Amanda 44

Amanda rimase in silenzio e concentrata nella guida finché non fu in prossimità di Cortina.
Qui riacquistò l’uso della parola.
“Facciamo una piccola deviazione. Passo a salutare una famiglia che mi ha trattata come una figlia. E’ da tanto che penso di ..”. Però fu subito stoppata dalla compagna che la interruppe quasi subito.
“Nessuna deviazione. Per i saluti ci penserai nei prossimi giorni”.
Lei s’incupì e si domandò perché non poteva mai fare quello che vo-leva. Era suo desiderio tornare a casa, a Bolzano ma aveva dovuto prendere una direzione diversa, del tutto sgradita. Adesso voleva salu-tare la famiglia Degasper, che l’aveva accolta come una figlia ma non lo poteva fare per qualche misterioso motivo a lei del tutto sconosciu-to e incomprensibile. Percepiva angoscia e paura, una sensazione che non l’aveva abbandonata per tutto il viaggio. Questo senso di timore  era cresciuto da quando aveva saputo di essere braccata come una preda. Insomma tutta la serenità e sicurezza, che aveva provato fino al suo arrivo a Verona, era svanito come tante bolle di sapone.
“Cosa c’è ancora?” chiese angosciata la ragazza.
“Ti devo portare sana e salva all’interno del bosco degli elfi, dove sta-rai al sicuro, protetta dagli alberi e da Pietro”.
Amanda rimase stupita perché conosceva il nome di suo padre. Lei non lo aveva mai rivelato, citandolo genericamente. Inoltre si chiede-va quali poteri o capacità aveva per essere in grado di proteggerla da persone maligne e pericolose. Per lei era un uomo semplice e senza particolari doti magiche.
“Cosa possiede per essere in grado di battere delle forze oscure e po-tenti” si domandava con un pizzico di curiosità.
“E’ un uomo dalle mille risorse inaspettate e poi è tuo padre. Lui è sempre in grado di trovare la strada maestra che conduce verso ap-prodi sicuri” replicò con pacatezza l’altra Amanda.
Però c’erano troppo aspetti oscuri, non chiariti e molte zone d’ombra.
“Se loro hanno in mano ..” e si fermò in attesa di completare la frase col nome della ragazza che era stata rapita al suo posto.
“Alessandra” venne in soccorso la compagna.
“Sì, Alessandra. Se loro hanno Alessandra, che rischi corro? Di sicuro non mi stanno cercando ..”
“Non essere così sicura. Le sensazioni sono negative. Qualcosa del quadro è cambiato da qualche minuto. Percepisco che loro ti stanno cercando. Dunque affrettiamoci a raggiungere quel porto sicuro che è il bosco degli elfi” concluse scuotendo il capo.
Amanda si domandò quanto distava ancora dalla meta. Non aveva un’idea della distanza.
“E se faccio uso della possibilità di ..”.
“Niente magie. Loro sono all’imbocco del sentiero che conduce alla baita. Ti intercetterebbero subito. E per te sarebbe la fine” sentenziò l’altra Amanda con un tono che metteva paura.
“Se sono lì ad aspettarmi, come pensi che facciamo per riparare al si-curo nel bosco?”
L’altra Amanda rimase in silenzio senza rispondere all’ultima doman-da.
Il sole ormai era nascosto dalle cime più alte che facevano da corona alla vallata, mentre il buio si espandeva rapidamente.
Entrati in San Vito, l’altra Amanda disse all’improvviso vedendo l’insegna luminosa della «Primula rossa»: “Fermiamoci qui. E‘ più prudente”.
Amanda accostò entrando nel parcheggio. Dopo qualche istante en-trarono nel locale, che era semivuoto. Evidentemente era il tempo della cena. I turisti se ne erano andati da settimane, così rimanevano solo i paesani a riempire il locale. Però loro preferivano cenare nelle proprie abitazioni.
“Vuole mangiare qualcosa?” chiese premurosa una graziosa cameriera nell’elegante divisa nera e bianca accogliendole sulla porta.
“Cosa ci può servire?” rispose Amanda con malcelata sorpresa. La ra-gazza parlava come se lei fosse sola, mentre in realtà accanto c’era an-che la sua omonima.
“Come può non notarla?” si domandò frastornata. Sembrava che tut-to congiurasse contro di lei. La compagna taceva senza darle un aiuto a comprendere la situazione.
“Canederli in brodo, appena preparati. Stinco di maiale o costiccine con patate al forno o crauti dolci. Strudel di mele che sta cuocendosi nel forno”.
“Va bene tutto. Ho particolarmente fame stasera” rispose, mentre si avviarono verso un tavolo d’angolo discreto e fuori dalla portata degli altri commensali. Avrebbe voluto aggiungere qualche altro particolare relativo al pranzo saltato ma ritenne opportuno tacere.
Il suo stupore accrebbe quando vide apparecchiare il tavolo per due e portare doppie razioni. La cameriera parlava al singolare ma agiva al plurale. Doveva non mostrare troppo apertamente l’assurdità delle a-zioni e delle parole. Quasi istantaneamente l’altra Amanda riacquistò l’uso della parola.
“Non ti preoccupare. Tu mi vedi, ma loro no” aggiunse tranquilla.
Le spiegò con pazienza che lei aveva la capacità, senza destare sospet-ti, di far sistemare il tavolo per un numero di persone superiore a quante apparivano nella realtà. Riconobbe che, quanto le stava dicen-do, corrispondeva a verità ma era un’idea alla quale faceva fatica ad adattarsi.
Mangiarono con abbondanza e appetito tutte le portate, che erano davvero ottime, perché si era risvegliata la fame dopo il forzato digiu-no di mezzogiorno.
“Per quanto tempo dovremo stare rinchiusi qui?” chiese con impa-zienza, adesso che era in attesa del solo strudel. Facevano capolino curiosità e paure che fino a quel momento erano state relegate in fon-do alla mente.
“Non lo so. Ma presto avremo notizie. Ora finiamo di gustarci la cena che è stata particolarmente gustosa”. E cominciò a mangiare lo strudel che fumava ancora.
Pietro iniziò a scendere con cautela perché i gradini di legno ripidi e sconnessi erano resi scivolosi dall’umidità della sera incombente. Ogni passo era uno scricchiolio che gli pareva un boato che squarciasse il silenzio della notte. La discesa gli apparve interminabile. Aveva perso il senso del tempo. Raggiunta la spianata ancora parzialmente rischia-rata dai fuochi, si adagiò madido di sudore, che gelava in fretta, vicino a un masso non distante dalla scala. Gli parve immediatamente una buona sistemazione perché permetteva una visione quasi completa dell’area e allo stesso tempo poteva tenerla d’occhio.
Non aveva in mente nessun piano. Per il momento c’era il vuoto asso-luto. Si concentrò su quello che vedeva. Forse gli avrebbe suggerito qualcosa. Si rilassò per superare lo stress della discesa.
Alcune figure si aggiravano in silenzio alimentando i falò e sistemando uno scranno di legno posto quasi centralmente non molto distante dal suo punto di osservazione. Non riusciva a distinguerle nettamente a causa del fumo dei fuochi e della scarsa luce che penetrava dall’alto.
Si domandò dove fosse Alessandra o dove l’avrebbero messa. Però chiuse immediatamente la mente. Non poteva correre dei rischi di es-sere intercettato prima ancora di aver elaborato un qualsiasi progetto. Quindi si limitò a osservare senza sviluppare particolari pensieri.
L’area cominciava a popolarsi di figure inquietanti che si aggiravano sicure tra i bracieri che ardevano. Ancora una volta scacciò dalla testa quello a cui pensava. Si concentrò su se stesso, estraniandosi da quello che vedeva. Il piano cominciò a materializzarsi a poco a poco come per magia, assumendo contorni per il momento incerti e sfumati.
“Devo lasciare correre gli eventi e devo afferrare le opportunità senza elaborare schemi troppo complicati. Le cose semplici sono quelle che portano alla vittoria”. Adesso era più rilassato mentre osservava con curiosa attenzione a tutti i movimenti attorno a lui.
Alessandra sarebbe stata sistemata molto vicina. «Perfetto» pensò, perché gli semplificava ulteriormente quanto aveva in mente. L’aveva dedotto dalla posizione del trono centrale e da alcuni paletti piantati nel terreno. Era stato aiutato dalla fortuna e ricordò il secondo segnale delle rune che annunciava un colpo di fortuna. «Che fosse questo?»
Se tutto procedeva nella direzione che aveva immaginato, le avrebbe allungato un biglietto dove c’erano scritte le istruzioni.
“Poi il resto sarà affrontato seguendo l’ispirazione del momento” si disse sorridendo, mentre scriveva su un foglietto cosa Alessandra do-veva fare.
Era stata una buona idea quella di stare vicino alla scala di risalita. Sa-rebbe stata la loro salvezza, almeno questo era quello che fantasticava e sperava.
La spianata in breve fu riempita di fumo e di rumori, esattamente co-me aveva ascoltato durante la narrazione di qualche ora prima da An-gelica. Se Pietro non fosse stato preparato, sarebbe fuggito inorridito. Però rimase calmo, perché era sicuro che la ragazza sarebbe stata si-stemata proprio dinnanzi a lui. Da cosa discendesse questa certezza non lo sapeva con esattezza ma percepiva che sarebbe andata così.
Il frastuono crebbe come il fumo e i bagliori. Il solito diavolo col pie-de caprino si sedette sul trono acclamato dagli astanti. Mancava solo Alessandra. Si domandò se avesse cantato vittoria troppo presto. Non poteva permettersi il lusso di andarla a cercare. Troppi rischi e troppe complicazioni.
L’ennesimo rullo di tamburi e il clangore di catene trascinate fatico-samente annunciava che qualcosa di importante sarebbe avvenuto tra non molto.
Pietro percepì chiaramente un bussare insistente nella mente e con altrettanta fermezza rimase chiuso a questi richiami. Questo mezzo di comunicazione era bandito e si doveva ricorrere a mezzi più tradizio-nali oppure a niente.
«Amanda» gli parve di udire e a seguire una lunga lista di nomi scono-sciuti. Sobbalzò sentendo quel nome ma poi capì che loro erano an-cora convinti di avere il pugno sua figlia.
“Non sono Amanda” ribadì con forza una voce femminile posta al centro della spianata.
Però il diavolo si burlò delle proteste della ragazza e aggiunse che sta-sera avrebbero celebrato le nozze così che il bosco degli elfi sarebbe caduto in loro mano senza troppe difficoltà.
A Pietro vennero i sudori freddi, perché aveva compreso i rischi che stavano correndo. Si avvicinò alla ragazza, le toccò una spalla protetto dal fumo e dal fatto che tutta l’attenzione delle streghe era concentrata su cosa sarebbe avvenuto tra non molto.
Il tumulto crebbe a dismisura, frastornando ulteriormente l’uomo, che allungò il foglietto tra le scapole di Alessandra che fece l’atto di girarsi. Poi desistette dal proposito e continuò a fissare innanzi a sé. Aveva compreso che poteva essere la sua salvezza.
Pietro percepì il suo vigoroso bussare ma lo ignorò volutamente come se non sapesse parlare attraverso la mente.
Se il motivo del rapimento era quello di entrare in possesso del bosco magico, allora doveva far prendere in considerazione la sua volontà come padre della sposa.
“Come intervenire? Ora o più tardi?”.
Però prima doveva mettere in salvo Alessandra. Se avesse seguito a puntino le istruzioni, il piano avrebbe avuto buone probabilità di riu-scita. Però in agguato c’erano sempre gli imprevisti che sarebbero stati difficili da pianificare.
Osservò la ragazza che arretrava sicura volgendo sempre il viso verso il consesso diabolico, finché non si fermò sentendo il contatto di Pie-tro. A pochi passi, protetto dal fumo e dal buio c’era la scala. Alessan-dra doveva avvicinarsi pronta a salire, mentre lui avrebbe distratto il diavolo e le streghe. Poi avrebbe pensato a sé, quando la ragazza sa-rebbe arrivata in cima. Di questo si sarebbe preoccupato più tardi. Adesso era prioritaria la liberazione della ragazza.
Un leggero tocco avvertì la donna che era giunto il momento di av-venturarsi verso la salvezza con le proprie forze.
“Ascolto” cominciò avanzando verso il trono distraendo tutti dalla figura di Alessandra che si avviava verso la cima, affrontando i primi gradini.
“Chi osa interrompere questa cerimonia?” chiese arrabbiato e fumante il diavolo, osservandolo pronto a incenerirlo.
“Io”.
“Chi sei per permetterti questo?”. E gettò una saetta infuocata verso Pietro, che non sussultò minimamente, mentre procedeva di alcuni passi in avanti ancora.
“Sono il padre della futura sposa”.
Un boato di voci generato dal mormorio delle streghe riempì la cavità, mentre tutte concentrarono i loro sguardi su quell’uomo che osava sfidarle.
“E cosa avresti da dire, ammesso che tu lo sia veramente” lo incalzò furente di rabbia per l’intrusione non preventivata di un forestiero nel loro consesso.
Alessandra nel mentre procedeva spedita nella risalita, quando arrivata a metà udì un urlo «La sposa sta fuggendo!». Freneticamente cercò di salire ancora più in fretta, lasciando a parte tutte le cautele.
Una saetta rossa la sfiorò bruciando alcuni gradini tanto che rischiò di precipitare verso il basso. Con la forza della disperazione si issò su quelli rimasti intatti e riprese la scalata. La salita sembrava interminabi-le, non finire mai. Una strega si levò in volo per raggiungerla, quando Alice si calò verso Alessandra per aiutarla.
Le compagne si chiesero cosa potesse fare per soccorrere la fuggiasca e temettero di perderne due anziché una.
Pietro doveva distrarre ulteriormente il consesso per coprire la fuga della ragazza. Rapidamente formulò un piano alternativo. Avanzò ve-locemente verso un falò, raccolse un tizzone ardente e lo getto sul trono. Questa mossa improvvisa e del tutto inaspettata per la sua au-dacia fece generare un coro di «oh!» da parte delle streghe e un urlo di rabbia del diavolo che si alzò per evitare di essere colpito.
La strega in volo si distrasse per osservare la scena, dando modo a A-lice di raggiungere Alessandra per aiutarla a issarli oltre il parapetto di protezione. Quando si girò per gettarsi sulla preda, questa le era sfug-gita. Fuori dalla Voragine rischiava troppo e i suoi poteri erano limita-ti. Schiumante di rabbia tornò nella spianata.
“Amanda c’è sfuggita!”.
Pietro, conoscendo l’esito della fuga, poteva pensare a se stesso. La situazione era critica. Non sarebbe stato facile sfuggire all’ira del dia-volo.
Arianna e Angelica premevano per chiudere il buco, ma Alice era ri-luttante. Otturandolo, avrebbero imprigionato anche lui e forse sa-rebbe rimasto per sempre nel Tanzerloch.
“Forza. Chiudiamo la voragine, prima che possano organizzarsi” urlo Angelica mentre calava il tappo.
Pietro afferrato un altro tizzone lo teneva pericolosamente vicino al trono di legno che da un momento all’altro rischiava di divampare in-sieme all’occupante.
“State lontano o ..” urlò fermando l’avanzata delle streghe.
Quando un boato sovrastò ogni altro rumore, tutto divenne buio e i fuochi si spensero.
Si vedevano solo occhi simili a braci che ardevano di rabbia.
Pietro, superato il primo momento di panico, si diresse verso la scala evitando ostacoli e persone e cominciò a salire.

Amanda 43

Il viaggio da Verona proseguì in silenzio fino a Bassano del Grappa senza troppe difficoltà.
“Ora fa attenzione. Prendi la direzione Cismon del Grappa, Arsiè. La strada è più lunga ma sicura” le disse l’altra Amanda.
Un leggero brivido percorse la schiena della ragazza che non immagi-nava pericoli nel viaggio verso il bosco degli elfi.
Si domandò quali rischi stava correndo. Non aveva compreso il moti-vo del viaggio, né adesso capiva la natura della minaccia che la sovra-stava.
“Perché questa strada è sicura, mentre le altre no? Non mi sembra che sia un percorso da affrontare con le tenebre o col sole che cala rapi-damente tra le montagne” chiese con un pizzico di apprensione.
“La storia è lunga ma ti riassumo il finale. Le streghe del Tanzerloch ti cercano. Non chiedermi i motivi. Non li so. Hanno rapito un’altra ra-gazza credendola che fosse quella giusta. Quando si accorgeranno dell’errore ti cercheranno. Sarà difficile difendersi dai loro attacchi. Però non penseranno mai che passiamo accanto al loro antro”.
Amanda percepì che la sensazione di freddo stava mutando in gelo. Dunque le sensazioni strane che sentiva a Londra si riferivano a lei e non al padre.
Quali motivi spingevano delle persone sconosciute a cercarla per por-tarla in una località dal nome strano ma chiaramente traducibile. Do-veva dunque stare in guardia, diffidare di chiunque.
“E se questa Amanda è una traditrice che mi vuol consegnare alle streghe?” rifletteva dentro di sé.
Una risata allegra la distolse da questi pensieri.
“Io traditrice? Quando capirai chi sono, mi chiederai scusa per averlo pensato”.
Amanda si domandò chi era veramente questa compagna di viaggio tanto enigmatica. Per distogliere tutti i pensieri si concentrò sulla stra-da facendo attenzione alla direzione, sperando che fosse quella giusta.
Stavano viaggiando da molte ore verso località sconosciute, quando Amanda esclamò sorpresa «E’ il fuoristrada di mio padre! E’ lui alla guida!».
Di rincalzo la compagna di viaggio rimase sorpresa nel constatare che su quella grossa auto c’erano anche Alice, Arianna e Angelica.
“Dove staranno andando?” si domandò provando a sintonizzarsi con loro. Però le montagne facevano da schermo.
“Faccio un’inversione a U e li raggiungo” e si predispose alla mano-vra.
“Non te lo consiglio. Rischi troppo. Il mio compito è trasferirti al si-curo nel bosco degli elfi. Abbiamo ancora molta strada da fare”.
A malincuore Amanda proseguì su una strada sconosciuta verso la de-stinazione finale.
Pietro con la compagnia delle tre ragazze seguì il segnavia che condu-ceva al Tanzerloch. Aveva un’infinità di domande da fare che si acca-vallavano tra di loro in un coacervo non più distinguibile.
Aveva relegato in un angolino buio, quale Amanda avessero incrocia-to: era la sua oppure la morta sepolta sotto l’abete grande. Però ades-so un interrogativo aveva necessità di urgente risposta. Doveva cono-scerla per non fallire la liberazione di Alessandra.
Col fiato incerto che gelava in minuscole gocce cominciò a parlare.
“Perché hanno rapito Alessandra?”.
Le tre ragazze si guardarono in faccia finché Arianna non cominciò a rispondere.
“In realtà si sono sbagliate. Non era Alessandra l’obiettivo ma Aman-da ..”
Pietro l’interrupe perché l’altra domanda finita nell’angolo adesso ur-geva come risposta.
“Quale Amanda? Diamine. Mia figlia o ..”
“Tua figlia era l’obiettivo. Ma Norberto si è confuso. Alessandra sem-bra Amanda in tutto e per tutto. Due gocce d’acqua. E poi non sape-va che ..”.
“Dunque quella che abbiamo incrociato era Amanda, mia figlia?”
“Beh, si e no. Noi abbiamo riconosciuta l’altra ..”
“Ma cosa stai dicendo? L’altra è un fantasma” disse quasi urlando Pie-tro.
Angelica gli fece segno di abbassare i toni. Non dovevano sapere che stavano raggiungendo la Voragine. Però qualcosa non tornava nelle affermazioni di Pietro. Non era tempo per approfondire la questione. Adesso urgeva che raggiungessero prima delle cinque l’orlo del Tan-zerloch.
“Forse è meglio concentrarsi sul compito che ci aspetta. Di questo ne parliamo sulla strada del ritorno. Sempre che riusciamo ad andarcene da qui”.
Lui però continuava a pensare a sua figlia, ai pericoli che la sovrasta-vano, e tutti i misteri che non erano ancora risolti, che in realtà au-mentavano.
Ormai erano prossimi al precipizio che mandava pallidi bagliori verso il cielo privo di nubi.
“Si stanno preparando” disse Alice.
“Preparando a cosa?” chiese Pietro, che non riusciva a comprendere queste reticenze e mezze parole. Sembravano i soliti indovinelli dei quali doveva trovare in autonomia le risposte giuste. Il dubbio lo sfio-rò che anche stavolta doveva rintracciare la strada appropriata per sal-vare Alessandra.
“Che stranezze! Elisa e Amanda, la compagna di Klaus, identiche co-me se fossero la stessa persona. Alessandra e Amanda, mia figlia, due gocce d’acqua. Alice, Arianna e Angelica sono le sorelle di Elisa. E io..”
“Non perdere tempo in queste elucubrazioni. Avrai tempo e modo per comprendere. Ora il tempo stringe e non possiamo darti molte indicazioni su come salvare Alessandra. Fingi solo che sia tua figlia. Avvertila di stare al gioco ma fa attenzione anche loro sanno leggere i pensieri degli uomini. Tu non puoi schermare la tua mente, perché sei un umano. Quindi sappi che sei un libro aperto per loro” concluse Angelica.
Pietro si avvicinò alla staccionata che proteggeva le persone dal non precipitare nel buco.
“Sulla destra c’è una scala ripida che ti porterà nella spianata dove si stanno raccogliendo le streghe. E’ ora di scendere. Ricorda quanto ti abbiamo detto” gli comunicò Arianna stringendogli le mani in segno di incoraggiamento.
“Ho capito tutto. Mi avete dato un bel aiuto. Devo camminare con le mie gambe e sperare che ..”.
“.. in particolare usa la testa. Andrà tutto bene” l’interruppe Alice e gli diede una leggera spinta verso il baratro.
Pietro raccolse il fiato nei polmoni e cominciò cautamente a scendere lungo la scala resa sdrucciolevole dall’umidità.

Amanda 42

Pietro aprì il fuoristrada e trovò comodamente sedute sui sedili posteriori Arianna e Angelica che li stavano aspettando. Per qualche istante rimase a bocca aperta incapace di formalizzare un qualsiasi pensiero. La sorpresa era stata troppo forte in aggiunta agli avvenimenti che l’avevano visto coinvolto dal momento del risveglio.
“Una visita inaspettata!” biascicò incespicando nelle parole per la stupore.
Alice rise replicando che come di consueto quelle due erano in ritardo, perché dovevano trovarsi tutte e tre alla baita prima della partenza.
“Però come al solito non sono state puntuali. Vi siete perse una colazione coi fiocchi” concluse con un gesto inequivocabile.
A questo punto Pietro si domandò quale motivazione le aveva spinte a quel viaggio ancora misterioso nella destinazione. Lui ne avrebbe fatto a meno volentieri, tornandosene a Belluno.
“Non so dove siamo diretti e con quale giustificazione. Loro compaiono e scompaiono a piacimento come se fossi a loro disposizione. Questa situazione non mi piace per nulla”.
Scuoteva il capo in segno di disapprovazione mentre pensava a qeusto.
“Perché ti lamenti in silenzio? Non ce ne sono i motivi. Tra non molto saprai tutto. O quasi ..” disse con tono gentile Angelica che aveva letto i pensieri di Pietro.
Alice con modi sbrigativi lo sollecitò a partire perché la strada era lunga e dovevano arrivare assolutamente prima dell’imbrunire.
“Dove?” chiese per l’ennesima volta l’uomo.
“Vai verso Cortina” replicò decisa Arianna.
E come un flash rivede una scena di molti, molti anni prima, quando una notte lui e Elisa erano partiti per il bosco degli elfi.
“Non ti puoi sbagliare come quella volta. A sinistra torni verso Belluno, a destra arriviamo diritti a Cortina” continuò Angelica.
Pareva che volessero burlarsi di lui ma finse di non avere ascoltato le ultime parole.
Un altro pensiero vagava da tempo nella mente, mentre seguiva la strada con attenzione. Aveva scoperto che Elisa aveva due sorelle, almeno così avevano detto Arianna e Alice in due occasioni diverse.
Rivolgendosi a Angelica, le chiese se per caso anche lei era una possibile cognata.
Una risata argentina risuonò nella testa seguite da parole ambigue che complicarono la situazione.
“Forse sì, forse no. Diciamo che sto a metà o forse neppure così” rispose divertita.
Pietro cominciava a spazientirsi perché a turno rispondevano in modo misterioso e con giochi di parole.
“Come? Forse sì, forse no .. oppure neppure tutto questo? Mi stai prendendo in giro?” replicò stizzito.
“Fa attenzione alla guida senza curarti di quello che sta borbottando Angelica!” gli disse con apprensione Alice che lo vedeva un po’ disattento nel governo del fuoristrada.
“Va bene che vi siete coalizzate contro di me ..”.
“Ma no! Siamo solo allegre e felici di tenerti compagnia. E poi ..”.
Pietro avrebbe voluto replicare ancora ma decise di seguire il consiglio di Alice ignorando le compagne di viaggio.
Giunto in prossimità di Cortina in un silenzio quasi irreale, udì un tossire discreto di Arianna per richiamare la sua attenzione.
“Non ti sarai per caso offeso? Hai sprangato tutte le porte della mente, mentre noi leggiamo solo un deserto privo di parole”.
“Certamente” replicò brusco leggendo il cartello dell’abitato di Cortina. “E adesso dove si va?”.
“Segui l’indicazione Pocol” suggerì Angelica. “E poi verso Selva di Cadore e Alleghe”.
“Uffa quanto siete misteriose” e riprese il mutismo.
Erano le tredici passate quando arrivarono in prossimità di Alleghe. Pietro aveva smaltito la fetta generosa di strudel e adesso avvertiva qualche stimolo di fame.
“Io avrei fame” disse rompendo l’atmosfera sonnolenta che si era instaurata nel fuoristrada.
“Cosa vuoi?” disse Angelica.
“Fermarmi da qualche parte e incorporare qualche caloria. Non so se riesco a guidare ancora a lungo. Lo stomaco da un po’ reclama qualche alimento”.
Vista una trattoria con un vistoso cartello «Oggi polenta e capriolo» accostò per entrare nel parcheggio.
“Voi cosa fate?” chiese mentre si slacciava le cinture.
“Veniamo con te, naturalmente. Vero ragazze?” aggiunse Alice rivolgendosi alle compagne che annuirono in segno di consenso.
“E sia”.
Pietro le guardò: avevano tutte e tre una tunichetta di lino bianco, legata in cintura. Pensò che non fosse l’abbigliamento più adatto alla stagione e alla località. Però tacque. Gli era stata sufficiente la colazione con Alice.
Tutto andò come da  copione. Loro erano invisibili alle altre persone ma la cameriera portò il pranzo come se fossero in quattro.
“Ottima questa polenta e capriolo. Ora che siamo a stomaco pieno vorrei sapere dove siamo diretti. Ho passato paesi e scollinato passi dei quali ignoravo l’esistenza. Non ho in’idea dove siamo finiti. Aspetto che una delle tre mi dica la meta”.
Le tre ragazze si guardarono in viso. Alice prese l’iniziativa di parlare.
“Siamo diretti a Tanzerloch ..”
“Tanzer .. cosa?” l’interruppe subito Pietro.
“Tanzerloch ovvero la buca delle danze traducendo il nome della località dal cimbro. E’ un buco dove stasera alle diciassette vedremo ballare le streghe. E noi dobbiamo essere là almeno mezz’ora prima. Quindi paga il conto, mentre noi ti aspettiamo in macchina. Poi durante il viaggio ti diamo qualche altra indicazione”.
Un istante dopo non c’erano più.
Ripresa la marcia, Angelica si assunse il compito di spiegare tutto.
“E’ una vecchia leggenda dei cimbri, il popolo dell’altopiano di Asiago. Questa narra le vicende di due pastorelli, fratello e sorella, che custodivano il gregge sul pendio dove ora si trova il Tanzerloch, allora scosceso, ma transitabile. La mamma li aveva esortati a non oltrepassare una certa macchia di bosco da cui si sentivano, nelle notti di luna piena, provenire degli strani rumori e dei suoni paurosi che sembravano ululati di lupi misti a cigolii di catene. Di giorno sembrava tutto normale in quel posto ma di notte nessuno osava avventurarsi da quelle parti. Un giorno di primavera, quando le fragole erano più profumate e i merli zirlavano tra i rami spinosi dei crespini, la bambina trasgredì l’avvertimento della madre, inoltrandosi nel bosco misterioso. Sparì senza fare ritorno. La cercarono invano ovunque, ma si era volatilizzata. Fu pianta come morta. Il fratello non si rassegnò alla perdita della sorella e un mattino, lasciate le pecore alla sorveglianza del cane, si mise a cercarla di nuovo per il bosco proibito, armato di una rozza croce di legno presa alla vicina chiesetta dell’Höll. Errò tutto il giorno, cercando qualche traccia della sorella scomparsa e al sopraggiungere della sera, cadde affranto ai piedi di un grosso abete, addormentandosi. Improvvisamente fu svegliato da un infernale fracasso. Una scena terribile gli apparve agli occhi quando impauriti gli si aprirono. La luna rischiarava un vasto spiazzo erboso in mezzo al quale, seduto su di uno sgabello infuocato, circondato da sinistri bagliori, un demonio dalle corna e dagli zoccoli di caprone, brandiva un tridente enorme. Ai suoi piedi c’era il corpo esanime della sorella ed intorno a lui una dozzina di streghe discinte e ghignanti tessevano una orribile danza. Rumori sotterranei accompagnavano il ballo sfrenato. Il ragazzo raccolse tutte le sue forze e, vinta la paura, invocò San Michele Arcangelo e scagliò la croce di legno in mezzo alle streghe. Si udì un rombo terribile mentre la terra si aprì inghiottendo tutto. Dove prima c’era lo spiazzo, si sprofondava una voragine paurosa ed immensa. Il ragazzo si abbracciò all’abete, esattamente sull’orlo della spelonca inchiodato dal terrore. Il mattino seguente fu trovato dai montanari. Era svenuto, ma vivo e i suoi capelli biondissimi erano divenuti candidi come la neve. E la leggenda finisce qui. Però ..”.
Pietro rise perché gli pareva assurdo fare tanti chilometri per vedere un buco nella terra, le cui origini era fatte risalire a una leggenda.
“Non ridere! Il motivo è serio, anzi serissimo. Stasera alle cinque le streghe intonano la loro danza e noi dobbiamo liberare Alessandra e chiudere per sempre il buco” replicò seria Angelica.
“Alessandra? Un’altra cognata?” disse ironico e aggiunse. “Come mai la mia quasi forse cognata è finita nelle mani delle streghe del Tanzerloch?”
“E’ stata rapita da Norberto, il nano che hai sconfitto con l’astuzia, quindici giorni fa. Se non la liberiamo stasera, il bosco degli elfi cade in mano del nano, che provvisoriamente abbiamo imprigionato nella valle del non Ritorno”.
Un attimo di sielnzio calò gelido nell’abitacolo.
“E perché avete bisogno del mio aiuto? Io non possiedo aiuti magici ..” chiese curioso Pietro.
“Tu puoi scendere tra loro. Loro sono impotenti contro di te, esattamente come per la kitsune. Noi, no” concluse Angelica.
Lui tacque per qualche istante per metabolizzare le varie informazioni.
Stava per dire qualcosa, quando Arianna sbottò.
“Abbiamo incrociato Amanda! Stanno andando verso il bosco degli elfi”.
Pietro chiese di quale Amanda si trattava.
“Nostra sorella” risposero all’unisono.
Lui era sempre più frastornato: il Tanzerloch, Alessandra, Amanda. Gli eventi sembravano precipitare senza che lui potesse in qualche modo dirigerli.
“Fa attenzione! Tra un po’ prendiamo una scorciatoia che ci evita un lungo giro” l’avvertì Alice.
Lui chiese ancora qualche spiegazione ma non era il momento. La strada tortuosa richiedeva attenzione. Ancora un tratto di strada poi si fermarono a Camporovere nella strada che conduceva al Vezzena.
Da qui si doveva comminare a piedi per raggiungere il Tanzerloch.

Amanda 41

Le due Amanda erano rimaste in silenzio per tutto il tragitto. Una osservando il paesaggio che scorreva veloce dal finestrino, l’altra assorta nei suoi pensieri.
All’arrivo in piazza Bra scesero, recuperando il bagaglio.
“Ti servirà una macchina” sentenziò l’omonima.
“Non ce ne bisogno” rispose mentre si dirigeva verso una citycar che era apparsa parcheggiata sotto le mura.
“Dove si va?” le chiese con aria rassegnata.
“La destinazione è il bosco degli elfi”.
“Ma è lontanissimo! E poi lì non ci voglio tornare. Mi avete cacciato! E non vado dove sono sgradita!”
L’altra Amanda scosse il capo come per negare questa possibilità. Loro dovevano raggiungere il bosco entro stasera senza se senza ma.
“Non importano i vecchi dissapori. Questi saranno chiariti sul posto e tutto si aggiusterà”.
Amanda scosse il capo, perché queste parole non l’avevano convinta per nulla. Però si domandò cosa potesse fare o non fare in questa situazione. L’unica risposta per chiudere la partita era dirigersi verso Bolzano, ignorando gli ordini dell’omonima. Si chiedeva se questa era la soluzione vincente oppure no, perché doveva piegarsi e seguire le indicazioni appena ascoltate.
“Non ci provare” le disse seria l’altra Amanda. “Non ci provare. La meta è il bosco degli elfi, E lì saremo stasera”.
Amanda aveva dimenticato di chiudere la mente così che l’altra le aveva letto nel pensiero.
“E chi me lo impedisce?” replicò irritata e con aria di sfida.
“Io”.
“Ma tu chi sei per darmi ordini tanto perentori?” Stava spazientendosi e non vedeva l’ora che tutto fosse finito. Rimpiangeva il tranquillo tran tran di Bolzano composto dal lavoro e dagli incontri serali con le tre amiche. Tutto quello che era il vecchio mondo l’aveva gettato dietro le spalle, ma pareva che adesso venisse messo in discussione.
“Chissà dove sono ora Anke e le altre. Chissà a cosa stanno pensando” si chiese corrucciata e malinconica per scacciare l’irritazione.
L’altra sorrise e le accarezzò i capelli in segno di approvazione per i nuovi pensieri.
“Concentrati e riuscirai a collegarti con loro” le suggerì mentre saliva sulla Smart. Cercava di togliere tensione nella loro discussione e riportare il sereno.
Amanda la guardò in tralice e non rispose.
“Non mi hai ancora spiegato perché dovrei fare quello che dici. Si parte per Bolzano. Ho deciso. Del bosco degli elfi non mi importa nulla come dei suoi abitanti tanto bacchettoni” replicò mettendo in moto l’auto.
Guardò i cartelli per trovare l’indicazione Trento o A22. Stranamente sembravano spariti: solo segnali con scritto «Vicenza». Provò a concentrarsi ulteriormente ma per quanti sforzi facesse campeggiava solo un nome. Pareva che il mondo si fosse ristretto tra Verona e Vicenza.
“Non è possibile!” esclamò arrabbiata. “Non è possibile. Io deve andare verso Trento. Lo chiederò a quel vigile”.
Scese dall’auto con furia e si diresse verso l’uomo che dirigeva il traffico.
“Mi sa indicare la direzione Trento?” chiese speranzosa. Però il vigile continuò a smistare il traffico come se Amanda fosse invisibile o inesistente. La collera stava montando, mentre faticava a contenerla. Si sentiva frustrata, incapace di decidere in autonomia.
Provò a tirarlo per una manica, ma afferrava solo il vuoto, l’aria. Adesso era lui trasparente e inafferrabile.
“Non è possibile!” urlò con quanta voce aveva in corpo. “Non è possibile che non riesca a comunicare col mondo esterno”.
Si volse verso l’auto dove l’altra Amanda aspettava con pazienza che la ragazza si stancasse di giocare coi mulini a vento.
“Non è possibile” rincarò la dose di rabbia, dirigendosi verso l’auto.
“Cosa sta succedendo?” le chiese bruscamente.
“Nulla. La direzione è segnata «Vicenza». E’ inutile trovare una soluzione differente. Il tuo è un ruolo perdente. Non puoi decidere in autonomia”. E si mise comoda in attesa che Amanda mettesse in moto la Smart.
“Ebbene, sì. Hai vinto questa battaglia ..”.
“No, la guerra” la corresse l’altra.
“.. ma devi dirmi con sincerità chi sei e perché sei stata mandata qui” continuò ignorando la precisazione.
“Metti in moto e ti spiegherò strada facendo”.
“No, da qui non mi muovo se prima non avrai risposto alle mie domande. So essere paziente”.
E la guardò con l’aria di chi sa di essere la più forte, mentre incrociava le braccia nell’attesa.
Un silenzio carico di nubi temporalesche calò nell’abitacolo mentre fuori splendeva un sole settembrino stranamente ancora caldo.
Il braccio di ferro durò qualche istante che parve un’eternità prima che l’altra Amanda ricominciasse a parlare.
“E vabbè. Hai vinto questa battaglia ma ..”.
“questa guerra” precisò Amanda con un sorriso che affiorava tra le nuvole dello sguardo corrucciato.
“Ma vorrei avvertirti che non conosco le motivazioni per le quali sei stata richiamata nel bosco degli elfi. Io posso dirti solo, perché autorizzata da loro, che il consiglio delle A ha deciso di richiamarti tra loro e assegnarti il posto che ti spetta. Ogni altro chiarimento è rimandato a dopo. Soddisfatta?”
Amanda si rilassò ma un’altra domanda gli bruciava sulle labbra.
“Chi sei? Quali poteri hai?”
Un sorriso comparve sulle labbra della donna e una breve risata risuonò nella mente.
“Se te lo dicessi non ci crederesti. Aspetta di incontrare tuo padre e tutto sarà più chiaro. Ora partiamo. Il viaggio è lungo e la sera cala presto”.
Amanda la guardò dubbiosa perché per lei tutto era chiaro fino a pochi minuti prima: la compagna di viaggio era stata uccisa da Klaus, il suo amante, scambiandola per la kitsune. Almeno questa era stata la versione ascoltata dal padre. Adesso però queste certezze erano messe in dubbio, anzi vacillavano per effetto delle ultime parole ascoltate. C’era tempo durante il viaggio che si preannunciava lungo e difficile per chiarire chi era veramente. Adesso doveva lasciare sbollire l’ira che stava raggiungendo livelli di guardia.
“Ma questo scatolino” e indicò la struttura che le conteneva “non sarà mai in grado di salire al bosco degli elfi”.
“Non preoccuparti. Vedrai che ce la faremo. Adesso basta chiacchiere. Si parte”.
Amanda accese il motore e innestata la prima prese la direzione Vicenza tanto c’era solo quella direzione. Tutte le strade convergevano verso questa città.

Amanda 40

Pietro chiese lumi a Alice: «Dove siamo diretti? Visto che sei tu a indicare la meta». Le chiese prima di entrare nel locale senza ricevere risposta. Scosse il capo, brontolò qualcosa di non ineleggibile e spinse la porta d’ingresso.
Si sistemarono in un tavolino d’angolo da dove potevano vedere il bancone della mescita e la maggioranza degli avventori, che erano pochi e assonnati.
“Un caffè forte e una fetta di strudel di mele. Mi raccomando calda” disse al gestore appoggiando le mani sul legno che mostrava i segni del tempo e dei molti clienti che erano passati di lì.
“Ce li porti in quel tavolino d’angolo” e lo indicò puntando l’indice verso il tavolo.
Gli era sfuggito un lapsus: quel pronome indicava la presenza di due persone ma una sola era visibile. E per un attimo fu colto dal panico di essersi tradito, ma il barista non ci aveva fatto caso, assorbito dalle ordinazioni degli altri avventori e dal frastuono della televisione,
Una graziosa cameriera con una pettorina bianca, sbucata all’improvviso da una porticina laterale, arrivò con un vassoio dove fumavano un caffè, un cappuccino e un piatto con strudel, brioche ancora calde come se fossero stati sfornate in quell’istante. Deposte le tazze come se fossero in due col piatto al centro, se ne andò lasciando dietro di sé un sorriso che sembrava l’augurio di «Buona colazione».
Pietro rimase perplesso ma subito fu ripreso da Alice.
“Non fare quella faccia! Vuoi farti notare? Ricordati. Gli altri non mi vedono”.
Lui si volse verso di lei con aria smarrita e balbettò un «Farmi notare? Non è forse singolare vedere un cappuccino e paste che galleggiano per aria?» ma subito dopo si concentrò sul caffè e la fetta di strudel.
“Veramente ottimo! Qui ho trovato sempre dello strudel fantastico!” disse mentalmente rivolgendosi alla compagna.
“Fammene assaggiare un pezzetto. Questa pasta sembra sfornata da pochi minuti tanto è fragrante! Te ne lascio un po’” rispose tranquilla Alice, mentre allungava una mano per prelevare quello che restava.
Pietro si domandava dove erano diretti e i motivi di tanti misteri.
“Ora che siamo a stomaco pieno. Mi dici dove stiamo andando?”
Alice sorrise sorniona e, ponendo la mano sul braccio, lo criticò nuovamente perché mostrava troppa curiosità e impazienza.
“E chi non sarebbe curioso nelle mie condizioni? Quanti sono stati gli indovinelli che mi avete proposto? Credo di averne perso il conto!” esclamò alzando le mani al cielo.
Nella sala si fece silenzio e tutti si voltarono verso di lui, che balbettò qualcosa di incomprensibile e fece un gesto come a chiedere scusa di avere alzato il tono della voce.
Una nuova risata echeggiò nella mente mentre udiva chiaramente «Te l’avevo detto di stare calmo!»
Pietro si irritò per quanto era successo.
“Non dovevo esternare così. Dovrei contare fino a dieci prima di parlare. Ma…” e si fermò.
“Ma che cosa?” lo incalzò Alice.
Lui scosse il capo e non volle proseguire, rimanendo in silenzio.
Alice aspettò che riprendesse la conversazione ma inutilmente perché continuava lo sciopero della parola.
“Ancora una mezz’ora di relax. Poi ci rimettiamo in marcia. Forse saprai tutto o forse no”. Una nuova risata allegra rimbombò nella testa di Pietro.
L’irritazione di essere all’oscuro della meta, il lieve dileggio, che le parole di Alice trasmettevano, ebbero il potere di renderlo nervoso e cupo. Si agitò sulla sedia come se fosse diventata improvvisamente scomoda.
“Non si parte se prima non mi avrai spiegato qualcosa di più. Sono stanco di risolvere indovinelli” rispose seccato.
Alice gli toccò leggermente l’avambraccio per trasmettergli un po’ di serenità.
“Non mi sembra il momento opportuno ..” aveva cominciato col dire.
“No! In questa mezz’ora c’è giusto il tempo per chiarire qualche aspetto. Dunque. Da dove cominciamo?” replicò senza ammettere ragioni Pietro.
“Sei proprio deciso? Il viaggio è lungo e ..”.
“Da qui non mi muovo se non spieghi alcune cose. In primo luogo chi sei? Lo so che sei una donna elfo. Lo vedo e non c’è bisogno che tu me lo dica. Ma dimmi che rapporti ci sono tra noi? Trovo singolare che ..”
Alice sbuffò impaziente e trattenne una nuova risata. Sapeva che si sarebbe irritato maggiormente.
“abbiamo consumato già un quarto d’ora in schermaglie e tra ..”
Pietro le afferrò entrambe le mani e si concentrò su di lei. Voleva questa prima spiegazione con tutte le sue forze.
“E va bene!” sbuffò la ragazza. “Non molli l’osso. Vuoi conoscere tutto di me? E allora sia. Però promettimi che tra dieci minuti si parte. Il viaggio è lungo”.
Pietro annuì e con il gesto della mano richiamò l’attenzione della cameriera che arrivò subito.
“Il conto, prego” disse asciutto senza tradire il nervosismo che stava crescendo.
Tornò a rivolgere verso Alice, aspettando che cominciasse a parlare.
“La storia è lunga ma vedrò di accorciarla. Sono tua cognata” sbottò come una pentola in ebollizione.
“Avrei preferito rivelartelo in un altro contesto ma hai insistito tanto che ..”.
Pietro sgranò gli occhi, pensando alla donna che aveva di fronte. «La sorella di Elisa? Devo crederci?» era il dubbio che stava affiorando nella mente.
La cameriera sembrava aver compreso il disagio e lo stupore dell’uomo e teneva in mano il conto da saldare senza farsi avanti, aspettando con pazienza che si accorgesse di lei. Rimase ferma immobile in attesa che lui allungasse la mano.
“La cameriera aspetta che tu prenda il conto” gli sussurrò Alice, mentre lui si risvegliava dalla trance nel quale era caduto.
“Quanto devo pagare?” chiese  gentile, allungando la mano.
“Sono nove euro e 10 centesimi” replicò meccanicamente, mentre Pietro mise sul piatto undici euro, senza volere il resto.
Si alzarono e si diressero verso il fuoristrada che attendeva paziente da qualche ora.
“Non ci credi?” gli chiese Alice mentre lui teneva aperta la porta.
“Non lo so. Elisa non mi ha mai parlato di avere sorelle. Ora ne scopro due. E ..”.
Alice rise allegramente prima di dire «Dovresti essere felice» e salire sul fuoristrada.

Amanda 39

Era venuto il momento di prendere commiato da Londra. Per Amanda era stata una vacanza un po’ faticosa, per Alice e Luca piacevole ma stressante. Ognuno di loro tornava a casa con un bagaglio di emozioni diverse e con minori entusiasmi rispetto alla partenza.
Amanda aveva due preoccupazioni che erano sconosciute prima di partire. Alice lasciava alle spalle un amore effimero che però aveva avuto un potere dirompente su di lei. Non avrebbe mai immaginato di essere coinvolta in una relazione sentimentale dai contorni incerti ma nel contempo corrosiva per il suo umore. Luca rifletteva se il cuore infranto non fosse il suo. La notte, quando aveva conosciuto Annie, aveva rotto ogni barriera che si era costruito. Il sesso bollente, con il quale la nottata era stata condita, non aveva avuto precedenti nella sua breve esistenza e aveva scatenato tutti gli ormoni che possedeva e non solo quelli.
Il Stansted Express era partito in orario dalla stazione di Liverpool Street e volava verso l’aeroporto dove li aspettava il solito volo low cost verso Verona. Ognuno era perso nei propri pensieri e rimuginava cosa sarebbe stato il domani ma forse anche l’oggi appariva incerto e nuvoloso. Amanda si riscosse dalle riflessioni sul significato degli avvertimenti che direttamente o indirettamente aveva ricevuto negli ultimi giorni. Era inutile pensarci su, anche perché non avrebbe trovato risposte soddisfacenti finché non fosse arrivata a Verona.
Alzò gli occhi e osservò Anke e Enrico, che stavano discutendo animatamente sia pur a tono basso.  Si alzò dal posto che condivideva con Alice e Luca e si avvicinò ai due litiganti. Almeno questa era l’impressione che davano.
“Ragazzi, avete fatto la pace?” disse serena, sapendo che tirava ancora aria di burrasca. La tempesta del litigio non si era placata ma continuava turbolenta tra momenti di calma e raffiche di vento impetuoso. In quel momento il clima era tutt’altro che idilliaco.
Enrico la guardò, fece qualche movimento con le labbra ma non disse nulla. Era visibilmente alterato e non gradiva questa intromissione.
“Che vuole questa qui? Devo combattere con una donna ostinata e asfissiante. Ora compare questa a darle manforte”.
Erano questi i concetti che lui avrebbe voluto esternare ma che trattenne per sé.
Amanda aveva percepito il senso di fastidio che Enrico emanava e gli aveva inoltre letto il pensiero.
“Nessuna intromissione da parte mia. Semplicemente ho notato che stavate discutendo un po’ animatamente” replicò con tono asciutto, pronta a tornare da dove era venuta.
Anke le prese mani e le fece il gesto di trattenersi con loro.
“No. Non siamo arrabbiati tra noi. Stiamo semplicemente chiarendo i nostri pensieri e i nostri rapporti”.
“Cosa c’è da chiarire?” intervenne Enrico alzando un po’ il tono della voce. L’antipatia stava cedendo il posto all’irritazione che stava alterando parole e gesti. La guardò con astio misto a rabbia e continuò con tono decisamente seccato.
“Abbiamo passato una vacanza insieme e stiamo tornando alle nostre occupazioni quotidiane che non contemplano la presenza dell’altro. Non mi pare che ci sia niente da chiarire. Una semplice e banale conoscenza di vacanza”.
Amanda avrebbe voluto ribattere a muso duro in maniera tagliente ma si trattenne, perché tutto sommato rappresentava un momento di un normale litigio tra innamorati. Non era sua intenzione rappresentare il motivo di una rottura  E poi era stata lei a intromettersi nella discussione nel tentativo di mettere fine all’alterco dei due ragazzi. Quindi doveva reprimere l’istinto che le aveva fatto comparire nella mente il pensiero che solamente due giorni prima gli andava tutto bene, mentre adesso non andava bene nulla.
“Ragazzi ..” cominciò con tono dolce per occultare tutta la stizza che covava in corpo. Cercava in tutte le maniere di ricucire lo strappo senza far precipitare la situazione
Però Enrico la stoppò subito.
“Non sopporto prediche o toni confidenziali che non ho autorizzato. Mi avete stufato con le vostre chiacchiere” e fece per alzarsi.
Amanda lo fermò con lo sguardo e replicò duramente.
“Nessuno ha chiesto il tuo parere su qualcosa che non ho detto né pensato. Vuoi troncare il rapporto con Anke? Basta avere il coraggio di dirlo senza perifrasi o giochi di parole dette o non dette. E non affermare che non lo stai pensando. Ti leggo negli occhi e nella mente questi pensieri. Hai vent’anni ma sei maturo come un ragazzino di quindici”.
Prese Anke per mano e la trascinò con sé. In un altro scompartimento. La ragazza cominciò a piangere, ma Amanda le asciugò le lacrime.
“Quel tipo non ti merita! E mi sto trattenendo. Spero che abbia il buon gusto di non venire a cercarci”.
Lo disse solo per consolarla, avendo letto che mai si sarebbe abbassato a correre dietro a una gonna. Lui riteneva che il vero uomo non aveva la necessità di inseguire la donna amata ma che sarebbe stata lei a cercarlo e supplicarlo di non andarsene.
Amanda era di tutt’altro avviso e se avesse avuto la malaugurata idea, assai remota, di venire a sedersi accanto a loro, lo avrebbe incenerito. Avrebbe rimpianto per il resto della sua vita questo gesto.
Rimasero in silenzio osservando il paesaggio della campagna inglese che scorreva veloce dinnanzi a loro.
“E poi che altro ci dobbiamo dire in aggiunta a quello che ci siamo dette due giorni fa, passeggiando per le vie di Londra?” rifletteva stringendo le mani di Anke.
Dopo un po’ Michi e Franzi vennero in processione a trovarle. Erano sinceramente dispiaciute per la scenata che non era passata sotto silenzio e per nulla inosservata. Le poche parole espresse ebbero benefici effetti sull’umore della ragazza che meditava sul bilancio della vacanza, iniziata allegramente, che si stava consumando tra ripicche e litigi.
L’aereo era già pronto sulla pista, preparato ad accogliere i passeggeri e riportarli in Italia. Per fortuna il viaggio durò poco più di un’ora e mezza senza diventare un motivo aggregante. Enrico si appartò opportunamente in coda scuro in volto e visibilmente contrariato per la piega degli avvenimenti. Non era sua intenzione legarsi con un amore vacanziero. Amava la libertà e percepiva dentro di sé l’istinto naturale del single. Per lui le donne rappresentavano un momento di svago e non un fattore associante per il suo futuro.
All’arrivo a Verona il gruppo si sciolse con l’auspicio di risentirsi via internet e anche di persona, mentre Enrico si tenne opportunamente in disparte. Salutò freddamente Anke e Amanda e scomparve ben presto alla loro vista.
Alice le chiese di andarla a trovare a Isola, ma Amanda aveva ben altri pensieri e si lasciò scappare solo «Spero di sì. Ma adesso ho altri pensieri e qualche problema da risolvere». La baciò e la strinse a sé con zero promesse salvo quelle di tenersi in contatto con Twitter. Veramente un po’ poco per le aspettative della ragazza.
La sua omonima stava scalpitando e trovava tutti questi saluti un po’ troppo caramellosi. Amanda le lanciò un’occhiata di fuoco prima di congedarsi dalle amiche che tornavano a Bolzano, mentre lei si sarebbe fermata a Verona.
“Mi spiace lasciarvi e non poter commentare questa vacanza con voi. Ma un impegno pressante mi chiama altrove. Al mio rientro, spero presto, ci ritroviamo tutte a casa mia per trascorrere una bella serata di ricordi” disse loro baciandole una a una.
Sapeva che il futuro non sarebbe stato quello appena descritto ma in cuor suo lo sperava.
Si incamminò verso il bus che l’avrebbe condotta in città sempre seguita come un’ombra dall’altra Amanda.
Quando furono lontane da orecchie indiscrete, l’affrontò chiedendole cosa c’era di tanto urgente da non aspettare il ritorno a casa.
“Il bosco e gli elfi hanno decretato la mia espulsione. Però adesso mi reclamano a gran voce. Cosa è cambiato?” domandò con tono asciutto ma deciso.
“Dei tuoi rapporti con gli altri tuoi consimili non so nulla né mi importa conoscerne le motivazioni della tua cacciata. Saranno loro a chiarire la situazione. Per quanto mi riguarda so che Pietro sta diventando sempre più debole e incapace di preservare il bosco dai pericoli come era scritto nel testamento. Quindi il mio compito è di condurti da lui”.
“Mio padre ..” e fece una pausa, perché in effetti le sensazioni andavano proprio in quella direzione.
Provò a riprendere il discorso ma non riuscì a completarlo. Un senso di angoscia l’aveva presa senza che lei potesse mitigarlo neppure un po’.
Rimasero in silenzio per tutto il tragitto. A Verona avrebbe preso una decisione.

Amanda 38

La mattina seguente Pietro si preparò per partire. Durante la notte la prima neve aveva imbiancato le cime più alte. Quello che temeva di più erano queste nevicate precoci e inaspettate, non rare a fine settembre. Si sentiva stanco e affaticato dopo una settimana trascorsa tra realtà e sogno. Anche nella notte appena trascorsa aveva fatto sogni strani, quasi premonitori.
Lui era nella radura accanto al grande abete e ascoltava la voce del bosco, che sussurrava una storia già conosciuta. Eppure gli piaceva rimanere in ascolto. Il tempo pareva cristallizzato, immobile, mentre le piante avevano acquistato vitalità e personalità. Era assorto nei suoi pensieri, quando a un tratto si materializzò accanto a lui Alice.
“Ciao” disse dopo un sussulto per l’improvvisa apparizione.
“Ciao” fece lei di rimando.
“Hai ascoltato per l’ennesima volta la storia di Klaus e Amanda. Non ti stanchi mai”.
“No, perché mi ricordano una parentesi felice. Una brevissima stagione degli amori”.
Lei gli prese la mano e disse «Vieni con me» e lo trascinò nel folto del bosco.
«Dove?»  e si lasciò guidare docilmente. Camminarono a lungo attraverso porzioni di bosco che non ricordava sempre in silenzio. Alice gli fece cenno col dito sulle labbra di tacere per non rompere il clima di serena tranquillità che stavano assaporando.
Giunsero a una radura, anch’essa del tutto ignota a Pietro. Si guardò intorno per osservare la natura e le figure che erano apparse. Volti noti mescolati a quelli che vedeva per la prima volta. Sembrava un raduno simile a quello del giorno precedente nella baita.
“Ma è stato un sogno oppure una realtà?” si domandava incapace di trarre una risposta risolutiva.
Comparvero tavoli e grandi quantità di cibo. Si interrogò nuovamente sul significato di queste tavolate e sui motivi per i quali non riusciva a distinguere il confine tra il sogno e la realtà.
Alice, sempre tenendogli la mano, gli disse «Domani dobbiamo partire prima che la neve sommerga ogni cosa.». Si chiese del perché di questa affermazione, perché il cielo era limpido e non minacciava neve. Però scosse il capo, perché Alice gli proponeva solo indovinelli senza dargli le risposte.
Poi il sogno svanì mentre il resto della notte fu un film senza immagini e suoni. Però al risveglio gli ronzavano nelle orecchie le parole che la ragazza aveva pronunciato «Devi partire prima che la neve sommerga ogni cosa». Era ancora incredulo e assonnato, perché a fine settembre può nevicare, ma era neve fuori stagione, di breve durata.
Aprendo le imposte vide le cime imbiancate e restò a bocca aperta. Dunque Alice non aveva mentito con quella frase.
“Meglio partire che rimanere bloccati quassù” disse mentre organizzava la partenza.
Senza fretta e con calma fermò l’impianto elettrico e svuotò le tubature dall’acqua perché non gelassero. Fece l’inventario del cibo suddividendolo tra quello che si sarebbe conservato fino alla prossima primavera e quello invece da lasciare agli animali del bosco. Raccolse quello, che aveva intenzione di riportare a casa e le caricò sul fuoristrada. Chiuse con cura tutte le imposte e le varie porte della baita.
Adesso era pronto a lasciare il bosco e tornare tra la gente.
“Mi fermerò in paese a fare colazione” disse mentre ingranava la prima.
Si domandava se non era stato troppo frettoloso nel lasciare la casa, perché il tempo non minacciava il brutto. Sospirando, mentre scendeva con prudenza per il sentiero che l’avrebbe condotto in paese, si disse che, a parte l’abbassamento della temperatura, il cielo era terso e limpido come appariva di solito in questo periodo dell’anno.
Era immerso in questi pensieri e concentrato sulla stretta strada in ripida discesa, quando Alice comparve sul sedile passeggero alla sua destra.
Ebbe un breve sussulto di sorpresa e rischiò di uscire di strada per la brusca manovra del volante.
Prima ancora che lui formulasse un qualsiasi quesito, fu anticipato dalla donna.
“Saggia decisione, la tua. Se avessi tardato a prenderla, saresti rimasto bloccato nella baita..”.
“Com’è possibile? Non c’è una nuvola in cielo, gli animali del bosco non mi hanno segnalato niente. E quando ci sarebbe stata questa nevicata?” domandò dubbioso al passeggero sbucato in maniera inattesa.
Una breve risata gelò all’istante qualsiasi pensiero legato alle sue parole.
“Guarda nello specchietto e vedrai che il bosco alle tue spalle è avvolto da una caligine bianca. E’ la neve che sta turbinando”.
Pietro si preparava a replicare pepato, perché aveva lasciato alle spalle un cielo azzurro e terso senza nuvole. Incuriosito volse lo sguardo frettoloso alle sue spalle, ma lo spettacolo era davvero imponente. Come aveva detto Alice, il bosco era scomparso alla vista coperto da milioni di piccoli batuffoli di nuvole che scaricava sul bosco e sulla casa grandi quantità di neve.
Scosse la testa, perché era inutile lottare con lei. Sentenziava e come per magia faceva apparire le risposte alle affermazioni. Anche stavolta non aveva parlato fuori luogo.
“Vieni come me a fare colazione o preferisci aspettarmi a bordo?” le chiese mentre parcheggiava il fuoristrada dinnanzi alla Primula Rossa.
Annuì per accettazione e si preparò a scendere. Pietro l’osservò con attenzione come mai aveva fatto finora e le disse che non poteva entrare nel locale vestita solo con una tunica di lino bianco, perché avrebbe provocato molte chiacchiere e diversi interrogativi.
“Perché?” replicò tra il divertito e il dubbioso.
“Perché? E me lo domandi? Nessuno nemmeno nel periodo più caldo dell’anno gira con solamente una tunica bianca. Ora poi, che la stagione autunnale ha superato le prime settimane, le persone vestono pesante. Vuoi farti notare? Questo è il sistema migliore”
Una nuova risata lo colse impreparato, perché lui si chiedeva i motivi per i quali temeva i pettegolezzi dei paesani.
“Amico mio! Non hai ancora compreso che solo tu mi vedi? Noi non parliamo attraverso dei suoni ma per il tramite dei nostri pensieri. Dunque non preoccuparti di come vesto. Non patisco il freddo né il caldo” tagliò corto Alice.
Pietro era sempre perplesso perché non poteva ordinare due cappuccini, un paio di brioche e altro senza destare la curiosità degli avventori e del proprietario.
“Non essere così titubante. Filerà tutto liscio. Tu ordina per te come se io non fossi presente” e decisa scesa dal fuoristrada.
Riluttante Pietro fece altrettanto, entrando nel locale.
“Un cappuccino e una fetta di strudel caldo” ordinò sedendosi all’unico tavolo libero.
Alice si sistemò sulla sedia di fronte in attesa del tè con qualche pasticcino.
“Non mi hai ancora spiegato il motivo della tua comparsa” chiese Pietro un po’ irritato.
“Dobbiamo fare un viaggio. Ricordi il secondo simbolo delle rune? Thurisaz aveva predetto un colpo di fortuna e mi pare che questo sia avvenuto ..” aggiunse sottovoce.
A Pietro sembrava di vivere in un altro mondo dove i confini tra la realtà e la fantasia erano talmente labili da confondersi in un vagare dall’uno all’altro con continuità di spazio temporale.
“Quale viaggio? Io sto tornando a Belluno. E poi dove sarebbe la metà? No, non mi inganni questa volta con i tuoi indovinelli. Io non farò nessun viaggio” rispose sicuro.
“Potrebbe darsi, ma noi due dobbiamo fare un viaggio” replicò laconica, immergendosi nella colazione.
A Pietro non rimase altro che mangiare strudel e bere il cappuccino. Aveva rinunciato a ribattere, perché pareva incredibile ma Alice aveva sempre ragione.

Amanda 37

Le giornate scorrevano uguali come due gocce d’acqua tra temporali improvvisi di breve durata e sole splendente in un’alternanza del tutto imprevedibile. Amanda capì perché gli inglesi giravano con l’ombrello appresso. L’imprevedibilità meteorologica di Londra era mutevole come le nuvole in cielo che non si sa mai dove si dirigono.
La vacanza ormai procedeva stancamente verso il suo termine, mentre Alice e Luca oltre a litigare tra loro avevano trovato l’amore effimero e occasionale. Amanda sorrideva nell’ascoltare le loro parole, le loro confessioni. Si comportava come la sorella maggiore di entrambi raccogliendo i loro sfoghi e dispensando suggerimenti e osservazioni con sagge parole ben ponderate.
Il ragazzo continuava a frequentare Annie, che si divertiva a giocare con lui come il gatto col topo. Un momento era dolce, un istante dopo era scostante, mentre lui era sempre convinto d’aver fatto breccia nel cuore di lei. Però a parte la prima notte calda, anzi bollente poi era stato un crescendo di delusioni condite da «Stasera no. Non sono in forma.» oppure «Mi spiace ma ho promesso che questa notte non avrei portato nessuno in camera.». Così il povero Luca tornava alla stanza più intristito che mai.
“Non hai capito che si sta prendendo gioco di te” gli diceva Alice con un tono sufficientemente acido da renderlo furioso.
“Non hai capito nulla!” replicava stizzito e il battibecco continuava a lungo finché Amanda non interveniva per mettere pace.
“Suvvia, ragazzi! Siamo in vacanza e come sapete gli amori vacanzieri terminano al momento del ritorno a casa. Luca, sta tranquillo e goditi la vicinanza di Annie senza troppi pensieri. Lei ha la testa altrove e di certo non pensa di proseguire questa piccola avventura. Di sicuro le piaci, perché ..” e lasciava sfumare la frase.
Poi rivolgendosi a Alice la riprendeva garbatamente perché mostrava un’acidità troppo marcata.
“Alice non ti va che il tuo Davie ti tenga sulla corda. Ma lo conosci bene? Mi sa proprio di no..” e incominciava una lunga discussione con lei che finiva invariabilmente con un abbraccio tra loro.
Però Amanda era turbata, perché troppi segnali, troppe sensazioni strane la avvolgevano in un clima di triste inquietudine.
Non riusciva a mettersi in contatto col padre, pur percependo che aveva necessità di aiuto.
“Di che aiuto ha bisogno? Fisico oppure solo psicologico?” si domandava con un pizzico d’affanno.
Però un altro pensiero continuava a condizionarla: erano i tentativi di Amanda, la sua omonima, di contattarla nei momenti più topici.
Se per Pietro c’erano solo sensazioni, un vago timore soffuso e per nulla certo, più insistente era il bussare della sua omonima.
Però capitava sempre quando per lei era impossibile concederle l’accesso. Ricordava l’insistenza durante la brutta avventura di Clapham Junction, quando doveva mettere in salvo Alice oppure durante le discussioni sugli amori con i due ragazzi.
Quello che la rendeva nervosa era il fatto che, quando c’erano le condizioni, lei si faceva negare. Era questa un’operazione da farsi concentrata e non distratta da turbolenze esterne. Inoltre non era improbabile che comparisse fisicamente accanto a lei, come era successo quando aveva quattro anni.
“E se compare, rimanendo visibile a chi mi sta intorno, quali reazioni potrebbe suscitare? Questa operazione deve verificarsi quando sono sola. E’ un momento di grande tensione emotiva e servono nervi saldi e mente sgombra. Eppure quando ci sono le condizioni favorevoli, lei non c’è o si nasconde. Chissà cosa vuole”.
Era immersa in questi pensieri, quando senti un bussare discreto alla porta della stanza.
Si alzò sospirando, perché adesso non avrebbe potuto fare un tentativo di contattarla.
“Ciao!” disse a Anke.
“Ciao” rispose con un tono dimesso.
“Cosa è successo? Sembri un cagnolino bastonato”.
“Nulla” e una lacrima scivolò sul viso.
“E per nulla piangi? Entra e non stare lì impalata sulla porta. Sono sola e lo sarò per un pezzo. I miei compagni di stanza sono fuori coi loro amori”.
Anke entrò e cominciò a piangere a dirotto, in maniera convulsa senza che Amanda riuscisse a frenarne l’intensità.
“Cosa è successo” le chiese con premura, stringendole le spalle.
Però la ragazza non riusciva a trovare le parole, lavate vie dalle lacrime.
Amanda si chiedeva cosa poteva essere successo di tanto grave da impedirle di esprimersi in maniera intellegibile.
“Calmati! Non ho capito nulla di quello che hai detto” riprese con calma nel tentativo di bloccare quel piccolo torrente in piena che scorreva sulle guance.
Tra un singhiozzo e un altro riuscì a biascicare poche parole chiaramente.
“Ho litigato con Enrico”.
Amanda le sollevò il viso e sorridendo replicò che per così poco stava facendo una tragedia.
“Poco? E ti sembra poco?” rispose interrompendo il pianto.
“Non mi pare una cosa così grave! In fondo un litigio, per quanto violento, si può sempre ricomporre. E poi lo conosci da soli quattro giorni ..”
“E con questo, cosa vorresti affermare? Non conosci le motivazioni per le quali abbiamo litigato ..”
“E’ vero. Hai ragione. Non ho un’idea dei motivi. Però se non vuoi dirlo, nessun problema. In definitiva ..”.
Anke raddrizzò le spalle e guardò fissa negli occhi Amanda.
Il viso rotondo sembrava più tirato del solito e qualche ruga increspava la fronte.
“Devi sapere ..” e cominciò il suo racconto, interrotto brevemente da Amanda con qualche domanda.
Dopo quattro giornate trascorse sempre insieme giorno e notte, nella mattinata odierna Enrico mostrò segni di insofferenza.
“Non mi lasci respirare!” sparò secco senza nessun preavviso.
“Come?” rispose Anke.
“Non mi pare che ti abbia impedito di fare quello che desideravi. Ho accettato qualsiasi tua proposta, ti ho seguito ovunque volessi andare. E osi dire che ti sto asfissiando?” proseguì con tono bellicoso e per nulla amichevole.
“Sì, non riesco a muovermi senza di te al seguito” continuò imperterrito Enrico.
E la discussione salì di tono fino al  «fatti fottere. Mi hai rotto i c..» detto da Enrico, che sbatteva la porta, mentre usciva dalla stanza.
“Non voglio più vederlo e se potessi mi imbarcherei sul primo aereo per Verona. Anzi con destinazione Italia!” e riprese a piangere a dirotto.
“Se ti va, possiamo ospitarti qui. Spedisco Luca da Enrico ..”.
“No! Ti ringrazio ma quel cafone lo voglio vedere in faccia. E..”
“E .. Cosa pensi di dire? O preferisci dargli quattro sberle?” replicò Amanda seria.
Non le piaceva la piega, che stavano prendendo gli avvenimenti. Anke era troppo infuriata per ragionare con freddezza col rischio di una scenata notturna al calor bianco.
“Passa in camera a prendere qualcosa da indossare. Andiamo a fare quattro passi. Ti distenderà i nervi”.
Mentre Anke andò nella stanza a prendere qualcosa di adatto per il pomeriggio piovoso e umido, Amanda sentì bussare nella mente e prima che potesse rispondere vide comparire di fianco a lei la sua omonima.
“Ciao. Ho bisogno di te” le disse, sedendosi su una sedie di fronte.
Amanda fu assalita dal panico pensando che fra pochi istanti sarebbe ricomparsa Anke.
“Non ti preoccupare. La tua amica non può vedermi né udire quello che ci stiamo dicendo. Mi vedi solo tu e ci parliamo attraverso la mente”.
“Qual è il problema?” chiese con un pizzico di ansia.
“Dobbiamo andare nel bosco degli elfi al più presto. Sta correndo grossi pericoli”.
“Però mi avete cacciata. Ora chiedete il mio aiuto?” replicò infuriata.
“Hai ragione. Ma le vecchie dispute passano in secondo ordine. Ci sarà tempo per chiarire i dissapori. Ora il bosco è seriamente minacciato”.
“Bene. Al mio rientro tra due giorni scenderò verso il bosco e ci troveremo là ..”
“Non hai capito che la situazione è critica?”
“Si, ma non posso lasciare i miei amici. Posso solo tra due giorni” e mentre pronunciava queste parole, sentì la voce di Anke «sono pronta!».
Si avviò sorridente verso di lei, prendendola sottobraccio.