Avviso!

Mi prendo, forzatamente un congedo, che spero si esaurisca nella giornata di mercoledì.
Domani, martedì, sarà dedicata alla preparazione fisica e mentale per il giorno dopo e quindi è assai probabile che non riuscirò a leggeree commentare i vostri bellissimi post.
Se tutto va, come penso e spero, giovedì mi leggerò l’arretrato. Altrimenti…
A presto amiche e amici.
Un caro saluto e un arrivederci.

Il mazzo di fiori – parte ventitreesima

La Nuova Ferrara del 27 settembre 2013

L’incidente di venerdì scorso è stato un omicidio. Colpo di scena durante le indagini

Dal nostro inviato

Un autentico coupe de theatre è stato rivelato nella conferenza stampa di ieri sera dal procuratore Lopapa, che coordina le indagini sull’incidente di venerdì scorso in corso Giovecca. Quello, che rimaneva singolare e incomprensibile, è adesso chiarissimo. Teresa Lopiccolo è stata uccisa da un colpo di fucile sparato da una finestra di un palazzo posto di fronte al Parco Pareschi. Quindi i piccoli misteri, che avvolgevano l’episodio, sono più chiari a cominciare dallo strano interessamento del magistrato di turno, alle indagini del commissario Ricardo, dall’alone misterioso che ha avvolto l’identificazione della donna. Ricordiamo che era priva di documenti e guidava una macchina non sua. Secondo una sommaria ricostruzione dei fatti Teresa Lopiccolo è stata raggiunta alla testa da un proiettile. Nonostante le insistenti domande di noi giornalisti, il magistrato non ha lasciato trapelare molti particolari. Ha glissato sul nome della ragazza bionda che per prima ha identificato la morta. Non ha spiegato quale movente sia alla base dell’assassinio e come l’assassino abbia colpito la ragazza. In conclusioni molte ombre avvolgono ancora il fatto. La reticenza di Carmelo Lopapa ha fatto balenare l’ipotesi che sia un assassinio analogo a quello famoso di Marta Russo. Per chiarezza dei lettori si riassumono in breve gli avvenimenti. Fu un caso che monopolizzò i media nazionali e nonostante l’iter giudiziario sia stato concluso con delle condanne definitive, già scontate, qualche dubbio è rimasto sia nella conduzione delle indagini sia nelle conclusioni. Una giovane donna, Marta Russo, una studentessa di giurisprudenza de La Sapienza di Roma, fu uccisa da un colpo di pistola, mentre camminava con un’amica in un vialetto interno alla Città Universitaria il 9 maggio 1997. Il proiettile fu sparato da una finestra dell’ateneo e si disse che il motivo era stato di simulare un delitto perfetto. Le indagini furono complesse e con parecchi colpi di scena per l’assenza di un movente certo. Solo dopo testimonianze, ritrattazioni e coinvolgimento di professori, usciere e segretaria si arrivò all’incriminazione di due giovani assistenti e alla loro condanna. I processi furono esplosivi fino alla conferma definitiva della pena in Cassazione nel 2003. Ci si domanda se il magistrato facesse riferimento al quel famoso caso, mentre esponeva i fatti. Adesso aspettiamo gli sviluppi o nuovi colpi di scena. Per il momento tutto è avvolto nella nebbia.

Il commissario accompagna Ludmilla e Maria Russo nell’abitazione della ragazza. Il tragitto si svolge in silenzio. Si ascolta solo il respiro delle due donne e il rombo della potente Alfa.

Arrivati sotto casa, Ludmilla, giocando d’anticipo, invita Ricardo a salire. “Sali” gli dice. “Ti offro un aperitivo”.

Il commissario annuisce e le segue. Il procuratore gli aveva suggerito di visitare l’appartamento ma la ragazza gli ha agevolato il compito. Aperta la porta, si fermano presso un basso muretto di pietra a vista, che separa la sala da pranzo dal minuscolo ingresso.

“Venite avanti” dice Ludmilla, facendo strada verso il divano. “Questa è sala, salotto, studio. Insomma dove vivo praticamente, quando sono in casa. Lì c’è la cucina. Non è grande ma vivibile. E là camera da letto e bagno. Quella porta finestra conduce a un ampio balcone”.

“Piccola ma confortevole” precisa Ricardo, che osserva con occhio professionale tutto quanto. Nota una stampante HP Officejet in un angolo e riflette che non può averla usata per fotocopiare le pagine del taccuino di Teresa. I suoi uomini lo avrebbero scoperto immediatamente ma hanno confermato che apparentemente le pagine non sono state aperte e poste su una fotocopiatrice. “O le ha fotografate oppure le ha ricopiate manualmente. Oppure le ha semplicemente lette. Quindi ha fatto bene Carmelo a non accettare la sfida della perquisizione” ragiona alla vista della stampante.

“Prendi qualcosa?” si informa premurosa Ludmilla, che ha osservato con attenzione dove si posa lo sguardo del commissario.

No. Devo tornare in ufficio. Per qualsiasi evenienza mi potete contattare a questo numero” dice, porgendo un biglietto da visita. “Giorno e notte. Qualsiasi volto sospetto o persona sconosciuta, che vedete aggirarsi nei paraggi, me li dovete segnalare. Niente colpi di testa o indagini personali. Per precauzione una squadra in borghese sarà sempre appostata nei paraggi e vi seguiranno come ombre”.

Ludmilla rabbrividisce, perché intuisce di essere in pericolo.

“Ma perché?” domanda, conoscendo già la risposta.

“C’è un pericoloso killer in libertà e prendiamo tutte le cautele possibili. Non aprite la porta senza accertarvi che sia una persona nota. Ti consiglio di cambiare strada per recarti al lavoro e le abitudini mattutine per qualche giorno”.

Poi rivolgendosi a Maria Russo, le dice: “Signora, domani verrà un’agente in borghese a prenderla. Sarà il suo angelo custode. La segua senza timore. La accompagnerà ovunque lei voglia recarsi”.

Dette queste parole Ricardo prende la strada del ritorno, lasciando sole le due donne.

“Signora…” comincia Ludmilla.

“Mi chiami Maria” replica decisa.

“Maria, venga. Le mostro la camera dove riposerà”.

“Ma no!” esclama. “Mi basta quel divano. Non voglio disturbarla oltre misura, cambiando le sue abitudini. E’ già stata fin troppo gentile ospitarmi”.

“Nemmeno per sogno! E’ ospite e gli ospiti vanno trattati con tutti i riguardi” si schernisce la ragazza. “Se ha necessità del bagno per darsi una rinfrescata, le porto asciugamani e accappatoio puliti. Faccia come se fosse a casa sua”.

“E’ molto gentile. Spero di sdebitarmi con lei, se mi viene a trovare a San Cataldo”.

Ludmilla sorride, mentre va a prendere il necessario per il bagno.

Mentre Maria si dà una rinfrescata, la ragazza è in cucina a preparare qualcosa per la cena.

“E’ presto. Lo so” borbotta mentre è affaccendata ai fornelli. “Ma oggi ho saltato il pranzo e lo stomaco reclama cibo. Mi domando perché lunedì scorso la madre di Teresa abbia mentito, affermando di non conoscerla. Devo capirlo. E’ un atteggiamento strano e incongruente”.

Sente la donna uscire dal bagno e la chiama in cucina.

“Io ho fame. Oggi ho saltato il pranzo. Ho preparato qualcosa di veloce. Spaghetti aglio e olio, formaggi freschi e stagionati, insalatina da taglio con rucola e olive verdi. Il pane è quello di ieri, che ho riscaldato nel microonde”.

“Grazie” mormora Maria, sedendosi a tavola.

Parlano poco, qualche battuta. Pensano a rifocillarsi. Entrambe sono da molte ore a digiuno e, calato lo stress, avvertono i morsi della fame.

“Prende un caffè?” le domanda Ludmilla, che, placati i crampi allo stomaco, ha ritrovato la parola.

“No, grazie” risponde pronta.

“D’accordo” dice, mentre inizia a riempire la moka. Deve trovare il modo di introdurre gradualmente la domanda che ha in mente dal pomeriggio. Non vuole sprecare il momento di rilassamento della donna.

“Ha abitato a Ferrara. Dove?” le chiede Ludmilla, dopo aver acceso il fornello.

“Sì. In Carlo Mayr” risponde con un sospiro.

“In pieno centro!” esclama sorpresa la ragazza. “Anch’io avrei voluto stare in centro ma era tutto terribilmente caro!”

“Era una vecchia abitazione, umida e poco confortevole. Fredda d’inverno e rovente d’estate. La sua è calda e accogliente e non dista troppo dal centro”.

Ludmilla le scocca un bel sorriso. “Un piccolo condominio con sei appartamenti” riflette pensando a dove abita. “Tre per piano. Un po’ di verde comune ma molta tranquillità. Poche macchine in transito. Solo quelle dei residenti nella zona ma appena due chilometri per arrivare al Castello. Non posso lamentarmi”.

La conversazione langue tra parole banali e frasi scontate. Ludmilla non riesce a dirigere il dialogo verso la domanda che la sta assillando. Maria Russo si tiene distante dall’argomento Teresa. La ragazza si pone qualche quesito. “Non pare addolorata dalla morte della figlia, anzi tutt’altro. E’ come se si fosse liberata da un peso. Un atteggiamento ambiguo e poco consono alle circostanze. Poi parla come se non fosse mai stata sposata oppure fosse vedova. Dal poco che si era lasciata sfuggire Teresa, mi pare di ricordare che il padre se ne è andato di casa poco prima che la madre facesse ritorno al paese di origine. Anche questo è un comportamento che lascia perplessi. Ne devo parlare con Ricardo. Non mi sembra in linea con il naturale dolore per la perdita di una figlia”.

Sono rimaste in silenzio, mentre Ludmilla rifletteva su Maria. Poi decide di rompere gli indugi.

“Lunedì, quando le ho telefonato, mi ha riconosciuto come la collega di Teresa?” domanda senza troppi giri di parole.

“Sì” risponde asciutta.

“Eppure mi ha dato una risposta negativa” insiste la ragazza.

“No. Ho detto semplicemente che non c’era nessuna Teresa a casa mia” replica con durezza.

“D’accordo ma poteva chiedermi il motivo della telefonata”.

“Per me Teresa non esiste più da sei anni” dice con voce indurita dall’odio.

Ludmilla sussulta. Non si aspettava quel tono di astio nei confronti della figlia. Tace e non riesce a reggere lo sguardo carico di rabbia della donna. Le fa paura.

“Capisco” afferma la ragazza, che adesso si spiega l’assenza di dolore in Maria.

“Se non le dispiace, io mi ritirerei in camera. Sono molta stanca” esterna con tono imperioso.

“Certamente. Il viaggio, lo stress della giornata odierna taglierebbero le gambe a chiunque” risponde, alzandosi per accompagnarla nella stanza da letto.

Prende la camicia da notte, un cuscino e plaid da usare per la notte e ritorna sul divano. Riflette e ragiona su l’ultimo scambio di battute. Pensa di essere stata troppo diretta nelle domande ma le risposte sono state illuminanti.

“E’ una donna fredda e rancorosa. Anzi vendicativa nei confronti di chi le usa degli sgarbi o che pensa che siano tali” si dice in silenzio, fingendo di osservare il televisore acceso ma muto. “Quando ha deciso di tornare a Lecce e Teresa non l’ha seguita sei anni fa, l’ha cancellata. E’ vero che non ha detto questo esplicitamente ma ‘Per me Teresa non esiste più da sei anni‘ è troppo eloquente per essere interpretato in maniera differente. Credo che ne debba parlare con Ricardo. Non so cosa abbia detto a Lopapa ma la durezza del tono metteva più di un brivido. Posso fidarmi di lei oppure rischio qualcosa?”

Osserva l’ora. Sono le dieci di sera e decide di mettersi a dormire.

“Magari!” riflette. “Magari se riuscirò a prendere sonno!”

Spegne le luci ad esclusione di una lampada da pavimento. Cerca di dormire, si agita, si sveglia. E’ un’agitazione continua tra incubi e sogni, tra risvegli e e brevi sonni. Guarda l’ora. “Appena mezzanotte” borbotta assonnata, quando sente squillare il campanello di ingresso.

Si sveglia completamente in preda all’ansia. Accende la luce e si guarda intorno smarrita. “Aveva ragione Ricardo!” esclama angosciata. “Chi sarà? Chiedo chi è oppure fingo di non aver sentito?”

Afferra il telefono e il biglietto col numero da chiamare. Non fa in tempo a leggerlo che squilla minaccioso. Risponde.

“Lo so che sei in casa. Non mi sfuggirai” dice una voce dalla chiara inflessione meridionale.

Il sangue gela nelle vene, mentre osserva sgomenta il display.

Il mazzo di fiori – parte ventiduesima

“Signorina Presente può attendere in questa stanza?” le dice Lopapa con un tono, che non ammette repliche, indicando un porta scura a fianco del suo ufficio.

Ludmilla annuisce. “Se anche avessi detto di no, mi avrebbe comunque costretto a restare lì” riflette, aprendo la porta. E’ angusta e buia, appena rischiarata da una lampada, che emette una luce giallastra, nel centro. L’arredo è ancora più misero con solo una sedia per nulla stabile. Sembra più un archivio che un salotto di attesa. La richiude alle sue spalle e si siede, dopo avere levato via un sottile strato di polvere dal sedile. Riprende il telefono e rilegge il misterioso messaggio. Non riesce a comprendere chi glielo avrebbe potuto inviare.

“Non ho amicizie maschili ma a dire il vero nemmeno femminili. L’unico maschio, che conosco, è Carlo ma non è nel suo stile scrivere queste parole. E’ sciatto e per nulla romantico. E’ un bel ragazzo senza dubbio ma non è il mio tipo. Troppo possessivo, troppo geloso, troppo… Insomma non mi attrae. Quando una ragazza trova troppi difetti, vuol dire che proprio non è il principe azzurro sognato. E poi perché avrebbe dovuto restare anonimo, se mi volesse fare la corte? Non mi pare timido o pieno di complessi”.

Scuote il capo. Si domanda, tenendo in mano il telefono, se non possa essere lo stesso dell’altro mazzo di fiori.

“Due messaggi ed entrambi anonimi. Uno che fa riferimento alla mia passioni per i libri, questo al rifiuto di avviare una relazione. Che rapporto c’è tra loro?” si domanda senza trovare un multiplo comune che li metta in correlazione. “Hanno un collegamento con la morte di Teresa?” E’ il pensiero improvviso che le viene in mente.

Stringe le labbra e prova a ripercorrere la storia alla ricerca di una luce sugli eventi che sono successi nel corso di pochi giorni.

“Stranamente” si dice, assorta, osservando la parete ricoperta da armadi chiusi “con l’arrivo del primo mazzo Teresa è stata uccisa da un colpo di arma da fuoco, probabilmente un fucile. Lei mi stava seguendo. Per quale motivo? Sapeva perfettamente dove abito. Non avrebbe faticato a raggiungermi a casa. Eppure era dietro di me, invisibile ma presente. Perché? Che relazione c’era tra lei e il mazzo di fiori? Perché questo secondo mazzo non è arrivato? E’ connesso alla sua morte?”

Ludmilla è talmente assorta nei suoi pensieri e con lo sguardo perduto nel vuoto da non accorgersi che Ricardo è nella stanza. Il commissario si ferma dinnanzi a lei, la osserva e sorride, senza che la ragazza reagisca alla sua presenza. La trova bella, affascinante e, se non fosse che è coinvolta in un’inchiesta per omicidio, la corteggerebbe senza finzioni. Però si trattiene e mantiene quell’aplomb di distacco che i superiori hanno apprezzato.

“Signorina Presente… Ludmilla” sussurra per non farla sobbalzare per la paura. “Il procuratore Lopapa desidera farti qualche domanda”.

La ragazza lo guarda con aria assente. Si alza senza rispondere, mentre ripone il telefono nella borsa.

“Sono pronta”.

Ricardo è stupito ma non lo dimostra. Accompagna la ragazza nell’ufficio del procuratore.

“Siediti” le dice indicando una sedia dinnanzi alla scrivania.

Ludmilla si osserva intorno e non vede la madre di Teresa. Sta per chiedere qualcosa ma viene preceduta da Ricardo.

“La signora Russo ti aspetta nel salottino verde”.

La ragazza è calma e rilassata. Non sorride ma aspetta di conoscere le domande. Lopapa prende due oggetti dal cassetto e li pone sulla scrivania. Lei ha un lieve sobbalzo ma si riprende subito, mascherando l’ansia interna. Li ha riconosciuti ma finge di vederli per la prima volta.

“Li ha mai visti?” domanda con tono inquisitorio e professionale, abbandonando il familiare tu per un più distaccato lei.

“No!” afferma con voce decisa e priva di timore.

“E’ sicura? Sa di cosa si tratta?”

“Vedo una moleskine dalla copertina rossa e un’agenda, di quelle che la nostra compagnia regala per Natale” risponde con un sorriso un po’ beffardo.

“Lo vedo anch’io cosa sono” replica infastidito. “Le chiedo ancora se li riconosce”.

“No. E’ la prima volta che li vedo” risponde sicura senza tentennamenti.

Ricardo fatica a trattenere una risata. Riconosce lo spirito e il carattere della ragazza che aveva incontrato la prima volta.

“Mai presi in mano? Mai letto il contenuto?” insiste Lopapa spazientito. “Non ci agevola le indagini col suo atteggiamento. Devo ordinare al commissario di eseguire una perquisizione del suo appartamento?”

“Lo può fare tranquillamente” dice Ludmilla, mentre afferra le chiavi di casa per porgergliele. “Non ho nulla da nascondere. Sono tranquilla”.

Mentre pronuncia queste parole, ha un brivido e un pensiero ‘se mi prende in parola, sono fritta!‘.

Il procuratore tace, indeciso se accettare la sfida oppure credere alla ragazza. Riflette che potrebbe anche aver letto le pagine, preso qualche appunto, fatte delle fotografie delle pagine più interessanti e tenere tutto dentro la sua borsa. Poi ci ripensa sulla minaccia di perquisizione, perché non esistono riferimenti a lei ma a due uomini. Rischia solo un flop senza avanzare nelle indagini. “E’ troppo sicura di sé” riflette. “In più non avrebbe movente per l’uccisione della Lopiccolo. Quale motivazione avrebbe avuto? E’ single e non risulta che abbia un compagno o l’abbia avuto nel passato. La descrivono come una ragazza indipendente e con pochissime frequentazioni sia maschili sia femminili. E poi perché avrebbe chiamato il numero della Lopiccolo lunedì scorso? No, no! La devo depennare dalla lista degli indagati. Devo convincerla a dirmi tutto quello che sa sulla ragazza morta. E’ molto più utile se collabora anziché averla contro”.

Ludmilla continua a mantenere un atteggiamento di sfida ma percepisce che ha vinto questa battaglia, anche se Lopapa non ha creduto alle sue affermazioni. Si interroga su cosa rischia se perquisiscono la sua abitazione. “Non ho giurato di dire la verità. Non ho mentito, affermando di ignorare cosa c’è scritto. In realtà ho solo fotocopiato alcune pagine senza leggerle, quindi non ne conosco il contenuto. Ho detto solo una bugia, affermando di non avere mai visto agenda e moleskine” riflette in silenzio aspettando con calma la prossima raffica di domande.

Ricardo la guarda ammirato per il sangue freddo dimostrato e per la grinta da giocatrice, che non esita a bluffare pur di scoraggiare l’avversario a vedere le sue carte. “Sono certo, anzi sicurissimo che ha letto tutto quello che ha scritto la Lopiccolo. Sa che era incinta o almeno ha guardato il referto. Inoltre potrebbe conoscere l’identità dei due uomini citati. Se Carmelo insiste nelle domande sulle agende, non ne cava un ragno dal buco. Ludmilla è furba e eventuali documenti compromettenti li ha messi al sicuro. Quindi è inutile battersi su questo argomento”.

Lopapa, dopo una lunga pausa di riflessione, riprende a porre domande. Cambia argomento per rompere il muro difensivo di Ludmilla.

“Ha conosciuto prima di oggi la signora Russo?” le chiede, appoggiandosi coi gomiti alla scrivania.

“No. Mai vista prima ma l’ho sentita al telefono” dice la ragazza, giocando d’anticipo. Sa che, se verificano i tabulati del telefono, scoprono con facilità la chiamata di lunedì. Quindi non vuole rischiare mentendo sul contatto.

“Quando?” domanda sorpreso. Non si aspettava questa ammissione, perché pensava che avesse continuato sulla linea della negazione.

“Lunedì scorso” risponde con calma la ragazza. “Avevo un numero di telefono del quale ignoravo l’identità. Solo un nome: Maria”.

“E dove lo teneva?”

“Era un postit di Teresa. Era sul suo monitor” dice prontamente, sapendo di mentire. Aveva pronta anche una scusa plausibile, se Ricardo avesse detto qualcosa.

Il commissario non ricorda di aver notato nessun biglietto appiccicato allo schermo, quando aveva ispezionato l’ufficio due giorni dopo. Però poteva essergli sfuggito oppure essere stato rimosso da qualcuno. Preferisce rimanere in silenzio.

“E perché non l’ha detto?” domanda un po’ incattivito Lopapa.

“Non sapevo che fosse la madre di Teresa. Quando l’ho chiamata, mi sono presentata come la collega di Teresa e ho chiesto se c’era. Lei mi ha risposto che non ci stava nessuna Teresa. La risposta era come se lei non conoscesse nessuna ragazza con quel nome. Una qualsiasi madre avrebbe posto delle domande ma lei ha chiuso la conversazione. Quindi ho dedotto che non ci fosse rapporto tra le due donne. Per me l’episodio si è chiuso lì”.

“Come logica conclusione è perfetta. Perché ha curiosamente chiamato quel numero?”

“Lunedì mattina Teresa non si era presentata al lavoro. Tutti ignoravano dove fosse e il motivo per il quale non aveva avvertito dell’assenza. Di solito era molto scrupolosa o mi chiamava a casa o avvertiva l’ufficio del personale. Quella mattina non aveva rispettato le consuetudini. Quindi ho provato a chiamare il suo telefono ma la risposta era sempre quella ‘il cliente non era raggiungibile‘, finché non ha risposto il commissario Ricardo”. Anche lei rimarca le distanze. “Allora ho visto quel numero sul postit con un prefisso dell’Italia meridionale. Ho pensato che potesse essere un familiare ma ho ricevuto una risposta negativa”.

“Mi sembra una ragazza curiosa” afferma il procuratore, distendendo l’espressione del viso.

“No, no! Ero in ansia per Teresa. Sono rimasta sorpresa quando, dopo diversi tentativi, ha risposto il commissario Ricardo e il resto lo conosce bene”.

“Non si è domandata successivamente, perché abbia risposto così?” le chiede Lopapa.

“No. Ho dimenticato l’episodio. E poi chi mi poteva garantire che quel numero corrispondeva alla madre di Teresa?”

“Se però ce ne accennava…”.

“Per quale motivo?” esclama Ludmilla, interrompendolo.

“Ha un atteggiamento incoerente. Dimostra curiosità per conoscere a chi corrispondeva quel numero. Poi non verifica nulla e si accontenta della prima risposta”.

“Per quale motivo avrei dovuto verificare chi chiamavo? Ero preoccupata per la collega! Cercavo di comprendere il comportamento non abituale!” si difende Ludmilla con vigore.

“D’accordo. La sua versione collima con quella di Maria Russo. Era a conoscenza che la Lopiccolo era incinta?”

“No!” esclama mostrando sorpresa. “Teresa incinta? Non ha detto nulla. Di quanti mesi?”

“Di due mesi. E lei non se ne è accorta?”

“Assolutamente no! Come le ho già detto in precedenza, non si parlava in ufficio di questioni personali”.

“Ha un’idea di chi potesse essere il padre?”

“Lo ignoro e non sapevo che Teresa avesse un fidanzato!” dice, fingendo sorpresa e incredulità.

“Felix o Alex non le dicono niente?”

“Direi proprio di no. Nessun collega si chiama così. Ma chi sono?” domanda, mostrando curiosità. La ragazza cerca di non calcare troppo sulla voce, manifestando curiosità e sorpresa troppo smaccate.

Il procuratore non risponde. Poi si rivolge a Ricardo.

“Potresti accompagnarle a casa?”

“Sì. Con piacere. Subito?” domanda il poliziotto.

“Io ho finito con loro”.

Il commissario si alza e si avvia verso la porta seguito da Ludmilla.

Il mazzo di fiori – parte ventunesima

Chiumento è chiuso nel suo ufficio. E’ di pessimo umore. La storia di Teresa non le piace e non gli dà pace. Si sente come braccato, anche se è certo che sia solo una sensazione.

“Quella ragazza mi ha fatto tenerezza, quando due anni fa si è presentata nel mio ufficio, implorando un lavoro. Mi ha detto che era allo stremo delle forze economiche e che non voleva tornare a Lecce. Mi sono impietosito e l’ho fatta assumere. Tutto sommato è stato un buon acquisto. Ma…” ragiona sulle sue angosce.

Il dubbio, se ha fatto bene quella volta, aleggia nella sua mente, perché poi ha iniziato una relazione pericolosa. Lui è sposato con due figli e quell’amante stava diventando sempre più ingombrante.

“Mi hai ingravidata” gli aveva detto ai primi di settembre. “Devi rimediare!” Le aveva proposto di abortire ma lei non aveva nessuna intenzione di farlo. Si sentiva prigioniero in una cella senza finestre e con la porta sprangata. Provava un senso di claustrofobia che gli metteva angoscia.

“Ho avuto un moto di sollievo, quando ho saputo che era morta. Però in fondo mi dispiace. Teresa era una fanciulla dolce e dal sangue caldo. A letto era una furia incontenibile e mi ha donato livelli di piacere da incorniciare. Però quella minaccia di scandalo è stata una mazzata”.

Si domanda se Teresa ha lasciato dei documenti che possono comprometterlo, anche se nessuno degli inquirenti si è fatto vivo. Aspettare lo snerva. Muoversi c’è il rischio di fare mosse avventate. Così si cuoce a fuoco lento.

“Ci avevo pensato di verificare tra le carte d’ufficio, se c’era qualcosa che mi riguardava ma rischiavo di farmi sorprendere dalla Presente. Lei è una ragazza sveglia e avrebbe capito tutto immediatamente. Per fortuna non l’ho fatto, perché poi è arrivata la polizia. Chissà cosa hanno sequestrato” pensa Chiumento, sospirando.

Si alza e guarda fuori dalla finestra. Ha un sussulto: la Presente in bicicletta ha imboccato la strada della questura.

“Ha mentito a Sara, dicendo che sarebbe andata a casa per i tecnici del telefono. Sta andando ancora dal quel commissario, che mi pare un mastino con il fiuto del miglior cane da caccia”.

Questa nuova visita gli desta qualche preoccupazione. Sa di non avere la coscienza a posto, di aver mentito, fingendo di conoscere solo professionalmente Teresa.

“Ma cosa dovevo fare o dire? Ammettere col commissario che avevo una relazione? Sicuramente sanno che la ragazza era incinta, anche se sul giornale non è apparso nulla. Confessare questo rapporto sarebbe stato per me un incubo di sospetti, di domande imbarazzanti. Avrebbero puntato sicuramente su di me come principale indiziato di averla uccisa. Convengo che forse non sarà stato il modo migliore per allontanare i sospetti, perché ai loro occhi avrebbe rappresentato un’ammissione di colpa. Sono tra l’incudine e il martello. Una posizione scomoda e pericolosa”.

Mentre riflette su questi dettagli, osserva Ludmilla e nota l’uomo appostato sull’angolo e la donna che la segue a piedi.

“Chi sono quei due?” si domanda inquieto. “Poliziotti oppure…”. Lascia cadere la riflessione, perché si concentra su una terza persona che sembra interessato alla direzione che ha preso la ragazza.

Non riesce a scorgerlo con nitidezza. Ne intravvede solo le spalle. Ha un qualcosa di familiare nella figura senza che riesca a mettere a fuoco chi sia. L’uomo sull’angolo va verso il Castello, almeno questa è l’intuizione di Chiumento che ha una visuale non perfetta e ridotta. Prima di sparire dalla sua vista, lancia un’occhiata verso quella figura, che sembra curiosa di conoscere dove è diretta Ludmilla. Poi dopo quei movimenti di persone interessate alla ragazza la strada riprende l’aspetto abituale della pausa pranzo. Qualche macchina in transito, impiegati che raggiungono un bar per un breve break, gente frettolosa di tornare a casa.

Chiumento torna a sedersi alla sua scrivania e prende la testa fra le mani. Ha l’impressione che la polizia sappia molto di più di quello che filtra sui giornali.

“Devo stare attento” si ripete l’uomo.

Carlo si domanda le motivazioni che hanno scatenato tutto quel casino. Ludmilla gli piace e farebbe carte false perché diventasse la sua compagna. Però lei non ne vuole sapere. Lo ignora. Questo lo ferisce molto.

Seduto sulla poltrona in casa legge le ultime notizie sul caso di Teresa Lopiccolo. Immagina che anche Ludmilla sia coinvolta, anche se il suo nome non compare. Le descrizioni sono il suo perfetto identikit.

“Non mi posso sbagliare!” dice, sorseggiando una birra fresca dalla bottiglia. “E’ sicuramente lei, la bionda alta, slanciata che gira su una Bianchi azzurra. In città non sono molte le donne che la usano. Preferiscono vecchie bici per il timore che vengano rubate”.

Scuote il capo e sospira.

“Chissà che fine hanno fatto i miei fiori! E il biglietto… è stato tanto sofferto scriverlo”.

Vorrebbe chiamarla al telefono ma non vuole rischiare che glielo sbatta giù. Pensa che sarebbe una ferita quasi mortale.

Finisce la sua birra, che è diventata calda e poi se ne va a letto.

Lopapa e gli altri arrivano all’Istituto di Medicina Legale per identificare con certezza la donna morta.

Sono rimasti in silenzio durante il viaggio. Maria Lopiccolo stretta nel suo dolore. Ludmilla percepisce di essere di troppo. Lopapa sta mentalmente preparando i piani di come indirizzare le indagini. Ricardo trova la ragazza di suo gradimento ma il dovere gli impone di restare fedele ai valori nei quali crede.

“Io vi aspetto qui” afferma Ludmilla, quando gli altri scendono dalla macchina. “Quel posto mi fa venire i brividi. E poi non servo a nulla”.

Il commissario fa un cenno di assenso. Il magistrato pare non accorgersi della ragazza e si avvia deciso verso l’ingresso, trascinando con sé la madre di Teresa. Lei si sistema in macchina e comincia a leggere i messaggi arrivati sul telefono per ingannare il tempo.

“Uffa!” esclama cancellandone un bel po’. “Solo spam!”

Si ferma. Lo legge una volta, due volte. Spalanca gli occhi: non è può crederci.

Il bianco del giglio è la purezza del tuo comportamento. Il giallo degli aster sono per l’intelligenza dimostrata. Il rosso delle rose per la passione negata‘.

Chi mi ha mandato questo sms?” si domanda, soffermandosi ancora una volta sul messaggio. “Sembrerebbe un biglietto per un mazzo di fiori ma non ho ricevuto gigli, aster e rose rosse! E poi perché oscurare il numero mittente? Forse aveva timore di essere scoperto? Non riesco a comprendere cosa stia succedendo”.

Le verrebbe voglia di ridere al pensiero di questo biglietto virtuale, se non le ricordasse l’altro reale e quel mazzo di fiori del quale non ha individuato l’autore. Un mazzo di fiori che è costato la vita a Teresa. Abbandona questo pensiero, mentre un sorriso forzato si nota sulle labbra contratte.

“Per trent’anni mai un fiore! Nemmeno per sbaglio. In una settimana due mazzi con due biglietti intriganti! Sì, perché questo arriverà quanto prima”.

E’ immersa nei suoi pensieri e non si accorge che sono tornati. Sobbalza per lo spavento. Fa un timido sorriso di scuse.

“Spaventata?” le chiede cortese Ricardo.

“No…sì. Ero talmente concentrata che non vi ho sentiti giungere e mi sono spaventata” risponde con sincerità Ludmilla.

Il commissario sorride, mentre Lopapa sembra in un altro mondo. La madre di Teresa è sempre una sfinge impenetrabile.

“Signora Lopiccolo” inizia il magistrato “la devo pregare di rimanere in città. Ho la necessità di porle diverse domande. E poi deve sbrigare le formalità per sua figlia. Ha un recapito per questi giorni?”

“No” risponde asciutta.

“Pensa di sistemarsi in albergo?” insiste Lopapa, che comincia a spazientirsi nel sentirsi rispondere a monosillabi.

“No” replica secca.

“E dove pensa di dormire?”

“Non lo so. Voglio tornarmene a Lecce”.

“Mi spiace ma non è possibile prima di due o tre giorni” afferma deciso il procuratore.

Ludmilla è rimasta in silenzio ma comprende che è diventato un dialogo tra sordi. Decide di parlare. Le è venuto in mente una soluzione.

“Signora, mi farebbe piacere se lei accettasse l’ospitalità nel mio appartamento. Non è grande ma ci possiamo stare bene tutte e due. Io dormo sul divano letto in sala e le cedo la mia camera”.

Ricardo rimane a bocca aperta. E’ stato spiazzato da questa sortita della ragazza. Sta per dire la sua, perché non è molto d’accordo su questa sistemazione ma viene preceduto da Lopapa.

“Mi sembra ragionevole la proposta della signorina Presente”.

Maria alza le spalle e non dice nulla.

“Adesso tutti nel mio ufficio” esclama il procuratore salendo in macchina.

Il commissario non è d’accordo e diplomaticamente mostra il suo dissenso.

“E’ sicura, signora Lopiccolo…” comincia, mentre avvia il motore.

“Sono Maria Russo” afferma con tono deciso.

“Mi scusi, signora Russo. Non preferisce che le procuri una stanza d’albergo?”

“No. Accetto l’ospitalità della signorina Presente” taglia corto la donna.

Il silenzio cala tra loro. Si ascolta solo il rumore del motore.

Debbie

Per chi volesse leggere… un piccolo post su Caffè letterario

Il Mazzo di fiori – parte ventesima

Ludmilla ha il viso in fiamme. E’ irritata, furiosa con se stessa per essere caduta nei tranelli di Ricardo. Si gira. Osserva la persona che viene introdotta nell’ufficio. E’ una figura fragile, vestita di scuro, che tiene stretto una borsa come se fosse tutta la sua ricchezza. Non vede nel viso nessuna ombra di tristezza o di dolore. Si stupisce.

“Perché?” si domanda. “E’ morta la figlia. Eppure nessun segno sul suo volto, come se fosse sollevata per l’accadimento”.

Ricorda la telefonata di lunedì, perché è sicura che era lei a rispondere. Aveva percepito una freddezza quasi crudele nella risposta e a negare di conoscere Teresa. Eppure era sua figlia. Nota come incede con gelida fierezza, mentre si avvicina alla scrivania. Trova spiazzante il comportamento. La segue con gli occhi, mentre si accomoda di fianco.

Non riesce a definire l’età. Sembra vecchia dal comportamento ma ha una figura giovanile. Si sente in confusione. Cerca di mantenere la calma. “Potrebbe avere all’incirca cinquant’anni, visto che Teresa ne aveva trenta. Ma è talmente anonima che anche gli anni lo sono” riflette, osservando il viso e le mani, le uniche parti del corpo che sono in evidenza.

“Buon giorno signora Lopiccolo. Fatto buon viaggio?” domanda cortese Ricardo.

“Sì” è l’unica risposta.

“Desidera qualcosa?”

“No”.

Ludmilla rimane a bocca aperta, perché le sembra che risponda a monosillabi ‘sì, no’, come se non conoscesse altri vocaboli.

“E’ pronta a venire con me e il dottor Lopapa, il magistrato che segue il caso, per identificare il cadavere? Oppure…”

“Sì!” afferma la donna chiudendo il discorso del commissario.

“Ci fai compagnia oppure ci aspetti qui?” domanda Ricardo, rivolgendosi alla ragazza.

“Vengo con voi” risponde prontamente.

Il commissario batte la mano sulla fronte come se si fosse dimenticato qualcosa.

“Che sbadato! Mi dovrete scusare ma mi sono dimenticato di fare le presentazioni. Signora Lopiccolo questa è Ludmilla Presente” dice indicando col gesto della mano la ragazza accanto alla quale è seduta.

La donna si gira e l’osserva in silenzio senza cambiare espressione del viso.

“La signorina Presente era la collega con la quale sua figlia divideva l’ufficio” precisa, nonostante Maria abbia lo sguardo assente.

Ludmilla borbotta qualcosa di vagamente assomigliante a un ‘piacere’, mentre Maria nemmeno quello.

Ricardo comprende che difficilmente riuscirà a farla parlare. Afferra il telefono e chiama Lopapa.

“Carmelo? Sono Paolo…Ricardo” esordisce. Ascolta in silenzio prima di riprendere a parlare. “E’ arrivata or ora la signora Lopiccolo. Tempo di prendere la macchina e siamo lì da te”.

Ancora silenzi seguono le sue ultime parole.

“D’accordo. Viene con noi anche la signorina Presente. A tra poco”.

Si alza e invita le due donne a seguirlo.

Lopapa è seduto nel suo ufficio e sta riordinando le carte con cura meticolosa. Legge il rapporto dei vigili, che è arrivato da poco sulla sua scrivania.

‘…nessun segno di frenata sull’asfalto. L’impatto è avvenuto a metà tra l’angolo di via Coramari e l’arco d’ingresso al parco Pareschi. La Smart ha deviato dalla sua traiettoria bruscamente. Ha sormontato il marciapiede e ha finito la sua corsa contro il muro di cinta del parco Pareschi. Inspiegabili i motivi della deviazione. Forse ha avuto un mancamento. In allegato ci sono fotografie e la pianta in scala del luogo dell’incidente…

Osserva con cura gli allegati. Non gli dicono nulla di nuovo. Sa il motivo di quello che a prima vista ai vigili è apparso strano. La ragazza al volante è morta istantaneamente per un colpo di fucile. Lo sbandamento inspiegabile è da imputare al suo accasciarsi sul volante.

Il commissario ha fatto un censimento delle telecamere in corso Giovecca. Apparentemente le ultime sono all’altezza della sede centrale della Cassa di Risparmio. Forse ce ne una anche qualche decina di metri più avanti. Si ripromette di contattare il comando dei carabinieri, perché appartiene a loro.

Impreca e sbotta con una parolaccia, perché non possono essere di grande aiuto nel ricostruire l’accaduto. “Quando servono, non ci sono mai!”

Le altre carte sono vecchie. Aspetta il responso del perito balistico, del medico legale. Suona il telefono. Sbuffa infastidito.

“Lopapa”.

Ascolta chi lo chiama.

“Ciao, Paolo. Novità? Stavo riordinando le carte. Non riesco a fare un passo avanti. Quando credo di aver capito la dinamica dell’incidente, appare qualcosa che scombussola le certezze. Scusa lo sfogo ma mi sembra di girare a vuoto. Dimmi tutto”.

Rimane in ascolto di quello che Ricardo gli dice.

“D’accordo. Allora ti aspetto qui. Al ritorno vorrei fare due chiacchiere con la signora Lopiccolo. C’è qualcosa che non quadra”.

Con la penna disegna dei cerchi e dei triangoli, mentre ascolta il commissario.

“Non sono molto contento ma va bene lo stesso. A tra poco. Ciao”.

Chiude la conversazione e prova a ricapitolare gli avvenimenti. Su un foglio di carta scrive dei nomi.

Felix con un punto di domanda accanto. Pure di fianco a Alex mette un interrogativo. Presente ‘potrebbe essere un mandante’.

Maria Lopiccolo ‘altro possibile mandante’

Killer ‘chi potrebbe essere?”

Ben Tarek ‘da approfondire’

Mister X ‘ da individuare’

Fa del foglio una pallottola di carta che butta nel cestino.

“Troppi interrogativi. Chi avrebbe avuto interesse a uccidere la Lopiccolo? Bella domanda. Conoscendo la risposta, potrei mettere le mani sull’assassino ed eventuali mandanti”.

Si prepara per uscire e si avvia verso l’ingresso.

Felice impreca per la sua dabbenaggine. Ha rischiato di palesarsi e di finire sotto inchiesta.

“Teresa, quella piccola puttanella, per poco non mi inguaiava con le sue continue richieste di soldi. Minacciava di dire tutto a mia moglie. Affermava che ero il padre del bambino che aveva in grembo. Un’autentica troia! Per fortuna che ora non c’è più”.

Ricorda come la ragazza l’aveva agganciato al bar e come si fosse dimostrata sfrontata.

“Sono uno stronzo patentato! Ci sono cascato come un tordo! Dovevo fare più attenzione! Una, che ti rimorchia al bar e che ti propone di passare la notte da lei, doveva farti scattare qualche campanello d’allarme. Invece, io no! Una, due, tre notti di passione in una casa che ora scopro non era la sua abitazione. Questo mi dà molto da pensare. Perché spacciare per casa sua qualcosa che non era sua?”

Scuote il capo e non riesce a darsi pace. Il suo timore adesso è che possano apparire dei video compromettenti. Sa che non potrebbe fare nulla. Ha lasciato troppe tracce per smentire un suo coinvolgimento nella faccenda.

Sarebbe per lui un disastro. Rischierebbe il posto nell’azienda della moglie, che chiederebbe subito la separazione.

“E’ lei, la megera, che ha i soldi. Se mi lascia, devo andare a dormire sotto i ponti e mangiare alla mensa della Caritas! Addio vestiti eleganti, macchine di lusso e vacanze da nababbo! Però quella ragazzotta dai capelli ricci ci sapeva fare! Altro che quel manichino freddo di mia moglie!”.

Felice riflette amaramente, mentre passeggia nervosamente intorno al castello Estense. Adesso la sua preoccupazione è la collega, quella bionda cavallona che lavorava con Teresa. Gliela aveva indicato l’amante ai primi di settembre. “Quella è …” gli aveva detto, mentre erano al bar a prendere un aperitivo. Il nome era insolito ma l’aveva scordato quasi subito. Il viso, invece, no, quello non poteva dimenticarlo. Un ovale incorniciato da stupendi capelli del colore del grano maturo. “No, l’ho vista molte volte. Quegli occhi chiari, credo azzurri, mi hanno colpito” riflette, mentre attraversa il Castello per l’ennesima volta. La figura non era il massimo per lui. A lui piacevano le donne in carne, dalle curve generose, mentre quella pareva più ossa che altro, a parte il fondoschiena sodo e bello da vedere. Anche le gambe ben tornite e slanciate l’avevano attratto. Però era Teresa la donna che è entrata prepotentemente nella sua vita e ha maledetto quel giorno di marzo, quando l’ha conosciuta.

“Se per caso la troietta si è confidata con lei, sarei fottuto. Sono molto sospette queste lunghe permanenze in questura. Cosa avranno da chiederle?” si domanda, mentre si siede su una panchina dei giardini accanto al Castello.

“Fermarla non posso. Mi tradirei. Se però…”.

Un pensiero gli balena nella testa.

Grazie, Mariarita

Nuova nomination e ringrazio Mariarita, che ha pensato a me, anche se forse non rientro nei parametri del premio che richiede meno di 200 follower. Ma va bene lo stesso.
Come è mio costume risponderò alle domande di Mariarita volentieri ma il gioco termina qui. E’ per quella specie di allergia alle catene di sant’Antonio.
Mi assoggetto volentieri alla tortura delle domande.

1) qual è il tuo più grande pregio? Non saprei. Lascio agli altri stabilire se ho dei pregi

2) qual è il tuo più grande difetto? La lista è lunga. C’è solo l’imbarazzo della scelta

3) perchè hai deciso di scrivere in un blog? Per vedere se qualcuno leggeva le mie schifezze. Ho trovato che nonostante tutto qualche temerario le ha lette.

4) cosa ti fa arrabbiare? Tutto e niente. Hai presente il fiammifero? Bene, eccomi servito.

5) cosa ti da pace? osservare le nuvole in cielo. Quelle bianche, s’intende.

6) il tuo piatto preferito? Tutto, purchè non siano presenti né aglio, né cipolla

7) a cosa non rinunceresti mai? a vivere

8) qual è il tuo colore preferito? giallo

9) qual è il tuo pensiero ricorrente? Sono tanti che ricorrono. Ho smesso di rincorrerli. Tanto sono più svelti di me.

10) meglio rimorsi o rimpianti? Nessuno dei due. Quel che è stato è stato e non torna più. Quindi è inutile avere rimorsi o rimpianti.

assolto al meglio questa incombenza, ringrazio nuovamente Mariarita

 

Grazie evarachele!

Come sapete ho una certa allergia alle nomination ma, quando qualcuno mi cita, raccolgo la nomina, ringrazio, rispondo se c’è da rispondere, ma tutto finisce qui.
Questa volta è Evarachele che ha trovato il mio blog degno di essere citato e io la ringrazio. Il premio, questa volta è questo

Dardos
Dardos

 
Le modalità sono leggermente differenti dagli altri e le motivazioni pure.
Il riconoscimento premia i valori personali, etici, culturali e letterari trasmessi attraverso la scrittura.
Wow! Che paroloni hanno usato! Comincio col ringraziare Evarachele per il pensiero. Secondo dovere assolto. Il primo era mostrare il logo del premio. Per il terzo, nominare 15 – diconsi ben 15 blogger -, beh! non lo assolvo. Potete mettermi dentro la vergine di Norimberga ma non cederò.
Grazie ancora, Evarachele
 
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Il mazzo di fiori – parte dicianovesima

Maria, la madre di Teresa, è sul treno che la sta portando al nord. In silenzio, seduta composta, sembra assente, come se il triste destino della figlia non la riguardi. Non ha bagaglio, salvo una borsa capiente, che stringe con forza al petto. Non sa dove dormirà stanotte, perché arriverà nelle prime ore del pomeriggio, troppo tardi per prendere il treno del ritorno. Viaggiare di notte non l’è mai piaciuto. Quindi il rientro a Lecce si farà alla luce del sole. Il dubbio di non conoscere dove passare la notte non l’impressiona, né è in cima alle sue meditazioni. E’ concentrata su altri aspetti della vicenda.

Immersa nei suoi pensieri, riflette su Teresa e pensa che la figlia doveva tornare con lei a San Cataldo, quando tre anni prima aveva deciso di rientrare nella città di origine.

Quiδδa caruseδδa aggiu mmeretatu!1” riflette amaramente. “Quandu lu ciucciu nun bole qu bia macari ca fischi2”.

Ricorda bene che la figlia aveva opposto un netto rifiuto. “No, a Lecce non ci torno, se non da morta!” aveva esclamato dopo l’ennesimo litigio. E quella frase le è rimasta impressa nella mente. “Vabbene, tie portu a ccasa, figghia mia! Criettu!3” dice silenziosamente, mentre con lo sguardo assente osserva la campagna emiliana.

Il marito era scomparso sei anni prima, volatilizzato nelle ombre nebbiose della bassa ferrarese. Teresa si era laureata nel frattempo ed era alla ricerca di un lavoro. I risparmi si stavano assottigliando pericolosamente. A lei Ferrara non era mai piaciuta. Troppo fredda d’inverno, troppo afosa e umida d’estate. E poi la fatica a comprendere una parlata poco familiare aveva contribuito e acuito la sua cattiva predisposizione verso la città.

Sisina, nvece àggiu tittu none e nnone à bèssere4” ricorda con amarezza il rifiuto della figlia a scendere a Lecce. “Comu penzu de campare, figghia mia?5” “Mi trovo un lavoro, mamma. Come tutti”. “A ccasa ài stare!6”.

Scuote il capo, perché sa che è come lei. Se ha un’idea, un progetto, non gliela toglie nessuno dalla testa e ci prova, finché non raggiunge l’obiettivo. “Su’ capitetrozza comu mmie7”. Non si stupisce della morte violenta di Teresa. Glielo aveva detto più di una volta che sarebbe finita male ma lei testardamente non l’aveva mai ascoltata. “Sapìa comu sarìa finitu mmale8.

Il treno rallenta per entrare in stazione a Ferrara e Maria si prepara a scendere. Apre la mano sinistra per leggere il biglietto che tiene stretto da molte ore. ‘Nell’atrio troverà un poliziotto in borghese con un cartello sul quale c’è il suo nome‘. Lo conosce a memoria, l’ha scritto lei ma vuole leggerlo di nuovo.

Scende titubante e si dirige verso l’atrio. Vede il cartello. Si avvicina e dice: “Sì’, Maria”. Docilmente lo segue fino all’auto di servizio.

Ludmilla fa il suo ingresso in questura e non deve dire nulla. Un poliziotto l’accompagna da Ricardo senza fiatare.

“Ciao” le dice, non appena fa capolino nella stanza.

La fa accomodare su una poltrona davanti alla scrivania.

“Hai mangiato qualcosa?” le chiede premuroso.

“No” risponde asciutta la ragazza.

“Bene… o meglio male!” replica ridendo il commissario. “Faccio portare panini e tramezzini… Hai preferenze?”

“No”.

“Al prosciutto crudo, insalata e maionese possono andare?”

“Sì”.

Ricardo sorride e capisce che la ragazza gli tiene il broncio con giusta ragione ma è il suo mestiere e non può avere indulgenze.

“Da bere?” le chiede con gentilezza.

“Acqua minerale fredda e naturale” gli risponde freddamente.

“Bene” e prende l’interfono per fare le ordinazioni.

Cala il silenzio, che il commissario interrompe.

“La Lopiccolo aveva una relazione?”

“No, che io sappia” replica gelidamente Ludmilla, cercando di nascondere la verità.

“Eppure…” insiste il poliziotto.

“Perché?” domanda la ragazza.

“E’ strano che una bella ragazza non avesse nemmeno un corteggiatore” dice, osservandola negli occhi. “E tu?”

Ludmilla sobbalza per cambio repentino di soggetto. Arrossisce prima di ritrovare la parola per rispondere.

“Io?” afferma, facendo una smorfia. “Io? Nessuno”.

“E il misterioso mazzo di fiori?” la incalza Ricardo.

“Non saprei. Se c’è, è talmente segreto che non lo conosco” esclama ridendo, gettando all’indietro i lunghi capelli biondi.

“Nemmeno un’idea?”

“Neppure l’ombra!”

“Non me la conti giusta sulla Lopiccolo!” afferma Ricardo, tornando all’argomento originario.

“Perché?” chiede la ragazza, tradendo un filo di affanno.

“Affermi di ignorare che la Lopiccolo aveva una relazione. Eppure non sei convincente”.

“Dico la verità!”

Qualcuno bussa alla porta, traendola dall’impaccio di continuare a negare. “Avanti” urla Ricardo. Un poliziotto porta un vassoio con panini, tramezzini, acqua e birra. “Grazie” gli dice il commissario congedandolo con il gesto della mano.

“Giri sempre in bicicletta?” le chiede Ricardo.

“Sempre” risponde con la bocca piena la ragazza.

“Ma non vai al Lido, mai?”

“Oh! No!”

“E come?”

“Col pullman. Si ferma poco distante da casa”.

“Ma dove abiti?” si informa il commissario. Sa perfettamente dove ha l’appartamento ma finge di ignorarlo.

“Una traversa di via Pomposa” replica Ludmilla.

“Perché non hai accettato il passaggio della Lopiccolo con la Smart?” chiede a tradimento Ricardo.

“Preferisco il pullman” risponde la ragazza, ignara del tranello.

“Eppure l’altro giorno hai affermato che la Lopiccolo non aveva la patente, né una macchina?”

Ludmilla si morde il labbro inferiore. Ha abbassato la guardia e lui ha colpito. Ormai non può affermare che non era a conoscenza che Teresa guidasse a avesse una macchina. “Non sarei credibile. Però tu sei un fetente!” dice a se stessa, sostenendo lo sguardo del commissario.

“Non hai risposto” la incalza il commissario.

“Cosa dovrei dire? Anche se affermo il contrario, lei non mi crede” replica furibonda.

Ricardo nota immediatamente il cambio di tono e l’uso del ‘lei‘ al posto del tu.

“Se mi dici la verità, ti credo” dice sornione il commissario.

“La verità è che ignoravo che Teresa possedesse una macchina” afferma con decisione Ludmilla, fermamente decisa a uscire dall’impasse nel quale si era cacciata.

“Conosci qualcuno che si chiama Alex o Felix? Che ne so, colleghi o amici?” dice Ricardo cambiando volutamente di nuovo argomento.

“E chi sarebbero?” replica la ragazza con un’altra domanda.

“Se te lo chiedo, vuol dire che non li conosco” afferma il commissario, fingendo di ignorare dove ha trovato questi nomi.

“E perché dovrei saperlo io?” dice Ludmilla, scansando il nuovo tranello.

“Lavorava in ufficio con te. Avresti potuto ascoltare una sua conversazione” continua subdolamente.

“In ufficio parlavamo solo di lavoro. Mai di questioni private”.

“Beh! Non ci sono solo i telefoni… esistono anche i diari, le agende, i post-it, le mail…”.

“Non è mio costume leggere i diari o le agende private degli altri…”.

“Ah! Dunque sapevi che teneva un diario…” Ricardo si ferma per un attimo prima di riprendere a parlare e porle una domanda subdola. “Tu hai un diario personale?”

“Sì, ma lo tengo in un cassetto di casa” risponde senza riflettere bene sulla risposta.

“Quindi, eri a conoscenza che la Lopiccolo teneva un diario?”

“Sì ma…”

“D’accordo. Non l’hai letto ma sapevi che lo teneva in ufficio” insiste il commissario, vedendo la ragazza sempre più impacciata.

“No. Non ne ero a conoscenza fino all’altro giorno, quando l’avete preso” dice con tono convincente.

“Va bene. Ma sei sicura di non aver mai sentito questi due nomi: Alex e Felix?”

“No”.

“Tra le tue conoscenze non c’è nessuno con questi nomi?”

“No ma potrebbero essere nomi di fantasia…”.

“Come fai a saperlo?”

Ludmilla si morde il labbro inferiore, facendo uscire una goccia di sangue.

“Non lo so. Una semplice idea o intuizione. Nulla di più” prova a rimediare la ragazza.

“Eppure l’hai detto con un tono persuasivo. Come se quei nomi tu li avessi già letti!”

“No, no!” afferma cercando di essere creduta. “Mai sentiti prima!”

“E va bene…”

Sta per aggiungere qualcosa, quando bussano alla porta.

“Aventi” urla spazientito Ricardo, furioso per aver interrotto l’interrogatorio della ragazza.

“Dottore, è arrivata Maria Lopiccolo. Che facciamo?” chiede il poliziotto che si affaccia sulla stanza.

“Falla passare” risponde irritato.

1Trad. Quella ragazza ha meritato

2Trad. Quando l’asino non vuole sentire, è inutile chiamarlo. – detto salentino

3Trad. Sì, ti porto a casa, figlia mia! Morta finalmente e malamente!

4Trad. Teresa, invece ha detto no e deve essere no

5Trad. Come pensi di vivere, figlia mia?

6Trad. A casa devi stare!

7Trad. E’ una testarda come me!

8Trad. Sapevo che sarebbe male