senso della vista? Sono cieco o sei invisibile?”.
Una leggera risata risuonò alla destra di Pietro come una simpatica derisione. Lui scosse il capo mentre con un coltello faceva saltare il bottone del polsino. La mano era ormai completamente blu notte e gonfia come un melone. Non la sentiva. Era come se fosse morta. Il dolore sovrastava tutto. In questo momento era tutto concentrato sul problema di come organizzarsi.
“Devo decidermi. Devo chiamare il soccorso alpino. Non posso resistere ancora così”.
Udiva il leggero sibilo di un respiro regolare, percepiva la presenza amica ma si stava dimenticando di Angelica, quando qualcuno afferrò la mano con delicatezza.
Una fitta molto dolorosa gli percorse l’avambraccio e raggiunse in un attimo il cervello che gli parve esplodere in mille frammenti.
Istintivamente l’aveva ritratta come se volesse cancellare quell’urlo sgradevole ai sensi.
“Non ti preoccupare! Rilassati e presto il dolore si smorzerà”.
“Chi sei?” le domandò ancora una volta Pietro con le lacrime che scendevano sul petto. Non sapeva chi era, né dove si trovasse esattamente, percepiva solo la sua mano.
“Angelica. Non ricordi?”
“Sì, che ricordo. Ho capito che sei Angelica. Ma chi sei in realtà? Una fata? Un fantasma? Un essere invisibile? Perché ti sento e non ti vedo?”
Un’altra risata allegra risuonò nella sua mente. Era un suono piacevole che era in grado di smorzare l’ansia e il dolore che lo pervadeva.
“Sono forse diventato cieco? Oppure sono morto e sono nel regno dei defunti? Eppure distinguo i contorni della stanza come se fossi fisicamente nella baita. Però non posso osservare la tua figura”.
“Non potrai vedermi finché sei così nervoso..” replicò una voce femminile dai toni gentili.
“Vorrei vedere te al mio posto! Credi che questo dolore sia un toccasana per il mio corpo? Ahi! Mi fai male! Cerca di essere più delicata..”.
“Rilassati e bevi questa tisana ..” e come per magia comparve sul tavolo una tazza fumante.
“E questa cosa sarebbe? E’ una tazza fatata? Non ne possiedo di uguali ..”
“Certamente!” Pareva quasi lo volesse canzonare.
Pietro osservava l’oggetto con curiosità e diffidenza perché era decorata in modo bizzarro con strani disegni.
“Perché dovrei bere quell’intruglio misterioso? Chi mi garantisce che non contiene sostanze dannose o del veleno?” ripeteva silenziosamente come un mantra per vincere la naturale apprensione.
“Non essere diffidente. Non è un intruglio misterioso, né ho messo del veleno dentro. E’ una tisana per alleggerire il dolore” riprese quella voce femminile alla quale lui non riusciva ad associare una figura.
“Mi legge i pensieri ..” stava pensando, quando Angelica gli confermò che lui era un libro aperto per lei. Qualsiasi pensiero che balenasse nella mente era istantaneamente captato dalla misteriosa figura femminile. Non aveva nessuna possibilità di barare. Però lui non poteva leggere nella mente dell’indecifrabile Angelica.
Pietro, rassegnato a subire questa invasione mentale, con la destra afferrò la tazza, si soffermò a osservare i disegni che assomigliavano a rune, la portò alle labbra e ne bevve un sorso senza nascondere una certa ritrosia.
Il liquido denso e scuro aveva un gradevole gusto di menta e di limone. Era caldo ma non bruciava stranamente in gola. Altri sorsi si aggiunsero al primo.
Un ardente benessere cominciò a salire dallo stomaco verso la testa, alleviando quella sensazione di dolore proveniente dalla mano.
Pietro iniziò a rilassarsi e un pallido sorriso comparve sulle labbra. Però la curiosità di conoscere qualcosa di più di questa Angelica, di come fosse riuscito a raggiungere la baita, chi era il misterioso assalitore che sibilava stava crescendo a dismisure parimenti come decresceva la sensazione di dolore della mano.
“Che simboli sono questi?” domandò interessato tanto il resto delle domande le conosceva già.
“Lo so che sei curioso di conoscere tutto ma ogni cosa a tempo debito. Ora concentriamoci su questa mano che è rotta. Sentirai del dolore mentre la tiro per rimetterla a posto ..” riprese Angelica, afferrando con decisione la mano infortunata di Pietro con le sue.
Vide delle dita affusolate e bianche che con delicatezza ma sicurezza la manipolavano. Si stagliavano nettamente sulla pelle bluastra ma non notava altro. Il dolore era intenso ma ovattato come se giungesse da lontano. Una calma rassegnazione si impadronì di Pietro che osservava in silenzio l’abile gioco delle dita.
“Vedi questo simbolo? Thurisaz ..”.
“E che sarebbe thu.. thusaz..?”
Una risata argentina e franca risuonò nelle sue orecchie.
“Ah! Ah! Thurisaz ho detto! Un colpo di fortuna è diestr l’uscio”.
La curiosità cresceva nello stesso modo che la sua mano assumeva una conformazione più abituale.
“Questo è Ur. La salute arriverà presto. Non temere. Raido è quest’altro ..” e indicò un altro segno.
“Un viaggio improvviso e piacevole ti attenderà presto. E quest’ultimo è Perdh, che ti annuncia che un segreto non sarà più tale. Le fate sono con te”.
Pietro incredulo osservava rapito sia la tazza che era ormai quasi vuota ma anche quelle mani bianche, quasi eteree che con abilità e destrezza manipolavano la sua. E la curiosità di conoscere quest’angelo tornava a crescere dentro di lui.
“Di chi sono quelle dita candide? Perché posso osservare solo le mani, mentre rimane invisibile il resto del corpo?”
Nuovamente una leggera risata risuonò nelle mente a ricordargli che i suoi pensieri non erano muti.
“Acc! Me ne scordo sempre!” esclamo infastidito.
“Ti dovrai abituare ..”.
“Perché forse hai deciso di vivere qui con me?” la interruppe acidamente.
“Te ne dispiace?”
“Beh! No, dipende..”
“Da cosa?”
Pietro fu preso in contropiede da questa domanda, perché non poteva schermare i suoi pensieri e non esprimere quello che non pensava.
“Dipenda da .. Accidenti! Non sono capace di mentire.. e poi .. non vale che tu possa leggere impunemente i miei pensieri!”
Nuovamente una risata allegra e argentina risuonò nella mente, mentre si distraeva senza pensare alle manipolazioni della mano.
“Le ossa fratturate sono tornate al loro posto .. Ora procediamo con il resto”.
Pietro posò lo sguardo sull’arto infortunato e domandò stupito.
“E come puoi affermare che c’erano delle ossa rotte? Col semplice tatto oppure hai la vista ai raggi ics?”
“Troppe domande. Fidati e rilassati. Tra pochi minuti tutto sarà finito”.
Velocemente un decotto di foglie d’arnica venne spalmato dalle punte delle dita fino a metà dell’avambraccio prima che il tutto sparisse sotto delle candide bende che immobilizzarono l’arto.
“Ho finito”.
Pietro rimasto muto riacquistò la parola.
“Angelica ..” ma le parole caddero nel vuoto.
Lei era sparita silenziosamente e lui rimase con la domanda pendente sulle labbra.

Amanda 10

Amanda a venticinque anni se ne era andata, sapendo di causare un dolore a Pietro, che si era prodigato a colmarla di attenzioni e affetto fino a quel momento. Non poteva fare diversamente. Il richiamo era troppo forte per poter resistere. La sua natura a metà umana e metà elfica produceva dentro di lei delle lacerazioni non più sostenibili.
“Una delle due metà deve prevalere se non voglio rimanere distrutta dalla mia stessa essenza. Finché ero piccola tutto questo era ignorato, ma col passare degli anni il dualismo inconciliabile ha prodotto delle ferite che difficilmente potranno essere richiuse”.
Si domandava come avrebbe potuto spiegarlo a suo padre che aveva fatto la scelta opposta a sua madre, scegliendo il suo essere elfico. Non aveva più rivisto Elisa ma spesso si collegava a lei attraverso la mente. Ignorava dove si trovasse ma un senso di malessere c’era dentro di lei.
“Non posso farci nulla” soleva ripetersi dopo ogni contatto mentale, ma una sensazione di astio malcelata e a stento repressa galleggiava nei suoi pensieri.
“Non posso perdonarle di avermi abbandonata. Ops! Non è una critica a Pietro, che si è dimostrato un padre premuroso e pieno di attenzioni, sempre pronto a prodigarsi per me. Ma ho patito la mancanza fisica di Elisa. Non ho mai compreso la motivazione che l’ha indotta a sparire nel nulla, lasciando Pietro nella tristezza. Eppure aveva fatto una scelta di campo: essere una donna come tutte le altre”.
Amanda, sia pure a malincuore sapendo di provocare un nuovo trauma al padre con questo abbandono, il secondo dopo quello della madre, aveva preferito la natura fatata degli elfi.
Così il giorno del suo venticinquesimo compleanno aveva preso la decisione di abbandonare il mondo degli umani per fare ritorno nel bosco degli elfi.
Però si accorse ben presto che la sua natura di mezzosangue non era gradita dalla comunità, che a suo tempo aveva messo al bando Elisa.
Provò a integrarsi, ad accettare le frecciate e la battute ironiche dei componenti del gruppo, ma si sentiva isolata ed emarginata.
Dopo qualche tempo in silenzio come era arrivata, se ne andò.
“Potrei tornare da Pietro, perché so che mi accoglierebbe a braccia aperte come farebbe con Elisa. Però preferisco di no. Perché? Mi sembra un tradimento verso me stessa. Me ne tornerò nel modo dal quale sono venuta e mi adatterò alla vita che conosco già. Pietro mi ha fatto studiare consentendomi di prendere una mini laurea. Vedrò di metterla a frutto”.
Una mattina di maggio limpida e soleggiata si incamminò verso San Vito scendendo la strada che tante volte aveva percorso sul fuoristrada del padre. Sola coi suoi pensieri e la delusione in corpo. Aveva detto arrivederci a quel bosco che conosceva troppo bene e che adesso l’aveva rifiutata. Sarebbe venuto il tempo per ritornarci. Quando non lo sapeva, ma era certa che sarebbe ritornata.
Non aveva il timore di incrociare il padre, perché la sua natura ne avrebbe fatto percepire a distanza la presenza, consentendole di nascondersi alla vista.
“Per il bagaglio c’è tempo. Lo richiamerò quando ho trovato una sistemazione. Al momento preferisco viaggiare leggera”.
Arrivata in paese col sole già alto nel cielo si recò alla banca per prelevare qualche euro dal suo conto. Pietro gliene aveva aperto uno e mensilmente provvedeva a versare una cifra non imponente. Il conto mese dopo mese, anno dopo anno era diventato cospicuo perché Amanda raramente vi accedeva. Questo era uno di quelli.
“Papi” disse sottovoce con una lacrima che le rigava il viso “Papi, sei troppo buono. Anche se me ne sono andata hai continuato ad alimentare il conto. Quando potrò sdebitarmi della tua generosità?”
E prese la corriera in direzione di Cortina.
Non era interessata a quello che la circondava, che aveva già vissuto tante volte col padre, ma era immersa nei suoi pensieri. Doveva trovare da subito una pensione per la notte, ma secondo lei non ci sarebbero stati problemi.
“Non è tempo di turismo. Quindi non ci saranno complicazioni. Al massimo ne troverò qualcuno chiuso”.
Però presentarsi senza bagaglio avrebbe potuto destare qualche sospetto, ma questo non avrebbe costituito alcuna difficoltà: sarebbe stato sufficiente uno schiocco delle dita e accanto a lei sarebbe apparso come per magia.
Per il problema lavoro ci avrebbe pensato nei prossimi giorni. Aveva denaro a sufficienza per vivere dignitosamente per molti mesi.
Scese alla stazione delle corriere, guardandosi intorno. Poi recuperò una cartina e la lista di hotel, che esaminò seduta alla pasticciera Alverà. La camminata di prima mattina gli aveva messo fame appena mitigata da un caffè preso prima di salire sul bus per Cortina.
La giornata era splendida e un’altra passeggiata non la scoraggiava. Però doveva decidersi dove puntare. Scartati gli hotel puntò sulle pensioni, ma anche un B&B poteva andare bene. Nella lista comparivano anche un paio di agriturismo.
“Questo è interessante” si disse mentre sorseggiava il cappuccino.
“Però sarebbe opportuna una telefonata prima di farmi trenta minuti di cammino. Il mio l’ho lasciato dal papi. Quindi me ne devo procurare uno”.
Alzò lo sguardo e come per incanto spuntò un negozio di telefonia mobile proprio di fronte a lei.
E così finì nell’agriturismo in località Fraina. Era immerso nella natura dove il silenzio era interrotto solo dal cinguettio degli uccelli e godeva di una posizione panoramica e soleggiata. Gli ampi spazi verdi che la circondavano le ricordavano il bosco degli elfi. La stanza, con l’arredamento caratteristico della montagna, era spaziosa e confortevole dove si sentiva avvolta dalla calda accoglienza del legno.
E vi rimase per oltre un mese.

Amanda 9

Quando all’improvviso udì un suono diverso dalla solita musica del bosco. Il vento era diventato muto, le fronde si erano fermate.
Pietro stette immobile osservando quello che lo circondava. Era il solito paesaggio costituito da alberi e sottobosco esattamente come ricordava dai giorni precedenti. Eppure quel rumore insolito risuonava nella sua testa. Non l’aveva mai percepito prima di quel momento. Era sconosciuto.
Mosse un passo verso quella che riteneva che fosse la fonte per scoprirne le origini. Una nuova intonazione sonora si levò acuta e grave al medesimo tempo alla sua destra. Si volse attento per scorgere chi lo aveva prodotto ma vide solo un sentiero del quale era visibile solo l’inizio, perché degradava rapidamente alla vista.
L’abete rosso accanto a lui gli sussurrò «Fai attenzione!».
“Attenzione a cosa?” pensò rivolgendosi verso l’albero.
La chioma parve muoversi in segno di incertezza, mentre Pietro acuiva i sensi. Non aveva un idea di quanto fosse distante dalla baita. Non aveva prestato attenzione alla strada durante il suo vagabondare lento e senza meta nel bosco alla ricerca di un qualcosa che ignorava ma che intuiva solo. Però era dibattuto tra la curiosità di conoscere l’origine di quel suono inquietante e la naturale prudenza usuale nelle passeggiate solitarie. Poi quel sussurro di fare attenzione aveva intensificato la sensazione di incertezza e di pericolo. Era sospeso e indeciso con la mente che combatteva la sua personale battaglia con l’istinto, quando percepì qualcuno che bussava per entrare in contatto con lui.
“Chi mi cerca?” si domandò stupito.
“E perché mi cerca?”
Il suono era sempre più vicino mentre Pietro era sempre più indeciso.
Aprì la sua mente.
“Riprendi il sentiero di casa senza indugi e ignora il suono” udì con chiarezza.
Non era un avvertimento, era un ordine perentorio che proveniva da una voce femminile che non aveva mai conosciuto.
“Chi sei?” domandò mentre si girava per far ritorno alla baita.
Però la domanda cadde nel vuoto senza una risposta.
Affrettò il passo cercando di estraniarsi dal sibilo lacerante che sembrava appena dietro di lui. Non si volse, non si fece prendere dal panico o dall’ansia, mentre con calma percorreva il sentiero che l’avrebbe condotto alla baita.
Però si domandava a chi apparteneva quella voce femminile che non era riconducibile a nessuna di quelle conosciute. Il bosco pareva proteggerlo, avvolgerlo nelle tenebre per nasconderlo all’essere sibilante.
Con passo deciso affrontò la breve salita che nello spazio di pochi minuti l’avrebbe fatto sbucare nella radura. Il respiro era leggermente affannato per la camminata veloce e piena di incognite.
Cercava di ignorare quel rumore che pareva sempre più vicino a lui, mentre non cedeva alla tentazione di voltarsi per osservare chi lo produceva.
Sfiorò i rami bassi di un larice che lasciò cadere una miriade di aghi sul sentiero.
“Affrettati!” gli sussurrò con una vena di inquietudine accompagnando le parole con il moto dei rami.
“Perché?” domandò Pietro adesso visibilmente impaurito.
Era la prima volta che il bosco lo proteggeva da una forza estranea, che apparentemente appariva pericolosa. Nei trent’anni di visitazione non lo aveva mai sentito così preoccupato e teso a difenderlo.
Si domandava chi potesse essere, mentre un leggero senso di angoscia cominciava affiorare nella mente.
Pietro cercava di mantenere la calma scacciando queste sensazioni negative, ma gli riusciva con sempre maggior fatica, perché oltre al sibilo sentiva un alito pesante sul collo.
Nella fretta di allungare il passo per raggiungere la radura non si accorse di una pietra posta sul cammino e ruzzolò sul sentiero.
Cadendo percepì un forte dolore alla mano tanto che perse i sensi per qualche istante. Ma prima un pensiero lo sfiorò «Non riuscirò a sfuggire al mio inseguitore»
Quando riaprì gli occhi si ritrovò all’interno della baita. Il dolore era molto intenso tanto che non poté frenare le lacrime. Però rimase basito perché l’ultima considerazione era stata «sono perduto», ma in realtà non era stato così.
“Come ho potuto compiere il tragitto tra il punto della caduta e la baita? Ho perso i sensi per le fitte dolorose alla mano e quindi sono stato aiutato da qualche forza del bosco!” disse ad alta voce per rassicurarsi di essere effettivamente sveglio.
Osservo la mano sinistra che aveva assunto una posizione innaturale e si stava gonfiando pericolosamente con un colorito bluastro che scuriva secondo dopo secondo. Sulle spalle era assicurato ancora lo zaino, mentre il bastone da montagna era posato accanto all’ingresso.
Lo tolse con qualche difficoltà perché impacciava i movimenti già resi problematici dalla mano. Poi provò a sfilare il piumino.
“Fortunatamente non ha la zip ma dei bottoni a pressione altrimenti con una sola mano non ci riuscirei. Devo farlo prima che il gonfiore renda impossibile l’operazione”.
Con la sola mano destra cominciò ad aprirli a uno a uno con grande fatica. Dopo un tempo che gli apparve infinito completò l’operazione.
“Dovrei andare in ospedale per farmi curare la mano, che sicuramente sarà fratturata. Ma come faccio a guidare con la sola mano destra il fuoristrada? Telefonare per chiamare i soccorsi? E chi arriverebbe? E quando? Dovrei mettermi del ghiaccio che non ho. La situazione non è gradevole. Però chi mi ha trasportato dal sentiero fino in casa?”
Era in questi affanni e incerto su cosa fare, quando percepì la presenza di una persona accanto a lui.
“Chi sei?” le domandò.
“Angelica”.

Amanda 8

Pietro si riscosse dai suoi pensieri e si strinse nelle spalle. Quel 30 marzo era rimasto impresso nella mente, mentre inspiegabilmente stava percependo le medesime sensazioni, senza conoscerne le origini.
“Allora come ora avverto la presenza di una forza extrasensoriale. Però .. Ma forse è solo suggestione”.
Quella donna assomigliava tremendamente a Elisa, anzi pareva la gemella tanto erano uguali. Stessi capelli ramati e ondulati che scivolavano come una cascata sulle spalle. Però soprattutto gli occhi erano i medesimi. Stessa luminosità, stessa mobilità, colore identico. Spiccavano sul viso diafano. Quel giorno era rimasto folgorato nell’osservarli, provando la medesima emozione, che lo aveva colpito, quando aveva conosciuto Elisa. Al solo ripensarci in questo momento provava gli stessi brividi, esattamente come quel 30 marzo. Però non era Elisa. Era un’altra donna conosciuta attraverso il racconto di Klaus. Una figura femminile che sfumava dal reale al fantastico. Quel giorno scambiò pochi concetti, perché la sorpresa era stata talmente intensa che non era riuscito a mantenere un filo logico nei pensieri, facendo cadere quasi immediatamente la connessione mentale.
In quel preciso istante Pietro ebbe l’impressioni che qualcuno fosse entrato nella baita. Esattamente come quel giorno in casa. Però allora c’era un senso, ma adesso non più. Pensò ancora una volta che fosse suggestione legata alle riflessioni su una visita inattesa e per certi tratti sconvolgente.
“Non può essere Amanda, perché dopo quella volta è sparita o almeno questo è quello che ho creduto. Non l’ho più vista aggirarsi per casa e la mia Amanda non ne ha accennato mai più. Si era disciolta nell’aria”.
Eppure i sensi captavano delle presenze senza riuscire a individuarle.
“Presenze? No, forse una presenza o forse è suggestione!” si disse come per rincuorarsi.
Quei ricordi l’avevano marchiato e erano rimasti impressi in maniera indelebile nella mente. Era stato un fenomeno paranormale da tenere celato agli altri. Loro non avrebbero capito. Già l’ultima sera della vacanza con Elisa nella baita aveva fatto quell’esperienza di colloquiare attraverso il pensiero. Però era rimasto un episodio isolato che non si era più ripetuto finché il 30 marzo non lo aveva replicato. Però era stato diverso perché la donna non era un essere vivente. Almeno questo era quello che credeva.
“E’ stato un dialogo povero e breve ma sono riuscito a stabilire un contatto mentale con questa creatura incorporea. Non pensavo nemmeno di esserne capace. Ma è avvenuto”.
Era solo mezzogiorno e non aveva fame, quando Pietro decise di uscire nel bosco per rompere con quei pensieri che sembravano condurlo alla paranoia. La giornata di settembre era limpida ma fredda e il cielo era sgombro di nuvole. Preparò lo zainetto con quanto occorreva per una passeggiata: qualche tavoletta di cioccolato extrafondente, una borraccia d’acqua fresca, qualche frutto, una giacca leggera impermeabile in caso di pioggia, l’immancabile telefono gps con batteria di ricambio e un coltellino svizzero multiuso Victorinox. Indossò degli scarponcini pesanti adatti alla stagione che ormai volgeva al brutto, calzoni pesanti di fustagno marroni e un piumino caldo e leggero. La temperatura era bassa di pochi gradi sopra lo zero. Doveva tenere caldo il corpo se non voleva rischiare una brutta infreddatura.
“Certo che sono imprudente andare per il bosco alla mia età. Se mi succede un qualsiasi inciampo nessuno mi verrà a cercare” e mentre faceva queste riflessioni si mise lo zaino sulle spalle e si avviò verso l’abete che doveva curare con amore secondo le disposizioni testamentarie. E non aveva mai mancato di eseguire con scrupolosità quelle volontà contenute nel testamento.
Si avvicinò osservando con cura che tutto fosse in ordine. Secondo quanto scriveva Klaus qui avrebbe dovuto trovare l’eterno riposo Amanda. Però non c’era nessun segno esteriore che là sotto si trovasse il corpo della donna.
“Sarà vero?” si interrogò sostando dinnanzi al maestoso cespuglio di more selvatiche cresciuto alla base dell’albero. Molti frutti erano già di un blu intenso, maturi e pronti per essere raccolti. Quelli meno soleggiati erano ancora verdi ma anche loro tra qualche giorno sarebbero andati a maturazione. Il rovo era cresciuto disordinatamente formando un intrico di rami e di spine che solo gli uccelli del bosco praticavano. Nessuna mano umana aveva profanato la sacralità del posto o aveva colto un frutto o uno dei tanti fiori che crescevano spontaneamente nella radura.
Pietro era fermo osservando con cura tutto lo spazio intorno. Nulla era fuori posto, tutto sembrava apparentemente in ordine.
“Questa è dunque la dimora di Amanda. Dopo quel giorno non ho avuto più occasione di contattarla. Vorrei parlarle e udire la sua voce. Ma forse sono solo fantasie di un vecchio che torna bambino coi ricordi”.
Poi prese il sentiero alla sinistra dell’abete e aiutandosi con un bastone da montagna si incamminò verso il folto del bosco.
Il pensiero della morta accompagnava come un mantra ogni passo e non c’era modo di staccare la spina.
“Dunque Amanda non è una creatura fantastica creata da Klaus, ma una donna vera che non è riuscita a trovare la pace nemmeno dopo la morte. E’ singolare la grande somiglianza con Elisa. Però è ancor più straordinario che si rendesse visibile alla mia Amanda, frutto dell’amore con la copia identica di lei. Non sono mai riuscito a comprendere in che modo Elisa conoscesse questa donna o molto probabilmente non ho mai voluto approfondire l’argomento. Forse era il terrore di apprendere degli aspetti sgradevoli o percepire di essere stato trascinato in un ingranaggio mostruosamente difficile da gestire che mi ha distolto dal chiedere tutte le spiegazioni. Ora in qualche modo ne sono pentito ma allora non era il mio pensiero. Avrò un’occasione per chiarire tutti questi aspetti oscuri e misteriosi?”
Pietro si fermò sono un imponente larice che sembrava felice di ripararlo con la sua chioma.
“Questo bosco è decisamente magico come diceva Elisa. Pare che sussurri qualcosa e ascolti le mie parole! Senti che sinfonia di consonanti e lettere trasportate dal vento che sibila allegro tra le fronde”.
Il suo orecchio allenato percepiva il canto del bosco e la sua ansia si andava placando.
Quando all’improvviso ..