Amanda 50

Pietro rimase sconcertato dall’affermazione che i genitori di questa grande famiglia composta da sole donne e per di più tutte sorelle non esistessero o quanto meno non fossero conosciuti.
Scosse la testa, deciso ad approfondire l’argomento, perché era certo che ci sarebbero stati nuovi indovinelli ai quali doveva trovare le ri-sposte giuste. Ormai era una costante alla quale non poteva sfuggire.
Però un’altra domanda premeva per la risposta e sperò che questa fos-se un po’ più comprensibile delle precedenti.
“Questo è il Consiglio delle A, avete detto. Perché avete tutte voi un nome iniziante per A? Che significato ha questa stranezza?”.
Il silenzio scese su di loro come una cappa, finché Alice non lo ruppe, prendendo la parola.
“E’ una storia lunga che si perde nella notte dei tempi. Devi sapere che una donna e un uomo elfo si staccarono dalla comunità degli elfi dei boschi nel lontano e freddo nord, nel Niflheimer. In quell’epoca il mondo, che si chiamava Ginnungagap, era diviso in due parti: il gelido Niflheimer e il torrido Múspellsheimr. In mezzo c’era una terra di nessuno che risentiva dei venti ghiacciati del Niflheimer e delle scintil-le calde del Múspellsheimr. Dove le stagioni fredde si alternavano con quelle calde. Era un mondo primordiale abitato da esseri che si asso-migliavano sia pure con tonalità di pelle differenti tra loro. Gli scambi tra queste popolazioni erano quasi inesistenti. Ognuno viveva sulla propria terra d’origine. Dunque torniamo al nostro racconto e alla no-stra coppia, che era stanca del gelo e del quasi perenne buio del nord. Decisero di staccarsi dalle origini e si avviarono verso sud alla ricerca del sole e della luce, come qualche viandante più coraggioso aveva narrato al ritorno”.
Pietro la interruppe brevemente perché voleva conoscere il nome di queste due persone.
“Non chiedermi i loro nomi esatti, perché non li so con certezza. Se non sono stati corrotti durante la trasmissione orale del racconto mi pare di ricordare questi: Auðhumla era la donna, Baldr era l’uomo. Dunque questi due elfi camminarono verso meridione per giorni, set-timane e mesi alla ricerca di un bosco non ricoperto perennemente dal ghiaccio e dalla neve che potesse ospitarli. Un bel giorno, era un søn-dag di juli, loro arrivarono qua, sulle pendici del monte Antelao. Il luogo era incantevole, misterioso e accogliente. Capirono immediata-mente che il loro pellegrinaggio era finito: elessero questo bosco a dimora. Si sistemarono in questa radura che ora ci sta ospitando. Era-no felici, perché finalmente erano giunti a destinazione. Qui comincia-rono a procreare e ..”.
Pietro era perplesso qualcosa stonava nel racconto ma scelse il silen-zio lasciando cha Alice proseguisse il racconto. Per le domande c’era tempo.
“Decisero di chiamare le figlie con il nome iniziante per A in onore della madre e i figli per B come il padre. Stabilirono anche che le ge-nerazioni future di elfi dovevano chiamare a loro volta i loro figli con C le femmine e con D i maschi e così via”.
Alice rifiatò aspettando una raffica di quesiti.
“Ma sarebbero stati degli incesti” obiettò Pietro.
“Beh! non è detto ..” replicò Alice.
“Sarà ma questa storia fa acqua. Se anziché una coppia, fossero state due, allora avrebbe avuto un senso. Però prosegui. Non ho intenzione di interromperti. Le domande le riservo al termine”.
Alice proseguì nella narrazione.
“Per un curioso caso del destino nacquero solo figlie e la catena si spezzò”.
“Ma quante figlie ebbero questi due benedetti elfi? A giudicare da questo consesso un bel po’ e poi, se erano nate solo figlie, mi chiedo come sia possibile che ora ci siano tante ragazze ..”
Angelica prese la parola per affermare che tutte loro erano sorelle.
Qualcosa non tornava, adesso che lei aveva fatto quest’affermazione. Espresse il suo scetticismo con parole e gesti. Non riusciva a credere che potesse avere qualche fondamento di verità.
Angelica rispose che loro erano le figlie nate da quell’unione.
Lui era incredulo e dubbioso sull’esatta natura del racconto. Assomi-gliava più a un mito che a qualcosa di reale.
“Alice ha appena affermato che si perde nella notte dei tempi. Ha de-scritto un mondo primordiale, attinto da qualche mitologia nordica. Siete giovani e belle, coi capelli rossi e gli occhi per metà di voi blu e per l’altra metà verdi. Come è possibile?”
Una breve risata risuonò allegra come il suono di una campana a festa. Arianna gli spiegò che loro erano senza tempo, praticamente immor-tali. Una volta diventate adulte, loro non invecchiavano mai.
“Come avrai notato, noi abbiamo un unico abito: questa tunica di li-no, legata sotto il seno con una corda di canapa, alla quale è appesa una A. Non temiamo il freddo, né percepiamo il caldo” concluse A-rianna.
Pietro chiese il perché di quella veste, che gli sembrava essere una di-visa. La domanda cadde nel vuoto ma percepì che indicasse la purezza dei sentimenti e dei pensieri, come la verginità carnale. Ricordò che anche Elisa era vergine al momento del loro incontro. Non era molto sicuro che quello fosse il vero senso della tunica. Loro non avevano intenzione di parlarne. Cambiò argomento nella speranza di avere del-le risposte chiare sulla narrazione delle loro origini.
“Ma perché quel segno fisico distintivo?” chiese in tono scettico, indi-cando capelli e occhi.
“Nostra madre aveva i capelli rossi come zampilli di lava e gli occhi verdi come i prati del monte Antelao. Nostro padre i capelli candidi come la neve e gli occhi blu come il mare che non aveva mai visto. Abbiamo ereditato il colore dei capelli da nostra madre mentre metà di noi ha gli occhi verdi e l’altra blu”.
Pietro continuò a incalzare con le domande.
“Se siete immortali o giù di lì ..” continuò ironicamente, mentre la mente veniva travolta da un crescendo di risolini.
“E Amanda? ..”
“Quale Amanda? Elisa o tua figlia?” chiese Alice
“Entrambe.”
“Come avrai potuto notare Elisa sta subendo l’assalto del tempo, se-guendone il processo da quando ha deciso di vivere come un’umana” gli rispose la ragazza.
Fece una breve pausa prima di riprendere a parlare.
“Per Amanda il destino è nelle sue mani. Se decide di tornare tra gli uomini, conoscerà l’amore, avrà dei figli e invecchierà come stai fa-cendo tu. Se decide di rimanere qui tra noi, tu la vedrai sempre così. Giovane e bella”.
“Beh! la vedrò così per un lasso di tempo breve. Io invecchio e mori-rò prima o poi, quindi ..”.
Alice rise di gusto, ammettendo la giustezza dell’osservazione.
“Ma Alumla  e Baldo.. o come diavolo si chiamano questi due ..” ri-prese Pietro.
Angelica sorrise mentre lo correggeva e gli suggeriva i nomi esatti.
“E vabbè, hanno due nomi tanto difficili che .. Insomma questi due elfi che fine hanno fatto? Se voi siete immortali, credo che anche loro lo siano”.
“Non lo sappiamo, né ricordiamo le loro fattezze Come ha detto Ali-ce, questa storia si perde nella notte dei tempi e quindi .. “ rispose gar-batamente Arianna.
Pietro sgranò gli occhi, perché non poteva pensare che loro avessero perso la memoria col trascorrere del tempo.
“Vabbé! Prendiamo per buona questa affermazione. Ma non ho ben compreso le gerarchie come sono ripartite ..”.
“Nessuna gerarchia. Siamo tutte alla pari. Questo consiglio, che si riu-nisce almeno quattro volte durante l’anno, non ha nessuna di noi che lo presiede. A turno c’è un capotavola che dirige i lavori e una alla sua destra che tiene il resoconto delle decisioni prese”.
Pietro scosse nuovamente il capo in segno di dissenso. Si domandò come fosse possibile che Amanda potesse prendere la guida del grup-po, rompendo l’incantesimo della parità.
“Amanda prende la guida del Consiglio, subentrando al tuo posto ..” gli rispose pronta Angelica.
“Ma io non ho mai guidato il Consiglio prima di questa volta ..” e-sclamò stupito.
“Non è vero. Tu ti sei sempre seduto a capotavola con noi” replicò seria la ragazza.
Lui scosse il capo, perché non era molto convinto ma molte altre do-mande si affollavano nella testa e lasciò perdere l’argomento.
“Ma Marco chi era? Un elfo o un umano? Mi pare d’aver capito che era un elfo. Perciò qualcosa non torna. Insomma mi pare che vogliate prendervi gioco di me ..”
Alice si fece seria prima di rispondere.
“Marco è quello che ti ha preceduto su quella sedia ..”
“Ma non è immortale come voi?”
“No, dopo il passaggio del bosco nelle tue mani lui si messo in cam-mino verso la destinazione finale, il regno dei morti, Hella. Non sap-piamo dov’è ma siamo in grado di dire che esiste”.
“Ma perché dopo un elfo avete scelto un umano come me?”
“Marco non aveva da proporre un altro elfo, quindi la scelta è caduta su di te. Come? Non lo sappiamo. Lui l’ha suggerito e noi l’abbiamo approvato. Quel giorno a capotavola sedeva Amanda, che è stata de-signata per convincerti ad acquistare il bosco. Il resto lo conosci già”.
“Ma perché Amanda e non Alessandra? Alla fine anche lei è mia figlia ..” incalzò Pietro.
Alice gli spiegò che Alessandra era una di loro ormai e non poteva es-sere al di sopra delle altre, perché era alla pari.
“Amanda, invece, no. Lei è stata allontanata dal bosco, perché era al di sopra di noi. La colpa di Elisa è stata quella di aver sottratto Aman-da al suo destino di elfo, quando l’ha consegnata a te. Quindi non po-teva rimanere dopo il suo ritorno. Se accetta di subentrare nella guida del bosco al tuo posto, diventerà anche lei una senza tempo, come Marco e deciderà in autonomia quando cedere lo scettro e raggiungere Hella” concluse la ragazza.
La storia che lui avesse presieduto le adunanze del Consiglio delle A non lo convinceva per niente.
Lui insistette per avere maggiori informazioni ma loro furono irremo-vibili nella loro versione dei fatti.
Pietro rinunciò ad avere spiegazioni esaurienti su questo punto, per-ché voleva sapere qualcosa di più di Marco.
“Curiosamente voi siete tutte donne e l’unico maschio sono io. E prima di me c’era Marco. Ma chi era veramente costui?”.
Si fece un silenzio assoluto, interrotto solo dal respiro dell’uomo. Pa-reva quasi che ci fosse timore nel nominarlo, che incutesse terrore e angosce.
Alice prese la parola per rispondere al quesito.
“Marco chi era veramente? Un elfo ..”.
“Fin qui c’ero arrivato anch’io. Ma trincerarsi dietro la sola parola elfo mi pare poco. Da dove è spuntato? Perché era il Signore del bosco magico degli elfi? Non chiedo molto. Solo una risposta plausibile a questi due semplici quesiti” ripeté stancamente l’uomo.
Alice sospirò e cominciò a parlare.
“Il nostro Consiglio faticava a trovare le giuste decisioni. Spesso finiva in risse verbali furibonde e qualche volta sono volati insulti e si sono levate le mani. Perché, ti domandi. Noi siamo state sempre alla pari. Nessuna di noi può prevalere sulle altre. Quindi non trovavamo la convergenza tra le varie tesi, succedeva il finimondo, perché nessuna di noi poteva essere superiore alle altre. Avevamo di conseguenza la necessità di una guida al di sopra delle parti, che fungesse da arbitro nelle dispute. Quindi abbiamo chiesto aiuto alle nostre divinità che ebbero pietà di noi e ci mandarono Marco. Da quel momento i nostri consigli furono sempre pacifici con scelte senza scontri. Lui ci ha gui-dato con mano ferma e decisa, esattamente come hai fatto tu”.
Pietro scosse il capo perché era tornato al punto di partenza. Non c’era speranza di superarlo.

.. E lei fu lì..

..E lei fu lì. All’improvviso. Comparve dal nulla con il suo volto, il suo sorriso e quegli occhi che lui adorava. Non era la prima volta e non sarebbe stata nemmeno l’ultima ma ogni volta gli pareva che uscisse dal bianco della carta o che affiorasse come se infrangesse una leggera crosta di ghiaccio. Doveva solo inclinare la bacinella affinché il liquido portasse a termine il miracolo: come per magia dove prima non c’era nulla, adesso c’era qualcosa. Poi lei compariva e lo fissava. Era l’istante impalpabile tra il vuoto e il pieno che gli rimaneva appiccicato a dosso come il miele sulle mani..
Marco spense la luce nell’anticamera prima di entrare nella camera oscura. Una tenue luce rossastra illuminava debolmente la stanza. Sembrava quei film di una volta, in bianco e nero, dove il protagonista sviluppava in un’atmosfera torbida negli aspetti. Si muoveva con sicurezza adattandosi alla scarsa luminosità con naturalezza. Una fila di cartoncini gocciolanti erano appesi a un filo che attraversava la stanza.
Li ignorò mentre riempiva la bacinella col liquido di sviluppo. Aveva un’altra serie di negativi da stampare con un unico soggetto: lei, la donna dei suoi sogni. Infilò il rullo nell’ingranditore senza tentennamenti. Si fermò un attimo a respirare prima di procedere con la stampa. Verificò che tutto fosse in ordine: bacinella, carta, filtri, rullo.
Marco odiava le moderne macchine digitali, perché diceva che perdonano tutti gli errori. Era rimasto fedele alla vecchia Fuijca Az1, un reperto archeologico nel mondo del digitale. Faceva sempre più fatica a trovare la pellicola giusta, specialmente quella in bianco e nero. Gli amici ridevano per le sue fissazioni. Però lui scuoteva la testa come per scacciare insetti fastidiosi. Per lui la fotografia era rimasta ai tempi di Frank Capa.
Ormai faceva tutto da solo dallo sviluppo del negativo alla stampa delle fotografie che riteneva ottimali. Non poteva sopportare la stampa meccanica, quasi industriale che ormai tutti praticavano. Aveva comprato per questo scopo un’attrezzatura di seconda mano, dismessa da uno studio fotografico, che si era convertito alle moderne teconlogie. L’aveva pagata pochissimo, qualche centinaio di euro, ma era come se fosse una Rolls Royce. Qualcosa di straordinario, di gran lusso dal valore inestimabile.
“Stampano anche l’aria” bofonchiò arrabbiato mentre lavava la pellicola dopo il procedimento di sviluppo, facendo attenzione che non rimanesse nemmeno una goccia di solvente.
“Non c’è il minimo pathos. Tutto meccanizzato con il prodotto finale inscatolato nella busta col solito CD delle miniature e delle foto in formato jpeg”.
Odiava quel mondo asettico e privo di anima, dove contava solo la velocità e la quantità di materiale trattato. Lui voleva trattare i singoli fotogrammi uno per uno, soppesandone le qualità. La fotografia doveva essere un’opera d’arte da lasciare in eredità a chi sarebbe venuto dopo di lui.
Appese la pellicola al filo e con phon la seccò con cura e delicatezza come se stesse asciugando i capelli dell’amata. Eva aveva una morbida cascata rossa, ondulata come il mare sotto la spinta di una leggera brezza. Marco si fermò un istante pensando a lei. Poi riprese a passare il getto caldo con attenzione, affinché non vi rimanesse una stilla di umidità.
Lei gli riempiva la mente con il suo sorriso, il suo corpo morbido e minuto, con quella chioma vaporosa e intrigante. Però erano soprattutto gli occhi, quelli che lo ammaliavano di più.
Con questi pensieri si avvicinò all’ingranditore, mettendo un nuovo fotogramma tra l’obiettivo e la luce. Si concentrò sulla messa a fuoco, anche se l’immagine della donna continuava a galleggiare eterea e impalpabile dinnanzi agli occhi.
Dopo aver armeggiato cautamente e pazientemente con l’obiettivo, coi filtri, si sentiva pronto a stampare la prima foto. Era ancora una volta il viso di Eva, colto mentre faceva una dei suoi sorrisi mozzafiato.
Un flashback apparve all’improvviso nell’osservare quel viso.
Era una domenica, qualche settimana prima per la precisione. Loro si trovavano nella pineta di ritorno dall’escursione domenicale al mare. Era una giornata ventosa che mitigava la calura di luglio. Un tipico giorno popolato dal quel turismo mordi e fuggi che ormai era diventato una costante in tempo di crisi. Mentre le ombre giocavano a rimpiattino con suo viso, Marco puntò l’inseparabile reflex verso di lei.
“Oh! No!” esclamò spalancando gli occhi in quel momento in ombra.
“Oh! Ancora una! Non ti stanchi mai?”
“No.” replicò dopo una serie di scatti in rapida sequenza.
L’abbronzatura dorata del corpo veniva valorizzata dal pareo azzurro che l’avvolgeva come un fascio di rose.
Eva si strinse a lui, facendogli sentire il profumo del suo corpo: un misto di crema solare e odore pungente che emanava sensualità. Marco inalò quell’effluvio di aromi che lo eccitarono. Si sarebbe fermato in quel tratto di pineta per fare all’amore con lei incurante delle persone che stavano intorno a loro ma proseguì.
Marco scacciò questi pensieri per concentrarsi sulla stampa della fotografia. Il timer suonò e spense la luce, mentre lui afferrò il cartoncino bianco e si avvicinò alla bacinella per lo sviluppo.
Ricominciava la magia del non c’era e del c’era.

Le foglie di fico

Le foglie di fico

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
All’alba i sogni svaniscono,
la rugiada adorna le foglie di fico,
che si ristorano
dopo la grande arsura.
Cammini sul prato bagnato
e il sole si leva all’orizzonte:
inizia una nuova giornata.

Amanda 49

Pietro respirò profondamente, mentre il consesso era ammutolito, te-so ad ascoltare tutte queste spiegazioni.
“Se tu sei Amanda, quella del diario chi è? E Klaus chi è?” era un dub-bio che da venticinque anni lo assillava. Non aveva mai smesso di pensarci per i troppi punti di contatto con Elisa.
“Due personaggi di fantasia, come di fantasia erano diario e racconto. Io e Marco volevamo accertarci se tu eri in grado di governare il bo-sco. E la prova l’hai superata alla grande, dimostrando coraggio e in-telligenza nell’affrontare le situazioni, anche quelle più complicate e difficili. Non hai esitato a fronteggiare i pericoli senza porti delle do-mande se ne valeva la pena oppure no ..”.
“Ma perché sei diventata Elisa?” le chiese temendo quasi la risposta.
“Perché ti amo. Era cominciato per gioco ma è diventata una cosa se-ria. E ..”
“Però sei sparita senza lasciare tracce, gettandomi nello sconforto ..” replicò amareggiato.
“Non potevo fare altrimenti. Sono stata costretta. Negli accordi con Marco io dovevo sparire da subito, non appena eravamo rientrati a Belluno. Ma non l’ho fatto, non ci sono riuscita. Era un qualcosa più forte di me. Per questo motivo ho scatenato le sue ire e la sua furia. Non potevo, finché non ho avuto la certezza di aspettare una figlia da te. Anzi due ..”
Pietro comprese che l’affermazione iniziale era vera: ne aveva due. Adesso capiva perché nella Voragine del Tanzerloch percepiva una sensazione strana verso Alessandra, una ragazza del tutto sconosciuta. Si era gettato in un’avventura che avrebbe potuto costargli la vita con la stessa incoscienza con la quale un padre avrebbe affrontato il fuoco per mettere in salvo la figlia.
“Ma perché mi avete fatto trovare solo Amanda?” chiese osservando le due ragazze che ascoltavano senza dire nulla.
“Non sapevo neppure se saresti stato in grado di accudirne a una. Due forse erano troppe. Però devo dire ..” terminò lasciando in so-speso la frase con un largo sorriso.
Pietro ricordò bene quanto si era trovato in difficoltà inizialmente con Amanda. Un velo di felicità comparve sul viso dell’uomo, ripensando alla goffaggine del primo momento. Ragionando con senno del poi doveva ammettere con sincerità che due sarebbero state complicate da gestire contemporaneamente.
Gli sovvenne alla mente un altro episodio: la strana sensazione che l’aveva colpito quando l’aveva vista accanto al letto di Amanda, molti, molti anni prima. Era nitido il ricordo come il grido «Elisa» fosse usci-to d’istinto, guardandola. Il suo istinto non l’aveva tradito.
“Sì, ero io” lo anticipò Elisa. Gli descrisse che doveva fingere di esse-re il fantasma del racconto, anche se li seguiva in incognito, soffrendo nell’impossibilità di mostrarsi. Quella era stata un’eccezione, un colpo di testa, pagato poi a caro prezzo. Le fu impedito di rivelarsi un’altra volta senza autorizzazione, se voleva conservare la speranza di riunirsi a loro in un futuro lontano.
“Ma perché non hai mai spiegato le motivazioni della tua assenza?” chiese ancora una volta l’uomo poco convito delle spiegazioni.
“Non potevo, dovevo scontare l’insubordinazione agli ordini di Mar-co. Era la punizione decretata dal Consiglio delle A. Ero stata con-dannata a vedervi senza essere vista da voi ..”.
Si rivolse a Amanda per dirle che non poteva manifestarsi apertamen-te prima di questo consesso. Solo una decisione del Consiglio poteva annullare la condanna e scioglierla dal vincolo di rimanere incognita. Erano questi i motivi per i quali era stata reticente durante il viaggio. Aggiunse alla fine che gli avvenimenti dovevano seguire un percorso predefinito che lei non sarebbe stata in grado di modificare. Era l’unica strada per avere un lieto fine della storia.
“Il Consiglio delle A è stato duro con me, penalizzando anche altre persone, perché sono stata la causa del tuo allontanamento dal bosco degli elfi” ammise amaramente.
Il gelo calò sulla tavolata: non più risate allegre, non più facce sorri-denti ma espressioni serie nell’ascoltare le parole di Elisa.
La ragazza si alzò per stringersi alla madre e sussurrarle «Non impor-ta. Il passato è passato, ma il presente volge al sereno e il futuro si tin-ge di ottimismo». Poi rivolgendosi al consesso ammutolito aggiunse che tutti i vecchi dissapori erano evaporati nel momento in cui  aveva conosciuto le cause di tante incomprensioni. La tensione si allentò mentre ricompariva sulle facce di tutti i componenti del Consiglio il sorriso. Le spiegazioni erano state serene e non c’era risentimento nel-le parole dei protagonisti ma solo un pizzico di amarezza per come si erano svolti i fatti.
Molte tessere cominciavano a incastrarsi tra loro componendo il qua-dro che era rimasto occulto fino a quel istante, rendendo più chiari eventi e situazioni.
“Ma tu chi sarai da questo momento?” chiese con impazienza Pietro che voleva sentire solo una risposta.
“Elisa”.
“E Amanda?” aggiunse rivolgendosi alla figlia
“Farà delle scelte. La sua vita è nelle sue mani” rispose laconica Alice. “Sarà lei a decidere il suo futuro. Per quanto  ci riguarda, abbiamo già assunta la decisione nei giorni scorsi. Sarà la nostra guida, se lo vorrà. La sua dovrà essere una scelta del tutto autonoma”.
Pietro si accorse che questo lungo dialogo aveva tagliato fuori Ales-sandra che era rimasta sempre in silenzio ascoltando tutte quelle voci. Non sembrata frastornata ma attenta a cogliere tutte le sfumature che in parte conosceva. Non percepiva né gelo né invidia ma un calore che l’aveva confortata.
Pietro posò lo sguardo sulla ragazza e disse. “Ho sentito che tra noi c’era un qualcosa che subito non avevo compreso bene. Dunque era questo filo invisibile che ci legava. Ora mi è chiaro quello che prima erano solo sensazioni confuse. Sono felicissimo di avere trovato una seconda figlia, che amerò quanto la prima”.
Si alzò per stringerla a sé come suggello di quanto aveva detto. La ra-gazza ricambiò l’abbraccio con grande impeto e trasporto.
“Quando nel Tanzerloch ti sei avvicinato, ho percepito le tue sensa-zioni e il calore paterno che emanavi. Sono fiera di avere avuto due genitori come voi. Credo che ..”. Una lacrima di emozione scivolò leg-gera sul viso di Alessandra che proseguì. “Sono felice di averti cono-sciuto dopo aver ascoltato gli elogi del Consiglio delle A e del bosco. Sono tutti ben meritati”.
Pietro tenendo abbracciate le due figlie rifletté che molti quesiti ave-vano trovato una risposta esauriente. Rimaneva da chiarire chi erano Alice, Angelica e Arianna e il motivo di tante ragazze con l’iniziale del nome che cominciava per A.
“Chi siamo?” lo anticipò Alice, leggendogli la domanda nella mente.
“Siamo le sorelle di Amanda, anzi di Elisa, visto che ha deciso di as-sumere un nome da umana”.
Pietro sgranò gli occhi per la sorpresa, anche se aveva dimenticato che già in precedenza aveva affrontato questo aspetto.
“Siete le mie cognate? ..”.
“Calma, Pietro. Siamo le sorelle di Amanda. Essendo morta per noi, non siamo niente per te ..” rispose con un pizzico di ironia Angelica che rideva.
“Tu e Elisa non siete ancora sposati e ..” rincarò la dose Arianna.
Lui non raccolse le frecciate sorvolando sulle punzecchiature.
“E le altre ragazze? Sono tutte sorelle di Amanda?” chiese conoscen-done la reazione in anticipo. Un coro di «Sì» fu la risposta.
“Ma la madre e il padre di tutte voi chi sono?” chiese curioso l’uomo.
“Non esistono” fu la risposta collettiva.
Pietro rimase in silenzio a meditare quest’ultima affermazione che gli sembrava del tutto inverosimile come se volessero prendersi gioco di lui.
“E come sono nate?”.

Ti ho mandato l’invito a partecipare a Caffè letterario

The white heron

Traduzione inglese
L’airone bianco
It’s a cold winter day,
tempered by a shining sun, standing in the sky,
that is blue, clear and clean, how it shows seldom in this time.
The eye sweeps the forage fields, that is sallow and dry
becouse of the frost and the drought, and
the wheat field, that is a profound, pleasant green as a emerald,
more high than usual.
So there when unexpectedly one can see to fly about the white wings.
It’s the white heron, that alights on the dry field, flitting gracefully:
it look for the food scrabbling into the earth and inserts it into the long neck.
Slowly it bobs up the earth without missing the elegance.
It stands up and flights newly, perhaps it has heard my heartbeat, and
it loses itself in the sky and looms.
 
Per chi volesse leggere la versione originale, questo è il link
http://newwhitebear.wordpress.com/2007/05/05/airone-bianco-2/

Il fuoco

Il fuoco

 
 
 
 
 
Il fuoco è amore,
il calore sono i sensi
che percepiscono
i tuoi pensieri.
Incontrarsi è bello,
ma serve alimentare
il fuoco che arde
dentro di noi.

Amanda 48

Il Consiglio delle A era riunito al gran completo sotto un tetto di stel-le. Pietro sedeva a capotavola affiancato da una donna, che si stringe-va a lui felice. Non era più tanto giovane ma non sfigurava con le altre commensali. Ai lati stavano Amanda e Alessandra sulla destra e sulla sinistra Alice, Angelica e Arianna. Il tavolo era lunghissimo: tutti i po-sti erano occupati dalle altre A. Ognuna di loro indossava una tunica di lino bianca stretta sotto il seno con una corda alla quale era appeso il simbolo di una A in oro massiccio. Solamente Amanda e la donna accanto a Pietro vestivano in maniera differente, forse per sottolineare la diversità di provenienza. Lui si era chiesto il motivo per il quale tut-te le ragazze vestivano con una tunica bianca. Però il tempo delle do-mande sarebbe arrivato presto.
C’era un vociare allegro che riempiva la radura senza interrompere il silenzio della notte. Il soffitto era un cielo nero punteggiato da punti luminosi di stelle, che parevano dipinti. Nonostante l’autunno fosse ormai avanti con i rigori notturni, nessuno avvertiva freddo. Era il ca-lore di tutti quei corpi a riscaldare l’aria.
A Pietro questa visione ricordava un’altra tavolata che aveva vissuto tra sogno e realtà all’interno della baita qualche tempo prima. “Quanti giorni sono passati da allora?” si chiese, osservando questo consesso allegro e ciarliero. Gli pareva  che le giornate fossero volate vie e fos-sero molto lontane ma forse erano solo sensazioni.
Quella volta gli era sembrato un qualcosa di irreale con la stanza che si allargava o rimpiccioliva senza una logica apparente tanto che aveva dubitato delle sue facoltà sensoriali. Aveva anche pensato di essere in preda alle allucinazioni di qualche misteriosa droga, perché la visione variava in continuazione. Però questo convivio, assolutamente reale per la presenza di due donne che lo riempivano di gioia, gli faceva comprendere che allora non era stato un sogno ma pura realtà. Aveva perso la cognizione temporale coi giorni che si mescolavano con la notte in un vorticoso caleidoscopio di eventi e situazioni che sembra-vano un continuum senza soste. Anche gli ultimi avvenimenti, nei quali era rimasto coinvolto, testimoniavano questo tourbillon di sen-sazioni ed emozioni senza riscontri temporali.
“Quanti giorni o settimane sono trascorse dalla passeggiata nel bosco che ha originato la sequenza di episodi che mi hanno trascinato in questa avventura? Gli eventi si sono susseguiti a un ritmo talmente incalzante che mi domando se il sogno sta continuando tuttora oppu-re se questa è una bella realtà”.
Alice gli strinse un braccio come per rassicurarlo nel caso che ce ne fosse stato bisogno. La muta domanda di Pietro era una maniera mol-to umana per esprimere le sensazioni che stava provando immerso in questa atmosfera serena e tranquilla.
“Questa visione, che ti avvolge, è realtà! Tutte noi siamo reali come lo siamo sempre state. Tu, in quel momento, non sembravi propenso a credere a quello, che ti circondava” aggiunse la ragazza.
Pietro scosse il capo.
“Non è questo il tempo per discutere se ho sognato oppure no. Ci sono troppe domande inevase che meritano una risposta esauriente per perdere tempo su un aspetto marginale di quello che mi ha visto coinvolto”.
La mente era confusa perché tutti gli interrogativi si affollavano caoti-camente insieme e volevano la primogenitura. Doveva metterle ordine per venire a capo di tutti i suoi dubbi.
Innanzitutto voleva domandare a Amanda il perché se ne era andata senza lasciare traccia, lasciandolo nel dubbio e nell’affanno.
La figlia alzò un sopraciglio e increspò la fronte con una ruga. Le co-stava un filo di sofferenza rispondere, avrebbe voluto dirlo in privato, mentre parlarne di fronte a tutte quelle A la faceva soffrire.
Lui percepì il messaggio segreto che lei gli trasmetteva ma oramai l’aveva costretta a replicare.
“Volevo tornare alle origini, qui in questo bosco magico. Ma in parti-colare desideravo affrontare la vita senza nessun tutor. Sbagliare e im-parare. Commettere errori e migliorarmi. Questa è stata la molla. L’abbandono della tua casa confortevole e comoda è stata una prova, un sacrificio per me. Però ora sono consapevole che andava fatta. So-no cresciuta”.
Amanda fece una breve pausa prima di riprendere il discorso, perché voleva evitare l’argomento sugli attriti che l’avevano costretta ad ab-bandonare il bosco, che sentiva suo.
“Però non ti ho mai dimenticato. Mi ero ripromessa di venirti a trova-re dopo la vacanza a Londra con le amiche ma le circostanze hanno forzato la volontà. Sono felice di essere qui insieme a te, a Elisa e a tutte le altre. Ovunque andrò avrete un posto privilegiato nel mio cuore e non mancherò di venirvi a trovare con regolarità” concluse il ragionamento, ascoltato in silenzio da tutte le altre.
Pietro allungò una mano per stringere quella di Amanda. Una stretta che valeva molto di più di tante parole.
L’uomo si rivolse a Alice per capire i motivi del rapimento di Ales-sandra. Aveva notato la straordinaria somiglianza con la figlia, tanto che solo lui, che era il padre, poteva intuire quei minuscoli particolari che le differenziavano. Il naso leggermente più affilato, i lobi delle o-recchie più tondi, un sorriso più smagliante. Erano dettagli insignifi-canti ma non potevano sfuggirgli, perché era la sua sensibilità paterna che sapeva coglierli.
“Il rapimento di Alessandra è stato un errore da parte loro. Non sa-pevano che Amanda non viveva più nel bosco degli elfi da diverso tempo ..”.
“Ma perché proprio lei? E non un’altra?” la incalzò deciso.
Un sorriso illuminò il viso della ragazza che spiegò che l’obiettivo era proprio lei, perché era la figlia del Signore del bosco degli elfi.
“Io? Il Signore del bosco degli elfi?” esclamò stupito.
Alice gli illustrò che lui era stato designato da Marco come il succes-sore nella conduzione del bosco dimostrandosi in più di una occasio-ne all’altezza del compito. Amanda avrebbe dovuto prendere il suo posto, sempre che lei lo avesse desiderato, quando lui avesse deciso di passare la mano.
“Le spetta di diritto, anche se Alessandra è ..” concluse lasciando in sospeso il discorso.
Pietro corrugò la fronte, osservò ora Alice, ora Amanda, ora Alessan-dra e stava per formulare l’ennesima domanda, quando fu interrotto nei suoi pensieri.
“Amanda e Alessandra sono gemelle. Ecco perché sembrano due gocce d’acqua”.
La voce lo sorprese perché fino a quel momento era stata in silenzio. Si stringevano la mano come se avessero timore di perdersi una se-conda volta.
“Avrei voluto parlarne in privato ma ora si impone anche questo chia-rimento. Sei Amanda o Elisa?” chiese con forza alla donna seduta al suo fianco.
“Sono entrambe”.
“Come?” ribatté un Pietro esterrefatto.
“Si. Sono una donna elfo e come tutte ho un nome che comincia per A..”
Lui scosse il capo. Tutto quello che ascoltava sembrava un groviglio inestricabile. Doveva mettere ordine.

Un anniversario mancato

Ricordo che proprio in questi giorni nel lontano 2007, il giorno esatto non lo ricordo o forse pigramente non lo voglio cercare, aprivo per la prima volta uno spazio virtuale su Windows Live che chiusi dopo quaranta giorni un po’ spaventato dal numero di amici virtuali che avevo trovato. Francamente non ero abituato a incontrare tante persone diverse in un mondo che conoscevo solo dal punto di vista professionale. Dell’altro spicchio percepivo solo il sentito dire, i pericoli e le insidie. Quindi osservavo il tutto con diffidenza e timore di lasciarmi travolgere da aspetti che non conoscevo.
Il 26 aprile 2007 approdai per caso su Splinder e decisi di riaprire uno spazio virtuale questa volta dal volto diverso.
Se il primo era improntato a discussioni e pensieri, il secondo era più culturale nei contenuti: poesie e basta. Non mi ero mai cimentato a scrivere racconti né brevi né lunghi, perché non mi ritenevo all’altezza. Poi col tempo sono uscito dal guscio e timidamente ho cominciato a scrivere dei racconti. Quanto gli uni o gli altri siano piaciuti o quanto sia stato in grado di mostrarmi capace di scrivere è un tema che lascio agli altri. Per quanto mi riguarda devo dire che mi sono divertito. E questo per me è un bel risultato.
Ho vagabondato sulla piattaforma, allora in gran spolvero. Ho cominciato ad apprezzare blogger e condividerne i contenuti, ho fatto le prime amicizie (virtuali), le prime chiacchiere con quello strumento infernale che era la chat interna alla piattaforma (Tipic funzionava male). Questo strumento rudimentale mi ha aiutato a conoscere alcuni blogger coi quali si è instaurato un rapporto solido che è andato oltre Splinder. Anche se lontani, con loro ho affrontato tematiche personali, dato e ricevuto consigli. Insomma un rapporto consolidato che chiamerei amicizia.
Non avrei mai creduto di resistere quasi cinque anni a seguire dei blog ed essere seguito nel mio.
Purtroppo la data del 26 Aprile rimarrà un giorno vuoto, perché Splinder non ci sarà più.
Di questa piattaforma a volte ansante, a volte indisponente sentirò la mancanza. Mi mancherà il contatto virtuale rappresentato da quelle lucine verdi che indicavano la presenza on line degli amici, la lista dei preferiti dove con un colpo di mouse si andava a commentare o leggere i commenti altrui.
Ora sono su un’altra piattaforma, più fredda, più tecnologica ma meno ruspante. E ricomincerà il count down dei giorni, delle settimane, dei mesi, degli anni di presenza.