L'incontro – Capitolo 9

Con un piccolo ritardo annuncio che il capitolo 9 della storia di matteo e Miacela, L’incontro è uscito sul mio secondo blog.
Buona lettura

Il Borgo – Capitolo 30

Un tempo Castiglioncello era un importante nodo strategico di passaggio dalla Toscana alla Romagna imolese. Merci e persone transitavano da lì e pagavano pedaggio. Poi vennero aperti nuovi varchi, nuove strade con un effetto devastante. Il Borgo perse la sua importanza e cominciò il declino che portò in breve a diventare un piccolo posto di dogana tra il Granducato di Toscana e gli Stati Pontifici di Romagna. Nel settecento la via che passava di qua era diventata una mulattiera quasi impraticabile perché le merci e le persone usavano la nuova strada più comoda sulla destra del Santerno, quella che passa per Moraduccio, dove potete ancora ammirare nella sua magnificenza il posto di dogana …”.

Ma voi cosa avete fatto? Non avete provato a ribellarvi all’isolamento che vi strangolava?” chiese Betta, attenta nel seguire il filo del discorso.

Cosa potevamo fare? Ci hanno tagliato fuori come alcuni secoli prima avevano fatto piombare nell’oblio la strada del passo dell’Osteria Bruciata, che non dista molte miglia rispetto a noi. Un valico agevole e basso ma con una triste fama”.

Il passo dell’Osteria Bruciata?” domandò curioso Mattia, che si ricordava vagamente di una leggenda che gli avevano raccontato molti anni prima. Era abbastanza conosciuta nell’imolese ma a lui interessava poco o niente, tanto da averla dimenticata.

Non so molto di questa storia truce e misteriosa” ammise il vecchio. “Conosco bene quelle del Borgo ma degli altri posti so solo quello che ha trasportato il vento nel suo vagabondare tra valli e crinali. Quindi sarà pieno di lacune il mio racconto. Si narra che esistesse un’osteria, eretta in cima a un passo agevole da percorrere per ospitare i viandanti in viaggio verso la Romagna. I poveretti erano attesi da un triste destino dopo aver percorso la strada che porta dalla vallata del Sieve a quella del Santerno. Vedevano finalmente nell’osteria un posto dove rifocillarsi e riposare. In realtà avrebbero fatto meglio a passare oltre, perché durante la notte venivano uccisi e le loro carni usate come cibo per gli altri pellegrini …”.

Diamine!” esclamò Marco. “Bel posticcino davvero per passarci la notte! Accogliente e ospitale come pochi. Capisco anche perché venne distrutta dal fuoco. Mi sa che è meglio girarci al largo. La storia è truculenta e poco edificante”.

Uno stanco sorriso illuminò il viso del vecchio che piegò la testa per annuire alle affermazioni del ragazzo.

Sembra quasi un film dell’horror quello che abbiamo ascoltato” aggiunse Laura, che si strinse ancor di più a Mattia.

Erano tutti scossi da questa leggenda narrata in maniera seppur frammentaria ma dai contorni violenti, quando arrivò a spezzare la capa di tensione una domanda di tutt’altro genere.

Ma la chiesa che sta alle nostre spalle a chi è dedicata?” domandò Betta.

Venne edificata sul finire del diciottesimo secolo. Era detta del Poggio, perché da lì si poteva osservare la vallata del Santerno. E’ dedicata ai Santi Giovanni e Paolo. Il 26 di giugno era gran festa per il Borgo e i suoi 83 abitanti. Ma ora è in completo sfacelo. Rimane in piedi solo il campanile”.

Ma nessuna storia dei suoi abitanti?” chiese Laura, che era rimasta in silenzio nell’ascoltare quella voce che pareva giungere da molto lontano.

Di loro ne avremo tempo di parlarne. Vi chiedo di riportare in vita il castello e la chiesa. Per le abitazione scegliete voi. Ora vi lascio ai vostri discorsi e mi ritiro tra questi muri ridotti a macerie”. Con queste parole si allontanò lentamente e sparì tra cumuli di pietre.

I ragazzi rimasero per diversi minuti in silenzio, mentre ciascuno di loro metabolizzava le parole del Borgo. Si era mostrato invocando il loro aiuto, aveva narrato alcune vicende del luogo e aveva accennato a storie oscure, efferate e sanguinarie. Ormai avevano assunto pubblicamente il ruolo di salvatori e dovevano onorarlo al meglio.

Fu Giacomo a rompere quel silenzio carico di tensione, cominciando a ragionare ad alta voce.

Il Borgo assomiglia a un trollo di corteccia e mi è apparso stanco, affannato. Il castello sarà un bel impegno ma la chiesa molto di più. Poi c’è la cinta muraria, crollata a terra in molti punti da rimettere in sesto. Per le case ci penseremo in un secondo tempo. Ma ci riusciremo?”

Perché dubiti?” domandò irata Laura. “Non vedo il problema. Durante i prossimi mesi metteremo a punto i piani di recupero e chiederemo le necessarie autorizzazioni”.

Pensavo a Castel del Rio come punto di riferimento, ma in realtà dobbiamo puntare su Fiorenzuola, sperando che qualcuno ci dia ascolto” aggiunse Eva, che ragionava in termini professionali. “Oggi devo prendere qualche misura e qualche schizzo sul quale lavorare nei prossimi giorni”.

Ti darò una mano” disse Mattia, staccandosi da Laura. “Credo che dovremo metterci subito al lavoro, perché presto ci sarà buio. Non mi piace aggirarmi con le ombre della sera incipiente tra questi ruderi che paiono crollare da un momento all’altro”.

Hai ragione” concordò Betta, alzandosi. “Mi dai una mano Giacomo nel sopralluogo in chiesa?”

Io scatto qualche altra fotografia seguendo le vostre indicazioni” concluse Marco.

E io che faccio?” domandò Laura delusa per essere stata quasi esclusa dai vari progetti.

Vieni con noi” le disse Mattia. “Ci sarà da tenere attrezzi e metri per le misure. Una mano in più farà molto comodo”.

I ragazzi si sparpagliarono per il Borgo senza mangiare a misurare, a fotografare a prendere appunti e schizzi, finché il sole non calò all’improvviso sull’orizzonte e le ombre si allungarono maligne tra le pietre.

E’ ora di mettersi in marcia per tornare nel mondo civile” affermò Laura, chiamandoli a raccolta.

La giornata era finita, mentre il Borgo apparve fugacemente per salutarli.

A presto, ragazzi” disse prima di sparire inghiottito dal buio.

Short stories – L'esitazione dell'ultimo minuto – parte seconda

La prima parte la trovate qui.
 
Alba filò dritta verso la stazione centrale, senza più voltarsi indietro. Tuttavia, il suo cuore batteva con insolita pesantezza, e tanti pensieri si muovevano nel caos della sua mente.
Paolo le aveva dato tutto quello che lei avrebbe potuto chiedere dal giorno in cui era uscita da quella stramaledetta casa-famiglia, due anni prima. Si erano visti di rado, certo, ma tra loro correva quel qualcosa che fa sì che le persone si capiscano nonostante la differenza di età e l’assenza di troppe parole. Lui, di vent’anni più vecchio di lei, l’aveva ascoltata senza l’arroganza di chi sa di essere uscito dall’assurdità dell’adolescenza. Era sempre in viaggio, ma quando tornava riusciva sempre a dedicare una mezza giornata a quella ragazza che non sapeva dove sbattere la testa. E chissà, forse l’amava, come avrebbe potuto capirlo? Anche lui era cresciuto in casa famiglia e non poteva comprendere meglio la confusione che ti nasce in testa, quando non hai idea di chi sei, quando l’identità dei tuoi genitori è segreta, perché sono persone pericolose.
Era una ragazza estremamente intelligente, una piccola, diabolica maga dei computer. Lui aveva contatti con assistenti sociali e associazioni in tutto il mondo. Da lì, l’idea.
Si sarebbero separati, nessuno avrebbe saputo che collaboravano. Alba avrebbe hackerato il sistema del governo, Paolo avrebbe chiesto di restituire i favori che aveva fatto, e avrebbero scoperto le verità che da troppo tempo non conoscevano. (by Frency Worka)
 
Prese il primo treno in partenza. Non sapeva dove era diretto. “Che importanza ha?” si domandò, mentre si sedeva al primo posto libero. La valigia era troppo pesante per essere messa sopra nel vano e la lasciò di fianco a lei lungo il corridoio.
“Se vuole, posso metterla sopra, così non disturba chi passa” disse un ragazzo che aveva osservato l’armeggiare di Alba col bagaglio.
“No, no. Resta dov’è. Poi non saprei come riprenderla” replicò leggermente infastidita.
“Lo posso fare io”.
“Non sa nemmeno dove sono diretta” gli rispose ironica.
“Me lo dica. Così mi regolo e scendo anch’io”. Una breve risata uscì dalla bocca di Alba.
“Mi corteggia?”
“C’è qualcosa di male?”
“Sì. Non mi piace essere abbordata” gli disse dura e decisa, aggrottando la fronte.
“E’ una splendida ragazza. E io ci provo” aggiunse per nulla intimorito. “Io sono Lorenzo. Renzo per gli amici” completò impertinente.
“Beh! Si dà il caso che non sono nel novero dei tuoi amici”.
“Ma potrebbe entrarci tranquillamente”.
Alba non rispose e guardò fuori dal finestrino. “Chissà dove arriva questo treno”.
“Non mi hai detto come ti chiami” riprese il ragazzo che non demordeva.
“Non ho nessuna intenzione di dirtelo”.
“Sei scontrosa. Eppure …”
“Eppure cosa?”
“Niente”. (by orsobianco9)
 
“Che scocciatore questo ragazzo!” pensò Alba, guardando fuori dal finestrino.
“Biglietti, prego. Biglietti”.
La ragazza sorrise, perché finalmente avrebbe saputo dove andava il treno.
“Non ho il biglietto. Ho preso il treno in corsa” disse al controllore, mentre il ragazzo era tutto orecchi per ascoltare dove scendeva.
“Dove scende?”
“Me lo dica lei. Non lo so. L’ho preso a Pisa ma non so dove arrivi” rispose candidamente Alba.
L’uomo la guardò basito prima di rispondere.
“Questo è un intercity che arriva a Milano Centrale alle 11 se è in orario”.
“Allora Milano Centrale va benissimo”.
“Sono 49€, Tasse comprese”.
Il ragazzo ritornò all’assalto non appena il controllore passò nello scompartimento adiacente. “Anch’io scendo a Milano”.
“E chi ti ha detto che scenderò a Milano? Potrebbe essere anche Firenze”.
“Ah! Ah!” rise di gusto, lasciando allibita Alba.
“Gufi?” gli chiese. “No” le rispose con le lacrime agli occhi.
“Questo è scemo” pensò la ragazza.
“Questo non passa per Firenze” aggiunse. “E che giro fa?” gli domandò allarmata.
“Arriva a Genova e da lì un volo a Milano”.
“Ma ci mette una vita!”. “Abbiamo una vita di 4 ore per conoscerci meglio”. (by orsobianco9)
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L'incontro – capitolo 8

Nunzio Vobis Il capirtolo 8 de L’incontro è disponibile alla lettura. Si entra grats e si legge a gratis. Il tutto per un modesto clic qui sotto

Il Borgo – Capitolo 29

Emozionati come bambini si affrettarono a raggiungere la chiesa e si accoccolarono in cerchio, mettendo gli zaini nel centro. Pareva il cerchio magico dove si aspettava l’ospite misterioso che doveva produrre la magia.

Sei sicuro, Giacomo?” chiese dubbiosa Betta. “Sei sicuro di aver ascoltato la voce del Borgo e non un sibilo del vento che si insinua tra questi ruderi?”

Laura la guardò storta. «Ora anche lei ci si mette a dubitare che il Borgo parli? Non erano sufficienti Marco e Giacomo a fare i Borgo-scettici?» rifletteva mentre afferrava la mano di Mattia, che ricambiò la stretta.

Sì, ne sono certo. Questa volta l’ho sentito chiaramente”.

Rimasero in silenzio avvolti nei loro piumini, nei loro Moncler in gorotex per proteggersi dalle frustate gelide del vento di inizio novembre.

Ecco. Lo vedo che si sta avvicinando” disse Giacomo accennando col viso la direzione dalla quale proveniva il Borgo. “Sì, pare proprio un trollo di corteccia”.

Betta strinse le labbra per non far uscire i pensieri che si affollavano nella mente. Le sembrava una situazione ridicola al limite dell’assurdo ma non poteva permettersi di ridere su quelle parole. Era il suo ragazzo e ricordava bene cosa le aveva raccontato durante uno dei viaggi Ferrara Bologna e cosa era successo dopo tra lui e Laura. Inoltre tutti gli altri parevano sicuri e certi di quanto stesse dicendo Giacomo, mentre lei ne dubitava. Avrebbe voluto entrare in chiesa, osservare quel che restava dei dipinti, raccogliere i frammenti colorati che giacevano tra la polvere impastata di fango e legno marcito ma si trovava grottescamente seduta in circolo con gli altri cinque compagni.

Benvenuto tra noi!” esclamò Giacomo. “Siamo qui ad ascoltare quello che ci vorrà raccontare”.

Una voce profonda e stanca cominciò a parlare di sé e delle altre abitazioni ridotte a scheletri pericolanti.

Vi ringrazio per essere venuti” esordì in un sussurro che si perse nella vallata sottostante. “Non ci speravo più di rivedervi prima che la brutta stagione venga ad albergare qui”.

Un brivido di freddo percorse le schiene dei ragazzi, come se un fantasma fosse passato a sfiorarli. Laura si strinse a Mattia, mentre Betta si fece abbracciare da Giacomo. Solo Eva e Marco rimasero vicini ma distanti.

Tutti avevano udito quelle prime parole e rimasero muti in silenzio attenti a cogliere ogni minimo mormorio del Borgo, disturbato dalle folate di vento.

«Abbiamo udito veramente la voce del Borgo oppure è solo suggestione collettiva che le pietre di questo luogo abbandonato ci trasmettono?» Erano questi i pensieri che Marco rimuginava tra sé senza lasciare trapelare i suoi dubbi.

Vi ringrazio per conto di tutte la case del Borgo. Volevo raccontarvi qualcosa di noi. Qualcosa che è durato oltre mille e duecento anni, anche se le carte dicono che siamo più giovani …”.

Il vecchio li guardò a uno a uno in viso per scorgervi tracce di dubbi sulle loro facce.

Volete ascoltare la nostra storia?” chiese con tono greve e appena sussurrato.

Ma certamente!” rispose Laura che fino a quel momento aveva taciuto. “Siamo tutti d’accordo. Vero ragazzi?”

Un cenno del capo indicò che loro avrebbero prestato attenzione alle parole del Borgo. Il silenzio era concreto come il sibilo del vento che si insinuava tra i muri diroccati.

La voce del Borgo riprese a parlare, mentre Betta sussurrava in un orecchio di Giacomo. “Ma tu lo vedi?”

Sì” disse mimando con la testa l’avverbio affermativo.

Ma non lo vedo. Com’è?” gli chiese stupita.

Il ragazzo le mise un dito sulla bocca per farle capire che non era il momento di fare una discussione su questo tema, mentre Laura si stava irritando vedendo i due dialogare senza che prestassero attenzione al narratore.

Vi siete chiesti perché vi trovate in Toscana?” cominciò con una domanda il vecchio.

Un moto di sorpresa li colse a questa affermazione, mentre Eva fu la prima pronta a rispondere. “No. Ma la Toscana non è dietro quel crinale alla nostra sinistra?”

Una leggera risata risuonò e si perse nella vallata.

Siamo in Toscana. Questo borgo è l’ultima frazione di Fiorenzuola, che ormai ci ha dimenticati, sul limitare della linea di confine, che è sul greto del Santerno. L’avete passata scavalcando il fiume. Apparteniamo idealmente alla Romagna come le altre zone qui vicino ma dal punto di vista amministrativo siamo toscani …”.

Ma credevo che fosse invece di Castel del Rio” disse Laura che stranamente e inspiegabilmente era stata parca di parole fino a quel momento.

E’ una storia vecchia di tanti secoli fa, quando queste terre erano contese tra i fiorentini e una famiglia che dominava la valle del Mugello e del Santerno, imponendo gabelle e pedaggi a tutte le merci che transitavano su questo tratto del crinale appenninico. Il nostro borgo venne edificato più tardi. Ma probabilmente queste strade erano battute già ai tempi degli etruschi per accedere alle saline delle valli di Comacchio e di Cervia, perché qui ci sono i passi più bassi e agevoli tra Firenze e Bologna e la costa adriatica. Si narra che la Flaminia minor passasse da queste parti poco più a nord del Borgo. Ma ora sto divagando perso nei miei ricordi”.

Il vecchio tacque come per riprendere fiato dopo una lunga corsa, aspettando qualche domanda da parte di quei giovani che seduti in cerchio lo stavano ascoltando.

Marco pareva assorto nei suoi pensieri e perso a rincorrerli, mentre Eva era attenta ad ascoltare le parole. Laura era in silenzio come se fosse stata colta da un’improvvisa afasia. Quello che l’infastidiva era che lei non era più in questo momento il centro motore del dialogo col Borgo, perché questo ruolo era stato assunto da Giacomo. Betta era sempre incredula e avrebbe voluto formulare molte domande ma aveva compreso che non era il contesto adatto. Doveva tacere e fingere meraviglia per quello che vedeva e udiva. Mattia osservava i compagni senza essere troppo coinvolto dalle parole del vecchio, che a dire il vero non sentiva. «Qualcuno poi mi riferirà cosa ha detto» rifletté rapidamente senza mostrare turbamento o disagio. Però in compenso trovava Laura affascinante e pensava che sarebbe stato intrigante iniziare una relazione con lei, Giacomo permettendo.

Perché si è fermato nella narrazione? Ci rende curiosi di conoscere la storia millenaria di queste pietre” disse con convinzione Giacomo.

Allora proseguo il mio racconto” aggiunse il Borgo e ricominciò da dove si era interrotto.

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Short stories – L'esitazione dell'ultimo minuto – prima parte

Eccomi col secondo appuntamento delle short stories. La storia sarà divisa in due parte. La prossima giovedì 25 luglio.  Come per ‘Amor profano’ l’incipit è opera di Frenky Wronka, come il primo snodo. Il secondo è opera mia. Nella seconda parte il primo snodo è di Fenky Wronka, i restanti sono miei. Dunque una short stories a quattro mani. Buona lettura
La ragazza lo guardò negli occhi, persa in quello sguardo pieno di aspettativa. Il labbro inferiore, rosso e carnoso come una fragola in piena stagione, era stretto tra quei denti un po’ troppo grossi, così stretto che si spaccò, e una minuscola, perfetta sfera di sangue ne uscì.
L’uomo sorrideva, sicuro, le pupille dilatate e la bocca socchiusa in un’espressione di vago stupore. Il discorso era partito come uno scherzo, ma poi si era evoluto, fino a che a entrambi fu chiaro che si parlava seriamente. E su certe cose si fa presto a scherzare, ma non tanto a considerarle come vere e proprie possibilità, e prendere decisioni.
La risposta di lei lo aveva un po’ scosso, proprio come una carica elettrica lo pervadeva dal profondo. Era stimolante più di qualunque altra situazione che lui avesse vissuto: e di situazioni eccitanti, lui, ne aveva vissute molte. Solo, non era sicuro che quella fosse una cosa giusta. Lo turbava la sicurezza con cui quella giovincella aveva parlato, la sicurezza di chi non ha idea di ciò che l’aspetta. Forse avrebbe dovuto parlarle più a lungo, capire cosa realmente voleva, cercare di dissuaderla dal prendere decisioni così drastiche e avventate. Ma il tempo stringeva, e non voleva che lei si ricredesse.
Era bellissima, con la sua pelle chiara e quella gocciolina di sangue sul labbro, che tradiva la tensione. Era combattuto tra il baciarla e il cercare di fermarla, e infine decise di rimanere lì, a guardarla con l’ammirazione con cui si guarda un’artista. (by Frency Worka)
Non si era mai sentito così insicuro, lui, lo spirito libero che si era sempre andato a prendere quel che voleva. Non aveva mai fatto del male a nessuno, e non aveva mai dubitato di sé stesso, fino ad ora.
La sveglia suonò, e l’uomo tirò un profondo respiro. Per la prima volta dopo anni, era felice di non avere più tempo, di non poter più decidere.
«Sei sicura?» riuscì solo a dire.
La ragazza annuì, stavolta senza tradire ansia o preoccupazione. Era felice di quel che aveva scelto, anche se non era certa del risultato che avrebbe portato. Raccolsero le valige da terra e si apprestarono a uscire dalla stanza ormai buia.
L’uomo estrasse dalla tasca dei pantaloni un pesante mazzo di chiavi e serrò l’antico portone di legno della ricca abitazione in centro. Apparteneva alla sua famiglia da generazioni, ma lui ci passava pochissimo tempo.
La ragazza si guardò intorno e trasse un profondo respiro.
Il cielo un po’ ingrigito dallo smog e dalla perenne nebbiolina iniziava a schiarirsi, ed era un po’ come se tutto, in quelle strette vie coperte di pietra, stesse sbiadendo. Non si preoccupava di quando le avrebbe riviste, piuttosto di chi sarebbe stata, al suo ritorno. (by Frency Worka)
“Qui le nostre strade si dividono” disse trascinando le due pesanti valigie.
“Lo so. Addio o arrivederci?” rispose Alba, respirando l’aria umida del mattino.
“Per me potrebbe essere un arrivederci. Decidi tu”.
“Hai il mio numero?”
“Sì”.
“Allora addio” e si incamminò portandosi dietro la valigia.
Paolo la osservò allontanarsi e provò una fitta al costato. Avrebbe voluta rincorrerla ma restò immobile, finché la ragazza non girò l’angolo della stretta via. Cominciò a muoversi con lentezza, ripensando agli ultimi dettagli prima del suono della sveglia. Era inutile tornarci sopra.
“E’ stato meglio così” si disse, aprendo la portiera dell’auto. Infilò con fatica la sua valigia e si mise al posto di guida. Non si decideva di avviare la macchina e andarsene dalla casa, che sembrava spiare le sue mosse. Scosse ancora il capo irresoluto e incerto. Prese il telefono e cercò «Alba». 34704 …Lo richiamò in memoria, rimase pensieroso per qualche istante prima di spegnerlo.
“No, non posso” sussurrò a bassa voce, mentre girava la chiave per avviare la Alfa Mito rossa, che rombò cupa nel silenzio del mattino. Lentamente senza sgassare troppo si mosse per uscire dal paese. La giornata si preannunciava lunga e afosa senza che lui avesse dissolto i suoi dubbi.
Alba camminò in silenzio, sentì il rumore di una macchina e si voltò, agitando la mano. (by orsobianco9)
FINE DELLA PRIMA PARTE
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Il Borgo – Capitolo 28

L’estate di San Martino si fece rispettare con sole e temperature miti dopo le giornate uggiose dei defunti.

Laura organizzò la nuova spedizione verso il Borgo per sabato 7. Ci sarebbero stati tutti, anche i due nuovi acquisti. Il punto di ritrovo fu nuovamente Bologna sotto casa con l’esclusione di Mattia, che li avrebbe aspettati a Castel del Rio. I primi ad arrivare furono Giacomo e Betta e dopo poco Eva e Marco.

Emma e Ernesto sbirciavano dalla finestra la figlia e chi stava arrivando.

Ernesto, vedi anche tu?” domandò delusa, notando l’arrivo di Giacomo con una ragazza.

Cosa, Emma?” rispose incerto, perché non aveva ben compreso quello che la moglie gli voleva trasmettere.

Cosa? Non vedi anche tu che Giacomo è in compagnia di una ragazza?” continuò innervosita dalle parole del marito.

Beh! Cosa c’è di strano? Sarà la sua morosa” replicò ingenuamente, sorpreso dalle parole della moglie.

Emma scosse il capo, perché Ernesto era irrecuperabile. «Però si è consolato in fretta … La Laura non la capisco. Prima tutte dolcezze con Giacomo, adesso lo vede arrivare con una ragazza come se niente fosse. Quasi una normalità. I giovani di adesso non sono più quelli di una volta».

Ernesto, torniamo dentro. C’è poco da vedere”.

Emma, nostra figlia è nostra e ce la dobbiamo tenere” ribadì con forza, perché non comprendeva tutta quell’ansia della moglie, come se volesse sbarazzarsi della figlia in fretta.

«Quel Giacomo .. poi chi è?” si domandò senza trovare una risposta, mentre tornava a immergersi nella lettura di Stadio.

I ragazzi, saliti sulla macchina di Marco, leggermente più spaziosa della Panda di Laura, si avviarono verso l’appuntamento di Castel del Rio.

Laura, tu sarai la navigatrice” disse Marco, facendola accomodare sul sedile accanto al suo. “Istruzioni chiare e concise senza tentennamenti”.

Non stiamo facendo un rally” replicò sorridente, mentre allacciava le cinture. “Stiamo andando semplicemente a Castigliocello a trovare il Borgo per parlargli e informarlo che presto tornerà a vivere”.

Giacomo, sistemato tra Eva e Betta, rise sommessamente alla battuta della ragazza, mentre pensava alla visione del trollo di corteccia. «Chissà se ci apparirà così anche a noi» rifletté ironicamente.

Facciamo la solita sosta da Dino?” propose Eva poco l’uscita da Bologna.

Chi sarebbe Dino?” chiese incuriosita Betta, pensando a un altro compagno d’avventura.

Aspetta e vedrai” aggiunse Giacomo tutto serio e impettito.

Chiediamo il permesso alla navigatrice” propose Marco, ridendo sotto i baffi.

Uffa!” rispose sbuffando. “Per me va bene”.

Allora, Betta, conoscerai anche Dino”.

Ma chi è?” domandò ancora una volta.

Un po’ di mistero tiene viva l’attenzione” le rispose Giacomo sorridente ponendo le braccia sulle spalle delle due compagne di viaggio.

Ho capito … anzi non ho capito ma non fa nulla. Lo conoscerò quando vi fermerete” disse la ragazza che voleva porre fine al quel dialogo un po’ surreale, come se volessero prendersi gioco di lei.

Fatta la sosta da Dino, recuperato Mattia a Castel del Rio posteggiarono le macchine nello spazio prospiciente il greto del Santerno, che appariva più minaccioso di due mesi prima. Si avviarono su per la ripida salita che portava al Borgo, dopo aver passato il ponticello che univa le due rive.

Siete un bel numero” sentì sussurrare Laura.

Il Borgo ci ha riconosciuti!” esclamò contenta la ragazza.

Chi?” domandò ingenuamente Betta.

Uffa! Siamo alle solite! Io sento la voce del Borgo e voi niente!”

Giacomo strinse la mano alla ragazza come per dirle «Non dire più nulla, altrimenti si scatena come una furia».

Betta si strinse nelle spalle e continuò a camminargli di fianco, mentre alle loro spalle Eva e Marco salivano più lentamente, indifferenti alla foga di Laura.

Mi pare di udire qualcosa …” disse Mattia che fino a quel momento era stato silenzioso.

Cosa?” domandò trepidante Laura.

Non ho afferrato bene tutte le parole. Ma mi pare di aver intuito che ci avrebbe parlato di lui e della sua storia”.

Dunque anche tu ha sentito qualcosa” aggiunse sollevata la ragazza.

Il gruppo proseguì la salita nel più assoluto silenzio, mentre il fiato dei sei ragazzi sembrava condensarsi sopra di loro e si ascoltava il rumore affannoso dei loro respiri, perché l’erta era veramente ripida. Un vento pungente si insinuava nelle pieghe della giacca a vento di Giacomo che rabbrividì. La giornata, pur essendo soleggiata, era fredda perché si avvertivano i quattrocento metri di altitudine. Il sudore tendeva a gelare sul volto dei ragazzi, che portavano sulle spalle gli zaini.

Arrivati all’arco che permetteva l’ingresso al Borgo si fermarono per rifiatare e per ripararsi meglio, perché il vento sembrava una lama di ghiaccio che raschiava i loro visi e che si infilava sotto i vestiti. Il terreno era una crosta gelata dura come l’acciaio e scura come il carbone.

Entriamo?” domandò Laura col viso emozionato.

Sì” rispose Betta che si guardava intorno, vedendo lo sfacelo di quello che restava in piedi.

Mi raccomando” disse la ragazza rivolgendosi ai nuovi. “Fate attenzione. E’ pericoloso entrare negli edifici”.

D’accordo” replicò Mattia avviandosi a seguire Laura.

La ragazza guidava il gruppo che in fila indiana la seguivano evitando pietre e detriti crollati dalle case.

Se udite il Borgo parlare, ditelo subito” aggiunse senza voltarsi indietro.

Camminavano in silenzio, quando Giacomo esclamò “Il Borgo ci chiede di radunarci nello spiazzo davanti alla chiesa. Vuole parlarci”.

Short stories – Amor profano – seconda parte

La prima parte di questa storia la trovi qui.
“Chi è Sara Molini?” continua a chiedermi mia madre.
“E’ una ragazza … ma ora sarà una donna …”. Mi mancano le parole. Non capisco la sua insistenza come se avesse annusato qualcosa di torbido.
“Mamma, è una ragazza conosciuta a Forte dei Marmi dieci anni fa …”.
“Ma non l’ho mai sentita nominare in questi anni” replicò dubbiosa.
“In effetti ci siamo scritte solo qualche lettera all’inizio poi io non ho risposto e lei non ha proseguito …” dico usando il tono più naturale che possiedo.
Mia madre mi consegna la lettera scrollando il capo poco convinta. Non sono mai riuscita a comprendere come faccia a individuare i punti oscuri della mia esistenza. Con Lorenzo, il mio ex fidanzato, aveva detto fin da subito che sarebbe finita male.
“Non credo che tu sia innamorata di lui” aveva sentenziato senza avere il minimo dubbio. E ha avuto ragione. Tre anni di litigi furibondi e riappacificazioni clamorose hanno costellato il fidanzamento.
“E’ meglio che lo porti il meno possibile a casa nostra” affermò dopo l’ennesima lite. Tre mesi più tardi gli ho detto che era tutto finito come aveva profetizzato.
Ora leggiamo questa lettera.
Carissima Eli,
quanto tempo è passato senza che nessuna delle due si sia fatta viva.
Cosa fai? Ti sei sposata? Hai dei figli? Che raffica di domande di faccio dopo una vita di silenzio. Però vorrei sapere, recuperare questi anni di ostinati obli. Potresti anche non ricordare più chi sono.
Io sono ancora sola. Sono una zitella come dicono gli altri con malignità. Gli uomini mi annoiano da morire e le donne pure. Piene di grilli e tabù per la testa …”.
Eleonora sospirò.
“Mi sei mancata”.
Sono passati altri dieci anni. Sono una stimata dottoressa che esercita all’ospedale Maggiore di Bologna, dove mi sono trasferita da molti anni. La mia vita è vuota tra ospedale e casa con qualche puntata a Milano a trovare mia madre che è rimasta sola. Non potrei sopportarla tra i piedi con quel suo fare da santa inquisizione. Le visite sono un mordi e fuggi tra rimproveri e mugugni. Vorrebbe diventare nonna ma non mi sento di crescere un bambino. Forse sono egoista, anzi lo sono ma temo che non sarei una grande mamma. Alberto, un collega, mi fa una corte spietata ma resisto. Non mi piace, lo trovo noioso come gli altri. Sono uno spirito libero. Forse se avessi riallacciato con Sara, sarebbe stato diverso ma non si può tornare indietro. Ricordo con quale trepidazione ho letto la sua lettera e come attraverso il 12 ho trovato il numero di telefono.
“Ciao, Sara” le dissi chiamandola. “Sono Eleonora Mestovich …”.
“Aspettavo la tua telefonata” rispose con voce felice.
“… e io ero impaziente di farla!”.
“Mi piacerebbe incontrarci e fare quattro chiacchiere”.
“Anche a me. Dove?”
“Sabato sono libera e ho la casa a mia disposizione”.
“Prendo il treno e ti raggiungo” dissi con la stessa emozione di una liceale al primo incontro amoroso.
Aspettai trepidante ed emozionata l’arrivo del sabato con il medesimo batticuore di un’adolescente al suo primo viaggio senza i genitori. Fu una delusione quell’incontro. La magia dell’estate 1958 era svanita ma forse ero io ad aver paura.
 
A gioved’ prossimo con un’altra storia breve, tratta sempre da 20lin,es