La strada

La strada

La strada

è là,

che aspetta

d’essere imboccata.

Cosa c’è in fondo?

Aspetta e cammina,

non avere fretta,

tutto si svelerà.

La strada si perde

dietro la curva,

aspetta e pazienta.

Capitolo 2 – I fantasmi

Tolse dalla tasca il foglietto che aveva ripiegato con cura, leggendo le altre note che aveva scritto.
“Se le chiedo di portarmi anche questi volumi, credo che abbia un travaso di bile. Vediamo questo libriccino cosa dice. Poi si vedrà. Ha parlato di quattro pagine. Boh! cosa mai ci sarà scritto in così poche righe? Ma ..”.
Si abbandonò sullo schienale non troppo comodo, osservando con attenzione la sala. Sembrava restaurata di recente. I colori delle parti lignee erano risplendenti con grandi quadri appesi in alto. I tavoli, allineati lungo le pareti come in un grande refettorio, avevano alle spalle centinaia di libri, ordinati negli scaffali.
Il tempo comunque non passava mai così che cercò di ingannarlo prendendo appunti per riordinare le idee sulle prossime mosse e fissare una specie di percorso.
Estrasse dalla giacca un libretto rosso, chiuso con un elastico, tipo moleskine, che depose dinnanzi a sé, mentre da una tasca interna prelevò la fida Hastil dell’Aurora.
Cominciò a tradurre le idee in tanti flash sintetici, una sorta di brainstorming casereccio. Sperava che da questo nascesse un’idea vincente.
«Laura Dianti, Via Lollio 15, già via Spazzarusco ..».
Si fermò a pensare perché questa via in quei lontani anni si chiamava così. “Un nome singolare senza dubbio. Però pare che avesse anche un altro nome ..  Cagarusco. Beh! è meglio il primo ..” rifletté appoggiando la stilografica sul libretto rosso.
Alzò lo sguardo, perché aveva avuto la sensazione che qualcuno lo stesse osservando. Eppure erano solo in quattro nella sala: le due studentesse, che bisbigliavano tra di loro, la bibliotecaria, che pareva incurante della sua presenza, e lui, che riorganizzava le idee.
“Eppure quella sensazione era reale. Percepisco che qualcuno mi sta osservando. Ma chi?” disse scuotendo il capo e tornando all’occupazione precedente. Però quella percezione non lo abbandonava ma cresceva lentamente, mettendogli uno stato d’ansia.
Tornò a esplorare la sala: solo il brusio delle due ragazze e il discreto ronzio della postazione multimediale rompevano la quieta della stanza. Credette di sentire fantasmi del passato, perché gli stavano intorno per raccontare qualche storia. Era proprio quello che ignorava.
“No, no. Sono solo fantasie. Eppure ..” replicò a queste impressioni per scacciare i dubbi che lo stavano travolgendo.
Riprese il libretto rosso e continuò ad annotare altri punti.
“Palazzo delle rose, berrettaio, passaggi segreti, castello estense e poi? Amante, figli, il duca Alfonso .. Primo o secondo? Testamento .. Ma c’è stato? Boh! mettiamolo e poi vediamo ..” e si interruppe di nuovo.
Quella sgradevole sensazione di essere osservato o spiato era appiccicata alla pelle. Non riusciva a togliersela di dosso.
“Eppure non c’è nessuno oltre le due ragazze e il cerbero, mascherato da donna, in cattedra. Però questo senso non riesco a eliminarlo. Chi è? Chi sono? Dove sono?”.
Tornò a spaziare con la vista per l’ampia sala. Tavoli vuoti, sedie pure. Sempre e solo le persone che aveva menzionato.
Sollevò lo sguardo verso l’alto. Figure ammantate e riccamente vestite lo fissavano severe.
“No, non sono loro. Loro scrutano e basta. La sensazione è quella di qualche figura che galleggia nella sala. Impalpabile ed eterea. Insomma uno o più fantasmi. Che ne abbia risvegliato più di uno?”
Una breve risata, smorzata immediatamente, comparve sul suo viso. La fantasia non mancava a Giacomo, ma poteva giocargli dei brutti scherzi. Tornò al suo libriccino rosso senza troppa voglia. Ormai la sua mente era pervasa da queste emozioni che lo stavano ammantando in una tela che sembrava quella creata da un ragno gigantesco durante il corteggiamento nuziale.
Provò a concentrarsi sul libretto rosso senza troppa fortuna.
“Speriamo che questo libro arrivi presto, se non voglio diventare matto, inseguendo improbabili fantasmi”.
Come per magia si sentì trasportato in un’altra dimensione. Era sempre in questa sala ma le ragazze erano vestite in modo strano: un corpetto bianco che stringeva sul seno fino quasi a debordare, una gonna ampia e ingombrante come se fosse impacchettata. I capelli erano raccolti in una treccia che formava un curioso nido. Ridevano e parlavano protette da un vistoso ventaglio di piume di pavone.
Il cerbero era sparito come la relativa postazione. Solo un uomo vestito con una foggia che non conosceva stava rigido dinnanzi all’ingresso. La postazione multimediale era diventata uno scrittoio antico. Ingombro di fogli bianchi e di un calamaio che gli ricordava quello che usava alle elementari.
Giacomo si domandò dove era capitato. Le pareti erano ricoperte di libri più antichi di quelli che la sua mente rammentava con rilegature in cuoio scuro e scritte dorate.
Alzò lo sguardo verso il soffitto e non vide più i quadri con quei visi severi.  Ce ne erano degli altri a lui sconosciuti. Un grosso candelabro con grosse candele di cera troneggiava nel centro del soffitto. Sui tavoli c’erano lumi a olio al posto delle lampade verdi. Nel camino ardeva della legna per riscaldare l’ambiente. Però il freddo era pungente appena mitigato dal fuoco.
Si guardò intorno smarrito e frastornato. Gli pareva di essere finito in un’altra epoca, molto distante dalla sua. Il cappotto era sparito. Sulla sedia stava un elegante mantello di ermellino. Lui sembrava un paggio dentro un vestito che non riconosceva come suo. Avvertì un brivido di freddo e si avvolse nella pelliccia.
Osservò le ragazze che gli parevano ora più vecchie di quello che ricordava. Erano sempre giovani ma più mature. Anche loro avevano sulle spalle un prezioso capo rossastro, che assomigliava tanto a una pelle di volpe, per proteggersi dai rigori invernali.
Si alzò deciso a scoprire dove si trovava e si avvicinò alle due dame, che continuavano nel loro chiacchiericcio.
“E poi cosa chiedo loro? Dove sono? E quando l’ho saputo, cosa faccio?”.
Cambiò traiettoria e si avvicinò a una grande vetrina dove erano riposti grandi volumi di cuoio scuro.
L’uomo che stazionava vicino alla porta si approssimò chiedendogli cosa desiderasse.
“Quel volume, lì” disse Giacomo indicando un grosso tomo dove campeggiava una scritta in latino «Vita Beati Ioannis Tosignani Episcopi Ferrariensis» e MDVI come anno.
“Subito, messer Giacomo” replicò estraendo un robusto mazzo con molteplici chiavi.
Lo osservò stupito con quanta destrezza avesse scelto la chiave giusta.
“Dove glielo metto, messer Giacomo?”.
Indicò un tavolo vicino a una finestra che dava sul cortile interno. Si sedette e cominciò a sfogliarlo con lentezza senza curarsi di leggere le pagine, che si muovevano come mosse dal vento.
La mente era in subbuglio. Qualche conto non tornava ma doveva esplorare quella nuova dimensione. Quel numero romano gli dava molto da pensare.
“Dove sono finito?” si interrogò confuso.

Le mani

Le mani

Le tue mani

liberano

momenti di felicità,

che sai donare

a chi vuoi tu

in silenzio.

Sento sulla pelle

il fremito

della tua mano

che percorre

il mio corpo.

La felicità pervade

la mia mente

e guida

le tue mani

alla ricerca delle mie.

Capitolo 1 – Un lunedì mattina ..

Lunedì 16 Gennaio, 2012
Quel lunedì era triste e uggioso, pareva più una giornata novembrina che un giorno di gennaio. Una nebbia umida e fredda si attaccava ferocemente al viso e alle mani, tendendo a cristallizzarsi sulla pelle, sul cappotto blu.
Un uomo non molto alto camminava svelto in via Mazzini diretto alla biblioteca. I capelli bianchi spiccavano nel grigiore della mattinata. Immerso nei suoi pensieri non si accorgeva di quello che stava attorno a lui. Pensava a un articolo letto il giorno prima ed era curioso di mettere le mani su quel libretto.
“Chissà se ci riuscirò?” bofonchiava mentre si asciugava il naso gocciolante. Il freddo e l’umido stavano giocando brutti scherzi alle sue narici.
Arrivato dinnanzi al portone, si soffermò ripensando a molti anni prima quando lo varcava da studente.
Scosse il capo, perché per i flashback c’era tempo. Adesso doveva entrare e leggere quel vecchio resoconto.
“Una pazzia, la mia. Una pazzia senile” si disse mentre spingeva la vetrata per entrare.
Tutto era cambiato, nulla era rimasto intatto.
Si avvicinò al punto dove si chiedono in prestito i libri con un pizzico di ansia.
“Vorrei consultare il libro di Girolamo Negrini ..” disse con un filo di voce appena accennato.
“Quale libro?” replicò una signora con tono freddo da piccola burocrate.
Giacomo deglutì vistosamente, perché il titolo non lo conosceva. Aveva informazioni scarne: una data e un contenuto approssimativo.
“Veramente ..” cominciò balbettando come uno scolaro scoperto impreparato. “Vede .. credo che sia del 1841 .. Insomma il titolo non lo conosco ma parla di certi cunicoli che partono dal Castello Estense. Chiedevo se era possibile consultarlo”.
La bibliotecaria lo guardò male.
“Di lunedì mattina e, per di più all’inizio del turno, doveva capitare questo scocciatore! Non poteva starsene a poltrire nel letto invece di venire qua con delle richieste assurde ..”
Erano questi i primi pensieri che sgorgarono nitidi e istintivi, mentre cominciava la ricerca col nome dell’autore. Sullo schermo apparvero tre titoli.
“E moh! Quale dei tre?” si domandò accentuando la voglia di mandarlo a quel paese.
Doveva trattenersi per non guastarsi il resto del turno e non creare un caso. Aveva già avuto dei richiami per essersi mostrata scortese, almeno questa era stata l’opinione di qualche utente, che aveva protestato vivacemente con i suoi superiori. Era prudente trattenere la lingua e non dire nulla.
Giacomo, nel frattempo si dondolava ora su una gamba ora sull’altra per cercare di moderare l’impazienza e il nervosismo. Osservò la donna che decisamente stonava nell’ambiente.
“Perché?” si chiese per ingannare l’attesa.
“Almeno fosse stata una bella ragazza .. Due battute, un complimento e forse meno acidità. E vabbé accontentiamoci di questa grassona, che pare abbia ingoiato una scopa che le sia andata pure di traverso”.
La donna lo guardò sollevando gli occhi dal monitor.
“Cosa conosce di questo libro?”  lo interrogò freddamente e con acrimonia.
Lui si era perso a osservare un paio di studentesse che si erano accomodate alle postazioni multimediali. Si era distratto perdendosi la domanda rivolta. Gli parve di udire qualcosa in lontananza e girò gli occhi verso la bibliotecaria.
“Non c’è paragone” rifletté prima di prestarle attenzione.
“Ma guarda un po’ cosa mi doveva capitare di lunedì mattina alle nove! Un vecchio sporcaccione che guarda con occhio lascivo e libidinoso quelle ragazze che potrebbero essere sue figlie. Un pedofilo, immagino” ringhiò rabbiosa l’altra dentro se stessa.
“Mi scusi ma mi sono distratto un attimo ..”
La donna lo guardò ancora più sinistramente, perché con tanto candore ammetteva di essersi distratto guardando delle ragazzine, che parevano il ritratto del candore giovanile.
“Le ho chiesto cos’altro conosce di questo libro” replicò stizzita e arrabbiata, cercando di moderare i toni.
Giacomo estrasse da una tasca un pezzetto di carta ripiegato in più parti, dove aveva appuntato delle note.
Disse leggendo ad alta voce. “L’anno di pubblicazione”.
“E allora si sbrighi a dirmela. Qui si fa notte. Non ho molto tempo da perdere. E poi ..” e stava per aggiungere «Non vede che coda c’è dietro di lei?». Però si trattenne perché era l’unico richiedente. Oltre a lui e le studentesse non c’erano altre persone
Lui abbassò gli occhi sul post-it giallo e lesse l’anno.
“Ah! E’ questo .. «Descrizione analitica di un sotterraneo che costeggia li muri a tramontana della fossa dell’estense Castello di Ferrara”» .. Solo quattro pagine? Se lo vuole consultare, lo può fare solo qui”.
Giacomo stava per aggiungere qualcosa, quando la donna lo precedette.
“E’ un libro antico da maneggiare con cura. Niente fotocopie, né lo può portare nella sala di lettura. Si deve sistemare in un tavolo libero di questa sala”.
Lui si guardò intorno. Di tavoli c’erano pochi tutti liberi in quel momento.
“Almeno posso prendere appunti oppure è vietato?” replicò con voce vagamente ironica. Quella donna gli stava decisamente antipatica e forse anche di più. Sospirò in attesa della risposta.
La bibliotecaria contò fino a dieci prima di rispondere. Il primo pensiero era stato di mandarlo a quel paese senza troppi giri di parole ma si trattenne con grandi sforzi.
“Le ho detto solo che non può chiedere di fotocopiarlo e che lo deve maneggiare con cura” rispose astiosa.
Dentro di lei ribolliva il sangue. Doveva fare sforzi sovrumani per non sbottare e sperava che si cavasse dai piedi al più presto.
“Dunque lo vuole oppure ha cambiato idea?”
Giacomo annuì, mentre lei chiedeva se era un utente registrato. Al diniego la bibliotecaria sospirò.
“Pure devo registrarlo. Altra palla. Ma doveva proprio capitarmi un lunedì mattina alle nove un tipo come questo?” e cominciò a introdurre i dati.
“Che faccio? Aspetto qua oppure ..” chiese umilmente.
“Può cercarsi un tavolo libero e aspettare che le portino tra mezz’ora quello che lei ha richiesto”.
Giacomo scelse l’unico tavolo d’angolo da dove poteva tenere d’occhio ingresso e sala. Si tolse il cappotto che appoggiò sulla sedia e cercò con lo sguardo la postazione dei quotidiani. Nella fretta di recarsi in biblioteca non aveva comprato nulla e adesso doveva far passare il tempo.

Inno all'amore

Inno all’amore

Il nostro viaggio

è stato lungo

e dura tutt’ora.

Abbiamo ancora

tanto cammino

da percorrere

insieme

davanti a noi.

La strada è accidentata,

ma le asperità

non le sentiamo

tenendoci

uniti per la mano.

Non sempre

siamo in sintonia,

ma la mente

prevale sulle parole,

che talvolta sono

dure.

L'alba

Tratta da http://turistipercaso.it/santo-domingo/image/2096/alba-dominicana

Noi siamo qui,

di passaggio

ed inquieti,

aspettiamo l’alba.

Sorge il nuovo sole,

un raggio illumina

il nostro viso,

ci incita ad intraprendere

il cammino

interrotto la sera precedente.

Dalla finestra scorgeva un ciliegio giapponese

Dalla finestra si scorgeva nel giardino vicino un ciliegio giapponese tutto rosa per i fiori sbocciati dopo il lungo inverno. Faceva contrasto con la quercia, piantata sulla pubblica via, ancora implume con piccole foglie di un bel verde smeraldo. Un piccolo uccello colorato si posò sui rami quasi nudi della quercia.
Marco si sforzò di indovinare quale fosse il suo nome, mentre c’era un via vai di gazze, che volavano intorno al ciliegio.
Era appoggiato alla testata del letto e ripensava alla sua infanzia, alle gioie ma anche ai dolori. Sogni e amori si mescolavano fra loro ma tutto rimaneva impastato come la farina nelle mani del fornaio prima di trasformarsi in un pezzo di pane.
Gli sarebbe piaciuto conoscere il mondo, viaggiare e sognare terre lontane ma viveva di lavori precari. Era un giorno senza chiamate che lo costringeva a rimanere a letto a rimuginare sulla sua vita.
Il contrasto tra l’intensa fioritura del ciliegio e il timido risveglio della quercia era uguale a quello che provava dentro di sé. Avrebbe voluto ma non poteva. Aveva amato ma adesso era solo. L’ultimo lavoro si perdeva nei ricordi mentre attendeva invano uno squillo.
«Sig. Marco Pinotti? Sono Marta del Objob. Le telefono perché ..». Era il dialogo immaginario che si aspettava ogni giorno da troppo tempo, ma quelli passavano e il telefono rimaneva muto.
Marta era una simpatica ragazza, che aveva conosciuto vagando tra gli uffici dei lavori interinali. Aveva più o meno la sua età, almeno questa era la sua valutazione. Di statura non definita, l’aveva vista sempre seduta, e una zazzera riccioluta del colore del grano maturo erano due particolari fisici che gli erano rimasti impressi. Si sorprese a pensare solo a quelli come se il resto del corpo non esistesse.
Avrebbe desiderato invitarla a mangiare una pizza ma le finanze personali gli impedivano di sgarrare dal budget giornaliero. Una pasta condita con un poco di sugo accompagnata da una verdura, quella a più buon mercato, era il pasto principale del mezzogiorno. Alla sera un frutto e qualche cracker per scacciare i morsi della fame. Il resto dei pochi risparmi era destinato al fitto del monolocale e alle bollette che puntuali, come un orologio svizzero, arrivano tutti i mesi.
Ormai stava raschiando il barile e se non arrivava una chiamata doveva dichiarare default. Questi grigi pensieri erano in contrasto con la tiepida giornata primaverile che si annunciava serena.
Non aveva nessuna voglia di alzarsi.
“Dove vado? A guardare le vetrine scintillanti di offerte e gadget che non posso permettermi? A desiderare qualcosa che rimarrà un sogno?” erano questi i pensieri dominanti.
Marco continuava a osservare quel piccolo volatile colorato che saltava di ramo in ramo beccando ogni tanto qualche piccolo insetto.
“E’ dura la vita, amico? Però almeno tu puoi volare libero e cercarti del cibo. Io dipendo invece dagli altri, dai loro umori, da altre mille limitazioni. Vorrei librarmi senza vincoli nell’aria e osservare il mondo da quel punto di osservazione ma non posso”.
Poi posò lo sguardo sulle gazze che parevano divertirsi e giocare tra loro in un balletto sfrenato e simpatico.
Un pizzico di scoramento lo avvolse tanto che l’idea di abbandonare quella città e rifugiarsi tra le vecchie mura di casa prese forma. Per lui sarebbe stata una sconfitta cocente.
Era partito con una minuscola valigia, piena di sogni, verso la grande città, convinto di spaccare il mondo. Però subito dovette combattere per mantenere il posto per pagare tutto lo stretto necessario per vivere. Lavorava molte ore, facendo economie su qualsiasi cosa.
Un giorno, arrivato davanti al cancello, lo trovò sbarrato con appeso un asettico volantino: «La società chiude per fallimento» con uno strano timbro inchiostrato.
“Come chiude?” si domandò ad alta voce osservando gli altri compagni di lavoro ugualmente sgomenti che si assiepavano attorno a lui.
“E’ fallita. Non lo sapevi?” disse uno alla sua destra.
“E adesso?”.
“Cercati un altro lavoro” replicò asciutto un operaio dalle mani grinzose.
“E i miei soldi?” continuò smarrito Marco.
“I nostri soldi? Forse qualche spicciolo tra qualche anno, se ne rimangono” disse amareggiato un omone con le mani in tasca.
Dal quel giorno cominciò il suo calvario. Un lavoro di due giorni come garzone di una panetteria, un mese come operaio a scaricare merci, quindici giorni come lavapiatti. L’elenco era lungo e non valeva la pena di rinvangarlo.
Passeggiando per una via stretta vicino al centro, lesse un cartello «Objob – Il tuo posto per trovare lavoro». Scrutò la vetrina dove erano appesi i soliti cartellini, ormai ingialliti dal tempo e dal sole che batteva spietato d’estate.
Spinse l’uscio ed entrò.
“Buongiorno” disse cortese, piazzandosi davanti alla postazione, dove una bionda riccioluta stazionava davanti a un monitor.
“Ciao, sono Marta. In che cosa posso esserti utile?” rispose alzando due splendidi occhi blu.
A Marco mancò la parola nel vederla. Deglutì in fretta, passò la lingua sulle labbra per umettarle e rispose un po’ incerto.
“Stavo cercando un lavoro ..” disse, pensando che era una risposta insulsa. Se era lì, era alla ricerca di un’occupazione. Senza dubbio Marta meritava una visita anche senza quella necessità, che stava diventando impellente.
“Sì, ho capito. Che tipo di lavoro? Cosa sai fare?” replicò con dolcezza mostrando uno splendido sorriso.
“Beh! ho lavorato per tre anni in una fabbrica di minuterie metalliche come ..” e si interruppe incantato prima di completare il discorso.
“Ero assegnato alla selezione dei pezzi. Un lavoro delicato. Poi l’azienda è fallita e ho svolto molti lavoretti. Garzone, operaio, cameriere,..”.
“Ho compreso” lo interruppe la ragazza, aggrottando leggermente la fronte.
Marco la trovò deliziosa. Quasi stava dimenticando il motivo per il quale era entrato.
“Non hai trovato niente di meglio?” chiese curiosa e sorpresa.
“No, purtroppo. Tutti, per quel lavoro, chiedevano una laurea. Sai, ho solo il diploma di un istituto professionale per l’industria e artigianato. Ero bravo ma sembra che sia servito a poco” disse Marco amareggiato.
Marta abbassò lo sguardo e cominciò a cercare qualcosa.
“Mi spiace ma non c’è nulla che possa fare al tuo scopo. Se vuoi lasciarmi i tuoi dati, nel caso che ..”.
Lui la guardò smarrito e disse che avrebbe accettato un qualsiasi lavoro perché non poteva rimanere ancora senza un’occupazione.
La ragazza gli diede alcuni indirizzi. Una piccola scintilla sembrava scoppiata tra loro, almeno questa era l’impressione di Marco. Gli lasciò i suoi dati e il numero di telefono.
“Se capita qualcosa, ti chiamo. Ciao” e si salutarono.
Lui stava aspettando questa telefonata, perché quegli indirizzi erano stati solo fonte di delusioni cocenti. Lavori umilianti, sottopagati. Però era meglio di niente. Si esaurirono in breve e adesso era in attesa. I soldi stavano finendo senza nessuna prospettiva a breve termine. Aveva cercato anche in altre agenzie di lavoro interinale ma la risposta era stata sempre la medesima «non abbiamo nulla per lei». Aveva provato a inviare qualche curriculum ma tutto era rimasto muto. La crisi stava mordendo tutti e nessuna si sbilanciava ad assumere, anche temporaneamente, qualcuno.
Continuò a guardare gli uccelli che volavano liberi da un ramo all’altro, dal ciliegio alla quercia. Era deluso e amareggiato quando risuonò una musichetta familiare, quella dei Doors. Osservo il display «numero privato» e toccò il tasto verde per rispondere.
“Ciao! Sono Marta. Ti ricordi? Quella del Objob ..” e fece una pausa.
“Ciao! Certo che mi ricordo di te!” rispose entusiasta, risollevandosi dal triste mutismo che l’aveva travolto.
“C’è una buona opportunità! Cercano una figura professionale come la tua. Contratto a progetto. Mesi sei. 1200€ al mese circa con buone prospettive per il futuro ..”.
“Oh!” fu l’unica risposta di Marco.
“Ma di questo ne parliamo dopo. Volevo invitarti a mangiare la pizza ..” continuò la ragazza.
Lui fu colto dal panico. Fece un rapido calcolo: in cassa rimanevano disponibili solo 100€. Dunque era impensabile uscire con Marta.
Stava per dire qualcosa, quando riudì la voce della ragazza.
“Volevo dirti. La pizza la preparo io. La mangiamo a casa mia, se sei libero”.
Marco guardò fuori. Sulla quercia quel piccolo uccello colorato continuava il suo banchetto, mentre le gazze stridevano felici sul ciliegio.
“Sì! Vengo volentieri! Ho due coke in frigo. Per festeggiare”.
La ragazza riassunse il suo tono professionale.
“Se mi dai l’okay, puoi cominciare domani. E’ una bellissima opportunità! Devi portarti solo il libretto di lavoro. Stasera ti spiego tutto. Alle otto”.
“Dove? Non so dove abiti” replicò prima che lei chiudesse la conversazione.
“E’ vero! In via della Vittoria, 13. Sai dove si trova?”.
“Sì. Alle otto. Ma quale campanello suono?”.
“Che sbadata! Mi sembra di conoscerci da una vita e do per scontato che tu sappia tutto! Mercuri. Terzo piano interno 15. Ciao! Ti lascio. E’ entrato qualcuno”.
A Marco sembrò di udire uno schiocco di labbra prima del segnale di libero.

Haiku – La neve

osservo la campagna di notte sotto una coltre di neve candida e trasportato ho scritto questo haiku
Cielo di notte
è bianca la campagna
riposa neve
Buona notte a tutti
 

Amanda 51

Pietro si svegliò, avvertendo un movimento di Elisa che dormiva al suo fianco. Erano a casa, a Belluno. La toccò per sincerarsi che era effettivamente lei. Aveva il timore di svegliarsi e accorgersi che era stato solamente un sogno, bello ma etereo. La delusione sarebbe stata troppo grande per riuscire ad accettarla. La mano avvertì la mente che era tutto reale. Elisa era di fianco a lui fisicamente viva.
Al suo tocco gli si strinse forte, mormorando qualcosa che non riuscì ad afferrare. Poche parole ma non intellegibili. Poi riprese il respiro cadenzato di chi sta dormendo serenamente.
“Non importa! Mi è sufficiente sentirla accanto. Per le mie orecchie il suo respiro è pura musica”.
Ripensò al vorticoso giro di eventi che lo avevano coinvolto in rapida successione in quegli ultimi giorni. Ancora non si era ripreso, né era riuscito a quantificarne il numero. Però ce ne era uno che gli era rimasto impresso: la tazza della tisana che Angelica gli aveva porto con quegli strani segni. Nuovamente udì la voce che gli spiegava il significato di quei disegni.
“Rune, aveva detto. Ogni simbolo ha una corrispondenza nel reale. Fortuna, viaggi, salute e rivelazioni. Tutto questo è diventato concreto. Chissà ..”.
“Noi non prediciamo il futuro. E il futuro che viene a te”. Udì un’intonazione ben nota che gli parlava nella mente.
Pietro ebbe un sussulto che fece borbottare qualcosa a Elisa, disturbata da quel movimento improvviso e brusco. Non si svegliò ma si sistemò meglio, abbracciandolo di nuovo con passione, prima di riprendere il ritmo regolare del sonno.
“Alice!” urlò nella mente stupito per quell’inaspettata visita.
Una risata argentina rispose al suo richiamo prima di svanire con la notte morente che lasciava il posto all’albeggiare del nuovo giorno.
Avrebbe voluto parlarle ma era sparita come si era palesata in maniera inattesa. Ancora una volta non aveva compreso quale molla aveva toccato per richiamarla. Era stupito perché in realtà aveva riportato in superficie le parole di Angelica. Si rassegnò, perché l’incontro casuale e inaspettato non era stato in grado di prevederlo come in molte altre occasioni. Però si riprometteva di coglierne i meccanismi.
Con questi pensieri e per associazione di idee collegò Alice a Amanda, chiedendosi quale scelta avesse effettuata. Lui non lo sapeva, perché da quella sera non l’aveva più rivista né sentita. L’aveva lasciata alle prese del Consiglio delle A, mentre lui tornava a Belluno. E poi era sparita, inghiottita dal nulla come cinque anni prima.
“Bolzano o il bosco degli Elfi?” si domandò curioso ma non troppo.
Conoscendo la figlia, non dava affatto per scontato che avesse scelto di tornare tra gli elfi. Anzi era probabile che avesse scelto una destinazione del tutto differente. I colpi di testa, dettati dalla natura istintiva, lasciavano intravedere anche soluzioni totalmente diverse. L’unico cruccio era che nuovamente era sparita dalla vita di Pietro senza lasciare tracce, per contro Elisa era ricomparsa per restare definitivamente con lui. Questa decisione l’aveva riempito di gioia e adesso giaceva abbracciata a lui.
Di collegamento in collegamento il suo pensiero volò verso Alessandra, l’altra figlia, che aveva liberato nel Tanzerloch. Era stata una gioia immensa sapere che il suo atto fosse servito per scoprirla e conoscerla.
Non aveva finito di associare Alessandra a Amanda, quando un bussare discreto gli annunciò una nuova visita.
“Ciao, papà. Mi hai pensato con tanto affetto che non potevo non venirti a trovare. Anche se ti ho conosciuto da poco, avverto delle sensazioni emozionanti e sento la tua mancanza. Quando vieni a farci visita nel bosco degli elfi? Tutte noi del Consiglio delle A ti aspettiamo con impazienza per festeggiare”.
“Festeggiarci?” replicò sorpreso che volessero far loro festa.
“Non lo so. Forse con il ritorno della bella stagione. Ora c’è troppa neve. Sto diventando vecchio per affrontare la salita alla baita in queste condizioni” continuò con un filo di commozione.
“Sarebbe bello che tu e Elisa veniate per Natale. Mancano poche settimane. Potremmo stare tutti insieme e passare delle feste magnifiche. Se dite sì, sarebbe un regalo bellissimo”.
Si corresse associando anche la madre, mentre Pietro scoteva la testa per i troppi dubbi che danzavano dentro di lui.
“Sì, sarebbe splendido ma ..”.
“Non ti preoccupare. E’ sufficiente che arriviate in paese, a San Vito. Al resto pensiamo noi” esclamò felice. “Vi aspettiamo!”
Lui rimase in silenzio senza rispondere. Poi rifletté, se Elisa desiderasse effettivamente tornare in quel bosco, che aveva rappresentato per lei una prigione, dove scontare la pena irrogata dal Consiglio delle A.
Scacciò questi pensieri, mentre lei iniziava a svegliarsi. I suoi dubbi avevano fatto interrompere il collegamento con Alessandra. Questo lo rammaricava perché non aveva potuto salutarla e chiederle notizie della gemella. Si ripromise di richiamarla ma adesso doveva prestare le sue attenzioni a Elisa.
“Buon giorno, Pietro” disse allegra mentre si stiracchiava come una gatta.
“Buon giorno anche a te. Dormito bene?”.
Gli dette un bacio prima di rannicchiarsi di nuovo tra le braccia.
“Pensa ..” cominciò incerta se proseguire oppure no. “Sai cosa ho sognato?”
Si interruppe facendo una pausa, che Pietro non raccolse per indurla a proseguire nella narrazione.
“Una vicenda strana .. talmente singolare che mi riesce difficile raccontarla. La particolarità sta nel fatto che ricordo questo sogno in tutti i dettagli. Lo sai  che per me loro svaniscono al risveglio così che la mia notte rimane buia senza luci”.
Pietro la incoraggiò a raccontare la visione onirica che sembrava averla colpita così intensamente. Era veramente curioso di conoscere questa storia straordinaria.
“Devi sapere ..” e si interruppe nuovamente prima di proseguire. “E’ una storia lunga quasi trent’anni. Come dicevo .. o meglio come ti sto raccontando .. Insomma non so come cominciare. Mi sento confusa”.
Sembrava inquieta come se temesse di parlare di qualcosa che non doveva essere conosciuta. Era riluttante e indecisa, cominciava mille pensieri senza concluderne nemmeno uno. Pietro con pazienza la assecondò a raccontare, cercando di usare le parole più rassicuranti, finché non riuscì a vincere quella strana ritrosia. Così cominciò la descrizione del sogno che per certi versi appariva straordinario.
“Inizia in un giorno di giugno di molti anni fa. Tu eri seduto al Caffè Belluno a leggerti il giornale e prendere il solito aperitivo, come facciamo nel periodo estivo. Dunque io arrivo e fingo di conoscerti ..”
E cominciò a descrivere tutto quello che era nella mente di Pietro come eventi realmente accaduti. Gli sembrava di rivedere il film della sua vita al rallentatore.
“E’ possibile che per Elisa costituisca solo un sogno?” si domandò con un pizzico di apprensione. “Se le dico che è tutto vero, mi crederà oppure si spaventerà a tal punto che non ne parlerà mai più??”.
“Però ero gelosa quando quella donna ..”.
“Quale donna?” chiese cautamente.
“Quella che preparava il pane. Il nome non lo ricordo. Cominciava per A. Ma è inutile! Non mi viene in mente. Eppure è un nome familiare”.
Pietro aveva ben compreso che parlava di Alice, ma preferì fingere di non conoscerla. Aveva detto di essere gelosa, quindi era prudente sorvolare sull’argomento per non creare ulteriori tensioni. Gli chiese per quale motivo nutriva questi sentimenti verso una persona immaginaria.
“Alla fine è solo una persona che hai sognato. Non capisco come questo ti possa inquietare”.
“Mi è sembrato che ti dedicasse troppe attenzioni e poi ti guardava con due occhi languidi .. Troppo per i miei gusti”.
Una fresca risata di Pietro interruppe il racconto. Elisa parve offendersi e si rabbuiò un po’, mentre lui cercava di calmare le acque che minacciavano tempesta.
“E tu cosa facevi?” chiese Pietro allegro.
“Niente. Assistevo e basta. Non potevo fare nulla. Però lei ti mangiava con gli occhi per farmi ingelosire!”
“Ma è solo un sogno!” ribatté assumendo un tono sorpreso.
Elisa scosse la testa, perché per lei quella donna era più che un sogno. Era stato qualcosa di più, che non riusciva a quantificare.
“E poi .. Altra stranezza .. Mi è sembrato che fosse qua, tra noi, anche pochi istanti fa”.
“Chi? Quella donna? Ma ho visto e toccato solo te! Non mi sembra che ci fosse qualcuno tra noi, tanto meno di sesso femminile ..”.
Lei scosse il capo, perché la presenza di quella donna non era fisica ma spirituale. Pietro comprese che aveva percepito la presenza mentale di Alice. Però qualcosa non tornava, perché nel sogno non erano entrate le due gemelle, Alessandra e Amanda. Per un curioso caso nel racconto c’erano molte lacune e tutte riguardavano le figlie.
“Eppure hai raccontato che quella donna ..”
“Ecco!” gli disse interrompendolo. “Ecco mi sono ricordata il nome. Mi ronzava nella testa, perché lo associavo a un libro. E’ Alice, quella del libro di Carrol! Ecco perché mi era familiare! Ora ha un nome”.
“Stavo dicendo che quella donna, Alice, nel sogno era tua sorella. Come puoi essere gelosa di una sorella?”.
“Sono proprio le sorelle che ti rubano l’uomo! Loro con la scusa di essere le cognate lo irretiscono e se lo portano via” ribatté decisa.
Sembrava determinata nel esprimersi, dunque non era il momento di parlare di trascorrere le vacanze di Natale nella baita. Forse non sarebbe mai venuto il tempo. Forse il bosco degli elfi per lei non esisteva.
La strinse e le mordicchiò un lobo, facendola ridere di gioia.
“Dunque questa vicenda si è ridotta a semplice sogno, più un incubo che altro. Per me invece ..” rifletteva Pietro con amarezza.
Scosse il capo come per scacciare dei cattivi pensieri e la guardò.
“Sei stupenda! Non c’è nessuna Alice tra noi” esclamò abbracciandola.

Nuvole

Nuvole

by Claudia 2007

Cielo azzurro,

nuvole candide lo solcano.

Allungo una mano

e mi sgusciano via,

impalpabili e morbide.

Il vento le spinge

e corrono gaie

verso l’orizzonte.

Il sole è alto

e scende il silenzio.