Fantasmi – parte prima

Era il 22 luglio del 1961. Era una giornata torrida come i giorni che l’avevano preceduta. tanto che nemmeno le cicale avevano la forza di frinire, sfinite dal caldo e dall’aria rovente.
Marco aveva terminato il giorno prima la maturità scientifica e aspettava che anche gli amici fossero liberi da impegni per partire per il sospirato campeggio di Milano Marittima. Non era il suo vero nome, perché quello originale era davvero orribile: Olindo. Alla fine aveva optato per il troncamento del suo lungo cognome, Marconaldo e come tale era conosciuto da amici e parenti. Viveva coi genitori, la sorella e suo cognato in un grande palazzina stile liberty, posta lungo il vecchio ramo del Po di Primaro, circondata da un vasto giardino. Era stata fino al 1945 la casa del podestà di Ferrara ed era diventata la sede delle SS durante l’occupazione nazista di Ferrara. Lì erano arrivate molte persone ma ben poche ne erano uscite. La gente la chiamava la ‘casa degli spiriti‘ o ‘la casa maledetta‘, perché sostenevano che nel passarvi accanto si udivano ancora i gemiti delle persone torturate a morte e di notte vagassero i loro spettri in cerca di pace. Quando nell’aprile del 1945 Ferrara venne liberata, la casa rimase desolatamente vuota, perché gli occupanti avevano preferito fuggire nottetempo per non incappare nelle vendette dei partigiani. Nel vasto giardino, rimasto senza cura, crebbero rigogliose le erbacce con ospiti poco graditi: topi enormi e bisce d’acqua. Venne spogliata, ridotta in cattivo stato ma nessuno osò occuparla, perché alcune voci incontrollate dicevano che, chi aveva tentato di abitarla, era finito male. Quanto di vero ci fosse in queste dicerie, nessuno lo sapeva ma ognuno le alimentava con nuovi particolari agghiaccianti, finché nessuno dubitò della loro veridicità. In pratica rimase abbandonata a se stessa, senza che qualcuno osasse rivendicarne la proprietà. Tutto questo durò fino all’estate del 1949, quando Aldo Marconaldo con la moglie, Ersilia, e i due figli, Olindo e Genoveffa, la occupò, fregandosene di tutte quelle voci, che predicevano sventure.
Per non apparire degli abusivi cercarono senza troppo successo i legittimi proprietari o i loro eredi per regolarizzare l’affitto. Aldo, migrato dal vicino Veneto, aveva aperto sul Listone un esercizio di alimentari, che prosperava bene. La moglie lo aiutava dietro il bancone. Marco, che all’epoca aveva sei anni, con la sorella di dieci frequentavano le scuole elementari vicino alla Basilica di San Giorgio. Ben presto tutti dimenticarono quelle dicerie, salvo i più anziani che accuratamente evitavano di passare accanto. Scuotevano la testa e per nessuna ragione al mondo avrebbero posto un piede al suo interno.
Dopo essere entrati i Marconaldo cominciarono a sistemarla, riparando gli infissi rotti o asportati, ripulendola tutta con esclusione delle cantine poste nel semiinterrato. Un anno dopo rintracciò gli eredi del podestà, ucciso nella concitazione del dopoguerra, ai quali non parve vero disfarsi di quella palazzina macchiata di sangue innocente.
Nonostante tutte le chiacchiere, la famiglia Marconaldo si trovò bene in quella casa, fin troppo grande per loro. Al piano rialzato c’era l’ingresso su cui si aprivano le porte delle varie stanze e l’elegante scala che conduceva al primo piano, che adesso era parzialmente occupato dalla sorella col marito. Da una botola si accedeva al sottotetto, vasto quanto la casa e sufficientemente alto per restare ritti. Qui inizialmente vennero ammassati i mobili del precedente inquilino e poi tutto quello che nel corso degli anni venne dismesso da loro. Al semiinterrato, che al tempo dell’occupazione nazista era stato trasformato in luoghi di tortura, si accedeva tramite una scala in ardesia, chiusa da una porta in massello di noce pesante e robusta. Questa per ordine di Aldo doveva rimanere sempre chiusa e per nessun motivo ci si poteva accedere.
“Serve per tenere lontani gli spiriti dei morti, affinché nessuno li possa disturbare. Devono riposare in pace” disse il primo giorno di insediamento nella casa con tono autoritario e categorico. Tutti rispettarono il dettame di Aldo e mai fu violata quella disposizione.
Anche il grande giardino con gli anni ritornò ai vecchi splendori, anche se ultimamente si faceva sempre più fatica a tenerlo in ordine.
Quell’enorme villa di dieci stanze più due bagni, l’enorme cucina con camino e la lavanderia, che Aldo aveva pagato pochi soldi, adesso valeva una piccola fortuna, se avesse voluto venderla. Sapeva che era sproporzionata rispetto alle loro esigenze ma ormai faceva parte del suo DNA. Non l’avrebbe mai venduta, nemmeno se l’avessero ricoperto d’oro.
Quel 22 luglio Marco si aggirava annoiato e accaldato con solo un paio di calzoncini corti e sandali alla ricerca di qualcosa che lo tenesse occupato durante la mattinata. I genitori erano nella nuova bottega di Via Garibaldi, sempre piena di clienti, mentre la sorella e il cognato erano al lavoro in città. Lui era l’unico abitante della casa. Gli amici più intimi erano disponibili solo nel pomeriggio, quindi le ore della mattina era interminabili.
“Leggere un libro?” si disse, guardandosi intorno. “Troppo caldo! E poi per un mesetto non voglio sfogliare la pagina di nulla! Nemmeno del giornale! La maturità mi ha stressato!”
Poteva girare a occhi chiusi per le stanze della casa. In giardino si soffocava dall’afa. Decise di salire nel sottotetto a vedere se c’era qualcosa di interessante. Aperta la botola, lo ispezionò con cura tra ragnatele e polvere senza scoprire niente di nuovo che non conoscesse da una vita. Ridisceso al piano rialzato passò davanti alla porta delle cantine lucida e lustra ma cocciutamente chiusa. Marco sapeva bene dove si trovava la chiave per aprirla. Era infilata su un chiodo sopra l’architrave in legno. Era rimasta sempre lì, in bella vista senza mai suscitare curiosità o voglia di trasgredire gli ordini del padre.
Però quel giorno era particolare e il caldo fece la sua parte.
Il ragazzo si alzò in punta di piede prendendola e aprì quella misteriosa porta, che cigolò paurosamente sui cardini ormai arrugginiti. La scala era in penombra e a fatica si distinguevano i gradini. Non arrischiò di accendere l’interruttore, perché di sicuro i fili elettrici rischiavano un corto circuito. Riaccostatala, andò a prendere una torcia nella sua stanza. Riaperta con cautela una potente zaffata di umidità, mischiata all’aria viziata di muffa e di chiuso, lo investì con prepotenza, facendolo retrocedere per un attimo. Poi diresse la luce della torcia verso il basso sui gradini che conducevano di sotto. Scese con circospezione, perché erano scivolosi per l’umido deposto dai molti anni di chiusura. Fatti pochi scalini si chiese per quale motivo stava affrontando questa discesa.
“Eppure non sono mosso dalla curiosità di vedere” disse ad alta voce per darsi coraggio.
Marco aveva sempre rispettato il divieto del padre senza porsi eccessive domande, perché gli erano stati inculcati valori, per i quali era rispettoso di doveri, principi e regole. Questa era la prima volta che trasgrediva una proibizione. Rimase fermo senza scendere o risalire, incerto sul da farsi. L’aria gli prese la gola come se fosse animata da una mano reale, che gliela artigliava, stringendola. Gli mancò il respiro e la vista gli si annebbiò. La torcia stava quasi per scivolargli dalle dita, quando allargò il torace per inghiottire più ossigeno che poteva senza modificare quella strana sensazione di oppressione. Nonostante faticasse a respirare con regolarità, prese la decisione di procedere nella discesa. Voleva vedere cosa si annidava in quelle stanze chiuse da oltre quindici anni.

I tre desideri – parte terza

Continuo io per te,
ma chissà se sarà vero
quello che segue.
Ora non ho più disegni della mente.
Non ho più idee come fondamenti della realtà,
come le descrive Platone.
Non ho più modelli visivi
per una vita giusta e saggia.

Ma chi sono io?
Ora è tempo

di dedicarmi a te,
di conoscere
la tua anima.

Questa è la poesia che Deborah mi ha scritto sul blog. Ho sorriso, quando ho letto questi versi. Mi sono sembrati privi di senso ma non potevo dirglielo in faccia. Si sarebbe offesa. Però collimavano con quello che ho pensato come terzo desiderio. Così ho deciso di usare queste parole per commentare il post.
Prima devi saggiare quella sensitiva per conoscere a fondo il carattere, sorridere del temperamento e stupirti della spontaneità della psiche‘.
Mi ha risposto che, per arricchirti con gli strumenti della tua anima sensitiva, devi divenire consapevole della mente, visitare coscienza e ragione, appropriarti dell’anima razionale di chi ti sta di fronte. A questo punto non avrai paure, quando sei sugli estremi confini della tua vita.
Mi sono sembrate parole sagge.
In effetti si deve godere della bellezza e dell’emozione della tua intelligenza per trasferirla nelle parole compiutamente e consentire agli altri di essere parte della tua creativa sensazione. Solo in questa maniera riuscirai ad esplicitare la tua generosità nei loro confronti.
Ecco come il terzo desiderio prende forma e sostanza: per giungere alla vera creatività bisognerà che si passi per la strettoia dell’integralità della esperienza umana, abbandonando il mondo virtuale per scendere in quello reale, fisicamente concreto. Però rispetto ai primi due veramente intuitivi devo cercare di semplificare il concetto. Quello che desidero è vivere tutti i giorni, osservando chi mi sta intorno per arricchire la mia anima. Ogni momento sarà vissuto come se fosse l’ultimo per godere ogni istante e trasferirlo in uno scritto che rimarrà anche dopo, quando non ci sarò più. Chiederò al genio della lampada la capacità di sintetizzare con le parole tutto il mondo che mi circonda.
Non importa quanti anni avrò a disposizione per fare questo. Va fatto e poi, una volta raggiunta la profondità del nostro essere creativo, potremo fare partecipi gli altri della bellezza del nostro essere. Non importa quale strumento userò o in che modo riuscirò a incontrare tutti quelli che ho conosciuto, conosco o conoscerò per raccogliere le loro esperienze di vita. Coinvolgerò gli altri in tutto quello che avrò appreso senza tralasciare nulla, nessun dettaglio. Tutti dovranno godere della profondità delle scelte che ho operato, perché saranno i benvenuti nella casa, che voglio edificare.
Già qualcosa ho cominciato ad accantonare come le parole, che Jacopo ha condiviso con me. Non è possibile descrivere la sensazione di incomparabile commozione nel leggerle:
… Sono più sereno, a volte felice. E allora ne approfitto e tiro il fiato senza paura, senza inganni o false speranze. Mi godo questo momento in cui l’aria entra nei miei polmoni e aspetto tranquillo il momento in cui dovrò lasciarla andare. 
Ed è così, a volte la vita ci mette la cornice e tu le decisioni. Ma non sempre ci sono entrambe allo stesso momento. Non sempre, oppure sì, dipende da ognuno di noi, da cosa ci tocca. Sorte. Suerte. 
Piccole cose e momenti. E’ tutto qui….
Ma anche i versi di Iris mi hanno colpito.
Per scrivere ci vuole coraggio,
come, quando vivi.,

e immaginazione
di un inesistente fine,
che continuerai 
a guardare
fino all’ultimo punto.
E ancora.
E ancora…

E ancora quelle di Anna Maria
… Amare è anche lasciarsi e lasciarti andare. 
E io ti lascio allora, piano piano, per non farci troppo male. Come fanno rumore i nostri cuori …”.
e ancora, quelle di Marco, le ultime che ha pronunciato e che mi hanno commosso “… non ho paura. Sono solo stanco…”.
Pensandoci bene questo terzo desiderio lo potevo esprimere anche domenica scorsa. Non so il perché mi si è inceppata la mente.
Oggi è domenica e sto andando all’appuntamento. Mi sento più sollevata. Distendo l’asciugamano sul ciglio erboso del lago, esattamente nello stesso posto dell’ultima volta. La sorte ha voluto che nessuno lo occupasse prima di me. Mi appoggio sulla schiena e osservo il cielo che è pulito con qualche nuvola bianca che corre veloce verso un destino che non conosco ma che mi piacerebbe indovinare.
Aspetto che lui, il genio della lampada si faccia vivo. Mi addormento al sole, finché qualcuno non mi dà un colpetto sulla spalla.
“Signorina, signorina…” dice una voce che pare proveniente da lontano.
 
FINE
Ma gli occhi rimangono chiusi e la voce svanisce.

I tre desideri – parte seconda

Dopo una giornata di sole e di emicrania spacca cervello ho preso la strada del ritorno. In macchina non sono riuscita a distogliere il pensiero dal terzo desiderio che con abile gioco di parole si faceva desiderare. Arrivata a casa, mi sono domandata se il mal di testa fosse sorto al momento del risveglio o per colpa del genio della lampada. Il quesito è rimasto senza risposta ma non ho risolto il dilemma nemmeno nel sonno. Dunque sono due gli aspetti da definire nella settimana che sta facendo capolino: il terzo desiderio e il motivo dell’emicrania.
Dunque se per il terzo desiderio troverò una maniera per estrarlo dalle pieghe della mente, per l’altro quesito irrisolto qualcuno dirà che in una donna il mal di testa è una normalità come se facesse parte della sua natura. Eppure per me è un’eccezione, perché non ne ho mai sofferto fino a quella domenica mattina! Ho sperato che la notte portasse via con sé questa fastidiosa e depressiva emicrania ma non è stato in realtà il risultato auspicato. Mi sono risvegliata il lunedì mattina con ancora questa antipatica cefalea e mi sono detta ‘Pessimo inizio di settimana‘. Cosa posso farci se sono fatta così.
Durante la colazione, che di norma mi fa cominciare col piede giusto la giornata, non riuscivo a percepire i sapori, perché sono mischiati con i due pensieri fissi, che mi sto trascinando da ieri.
“La settimana non si prospetta favorevole” mi sono detta, mentre mando giù l’ultima sorsata di caffè. E in effetti non si può dire che sia stata esaltante col senno del poi.
I giorni si sono susseguiti monotoni e uguali tra loro, se non fosse stato per Martina e Mario, gli amici di una vita, per Enrico e Deborah, gli amici virtuali sul web, i quali con la loro presenza mi hanno illuminata e rasserenata.
Se domenica non sono riuscita a precisare il terzo desiderio, ci sono arrivata oggi, dopo aver ascoltato la storia di Martina, dopo avere parlato con Mario, dopo avere letto le parole di saluto di Enrico su twitter e la poesia di Deborah sul blog.
Oggi è venerdì e tra due giorni tornerò in riva al lago con la speranza che il genio della lampada si faccia vivo e non mi tenga il broncio. Domenica scorsa ci siamo lasciati con un po’ di ruggine, perché ho messo in dubbio le sue capacità professionali. Eppure doveva comprendere il mio modo scettico di ascoltarlo, perché era la prima volta che mi capitava di parlare con uno della sua specie. E’ vero che c’è stata in passato la storia di Aladino e della lampada magica che strofinandola esaudiva tutti i desideri. Però domenica il genio non è uscito dalla lampada ma è apparso all’improvviso sulla mia spalla. A mia discolpa devo ammettere che l’emicrania che mi trapanava il cranio era il peggio che mi potesse capitare per una che non ne ha mai sofferto.
Caro Genio della lampada, nota la finezza della g maiuscola, sono una ragazza che ama il mondo e lo vive reale e virtuale. Quindi quando mi sei apparso, mi hai destabilizzato. Avevo delle certezze che i personaggi delle favole vivono solo lì. Però tu comparendo in maniera fisica mi hai resa dubbiosa che voi, protagonisti immaginifici dei libri, siate fisicamente come me”.
Era questa più o meno la chiacchierata che gli volevo fare tra due giorni scarsi ma in un lampo di genio ho fulminato la lampadina delle idee per la troppa foga nella quale ci ho messo per esprimere il famoso terzo desiderio. Dovrò sostituirla, sperando di averne una di scorta.
Procediamo con ordine, perché il lettore si sta spazientando e perché pretende chiarezza, che in questo momento mi manca. Dunque dicevo: ho ascoltato un racconto di Martina l’altro ieri e ho cominciato a ruminare su quanto avevo udito. In realtà, dovrete perdonarmi ma a volte sono troppo impulsiva, la narrazione è avvenuta a spizzichi e bocconi, in più rate e l’ho dovuta assemblare per renderla completa. Non mi pareva vero che potesse succedere una storia simile. Sono stata tentata di non crederle e ho espresso i miei dubbi ieri sera a Mario, mentre prendevamo un aperitivo al Sushi Bar. Questo è il locale più in della movida cittadina. Per avere un posto in piedi si deve sgomitare e talvolta non ci si riesce nemmeno. Giovedì sera, a me piace fare la trasgressiva in questa giornata che nessuno ama. Giovedì sera, come quasi tutti i giovedì sera, salvo impedimenti, io e Mario c’incontriamo al Sushi Bar e non dobbiamo sgomitare per avere un posto dove chiacchierare. Il locale è regolarmente vuoto, se vuoto si può concepire, quando nessuno sta in piedi in attesa e tutti i tavoli sono occupati. Io prendo il mio Negroni, lui un Aperol Spritz. Tutte le volte diciamo di cambiare ma alla fine ordiniamo sempre queste due bevande con arachidi e altre porcherie che non fanno bene alle nostre arterie. Ma non divaghiamo. Gli dico quello che Martina mi aveva detto la sera prima.
Volare in formazione, forse è il volo che pratichiamo in un luogo virtuale. Ognuno di noi vola solitario e in silenzio nella sua vita quotidiana ma, quando incontra gli altri in questo spazio senza dimensioni e senza tempo, si sente in formazione e comunica senza neanche guardare o toccare, proprio come fanno gli uccelli, si «sentono»‘.
Inizialmente mi sono messa a ridere, suscitando l’ira di Martina, che ha cambiato argomento. Poi mentre prendevo sonno, ho capito che non dovevo ghignare ironica. Il concetto era terribilmente serio ma ormai la frittata era fatta e non potevo di certo telefonarle alle due di notte per scusarmi dell’inopportuna risata. Avrei rischiato, anzi avrei avuto la certezza di prendermi un vaffa grande come una casa di sei piani. Dunque ne ho parlato con Mario, che mi ha appoggiato una mano sul braccio e mi ha detto: “Forse Martina voleva raccontarti una storia ma tu l’hai gelata con quella risata infelice”. Sì, gli risposi. Martina aveva iniziato a parlarmi di un ragazzo conosciuto sul web e poi aveva virato su quella frase, che a ripensarci bene contiene molte verità. “Beh” ha aggiunto Mario. “Telefonale e chiedile scusa”. Già fatto stamattina ma si è chiusa a riccio, quando ho cercato di domandarle del ragazzo. Ha finto di non avere capito la mia domanda. “Beh! E tu rifargliela. Vedrai che ti risponderà! Ma devi apparire senza incertezze di essere una donna seria e curiosa e non la solita impertinente che sembra voler prendere per i fondelli le persone”. Lui ha ragione sempre, mi capisce al volo e ride, quando faccio le mie battute spiritose, che non devono essere molto efficaci, perché gli altri mi mandano senza mezzi termini e tranquillamente a quel paese.
Stamattina ho seguito il suo consiglio e ho telefonato a Martina, chiedendole nuovamente scusa per mercoledì, perché ho riso sguaiatamente su un’affermazione molto seria. “Mi volevi parlare di …” ho cominciato, mentre sorseggiavo il caffè. “Sì, di Davide…” rispose con un sospiro. Mi sono sentito felice, perché non aveva ringhiato e non mi aveva detto ‘vaffa‘. E comincia a raccontare di questo ragazzo, conosciuto sul web, che vorrebbe vedere e toccare di persona. Sentendo queste parole il terzo desiderio prende una forma e diventa qualcosa di più di una chimera irraggiungibile. Finalmente un raggio di sole è entrato nella mia mente a dissolvere l’emicrania che per tutta la settimana mi aveva fatto cattiva compagnia.
Adesso ho delle certezze corroborate dalla chat con Enrico, che mi ha proposto il poeta che ama. Per descrivere il senso del silenzio usa delle parole meravigliose, almeno questo sembrano alle mie orecchie.
Quello spirito gentil ch’entro mi rugge
s’attarda, latita, segue l’onde del tempo
e s’allontana

Non ho avuto il coraggio di chiedergli chi aveva scritto quei versi, per non apparire un’analfabeta della poesia. Però gli devo domandare chi è, perché mi risuonano nella testa come un’onda melodiosa.
Stavamo parlando del silenzio, di come nell’immensità di questo sgorga spontaneo la creatività. Non ho osato contrastarlo, perché affermare, che il silenzio mi mette paura, lo mette di cattivo umore. Ci tengo a Enrico. E’ un compagno virtuale discreto e puntuale. Non manca mai al nostro appuntamento serale. E così è stato anche ieri sera, dopo il rientro dal Sushi Bar.
Dopo quei pochi versi del poeta che non ho riconosciuto ha continuato a parlare di silenzio, di creatività, di voler trasformare gli ideali in atti compiuti, reali e concreti. Mi ha confidato che sta scrivendo qualcosa, che va a strappi.
Ho tradotto ieri notte le ultime memorie, gli ultimi desideri, le ultime parole costruite intorno a idee ed ideali. Ma in questo momento, nel fresco e silenzioso isolamento della sera, sento fluire lontano lo spirito creativo” mi ha detto.
L’ho consolato, perché l’ispirazione può nascere nel silenzio della notte ma può svanire un istante dopo.
Il terzo desiderio assume la sua forma precisa. Adesso so cosa dire.

I tre desideri – parte prima

Per un interno sentiero

voglio viaggiare,
scoprire cose mai viste dagli occhi.
Voglio nutrire la mia coscienza

con pensieri occulti,
perché un giorno vengano

allo scoperto

e possa esprimerli

con chiarezza.

Voce narrante

Domenica scorsa ero al lago. Insieme a una terribile emicrania. posato lì sull’asciugamano accanto al mio capo, come un fardello da portare per tutto il giorno, ho visto improvvisamente lui, il genio della lampada. Stava con fare pensieroso in silenzio sulla mia spalla, leggero come un piccolo ciottolo di fiume. Era fumoso, tenue, trasparente, come se con una sagoma troppo netta, tagliente, colorata non volesse offendere la mia vista già provata dal dolore, che mi portavo dal risveglio.

il genio della lampada

Quando l’ho messo a fuoco, mi ha detto sussurrando: «E’ il tuo turno. Non puoi attendere ancora, devi esprimere i tuoi tre desideri. O adesso o mai più. E’ arrivato il momento».

Devo ammettere che è stato furbo nel presentarsi. Non ha scelto le prime ore della mia giornata per parlare, quelle in cui la mia razionalità è ancora intorpidita dal sonno, dai sogni appena dismessi. In quei frangenti la mia mente non ha dispiegato per bene le ali mentre i pensieri vagano ancora liberi nei meandri delle sinapsi, preoccupati, disperati. Sanno che, se non li fisserò subito, durante la giornata spariranno e si perderanno per sempre. Io sono fatta così e me ne vanto.
Mentre osservo rilassata il genio, lui mi aspetta senza fretta. Rimane in attesa che io decida cosa voglia. La prima riflessione, che si presenta, è che nessun desiderio potrebbe essere soddisfatto, se fosse materiale. E’ un concetto che qualcuno ha espresso con parole, che non saprei descrivere meglio. Dunque è inutile provarci, perché sono consapevole che avrei sprecato un’opportunità.

Il secondo pensiero è una domanda: ‘Ma cosa c’è di immateriale che io desideri raggiungere o che desideri non perdere con tutte le mie forze?

Però sto perdendo tempo. Lo vedo, il signore della lampada, che batte il piedino sulla mia spalla impaziente di ascoltare la mia voce ma non riesco a decidermi sui desideri da esprimere.
Poi, come se la mente si fosse svuotata col rumore sordo dell’acqua che scorre veloce verso il basso, arriva il primo desiderio. Mi accorgo che è il più importante, perché li racchiude tutti: la capacità di amare. Lo conosco a fondo, mi è costata lacrime e sofferenze. So che, una volta acquisito, difficilmente non lo perderò. Suvvia, non sorridete con quel sorriso maligno, perché è una richiesta seria. Il genio della lampada cosa ci starebbe a fare se non per darmi la sicurezza di qualcosa che conosco bene e che, proprio per questo, so che sia essenziale per la mia vita?

Lui mi guarda stupito, perché ci ho messo troppo tempo per formulare questo desiderio che è in cima a tutti i pensieri. Annuisce soddisfatto. Adesso si aspetta che vada più rapidamente nel manifestare gli altri due.
Come d’incanto, come se i lacci, che mi tenevano vincolata a terra, si fossero sciolti, ecco arrivare il secondo: ‘è l’avere la capacità di volare con la fantasia, finché avrò energie, finché avrò respiro’. Gli chiederò senza timori che mi dia questa capacità di provare tutte le variazioni e sfumature sul tema. Un volo rapido, lento, alto, basso, radente, sicuro, leggero, virato, planato, veleggiato, battuto, in caduta, saettato, tuffato, rimbalzato, frullato, rifrullato, impennato, librato, a campanile, a onda, a piombo, saettato, spiegato, solitario, ordinato, in riga, a punta, in formazione, repentino. Non ne avrò mai abbastanza. La fantasia non deve avere briglie sul collo
Il genio della lampada mi ha guardato soddisfatto, perché questo secondo desiderio era quello che aveva immaginato.

Di nuovo mi sono inceppata, gli ingranaggi si sono bloccati e non è uscito più niente dalla mia mente. Gli ho chiesto se mi concedeva la settimana che sarebbe cominciata domani per formulare il terzo e conclusivo desiderio. Lui mi ha guardato con un sorriso maligno sulle labbra. ‘Forse‘ è stata la risposta, prima che si dissolvesse in una nuvola di pensieri. Io sono rimasta lì con la testa posata sull’asciugamano in compagnia dell’emicrania a meditare su quel forse, che voleva dire tutto e niente. La prossima domenica sarò ancora qui, in riva al lago, con la speranza che il capo sia sgombro di pensieri negativi.

Sono rimasta tutto il giorno in uno stato di dolorosa percezione di essere inadeguata, perché non sono riuscita a palesare tre parole, tre frasi, tre concetti. Mentre ragionavo su di me mi sono posta la domanda: ‘I primi due desideri rimangono validi oppure no in assenza del terzo?‘ Non è una domanda oziosa la mia. Perché la fantasia non ha volato affatto e la capacità di amare non ha fatto capolino dentro di me. Il genio della lampada ha millantato del credito che non ha?

Mentre riflettevo su questo, ho sentito una fitta più dolorosa nella testa, come se volesse scoppiare. Mi sono girata e l’ho visto che mi punzecchiava infastidito. Ho compreso che è meglio non dubitare di lui.

Grazie Anjana!

Una bella ragazza da Dubai, Anjana, ha deciso di propormi per un premio Liebster Award e la ringrazio. Come faccio di norma, solo allergico alle catene, non nominerò nessuno. Così non faccio un torto a nessuno.
liebster2
Pubblicherò il logo e risponderò alle domande che sono in inglese. Naturalmente le risposte saranno rigorosamente in italiano, sperando di non toppare clamorosamente la domanda.
1. What inspires you? Cosa mi ispira? Tutto. qualsiasi persona o oggetto è una fonte di ispirazione. Per te non lo so.
2. Your biggest dream? Il mio più grande sogno? Sono tanti e ve li risparmio
3. Where do you see yourself in 3 years time? Tra 3 anni io sono più vecchio di tre anni
4. If you were allowed to make ONE miracle happen, what would it be? Miracoli? Non credo di essere Dio. Mi è sufficiente essere me stesso.
5. What are you most insecure about? Insicuro? Questa parola non esiste nel mio dizionario… Magari fosse vero!
6. What are you most secure about? Vedi la risposta precedente
7.What is your take on ‘true love’? Bella domanda! Se lo sapessi…
8. If you had to give up one of these two, which one would it be? Reading OR Writing? Nessuno dei due.
9. Your favourite quote, And why is it special to you? Io sono impreparato a rispondere. Citazione preferita? Boh!
10. Describe your perspective of life in 3 words. Le mie prospettive di vita in 3 parole? Io dovrei scrivere un romanzo… Megalomane
11. Who is your favourite disney character? and why? 🙂 Senza dubbi: Paperino. Perché? Lui è simpatico e sfortunato ma non perde mai il buonumore
pant, pant.. sono arrivato alla fine senza fiiato. Sto diventando vecchio…
 

Venghino, Signore e Signori alla fiera della vanità

Il giorno della verità è scoccato. Vi siete sbizzarriti nelle risposte ma ecco le autentiche risposte. Passerò da tutti quelli che mi hanno fatto omaggio del loro pensiero con una risposta personalizzata.

  1. mi piace essere una persona seria Vero anche se mi piace scherzare
  2. riesco ingannarvi su tutto Vero perché sono imprevedibile
  3. non leggo un libro dalle scuole medie Falso sono un lettore compulsivo
  4. mi piace navigare in incognito Falso anche uso un nick non mi sono mai nascosto dietro
  5. nessuno conosce il mio vero nome Falso compare a richiesta
  6. mi spaccio per uomo ma sono una donna Falso adoro le donne ma sono un bel (vanitoso) maschietto
  7. fossi giovane… non aggiungo altro Vero sono giovane dentro ma l’anagrafe non mente
  8. è vero che racconto sempre le bugie Falso amo la sincerità anche quando è scomoda
  9. sono un famoso scrittore in incognito Falso magari
  10. che fatica compilare 10 domande Vero sono stremato

 
E ora le repliche

Grazie, Melodiestonate! Credi di avermi messo a fuoco?

Melodiestonate, una dolcissima fanciulla che produce tantissimi post, ha deciso di coinvolegermi in questo nuovo modo di animare il blog.
Non si vince nulla, nemmeno la coppa del nonno, non si deve fare praticamente quasi niente. Voi direte  ‘ma che razza di premio è questo?’. Qui sta il bello, o il brutto dipende sempre dai punti di vista.
Pensi di avermi messo a fuoco?Cominciamo.
utilizzare il logo; Fatto

riportare le regole; lo sto facendo

scrivere dieci caratteristiche o accadimenti personali e sfidare chi legge ad indovinare se e quando si mente; ci sto pensando

nominare 10 blogger che si desiderano mettere a fuoco, comunicando loro di essere stati coinvolti. Ecco questo non lo farò

Pubblicare le risposte nei giorni successivi: sarà esaudito… alla prossima puntata.

Murble, murble … questo mi dà da pensare… Di sera o mattina presto pensare nuoce gravemente alla salute ma io sono un kamikaze e lsfido i luoghi comuni.
Ecco dunque la famose 10 domande.

  1. mi piace essere una persona seria
  2. riesco ingannarvi su tutto
  3. non leggo un libro dalle scuole medie
  4. mi piace navigare in incognito
  5. nessuno conosce il mio vero nome
  6. mi spaccio per uomo ma sono una donna
  7. fossi giovane… non aggiungo altro
  8. è vero che racconto sempre le bugie
  9. sono un famoso scrittore in incognito
  10. che fatica compilare 10 domande

E adesso provate a indovinare.

10 risposte esatte mi conoscete meglio di me.

8-9 risposte esatte comincio a preoccuparmi

6-7 risposte esatte beh! siete in media

4-5 risposte esatte siete sotto la media

2-3 risposte esatte ragazzi mi sopravalutate

0-1 risposte esatte. urca che colpo. Vi ho depistato per bene.

Venghino, venghino lor signori. Le danze sono aperte.

 

Ludmilla e un mazzo di fiori – parte quarantunesima

la Nuova Ferrara – 10 ottobre 2013

Clamorosi sviluppi sul duplice omicidio di due settimane fa. Retata a Ferrara e Lecce. Oltre trenta persone in custodia cautelare. La conferenza stampa del magistrato e del commissario che hanno condotto le indagini.

dal nostro inviato

Il duplice omicidio, che ha monopolizzato le nostre cronache di questi ultimi trenta giorni, è giunto a una svolta clamorosa per come si è risolto. Nessuno immaginava una soluzione così complicata, terminata con molti arresti eccellenti sia nella nostra città sia nel Salento. Gli investigatori sono stati veramente abili nel depistarci, nel farci credere che brancolavano nel buio, mentre in realtà erano ormai giunti a svelare ogni dettaglio del caso.

Venerdì 20 settembre in corso Giovecca intorno alle 18 venne uccisa una giovane donna, A prima vista sembrò un incidente stradale ma poi si appurò che si trattava di un omicidio. La donna era stata identificata come Teresa Lopiccolo di anni trenta da una collega di lavoro e dalla madre, Maria Russo, giunta da Lecce. Una settimana dopo fu ucciso Carlo Inzoli sulla soglia della sua abitazione. Le notizie sulle indagini sono arrivate col contagocce. Le indiscrezioni faticavano a trovare dei riscontri. Non si comprendeva i motivi dell’estrema cautela, con la quale gli investigatori si muovevano. La giustificazione, che avevano dato, era che le indagini procedevano al buio per la mancanza di indizi. La realtà, come abbiamo appreso ieri, è ben più complessa, perché coinvolgeva personaggi di spicco della Sacra Corona Unita. Da qui la massima prudenza nel divulgare le notizie per evitare che i pesci grossi fuggissero dalla rete. Con caparbietà e intuizione il magistrato, Carmelo Lopapa, e il commissario, Paolo Ricardo, hanno messo insieme i vari tasselli del puzzle e sono arrivati alla conclusione senza lasciar trapelare a che punto era l’inchiesta. Ci hanno informato, quando tutto era stato svelato, quando i protagonisti sono stati assicurati alla giustizia.

Quando abbiamo ricevuto l’invito a presenziare alla conferenza stampa del commissario Ricardo non pensavamo che ci avrebbe fornito su un piatto d’argento la soluzione di questo intricatissimo caso. Grande è stata poi la sorpresa nel vedere il magistrato Lopapa, collegato in call conference da Lecce con suo omologo leccese.

Ma sarebbe troppo complicato tentare di riassumere quello che il commissario ha detto durante la conferenza stampa. Ha illustrato un lungo e dettagliato percorso che forse è meglio trascriverlo nella sua integralità come Ricardo ce l’ha proposto. Un solo dato lo anticipiamo, perché ci ha frastornati e stupiti: la vera identità della donna uccisa. Non era Teresa Lopiccolo, come in un primo tempo ci hanno fatto credere ma Anna Inzoli, sorella di Carlo Inzoli, ucciso la settimana dopo.

Ma forse è meglio leggere cosa ci ha detto il commissario Ricardo.

Buongiorno a tutti e grazie per la vostra massiccia presenza. Vorrei chiedervi un favore: lasciatemi illustrare il caso senza essere interrotto dalle vostre domande, alle quali risponderò più che volentieri al termine. Cercherò di essere conciso e breve, anche se mi riuscirà difficile ma non mi sottrarrò alla vostra curiosità.

Per capire gli avvenimenti degli ultimi venti giorni devo fare una lunga digressione nel tempo, parlando di avvenimenti avvenuti quarant’anni fa.

Era il 1970. Un giovane leccese, Antonio Lopiccolo, aveva poco più di diciassette anni, quando cominciò la sua carriera di piccolo malavitoso alle dipendenze di Giuseppe Genovesi. Intimidazioni, riscossioni del pizzo, gestione del traffico di droga nella Lecce che conta. Era ambizioso e affascinante, lo è tuttora secondo le informazioni raccolte, ed era ricercato dalle donne più mature di lui. Però lui aveva un debole per le ragazzine, le adolescenti, un vizio che ha conservato intatto in tutti questi anni. Nel 1974 lui ventunenne conobbe una ragazza giovanissima, la sedicenne Maria Russo. La famiglia della giovane era benestante, non facoltosa secondo i parametri dell’epoca, e possedeva una piccola catena di negozi e qualche appartamento. La incrociò durante i soliti giri del pizzo e gli piacque immediatamente. Le fece una corte spietata, finché quattro anni dopo riuscì a sposarla, nonostante l’opposizione dei genitori. Lui venticinque anni e lei venti. Abbandonò Giuseppe Genovesi, che prese come uno sgarbo questa diserzione. Lui era un personaggio di spicco sella Sacra Corona Unita del Salento e non ammetteva che qualcuno lo abbandonasse senza il suo consenso. Giurò di fargliela pagare. Antonio Lopiccolo lavorò per quattro anni in un negozio degli suoceri. Secondo Maria Russo aveva messo la testa a posto…

Il commissario Ricardo si interruppe, osservando i presenti: sui loro volti aleggiava la perplessità e il brusio era aumentato di volume. Riprese a parlare ‘Comprendo i vostri dubbi, che traspirano dalle vostre facce, per questi oscuri e lontani episodi. Ma vi assicuro che quando saremo alla fine li capirete benissimo‘. Era chiaro che nessuno afferrava il senso di questi avvenimenti, vecchi di trent’anni. I nomi, a parte quello di Maria Russo, la madre di Teresa Lopiccolo, e quello di Antonio Lopiccolo, con molta probabilità il padre, non dicevano nulla a nessuno dei presenti. Non erano mai comparsi nell’inchiesta. I volti si distesero e il vociare sommesso si placò. Il commissario continuò come se non ci fosse stata nessuna interruzione.

Era in quegli anni un marito affettuoso e rispettoso e non andava più a caccia di donne o ragazzine. Poi nel 1982 Maria Russo rimase incinta e in Antonio tornò la voglia di avventure. Fu una gravidanza dura per la donna e anche i due anni successivi. Le scappatelle non si contarono più e lei lo riaccolse sempre in casa, perdonandolo. I genitori volevano che chiedesse il divorzio ma Maria Russo non se la sentì. In quegli anni una ragazzina, arrogante e autoritaria, che conosceva Antonio Lopiccolo, perché aveva frequentato qualche anno prima la casa del padre, lo puntò con decisione. Aveva già avuto diverse esperienze sessuali. Pare che il primo, un ragazzino di un paio d’anni più grande, sia finito male per averle tolto la verginità. Di questo se ne occuperanno gli inquirenti leccesi, che hanno aperto un’inchiesta su quel lontano caso mai risolto. Quella ragazza si chiama Antonia Genovesi. Giuseppe Genovesi, il padre, era diventato l’uomo di maggior spicco della Sacra Corona Unita del Salento. Antonio Lopiccolo resistette per due anni alle avance della ragazza, perché non aveva intenzione di entrare ancora in conflitto con Giuseppe Genovesi, che aveva accolto piuttosto male la sua defezione. Ma l’uomo non è di legno e Antonio Lopiccolo capitolò. Nel 1986 fuggì con lei. Dopo una settimana ritornò a casa e lui con moglie e figlia l’abbandonò in fretta e furia. Dopo diversi mesi di frenetici spostamenti per l’Italia si fermarono a Ferrara. Per vent’anni tutto filò liscio, finché nella casa di Antonio Lopiccolo nel 2006 non comparvero due ragazze: Julien Perdio e Anna Inzoli, la sorella di Carlo, l’altro morto ammazzato il 27 settembre. Julien Perdio aveva diciannove anni ed è la figlia naturale di Antonio Lopiccolo, nata da quella fuga di vent’anni prima con Antonia Genovesi. Ma presto rimangono solo in due, perché una delle tre si sposa con Federico Chiumento, un manager della finanziaria R&S. Nel 2007 Antonio Lopiccolo con una delle due ragazze rimaste sparisce e fa perdere le sue tracce. Ufficialmente è Anna Inzoli, almeno questo fanno credere. In realtà come vedremo, non è così. Due anni dopo, siamo nel 2009, Maria Russo, dopo aver aspettato invano il marito, se ne torna a San Cataldo, una frazione di Lecce, nella vecchia casa, abbandonata vent’anni prima. Rimane la terza ragazza, che nel 2011 si fa assumere da Federico Chiumento come Teresa Lopiccolo. Federico Chiumento ama navigare fra le chat a luci rosse con lo pseudonimo di Alex e qui conosce la falsa Teresa Lopiccolo con la quale inizia una relazione. Lui ignora che due donne si conoscono, finché non siamo intervenuti noi. La falsa Teresa Lopiccolo intreccia pure una relazione con Rosario Loperfido, il marito di Antonia Genovesi. Lo conosce col nome di Felix, mentre lei si fa chiamare Topina. Facciamo un passo indietro a quel fatale 1986. Antonia Genovesi scopre di essere incinta. Il padre, Giuseppe, stava dando la caccia a Antonio Lopiccolo per fargli pagare il disonore subito dalla figlia, che secondo lui era stata sedotta e abbandonata. La notizia della indesiderata gravidanza lo fa infuriare ulteriormente e lui moltiplica le ricerche senza successo. Però non può permettersi di tenere la figlia a Lecce, perché già circolavano delle voci in tal senso. La spedisce in Svizzera, dove lei partorisce Julien nel 1987. Appena nata viene adottata da una famiglia italosvizzera, Perdio, che la crescono come loro figlia, finché Julien non ritrova il padre. Antonia è anche una donna fredda e vendicativa e aspetta solo di scoprire dove si trova Antonio Lopiccolo. I Genovesi non smetteranno mai le ricerche in tutti questi anni. Vogliono vendicarsi. Antonia sposa quindici anni fa Rosario Loperfido e si stabiliscono a Ferrara. Sembrerà strano ma per molti anni ignora la presenza del vecchio amante in città. Al momento non sappiamo con esattezza come Antonia Genovesi abbia rintracciato Antonio Lopiccolo: incontro casuale oppure attraverso le ricerche di Julen Perdio. Però l’uomo fiuta il pericolo e si nasconde, sfuggendo ancora una volta alla vendetta dei Genovesi. La donna non demorde nella ricerca che è diventata una spina nel suo fianco. Antonia Genovesi per meglio coprire la caccia decide di creare con l’aiuto del padre un’appendice della Sacra Corona Unita a Ferrara. Una struttura che lavora nell’ombra organizzata in clan che ha diviso la città in zone. Ogni clan non conosce l’altro che ha come unico riferimento Giuseppe Genovesi, il quale a sua volta interfaccia la figlia, che attraverso le sue conoscenze nei luoghi che contano, riesce a proteggerli e a riciclare il denaro attraverso la finanziaria R&S. La donna non conosce personalmente Chiumento ma i passaggi di denaro avvengono in modo impersonale col tramite di Tarek Ben Hamman e la sua Smart gialla. Ogni clan è specializzato in un campo per non sovrapporsi: droga, prostituzione, armi, usura. Mi fa piacere vedere che adesso i volti sono dipinti di stupore. Tutto questo non sarebbe stato scoperchiato, se la sete di vendetta di Antonia Genovesi non avesse prevalso sulla sicurezza dell’organizzazione. Sei mesi fa scopre che in città è rimasta una donna che si spaccia per Teresa Lopiccolo, che è la figlia dell’odiato Antonio, e che intrattiene una relazione col marito. Questo è troppo per lei e fa salire un killer di professione, Ciro Diodati, che in città era conosciuto come Raffaele Albanese, per uccidere la figlia del fedifrago. Ciro Diodati è una persona metodica e precisa, che si muove con prudenza. Si attiva e conosce Carlo Inzoli, al quale fa capire di conoscere dove si nasconde la sorella Anna. Col suo aiuto impara le abitudine di Teresa Lopiccolo e organizza l’agguato perfetto. Manda un mazzo di fiori alla collega della vittima con un biglietto, che indica la conoscenza dei suoi comportamenti. Con l’aiuto di Ben Hamman convince la falsa Teresa Lopiccolo a seguire gli spostamenti della ragazza. Come? Le fa credere che Ludmilla Presente, la collega, stia correndo tra le braccia di Felix per sventare il ricatto che ha messo in atto. La finta Teresa è incinta di due mesi e ricatta sia Alex, ovvero Federico Chiumento, sia Felix, ovvero Rosario Loperfido, minacciando uno scandalo. Il 20 settembre Ciro Diodati la uccide con un colpo di fucile. Però c’è una persona che lo conosce, anche se non sa che sia l’assassino di Teresa Lopiccolo. E’ Carlo Inzoli, che uccide sulla soglia di casa sette giorni dopo.

Ma il suo compito non è finito. Deve ammazzare anche Antonio Lopiccolo. Rimane in città, aspettando l’imbeccata giusta che tarda a venire, perché l’uomo ha saputo far perdere le sue tracce con molta abilità. Questo è stato il primo errore che Antonia Genovesi ha commesso, perché ci ha permesso di individuare il killer. Il secondo è stato abbindolare un ex poliziotto con sesso e denaro, perché ci ha consentito di risalire a lei. Ma non avremo mai capito la dinamica degli omicidi, se Maria Russo non avesse spiegato chi erano le tre donne comparse nel 2006 a casa sua. Ludmilla Presente, che per prima ha identificato il cadavere, è stata tratta in inganno dal fatto che le è stata presentata come Teresa Lopiccolo. In realtà la vera Teresa Lopiccolo e Anna Inzoli si sono scambiati ruoli e identità, favorite dalla impressionante rassomiglianza tra loro. Quindi Chiumento, che pensava di aver sposato Anna Inzoli, si è accoppiato in realtà con Teresa Lopiccolo, mentre l’amica si è spacciata per l’altra. Ma chi è quell’Anna Inzoli che è fuggita con Antonio Lopiccolo? La figlia Julien Perdio. La sorellastra ha coperto la fuga dei due con falsi trasferimenti di residenza. Rimaneva ancora un dubbio sulle motivazione dello scambio di identità tra le due donne, che ci è stato tolto dalla vera Teresa Lopiccolo. Ha confessato che era dal 2004 che entrambe si comportavano da escort di lusso, procacciandosi i clienti tramite un sito a luci rosse. Nel 2005 Anna Inzoli aveva conosciuto Chiumento, che l’aveva contattata per una prestazione. Solo che lei aveva un altro impegno al quale non voleva rinunciare e ha mandato al suo posto Teresa Lopiccolo, che come abbiamo detto erano molto somiglianti. Non era la prima volta che le due ragazze si scambiavano ruoli e nome. Da quella volta Teresa Lopiccolo e Federico Chiumento si erano rivisti spesso. Lui riteneva che fosse Anna Inzoli, la donna che frequentava. Quando l’uomo le propose di sposarlo, Teresa non ha avuto il coraggio di confessare l’inganno, sostenuta in questo dall’amica. Solo loro due sapevano le vere identità. Anna Inzoli, alias Teresa Lopiccolo, continuò la sua attività di escort, finché non convinse Federico Chiumento due anni fa ad assumerla nella finanziaria. Il resto lo conoscete già

Se avete domande sono a vostra disposizione.

Se fino a quel momento non si era sentito volare una mosca, subito dopo si scatenò un putiferio e raffiche di domande.

Dunque il nome dell’operazione ‘Mazzo di fiori’ nasce dal quel mazzo inviato alla collega?

Sì, è stato l’origine di due omicidi ma è stato anche l’opportunità di decapitare l’organizzazione mafiosa sia nel Salento, sia a Ferrara.

I mandanti erano i Genovesi?

Sì. Loro sono i mandanti dei due omicidi. La grande sete di vendetta li ha resi incauti e ha fatto tralasciare le norme ferree di sicurezza che si erano imposti. Senza questo errore non saremo mai riusciti a venire a capo dei due casi.

E’ vero che avete brancolato nel buio oppure era solo uno schermo per depistare killer e mandanti?

In effetti avevamo compreso il meccanismo dei due omicidi ma non conoscevamo i motivi che avevano ispirato i mandanti a ordinare le uccisioni. Poi abbiamo individuato il killer, che ci avrebbe seminato e lasciato con un palmo di naso, se non avesse avuto la sfortuna di perdere un foglio con l’indicazione dell’ultimo rifugio. Ma i mandanti sarebbero rimasti nell’ombra, se Antonia Genovesi non fosse stata una donna assetata di sesso.

Ma Maria Russo non poteva indirizzarvi sulla strada giusta?

Domanda intelligente, la sua. A modo suo ci aveva dato delle indicazioni, che non riuscivamo a collegare ai due casi. Poi finalmente si è aperta con chiarezza e tutto è diventato comprensibile.

Avete detto che Diodati è stato arrestato per una mappa persa. Può spiegarsi meglio?

Abbiamo individuato Diodati, alloggiato in un albergo della Città ma Antonia Genovesi l’ha avvertito. Così lui c’è sfuggito. Aveva messo in piede con la complicità dell’organizzazione un complesso giro di rifugi, che sarebbe stato quasi impossibile da scoprire con cambio di auto e identità. La destinazione finale sarebbe stata Garica nell’isola di Krk in Croazia. Però sfortunatamente per lui ha perso un foglio con l’indicazione di una casa di Stellata. Individuato e pedinato è stato arrestato al confine con la Slovenia a Nova Gorica. L’arresto è stato tenuto segreto fino alla conclusione di tutte le indagini.

Perché Carlo Inzoli è stato ucciso?

Supponiamo che l’aver conosciuto Ciro Diodati sia stato la causa del suo assassinio. Il killer afferma di aver eseguito degli ordini, scaricando tutto sui mandanti. Però non è convincente.

Quale è stato l’elemento che ha dato la svolta alle indagini?

Controllando l’anagrafe ho scoperto che Anna Inzoli era la moglie di Federico Chiumento. Però Maria Russo sosteneva che invece era fuggita con Antonio Lopiccolo, perché era tornato al vecchio vizio di importunare le ragazzine. Qualcosa non tornava. Doveva esserci una terza ragazza. Quindi abbiamo convinto la donna a parlare con sincerità e non in maniera fumosa. E’ uscito allo scoperto il nome di Julien Perdio, la figlia naturale di Antonio. Interrogando i vicini dell’ultima abitazione ferrarese, questi hanno confermato che alle due ragazze, Teresa e Anna, si era aggiunta nel 2006 una terza, della quale ignoravano il nome, che poi era sparita con Antonio Lopiccolo, mentre le altre due erano rimaste per diversi mesi, finché la finta Anna non si era sposata.

Ma come Julien Perdio ha rintracciato il padre?

Non lo sappiamo ancora, perché né lei né Antonio sono ancora stati rintracciati. Contiamo di farlo nei prossimi giorni. Non era un obiettivo primario per noi. Ci siamo concentrati sugli altri.

Grazie per la vostra cortese e paziente attenzione e, se non avete altre domande, io vi saluterei.

Con queste parole è terminata la conferenza stampa.

Un caso complesso e un intreccio pauroso che solo l’abilità del commissario Ricardo è riuscito a sbrogliare con successo.

FINE