Capitolo 35

Giacomo rientrò a casa dove l’attendeva una sorpresa. Isabella stava seduta sulla sua poltrona preferita, mentre Ghitta armeggiava rumorosamente nelle sue stanze.

“Che piacevole sorpresa, Madonna Isabella!” esclamò l’uomo nel vederla, mentre lanciava un occhiata di fuoco verso la serva che faceva capolino dalla porta socchiusa come per dire «mi potevi avvertire».

Però la ragazza rispose muta con una faccia che esprimeva il suo disappunto: «me lo ha impedito quella vipera».

La donna intuiva che tra il marito e la serva c’erano scambi silenziosi di messaggi e chiese con fare ingenuo. “Cercate qualcosa, messere?”

“Non capisco perché Ghitta si ostini a rimanere nelle sue stanze anziché venire in mio soccorso per togliermi queste vesti impolverate e sudate come fa di solito”.

“Ci sono io qua per aiutarvi a cambiare d’abito e mettervi più comodo” replicò sorniona.

“Qualcosa bolle in pentola. Non si muove per nulla. Devo stare attento a cogliere qualsiasi cenno per comprendere il disegno che c’è dietro” rifletté Giacomo, facendo buon viso a cattiva sorte. “Certo che Ghitta è molto più abile di Isabella, che appare impacciata e poco pratica” .

“Madonna Isabella, vi vedo incerta. E’ meglio che faccia da solo, visto che quell’insolente di Ghitta non si fa vedere” disse allontanando la donna con decisione e fastidio.

“Credo che sia meglio così. Ho intenzione di rimandarla da dove è venuta e assegnarvi un paggio” replicò acida.

“Non sono d’accordo” sbottò l’uomo, che stava comprendendo il sottile disegno della moglie.

“Ecco il motivo dell’improvvisa e improvvida venuta di Isabella” commentò tra sé Giacomo.

“Mi spiace deludervi” proseguì secco e deciso. “Ma Ghitta rimane e continuerà a servirmi, finché io lo vorrò”.

“Le questioni sulla servitù mi spettano come donna. Sono io a decidere chi e come impiegare serve e paggi e con quali compiti” replicò alzando la voce.

“Pochi mesi fa mi avete pregato di dirigere la casa? Vi ho preso in parola e lo sto facendo, domestici compresi. E ora, vi prego di andarvene, vorrei rimanere solo e farmi un bagno ristoratore dopo una giornata calda e afosa. Passerò dalle vostre stanze per continuare questa piacevole conversazione e chiarire diversi aspetti”.

Giacomo parlò con un tono che non ammetteva repliche e faceva ampi gesti che erano inequivocabili: o usciva con le sue gambe o la cacciava in malo modo.

“Non so se vi riceverò più tardi. Direi che fareste un viaggio inutile, perché le porta rimarranno chiuse” disse la donna indispettita mentre si avviava all’uscio.

“Vi conviene ricevermi e senza troppe storie, se volete rimanere sotto questo tetto”.

“Volete cacciarmi?” replicò un po’ allarmata.

“L’avete detto. Ho due figlie che non mi assomigliano per niente. Ci sono altri bastardini?”.

La voce di Giacomo era acida e graffiante mentre gli occhi erano due tizzoni ardenti. Non prometteva nulla di buono il tono usato e questo la preoccupava non poco. La donna si fermò sul limitare della porta incerta sul da farsi, sbiancando in viso. Era venuta con idee bellicose e non si aspettava un attacco così diretto. Faticava a riconoscere il marito, che fino a qualche mese fa si mostrava arrendevole molliccio, mentre adesso era tagliente come un coltello da poco affilato e sicuro nelle discussioni.

“Volete continuare la conversazione qui oppure la rimandiamo a più tardi? Se rimanete, chiudete quella porta, perché non mi va che i domestici sentano le nostre parole”.

“Vi riceverò nelle mie stanze” disse umilmente sconfitta. “E Ghitta continuerà a servirvi anche in futuro”.

“E stasera preparativi a dormire nel mio letto dopo molto tempo. Non ci sono né se né ma. Vi aspetto e non lo ripeterò due volte. Ora, se volete, siete libera di tornare nel vostro appartamento”.

Giacomo si girò senza osservare la faccia di Isabella che lentamente usciva umiliata.

“Ghitta!” urlò l’uomo per richiamare l’attenzione e per rimarcare che il padrone era lui. “Venite qui senza indugi. Ho avuto fin troppa pazienza nell’aspettarvi”.

La serva comparve silenziosa a completare l’eliminazione degli ultimi indumenti. Poi senza fiatare preparò il bagno al padrone. Non le sembrò il caso di obiettare qualcosa, perché l’atmosfera era satura di elettricità.

“Gli ha dato una bella lezione a quella donna che terrorizza servi e paggi con le sue bizze e sfuriate. Credo che per un po’ non farà obiezioni di sorta, accettando senza fiatare le decisioni di Giacomo. Così infuriato non l’ho mai visto. Duro e risoluto nelle parole non le ha lasciato scampo: o accettare o andarsene. Giudiziosamente ha preferito abbassare la testa. E’ un vero uomo. Di questo non avevo mai dubitato!” sogghignò divertita, pensando ad altro più materiale e prosaico. “Peccato per stanotte perché dovrò dormire sola mentre ascolterò i loro sospiri e i gemiti d’amore” rifletteva mentre con lentezza versava acqua tiepida e profumata sulle spalle di Giacomo.

Laura si svegliò al canto del gallo, che annunciava l’arrivo del nuovo giorno. Fuori le tenebre della notte lasciavano il posto al baluginare del sole che stava sorgendo. Il prato era umido di rugiada che ben presto sarebbe evaporata con la calura agostana.

Era stata una serata allietata dal frinire delle cicale e dalle piccole luci guizzante delle lucciole. Ai quattro angoli del pergolato avevano fumato i bracieri di artemisia per tenere lontane le zanzare. La ragazza aveva impressa nella mente quei momenti di totale riposo ma era stata la notte l’attimo migliore.

Ricordò che Alfonso aveva ben presto dimenticato le preoccupazioni del governo del ducato con la sua vicinanza. Lei aveva il potere di rilassarlo, di farlo sentire in pace con se stesso come mai gli era capitato prima di incontrarla.

Era un’amante discreta e passionale che lo assecondava durante gli amplessi mai cercati a tutti i costi ma che venivano con naturalezza. La sua indole focosa e lunatica era mitigata dalla calma della donna, che sapeva usare con abilità parole e tono di voce.

Laura con discrezione scivolò fuori dal grande letto circondato da veli per proteggere il loro sonno. La leggera camicia bianca di lino aderiva al suo corpo come una seconda pelle. Infilò delle leggere pantofole di panno. Percepiva la necessità di un bagno rinfrescante, anche se le piaceva annusare l’odore del Duca che aveva impregnata tutto il suo corpo. Sarebbe ricomparsa tra non molto fra le braccia di Alfonso.

Lo udì sospirare mentre afferrava il vuoto del suo posto. Gli mandò un leggero bacio con le punta delle dita, mentre si toglieva l’indumento e rimaneva nuda. Si avviò verso una stanza dove c’era acqua fresca e panni per asciugarsi. Era un’operazione che le piaceva eseguire dopo aver trascorso la notte col Duca. Le consentiva di togliersi umori e sudore, di liberarsi dagli indumenti umidi e appiccatosi, di sentirsi pulita e fresca.

Ripensò ai mesi passati, ai timidi primi approcci, allo sbocciare di un sentimento che cresceva con lentezza mentre affondava solide radici dentro di lei. Le pareva impossibile che lei, umile ragazza, potesse essere entrata nelle grazie di un uomo potente come Alfonso con un rapporto solido e alla pari. A volte nel suo letto osservando al buio il soffitto di nudo legno, annerito dal tempo e dal fuoco, si diceva che era un bel sogno che il mattino successivo sarebbe sparito col sorgere del sole. Eppure quel sogno continuava e si ripeteva con una certa costanza senza che svanisse il giorno successivo.

Si chiese come c’era riuscita, perché non le sembrava di avere usato arti amatorie particolari o filtri amorosi o sortilegi da strega: aveva dispiegato solo la semplicità del suo carattere e la fermezza delle azioni. Eppure aveva provocato una breccia che si allargava giorno dopo giorno, dove poteva insinuarsi con relativa facilità. Sapeva che non poteva competere con la duchessa, che era bella, anzi bellissima, potente e rispettata. Aveva un forte ascendente sulla corte, che difficilmente avrebbe approvato la relazione di Laura col Duca.

Erano uno dei motivi per i quali non desiderava rendere pubblico il loro rapporto almeno per il momento.

“Non ora, forse fra qualche tempo, se Alfonso non si è stancato prima di me. Finché la duchessa è in vita, non mi conviene mettermi in competizione. Sarei perdente ed emarginata. Dicono che la salute di Lucrezia stia scricchiolando giorno dopo giorno. Ma non ci credo. Sono solo voci senza fondamento. La vedo bella e splendente”.

Rifletteva mentre si lavava il corpo in silenzio. Prese alcuni aromi profumati da alcuni vasetti e li cosparse addosso prima di indossare una tunica di lino bianco, pulita e fresca. Si sistemò i capelli e tornò nella camera da letto. Alfonso continuava a dormire rilassato, ronfando con cadenza regolare. Laura si soffermò a osservarlo.

“Visto così pare innocuo come un bambino, eppure è capace di sfuriate terribili, di collere furiose e pericolose. E’ capace di uccidere chi gli sta di fronte se non riesce a controllare lo spirito aggressivo che sta dentro quel corpo massiccio e forte. Con me sembra un agnello mansueto, incapace di dare sfogo al suo carattere lunatico”.

Disse questo sottovoce mentre tornava fra le sue braccia.

Capitolo 34

Laura si alzò per vedere meglio, scorgendo solo una nuvola di polvere. Il cuore prese a battere con un suono lancinante nelle orecchie. Tutta la stizza che aveva covato fino a quel momento si disciolse come l’alba che annuncia il nuovo giorno, lasciando il posto a una sottile euforia. Mentre cercava di calmare il tumulto interiore e riacquistare la solita compostezza, in piedi osservò l’ingresso della carrozza scortata dal manipolo di fidati cavalieri. Si impose di rimanere lì, sotto il pergolato, anziché correre incontro al duca per abbracciarlo e baciarlo. Per questo ci sarebbe stato tempo e luogo più adatto.

I servi si precipitarono attorno alla carrozza per accoglierlo e aiutarlo a scendere. Un paggio sistemò il mantello, tentando di togliere il velo di polvere depositata sul farsetto. Alfonso si lisciò la folta barba nera che in alcuni punti appariva grigiastra in maniera innaturale, mentre scuoteva il capo. Avvertiva la bocca impastata e riarsa per la calura e la lunga corsa, ma allontanò con un gesto imperioso della mano il servo che gli porgeva una brocca di vino fresco e qualche frutto. Aveva visto la donna che in piedi lo stava aspettando.

“Madonna Laura, sono mortificato per la lunga attesa ma le preoccupazioni del governo mi hanno trattenuto nello studio più di quanto pensassi. Vi sarete annoiata in questa campagna bruciata dal sole agostano e logorata nell’incertezza del mio arrivo. Ora sono qui a rimediare e ottenere la vostra indulgenza, se voi vorrete concedermela”.

Batté le mani per richiamare l’attenzione dei servi.

“La lunga corsa per arrivare prima da voi mi ha fatto mangiare polvere e sudore. Un veloce bagno ristoratore è quello che serve prima di sedermi accanto a voi. Nel frattempo i musici allieteranno questo piccolo lasso i tempo, durante il quale vi lascerò sola”.

Il duca scomparve all’interno del casale, per poi riapparire con abiti cambiati e profumato di molte essenze odorose, mentre la ragazza aveva rasserenato l’animo e aveva ascoltato le dolci melodie dei musici.

“Mio Signore” cominciò Laura.

“Sapete che non gradisco essere chiamato così. Sono Alfonso per voi” la interruppe mentre la ragazza porgeva le mani per afferrare quelle del duca.

“Alfonso, mi spiace che le cure del governo del ducato vi impegnino oltre misura. Non vorrei esservi d’impiccio e costringervi a trascurare i vostri impegni ..”.

“Nessun impiccio, anzi la vostra vista mi riempe di gioia, facendomi dimenticare le preoccupazioni quotidiane. Non parliamone più. Pensiamo a trascorrere in letizia e tranquillità quel che rimane della giornata. Il sole sta rosseggiando basso sull’orizzonte e tra non non molto infuocherà il cielo”.

Gli occhi della ragazza si riempirono di luci come il cielo di stelle, mentre brindavano con un vino dorato e fresco. Le sembrava mansueto e docile come un agnello quell’uomo potente e dagli scoppi di collera improvvisa e terrificante. Tutti lo temevano, mentre lei lo trovava dolce e affettuoso. Si era guadagnato il rispetto della servitù più con i suoi modi dolci e gentili che come l’amante del duca, ma anche perché sapeva tenere testa a quell’uomo bizzoso e lunatico con una calma che impressionava.

La prima volta che si erano incontrati nella bottega del padre non stato esaltante, anzi in cuor suo pensava che fosse stato un capriccio passeggero. Poi l’incontro nella delizia di Belfiore aveva dato una svolta positiva. Aveva compreso che poteva nascere qualcosa a patto che lei tenesse la barra del timone ben dritta senza lasciarsi andare ma cedendo poco per volta. La tattica aveva funzionato mentre il duca rimaneva sempre più impigliato nella tela che Laura stava tessendo.

Il passaggio nel letto ducale era stato un momento condiviso senza fretta né sotto la spinta convulsa di fare sesso a tutti i costi. Questo aveva reso l’operazione un ricordo da serbare con cura. Entrambi ne avevano ricavato una sensazione mai provata prima di allora. Però anche gli incontri successivi non si concludevano inevitabilmente nel letto ma solo se si era creata l’atmosfera giusta che lei definiva amore.

Anche Alfonso aveva trovato un nuovo equilibrio con la vicinanza di Laura. Non percepiva più la compulsiva esigenza di fare sesso con tutte le donne che passavano nelle sue vicinanze. Si era calmato, aspettava con ansia il momento di rivedere l’amante, si sentiva a proprio agio quando la stringeva a sé, provava nostalgia quando lo lasciava per tornare a casa. Avrebbe voluto vivere con lei more uxorio ma tentennava a uscire allo scoperto. Aveva una moglie, Lucrezia, potente e ancora desiderabile, per essendo un po’ appassita per le molte gravidanze. Doveva pazientare, perché Laura aveva detto chiaramente che la loro relazione doveva essere coperta dal riserbo finché la moglie era in vita o quanto meno non ci fosse stato un via libera implicito.

Gli aveva detto che non voleva passare per l’ennesima concubina del duca ma per una donna rispettabile che lo amava. Era stata categorica su questo punto e lui aveva accettato questo punto di vista.

Giacomo stava tornando sui suoi passi verso il Monte dei Pegni, soddisfatto di come volgeva la giornata. Aveva ottenuto senza troppo lottare potere e denaro per portare avanti la sistemazione dei cunicoli. Aveva visto come e dove costruirne un terzo, anche se non ne conosceva le motivazioni pur intuendo lo scopo.

Adesso poteva tornare a casa per organizzare le prossime mosse, quando intravvide sull’angolo di via Spazzarusco e dei Piopponi, due donne che parevano aspettarlo. Una gli sembrava di averla vista di sfuggita nel palazzo di Giulia in una delle tante cene organizzate, mentre l’altra le era totalmente sconosciuta. Poi ricordò che la seconda l’aveva salutato con calore mentre andava a visionare il cantiere qualche tempo prima.

“Chi sarà?” si chiese tra il curioso e l’inquieto. “Sembra che questo Giacomo sia un gran rubacuori. Tutte sanno che è sposato ma non esitano un attimo per accoglierlo nel proprio letto nubili o sposate che siano. Ai miei tempi non era così facile ma si dovevano sudare le proverbiali sette camice e a volte non era sufficiente”.

“Buona giornata, Messer Giacomo” chiosò soave la donna sconosciuta.

“Ricambio i saluti, Madonna” rispose galante l’uomo prendendole la mano per baciarla, ma in cuor suo già turbato perché ne ignorava il nome.

“Costanza, non me lo presenti?” disse l’altra, togliendo dal momentaneo imbarazzo Giacomo.

“Non passate inosservata, mia Madonna. Ho l’ardire di chiedervi come vi chiamate, perché Madonna Costanza la conosco già” le domandò ossequioso, reso più sicuro dal fatto che non si conoscevano, e con un profondo inchino la ossequiò.

“Siete come le amiche mi avevano ben descritto con dovizie di particolari. Galante ma sincero. Amabile e cortese. E se vi negassi il mio nome?” replicò con un sorriso divertito.

“Avrei la morte nel cuore non potervi chiamare per nome. Però cercherei di strapparvelo con mille dolcezze”.

“Siete impagabile, Messere. Riuscite con la vostra dolcezza a ottenere tutto. Eleonora ..”.

“Che bel nome, Madonna! E ..”

“E io sono già in disparte come un vecchio straccio? Mia cara, Eleonora, vi avevo promesso di farvelo conoscere alla prima occasione ma sembra che ora io sia di troppo, rubandomi la scena. Il terzo incomodo che regge il moccolo” replicò un po’ stizzita Costanza con una punta di gelosia.

“Come potrei ignorarvi, Madonna Costanza. Siete bella e vellutata come una pesca maturata sulla pianta e non potrei farvi un torto più grande, ignorando la vostra presenza” e le prese la mano con una calorosa presa, mentre con l’altra teneva Eleonora.

“Mie Madonne, come potrei coltivarne una, trascurando l’altra, quando per bellezza e radiosità è impossibile graduare una scala di preferenze? Il sole scotta e non c’è un filo d’ombra su questo angolo. Andiamo verso il giardino ducale a rinfrescarci sotto le chiome degli alberi”.

Come scortato da due guardie Giacomo e le due donne si diressero verso i vicini giardini per sistemarsi su una panca all’ombra di un maestoso ippocastano.

L’uomo parlava ora con l’una ora con l’altra facendo a gara di coccolarle entrambe, mentre le due donne rivaleggiavano tra loro per attirare la sua attenzione. Era una situazione buffa: lui, conteso da due giovani signore, era indeciso su quale puntare senza offendere l’altra. Era una partita difficile da gestire perché la gelosia è un mostro che divora l’anima.

“Messer Giacomo, avete smesso di frequentare la casa di dama Giulia? E’ tempo che non vi vedo ai suoi convivi” chiese Eleonora suscitando la curiosità di Costanza.

“Dunque mi avete ingannata, Eleonora? Voi conoscevate già il messere”.

“No. Nessuno me l’aveva mai presentato. Il messere di certo non mi aveva notato” replicò rossa in viso la ragazza.

“Madonna Costanza, per me questa Dama era una sconosciuta prima del fortuito incontro di poco fa” disse Giacomo per gettare acqua sul fuoco della gelosia che covava impetuoso nelle due donne. “Se voi mi permettete, rispondo alla domanda postami. Non ho smesso di frequentare i convivi di dama Giulia. Purtroppo i numerosi impegni me lo hanno impedito e a malincuore ho dovuto rinunciarvi” proseguì, cercando di chiudere un discorso scivoloso.

Il clima stava diventando più disteso mentre le due donne avevano deposto per il momento le armi, stabilendo una fragile tregua. Giacomo continuava a tenere un’equidistanza senza mai dare l’impressione di pendere o verso l’una o verso l’altra. Questo difficile esercizio di equilibrio lo stava affaticando non poco e sperava che ben presto ognuno tornasse alle proprie occupazioni, anche perché era arduo dialogare su argomenti che si conosceva poco o per nulla.

“Messer Giacomo” disse Eleonora. “Il 12 agosto e per tre giorni organizziamo una festa, quella delle accensioni delle lampade, nella nostra tenuta di Casaglia nella Diamantina. Mi farebbe piacere che voi e Costanza partecipaste. Posso contare su di voi?”

“Tre giorni? Tre giornate piene oppure solo la sera? Verrà anche madonna Giulia?” chiese l’uomo.

“No. Dama Giulia è al seguito della duchessa Anna d’Este e non è disponibile. Si comincia nel pomeriggio del 12 e per tre notti successive si festeggia. Sarete entrambi miei graditi ospiti nel casale”.

“Grazie per l’invito che accetto volentieri. E voi Madonna Costanza, che siete rimasta muta, cosa dite?” domandò sperando che rispondesse con un rifiuto. Il pensiero di combattere ancora con la loro gelosia gli faceva accapponare la pelle. Anche l’assenza di Giulia aveva trasformato il dubbio in certezza.

La donna pareva riflettere, stringendo le labbra e corrugando la fronte.

“Come mai negli anni passati non mi avete mai invitata, dama Eleonora?” chiese seccata.

“Come mai? E’ un caso che sia in città in agosto, perché a giugno mi trasferisco nel casale e rientro solo a settembre. Oggi si è presentata l’occasione e vi ho invitata con tutto l’affetto che provo per voi” replicò ipocritamente Eleonora.

“Ma la festa in che cosa consiste” continuò indagatrice Costanza.

“Venite e vedrete” replicò asciutta.

“Mi avete convinta. Sarò al vostra casale il 12”.

“Bene. Faremo il viaggio insieme, perché mi trattengo in città fino a quella data. E voi, messere, come intendete arrivare? Volete un passaggio?”

“Vi ringrazio, Madonna. Ma preferisco usare i miei mezzi e non essere vincolato a voi. Mi basta conoscere dove e il giorno 12 sarò puntuale da voi. Ora però a malincuore devo lasciarvi. Alcuni impegni pressanti mi attendono”.

Prese le mani che baciò con trasporto, prima di allontanarsi per raggiungere la carrozza che lo attendeva da tempo.

Una festa misteriosa lo attendeva.

Capitolo 33

Giacomo si accorse immediatamente che il Duca non era dell’umore giusto per ascoltarlo ma ormai era lì e doveva fare buon viso a cattiva sorte, mostrandosi diplomatico per non urtare la suscettibilità

“Mio illustrissimo Duca” esordì con un tono basso e deferente. “Mi spiace rubarvi del vostro prezioso tempo ma la questione si sta trascinando da diverso tempo, da alcuni mesi per l’esattezza, e peggiora giorno dopo giorno. Come ..”.

“Venite al sodo e trascurate preamboli e toni vaghi, partendo da lontano” lo interruppe con voce leggermente alterata, facendo ampi e inequivocabili segni con la mano di sveltire il discorso, mentre con l’altra si lisciava nervosamente la barba.

“Come volete, mio Signore. Sarò conciso e vado direttamente al nocciolo. Ho seri problemi a portare avanti il lavoro che mi avete affidato, perché le vostre guardie con pignoleria soldatesca mi ostacolano in ogni movimento, pretendendo carte scritte di vostro pugno. Finora con scuse e altre mille malizie da ciarlatano sono riuscito ad aggirare i divieti che avete imposto sugli accessi ai cunicoli. Però ora devo portare mattoni e malte, portare fuori terra, fare entrare ..”

“Ho capito. La state facendo troppo lunga” lo interruppe Alfonso sempre più spazientito. “Volete un editto che vi lasci mano libera negli accessi per mettere a tacere i miei capitani, che applicano con diligenza e cura le mie disposizioni. Ho inteso bene?”.

“Avete compreso perfettamente. Muratori e fornaciai vogliono essere pagati e finora ..”

“Cento scudi sono sufficienti? Basteranno. Anzi dovrete farli bastare. Domani passate da Messere Bernardino e troverete documenti e scudi pronti per voi”.

Senza altri indugi si alzò, facendo comprendere a Giacomo che era il momento di andarsene con una certa fretta, perché l’udienza era terminata. L’uomo fece un profondo inchino e uscì rapidamente dallo studio sorridendo e senza salutare. Mentre si avviava verso l’uscita del Castello, rifletté che era andata meglio del previsto. Si era preparato a battersi ma Alfonso si era dimostrato arrendevole e per nulla intollerante come glielo avevano descritto. Forse gli altri lo vedevano con occhio diverso dal suo e con molti pregiudizi, legati alla scala del potere, mentre lui si era accostato senza tabù o timori reverenziali.

Il Duca tirò il cordone di fianco alla sieda, aspettando l’arrivo del paggio.

“La carrozza è pronta?” domandò con tono duro di chi non ammette ritardi o incertezze.

“Vi aspetta da tempo nel cortile d’onore, mio Duca, con la vostra scorta personale”.

Alfonso, preso mantello e cappello leggero, si avviò speditamente lungo lo scalone che portava dove la carrozza era in attesa insieme alle guardie.

“Di volata al casale del Verginese” disse al cocchiere, che in un baleno preceduto dai cavalieri del duca uscì dalla città, dirigendosi a velocità folle per lo stato delle strade verso la destinazione finale. Le urla a incitare la coppia di cavalli e quelle della scorta che la precedeva si udivano per molte miglia intorno, suscitando la curiosità dei contadini, che osservavano chi fosse quel personaggio della corte che andava di fretta col rischio di uscire di strada.

“La mattinata è andata perduta. Metà pomeriggio è volato via. Rimangono gli spiccioli della giornata. Chissà se Madonna Laura è ancora là ad aspettarmi” rifletté sballottato dalla carrozza che correva a velocità pericolosa col pericolo di terminare la corsa in un qualche fossato o canale che costeggiavano il percorso.

“Oggi doveva essere una giornata di riposo senza impegni, da dedicare totalmente a Madonna Laura, che non ama i ritardi o le attese prolungate. E’ una dama intrigante che con quegli occhi castano mi ha stregato e rubato il cuore. Spero che sappia perdonarmi perché ha dovuto attendere così a lungo. Ma io cosa dovrò inventarmi per ottenerlo?”.

Mentre il duca rifletteva su di loro, Laura fremeva d’impazienza ed era sempre più infastidita dal ritardo senza spiegazioni e la mancanza di comunicazioni da parte di Alfonso. ” E’ vero. La città non è vicina ma per questo non si giustifica che non abbia mandato un paggio o un cavaliere fidato per annunciarmi che avrebbe tardato a raggiungermi” meditava, mentre era sempre indecisa tra l’ordinare il ritorno a casa e l’aspettare con pazienza l’arrivo.

Era giunta al casale di buon mattino e dopo averlo aspettato per il pranzo, l’aveva atteso per le prime ore del pomeriggio vanamente.

“Non mi piace mangiare da sola senza chiacchierare con qualcuno tra una portata e l’altra. Avrebbe potuto avvertirmi. Le possibilità di certo non gli mancavano, perché ormai mi dovrebbe conoscere. La puntualità innanzitutto. Ormai è quasi sera. Il sole si è abbassato sull’orizzonte. Sono qui in trepida attesa senza avere nessuna certezza”.

Un leggero vento si era alzato per mitigare la calura a tratti insopportabile di un agosto bollente, mentre le zanzare si apprestavano ad alzarsi in volo per il pasto serale. Laura vestiva un guarnello azzurro, legato in cintura da un cordone dorato. Era un abito leggero da popolana senza maniche e con una leggera scollatura ovale che metteva in risalto il collo candido e regolare. Di cotone fresco, adatto alla stagione, era indossato sopra il camicione bianco, che lasciava trasparire il seno. L’aria increspava le pieghe, insinuandosi tra la stoffa e la pelle, le dava un po’ di frescura.

La ragazza, seduta al riparo del pergolato di uva, che mostrava i grappoli di un bel dorato, avvolta da veli leggeri per proteggerla dalle punture delle zanzare, scrutava il vie d’ingresso nella speranza di vedere la carrozza ducale. Non sapeva se essere triste o arrabbiata per come era trascorsa la giornata tra noia e caldo afoso. Strategicamente era stati accesi dei bracieri dove bruciavano fiori essiccati dall’odore acre e pungente per proteggerla dal fastidioso e pericoloso insetto.

Stava riflettendo, pensando seriamente di chiedere di riportarla in città, quando udì la servitù gridare «Sta arrivando!». Un nugolo di polvere frammisto a roche grida si avvicinava all’ingresso del viottolo che conduceva al casale. Si alzò per osservare meglio, quando Zina, la cameriera assegnatale, le disse “E’ arrivato, finalmente!”.

Giacomo uscito dall’ingresso nord del Castello si diresse verso via Spazzarusco, dove avrebbe dovuto costruire il terzo cunicolo. Passando accanto al monte dei pegni, si affacciò sull’imbocco della via. Non era in grado di stabilire le problematiche relative a questo passaggio segreto, perché l’accesso dal rivellino nord gli era sempre stato precluso e di conseguenza non aveva potuto eseguire una ricognizione in quel tratto. Tempo qualche giorno e avrebbe colmato questa lacuna.

“Buona giornata, Messere” udì pronunciare dal una bella dama incrociata mentre si avviava verso via delle Rose.

“Buona giornata, Madonna!” rispose al saluto con un deferente inchino. “Ma chi sarà mai costei?” si chiese, proseguendo il cammino.

“Sembra che questo Giacomo sia famoso, un personaggio importante. Ma io non conosco nessuno. Rispondo per non dimostrarmi scortese. Però tutte queste dame, che sembrano fiori profumati, attratti da api impollinatrici, mi garbano e come”.

Di buon passo e allegro per come la giornata procedeva giunse alla fine della strada dove sull’angolo con via delle Rose c’era un immenso cantiere. Stavano costruendo un palazzo, del quale al momento si vedeva solo un grande buco. Era qui che il terzo cunicolo doveva finire.

“Per chi?” si domandò. “Per il Duca sicuramente. Ma quale dama avrebbe alloggiato qui per essere raggiunta in incognito dal lui?”.

La domanda rimase senza risposta, pensando che alla fine la questione non l’appassionava più di tanto. Al momento aveva altre questioni da risolvere, sicuramente più importanti di quel nome segreto. Si avvicinò a qualcuno che gli dava l’impressione di essere il capomastro per avere qualche informazione.

“Buona giornate, Messere” disse Giacomo, salutandolo con un ampio gesto della mano e del capo.

“In cosa posso esservi utile?” rispose guardingo l’uomo.

“Si da il caso che sia l’ingegnere del nostro amatissimo Duca, Voi sapete chi ha progettato la struttura?”

L’uomo strizzò gli occhi come se volesse metterlo a fuoco meglio. Poi si avvicinò per sincerarsi che la persona di fronte a lui non fosse un volgare impostore. Infine si sciolse un po’ e cominciò a parlare.

“Messer Giacomo, non vi avevo riconosciuto. Perdonatemi la scortesia con la quale vi ho accolto ma da diverso tempo persone curiose pongono domande non pertinenti sul palazzo che stiamo costruendo”.

“Non preoccupatevi. Avete ragione nel mostrarvi diffidente col primo venuto. La discrezione è una rara virtù” replicò sornione Giacomo.

“Se voi mi seguite in quella modesta casa addossata ai Giardini dei Padiglione, vi mostro le piante dei progetti” e si avviò seguito da Giacomo verso una modesta costruzione in legno.

“Molto interessante e ben fatto è il disegno del palazzo” disse complimentandosi con l’uomo. La sua attenzione si concentrò sulle cantine e la loro dislocazione. Aveva un buona memoria visiva e cercò di imprimersi nella mente dimensioni e posizione.

“Ora vi lascio ai vostri compiti di sorvegliare i lavoranti affinché eseguano a puntino le vostre disposizioni” disse accomiatandosi.

“Quando volete tornare sarete sempre il benvenuto” replicò l’uomo facendo un profondo inchino.

Giacomo se ne andò verso via dei Piopponi fischiettando. Una dama lo stava aspettando nei pressi del Monte dei Pegni.

Avviso alle dame e cavalieri, ai santi e navigatori, ai poeti e agli scrittori – Sono ubriaco di mosto

Si avete letto bene. Sono ubriaco e stordito dal mosto. Perché vi chiederete? E se non l’avete fatto, vi spiego lo stesso cosa è successo.
Dovete sapere che mi procuro frutta e verdura da un contadino che li produce nel suo orto e nei suoi campi, ovviamente e rigorosamente di stagione e quando ci sono. Ha anche un piccolo vigneto di uva nera (fragola e clinto) e bianca (moscato). Per produrre un po’ di vino grosso e dolce. Ieri ha vendemmiato. Sono andato da lui per recuperare un po’ di mosto nero un’ora dopo la torchiatura. Vi domanderete per fare cosa. Visto che non siete curiosi, la soddisfo lo stesso. Per fare i sugoli (così si chiama dalle nostre parti in Emilia o nel Veneto. Qualcuno li chiama budino d’uva o crema d’uva. Comunque se fatte una ricerca troverete ricette e foto). Bene portato a casa un bel bottiglione da due litri, lo posato in garage in attesa di prepararli. Poi per una serie di eventi non abbiamo fatto nulla. Erano le undici di sera e ho sentito un botto che sembrava una cannonata. Poiché ho dei vicini molto educati, gli mandato un paio di accidenti poi sono andato a nanna.
Stamattina alle sette uscendo per recuperare i giornali, sono passato vicino alla porta del garage. Un odore di uva fragola che non vi dico. Apro la porta e che vedo? Un disastro. La bottiglia scoppiata in mille pezzi, libri ricoperti di un bel colore rosso scuro, muri tinteggiati di rosso con schizzi artistici, pavimento ricoperto di mosto.
Per farla breve ho lavorato tutta la mattina e parte del pomeriggio per ridare una parvenza di normalità al locale. La testa girava per il profumo di mosto e addio sugoli. Nei prossimi giorni dovrò tinteggiare due pareti, dopo che le ho lavate accuratamente con la candeggina.
Stasera non so se riuscirò a leggere i vostri ottimi post e commentarli. Vi prometto che lo farò domani. Bombe al mosto non ci saranno.

Capitolo 32

Giacomo stava preparandosi per uscire quando il maggiordomo della casa gli domandò “Faccio preparare il vostro cavallo oppure preferite la carrozza?”

“Oh! Mio Dio! Possiedo anche un cavallo? Non so cavalcare ma possiedo un animale! Sembra una persecuzione!”.

Sbiancò in viso, deglutendo vistosamente, prima di rispondere.

“Messer Giacomo preferisce la calma della carrozza al mangiare polvere cavalcando” rispose per lui Ghitta.

“Grazie, Ghitta, per aver risposto in mia vece. Preferisco in realtà la comodità della carrozza. Che sia pronta immediatamente! Ho molta fretta”.

“Ai vostri ordini, Messere. Quando scendete, troverete la vostra carrozza disponibile a condurvi in città” e silenziosamente usci dalla stanza, sparendo alla loro vista.

“Messere, incontrerete la vostra amante?” domandò con tono accorato la ragazza.

“Ghitta! Non siate impertinente! Vi ho già detto un’altra volta che non ho amanti e tanto meno devo rendervene conto. Tutt’al più chi dovrebbe dolersene dovrebbe essere Madonna Isabella ma a quanto pare non lo fa” rispose contrariato l’uomo.

La serva continuò ad aiutarlo nella vestizione in silenzio, ben sapendo che avrebbe dovuto tacere. Avrebbe voluto fargli altre domande, ma preferì stare zitta. Sapeva perfettamente che non poteva avanzare pretese ma quelle voci sempre più insistenti e dettagliate di incontri con una dama in città la disturbavano alquanto e le davano un senso di angoscia e di gelosia. Aveva compreso che il suo signore era rimasto infastidito dalla sua uscita sull’argomento ma non poteva tornare indietro e cancellare quanto detto. Diete l’ultimo tocco al farsetto, lucidò i morbidi stivali di capretto e gli porse il mantello leggero.

“Siete perfetto. Posso fare qualcosa per voi, Messere?” chiese con tono umile per farsi perdonare la frase improvvida di prima.

“Farmi un sorriso bene augurante” e le diede un bacio sulla fronte.

Ghitta sorrise amaramente perché era troppo ben vestito per incontrare qualche lavorante che doveva lavorare per lui nelle prossime settimane. Non riusciva a togliersi dalla testa che avrebbe incontrato quella dama, che secondo diverse voci era la sua amante. L’amica, che lavorava in quel palazzo, ne era certa e sosteneva che fosse una donna dalla bellezza non appariscente ma dal carisma prorompente. «Una vera Madonna» disse l’ultima volta che si erano viste. «e lui un Messere gentile e discreto. Una coppia perfetta e ben affiatata. Sei fortunata ad avere un padrone così» soggiunse con una punta d’invidia. «Sono fortunata ma lui lo è doppiamente» le rispose sospirando.

Giacomo chiese di essere accompagnato alla fornace, non molto distante dall’abitazione. Lì venivano prodotti i mattoni migliori della città ma era molto difficoltoso approvvigionarsi per le molte commesse. Lui sperava che la qualifica di ingegnere del Duca gli desse un privilegio nell’acquisto. Il forno nella grande calura estiva cuoceva l’argilla rossa, estratta da un enorme buco poco distante, mentre i mattoni pronti venivano accatastati in file ordinate, pronti per essere venduti.

“Mi servono un certo numero di mattoni perfetti tra poco più di un mese” disse rivolgendosi al padrone della fornace, impolverato di rosso, che stava a torso nudo sudato e grondante di sudore rossastro.

“Mi spiace ma fino a ottobre tutta la produzione è acquistata” replicò con tono duro e infastidito.

“Non credo di poter aspettare fino a quella data”.

“Se volete i miei mattoni, dovrete aspettare” replicò scuotendo il capo scortesemente.

“Passo dallo studio ducale per preparare una bolla firmata dal nostro Duca per avere precedenza di prelazione. Poi torno” disse con voce ferma e decisa Giacomo, mentre si girava per andarsene.

L’uomo rimase a bocca aperta e lo rincorse, avendolo riconosciuto tardivamente come l’ingegnere del Duca.

“Messere, non c’è necessità che il nostro amato Duca firmi una bolla. Possiamo accordarci tra gentiluomini”.

E aggiunse. “Quanti, Messere?”

“Con precisione non lo so ancora ma un bel numero. Devono essere resistenti e senza imperfezioni. Mi servono per un lavoro importante e urgente”.

“Ho capito. L’intera produzione del mese di luglio. Vi do la precedenza, perché siete l’ingegnere del Duca e i vostri desideri sono ordini” concluse in maniera deferente.

“Avete compreso perfettamente il mio pensiero” ed estrasse dalla borsa legata in cintura una manciata di fiorini d’oro. “Questo è l’anticipo per il vostro silenzio”.

L’uomo annuì mentre faceva sparire rapidamente in una tasca interna delle braghe le monete d’oro.

“Ora all’osteria al Brindisi” disse al cocchiere, mentre si detergeva il sudore copioso per la gran calura della fornace.

Lì avrebbe dovuto incontrare Mastro Ferrante per i lavori che aveva in mente. Gli era venuto il dubbio che forse non sarebbe riuscito a spiegare al capomastro cosa voleva fare ma ci avrebbe provato. Non gli era molto chiaro come si lavorasse in quest’epoca e poi non aveva molta confidenza col linguaggio dei muratori. Aveva visto mettere un mattone sopra l’altro ma spiegare come era tutt’altra musica.

“Speriamo bene che mastro Ferrante sia sveglio” rifletté velocemente. “Finita questa incombenza, sono finalmente libero di incontrare Dama Giulia, che mi aspetta al tocco all’inizio di Via dei Piopponi. Ne sentivo la mancanza. Per tutto il mese di giugno ha tenuto compagnia a Laura d’Este nella delizia di Zenzalino. Ieri è tornata e mi ha fatto avere un messaggio per l’incontro di oggi. Non vorrei che quell’impicciona di Ghitta l’avesse letto. E’ una ragazza semplice e devota ma a volte esce dalle righe”.

Si abbandonò al dolce dondolio della carrozza senza pensare a nulla.

Laura era sotto il pergolato del casale in attesa dell’arrivo del Duca. Le cicale frinivano il loro canto diurno, mentre il caldo di luglio era mitigato appena da un venticello leggero leggero. La storia proseguiva senza troppe illusioni ma finora Alfonso si era dimostrato un amante sincero e molto attento. La trattava come se fosse una sua pari fra mille attenzioni e riguardi. Il posto dove si incontravano era stimolante e discreto. Lei aveva saputo imporre la propria personalità dolce e riservata, che lui aveva accettato fino a questo momento.

La madre aveva cambiato atteggiamento. Era più accondiscendente e meno caustica. Il padre era tranquillo perché vedeva in lei una ragazza matura, semplice ma attenta ai dettagli. Era quasi certo che alla fine ne avrebbero ricavato dei vantaggi. Le amiche era tornate alla carica ma non avevano ricavato più di tanto. Sapevano che incontrava un misterioso signore ma non pensavano che fosse il duca.

“Siete diventata l’amante di un nobile misterioso?” le chiese Anna.

“No, no. Nessun nobile misterioso. Un semplice corteggiatore che mi invita alle sue feste nel giardino del suo palazzo”.

“Però potreste presentarci. Potremmo incontrare qualche bel cavaliere” chiosò Beatrice.

“Fossi matta” rispose sorridente Laura. “Così rischio di perdere il mio corteggiatore segreto!”

“Bell’amica che siete! Non volete condividere nulla con noi!”

La ragazza sorrise ripensando a quel dialogo alquanto sibilino ma non poteva di certo sbandierare ai quattro venti la sua relazione col Duca.

Una fantesca si avvicinò con una brocca d’acqua fresca e della frutta di stagione appena raccolta nel frutteto del casale.

“Madonna, gradite acqua e frutta appena colto per rinfrescarvi dalla calura?”

“Grazie, posate tutto su quel tavolino” rispose cortese la ragazza.

Mentre mangiava una pesca dalla buccia vellutata, aggrottò la fronte mentre rifletteva.

“Oggi, Alfonso tarda. Forse ha avuto impegni improvvisi di governo. Aspetterò con pazienza il suo arrivo”.

Si guardò intorno e pensò che non le sarebbe dispiaciuto possedere il casale e quel frutteto che lo circonda. Poi si disse che la fantasia stava galoppando come un cavallo libero di correre per i campi.

Alfonso era infastidito, perché la riunione coi magistrati dei savi si stava prolungando oltre il dovuto e doveva ritardare l’incontro con Laura..

“Messeri” esordì per mettere fine a una disputa sterile su un argomento secondario. “Se non ci sono altri argomenti importanti da esaminare, dichiaro chiusa la seduta”.

I magistrati stettero in silenzio osservandosi attentamente. Il Duca praticamente li metteva alla porta.

“Nostro eccellentissimo Signore, non ci sono altre questioni da dibattere. Quindi chiudiamo la riunione, aggiornandoci per il prossimo incontro tra un mese esatto dopo la pausa agostana” disse il più anziano, che fungeva da segretario, mentre si alzava inchinandosi di fronte a lui.

Erano usciti dallo studio ducale da pochi minuti e si apprestava a lasciarlo, quando sentì bussare.

“Venite avanti” tuonò con voce irritata.

“Mio Principe, Messere Giacomo ha urgenza di parlarvi. Posso farlo entrare oppure lo rimando a casa?”

Era il segretario Bernardino che faceva capolino dalla porta.

“Fattelo entrare e poi non ci sono più per nessuno” disse sbuffando per questa visita del tutto inopportuna.

Tutto sembrava congiurare contro lui come per punirlo dell’appuntamento con Laura. Era in ritardo, terribilmente in ritardo e per di più irritato e infastidito da tutti i contrattempi della giornata. Ardeva dal desiderio di stringere la ragazza, di corteggiarla, di giacere nel letto con lei. Percepiva la passione crescere dentro di lui complice la ritrosia della donna, che si faceva corteggiare, cedendo poco per volta al piacere. Sembrava timida e ingenua, ma sapeva miscelare con sapienza cedimenti e ritirate senza che lui potesse afferrare compiutamente i primi e avesse da ridire sui secondi.

Era immerso in questi pensieri, che gli procuravano godimento, quando vedi entrare con discrezione Giacomo.

“Venite e accomodatevi su quella sedia” disse indicando con la mano una savonarola quasi di fronte a lui. “Quale urgenza vi spinge a questo colloquio?”

L’uomo col cappello in mano si accomodò sulla sedia rustica e poco comoda e dopo i saluti cominciò a parlare.

“Sono qui per alcune questioni importanti che rallentano il mio lavoro ai cunicoli”.

E cominciò a esporre le problematiche, mentre il Duca dava segni di insofferenza.