La notte di San Giovanni – parte ventisettesima

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Anna sedeva al suo fianco. Ormai facevano coppia fissa in tutte le trasferte. Sia nelle camere d’albergo sia sui mezzi di trasporto. Questo avveniva da un anno, da quando era stata ingaggiata dal club di Deborah. Più alta di lei, atleticamente più robusta, era una dei pivot della squadra. Prendeva botte e le restituiva, sgomitando sotto le plance. Aveva un minutaggio inferiore al suo, perché aveva davanti due americane, che parevano un armadio quattro stagioni tanto erano grosse. Loro, quando si piantavano nell’area piccola, erano difficili da svellere e facevano notare la loro presenza. Tuttavia nei momenti, in cui Anna era in campo, si metteva in evidenza per la mano morbida e la fisicità del suo corpo. Più di una volta era apparsa al termine della gara la terza americana della squadra per i punti segnati e i rimbalzi catturati.

Quando a inizio della stagione precedente erano state formate le coppie per le trasferte, erano le uniche due prive di compagne storiche. Inizialmente c’era stata un po’ di diffidenza da entrambe le parti ma ben presto avevano trovato la sintonia sia in campo che fuori. Deborah l’aveva aiutata a inserirsi nella squadra, che conosceva da un paio d’anni, e nel tessuto sociale di Milano, coinvolgendola in diverse feste. Vista la statura non era stato facile trovare dei partner maschili alla sua altezza, perché tutti apparivano intimoriti dalla sua stazza. Tuttavia l’esuberanza giovanile, aveva l’età di Deborah, e la parlantina sciolta avevano facilitato i contatti sociali e ben presto ebbe una folta cerchia di amicizie e nessun compagno stabile.

Deborah l’osservò con attenzione e un pizzico di affetto, prima di chiudere gli occhi. Voleva essere riposata all’arrivo, a Rio. Là sarebbe stato ancora buio per via delle cinque ore di differenza nel fuso orario, mentre il suo orologio biologico avrebbe segnato mattina inoltrata. Il quieto brusio dei motori e la stanchezza accumulata prima del decollo da Francoforte cullarono il suo sonno. Sognò in bianco e nero come le vecchie pellicole di film.

Si trovava in posto che era un mix, neppure troppo interessante, tra la sua città natale e Milano. Non era sola. Era con Marco, l’uomo col quale aveva scambiato qualche battuta prima di imbarcarsi. Camminavano uno a fianco dell’altro in silenzio. Non c’era traffico nelle strade. Pochi passanti e tutti frettolosi. Tuttavia percepiva un senso di benessere e di sicurezza. Udì la voce di Anna che la chiamava. Si girò e non la vide. Eppure quel ‘Deb‘ era netto e chiaro. Non la vedeva. Si fermò per osservare meglio ma non notò nulla. Adesso era sola. Anche Marco si era dissolto. Cercò con lo sguardo Miao ma anche lui si era volatizzato. Un senso di panico gli attanagliò la gola. Tutto gli appariva ostile. L’ansia stava crescendo.

“Deb” e un leggero strattone la distolse dal sogno. Aprì gli occhi e vide la compagna che la guardava. Percepì il lento ronfare di Miao, che stava comodo sulle sue gambe.

“Deb, tra non molto atterriamo. Dormivi profondamente” si scusò Anna.

Deborah sbadigliò e si alzò, facendo un po’ di stretching per sciogliere la muscolatura intorpidita. Miao aprì un occhio infastidito, sistemandosi sotto il sedile.

“Hai fatto bene. Questo viaggio fin dalla partenza l’ho trovato stressante” rispose la ragazza, che si guardò intorno alla ricerca di Marco. Non lo notò e pensò che fosse in Business Class oppure le avesse fatto uno scherzo dicendole che era diretto a Rio anche lui. Ebbe un moto di delusione, anche se non ne capiva il senso.

Simone, il giorno dopo la partenza di Deborah, si recò al suo bilocale ma ignorava la sua assenza. Suonò e attese di ascoltare la sua voce. Ebbe un sussulto.

“Che volete?” disse una voce maschile dal citofono.

Rimase in silenzio, incapace di reagire. Non si aspettava nulla di tutto questo, al massimo non udire nulla.

“Cerco la signorina Marchini. Debbie” fece Simone incerto nel tono.

“Non c’è” replicò secco.

“Ma la signorina Marchini..” provò ad azzardare timidamente il ragazzo.

“La signorina Marchini non è in casa”.

Simone sentì un clic di chiusura del citofono, mentre si spegneva la luce del video. Percepì una sensazione di disorientamento. Non udiva la sua voce da quando era partita in giugno per Cattolica. Non capiva come potesse esserci un uomo nel suo appartamento. ‘Si è forse consolata in fretta?’ si chiese, mentre componeva il suo numero su Iphone.

Il cliente da lei cercato al momento non è disponibile. Riprovate più tardi” udì l’asettica voce registrata.

“Cazzo! Il telefono chiuso. In casa c’è un uomo! E Gaia mi ha mandato a vaffanculo. Che situazione di merda sto vivendo!” esclamò irato, mentre si dirigeva verso piazza Duomo.

Alex fischiettava allegro. Con cura certosina rimetteva nei cassetti il contenuto versato nel centro della stanza da letto dal ladro e sistemava l’appartamento di Deborah dopo la sua incursione.

“Se non si fosse intestardito nel portare via la teca con teschio, forse ce l’avrebbe fatta a ripulire la casa” disse Alex, dopo aver collocato l’ultimo oggetto al suo posto.

Controllò meticolosamente che tutto fosse tornato come prima. Osservò la porta d’ingresso senza notare segni di effrazione. ‘Quando torna Deborah, le consiglierò di cambiare serratura. Questa è talmente debole, che basta una chiave bulgara per aprirla’ si disse, mentre andava in sala.

Si domandò, se per caso quel ragazzotto robusto, intravvisto nel videocitofono, fosse venuto a controllare l’abitazione, pensando che fosse rimasta senza custodia.

“Uhm! Forse no. Solo un conoscente familiare avrebbe usato quel nomignolo affettuoso, Debbie. Forse il suo ragazzo.. no, non avrebbe potuto ignorare che è in viaggio verso il Sud America. Boh! Non so chi fosse ma comunque se ne è andato” fece, sistemandosi sul divano con un libro prelevato da uno scaffale della libreria.

Atterrato in perfetto orario, Deborah e le compagne si trovarono nella sala degli arrivi internazionali per sbrigare le formalità di ingresso nel paese. Si girò nervosamente verso destra e lo vide spiccare per la sua altezza in un altro varco di uscita. Ebbe un tuffo al cuore, che cominciò a martellare con furia ma doveva muoversi per non intralciare la fila e lo perse nuovamente di vista.

Dopo essersi sistemate nella camera a loro assegnata nell’hotel, Anna e Deborah scesero nella sala delle colazioni. Sapevano che era presto ma avevano fame. Il salone era vuoto. C’era solo l’imbarazzo della scelta del tavolo. Dopo poco il silenzio fu rotto dal gaio vociare delle compagne. Poi spuntò anche lui, che si diresse verso il tavolo delle due ragazze.

“Posso?” domandò cortese ma deciso a sedersi con loro.

Anna rimase a bocca aperta, domandandosi chi fosse, perché per lei era un perfetto sconosciuto e di tavoli vuoti ce ne erano in abbondanza.

“Certo” fece Deborah visibilmente contenta.

“Questa è Anna, la mia compagna di stanza” disse la ragazza, rivolgendosi all’uomo. “Lui è il signor…”.

“Marco Designori. Piacere” rispose allungando la mano in direzione di Anna, che la strinse senza dire nulla.

“Stesso aereo, stesso hotel! Che piacevole coincidenza!” esclamò l’uomo. “In viaggio di piacere?”

Anna guardò con fare interrogativo Deborah, come per dire ‘ma chi è questo soggetto?‘.

“No. Ma lei, cosa fa?” chiese Deborah.

“Sono un giornalista. Sono venuto per un servizio sulle ragazze di Ipanema, quando qui è inverno” rispose sorridente. “Due belle ragazze come voi mi potrebbero accompagnare in giro per Rio, mentre preparo le interviste. Potreste fingere di essere quelle ragazze e farvi fotografare. Fareste un figurone!”

“Peccato. Ma sarà difficile. Tra poche ore seduta atletica. Poi gara amichevole di allenamento in preparazione del torneo a quattro di fine settimana” disse Deborah.

“Giocatrici?”

“Sì. Di basket”.

L’uomo sorrise. Vista la stazza era facile indovinare cosa facessero. Aveva preferito che lo dicessero loro.

“Se per caso trovate il tempo per distrarvi un po’, questo è il mio numero di telefono. Grazie per l’ospitalità ma ora devo scappare. Il fotografo brasiliano mi sta aspettando per preparare il servizio” disse Marco, allungando un cartoncino colorato.

Anna lo prese e lesse ‘Marco Designori – Direttore responsabile – Gossip Girl – tel..‘. Rise.

“Perché?” chiese Deborah stupita.

“É il direttore di quel giornalaccio che fa gossip di bassa lega pur di vendere qualche copia. Una specie di Signorini ma in peggio!” rispose Anna. “Però è un bel maschio! Come fai a conoscerlo? Sei finita nel suo tritacarne?”

Deborah scoppiò a ridere. Mai e poi mai avrebbe supposto che quell’uomo, che sembrava così premuroso e gentile, fosse invece di tutt’altra pasta.

“No! Sembra ridicolo e divertente ma prima di qualche ora fa ignoravo che lui esistesse insieme al suo giornale. Ero nella sala d’attesa di Francoforte, quando mi ha vista con gli occhi chiusi. Ha pensato che stessi male. Abbiamo scambiato due parole. Poi è sparito fino a pochi minuti fa” esclamò Deborah.

La ragazza si alzò, dopo aver messo il biglietto da visita in una tasca della felpa.

“Andiamo a prepararci. Se facciamo tardi, il coach ci farà fare cento flessioni per punizione” fece Deborah, avviandosi verso l’ascensore, seguita da Anna.

Non sapeva il perché ma Deborah intuiva che quello fosse il fantomatico giornalista della cronaca rosa della notte di San Giovanni. Miao aveva bevuto la sua tazza di latte calda del tutto indifferente alla presenza dell’uomo e alle chiacchiere delle due ragazze. Sbadigliò annoiato e si infilò rapidamente nella cabina. Non c’era nulla che potesse destare la sua attenzione.

La notte di San Giovanni – parte ventiseiesima

dal webDeborah vide un uomo, non più giovanissimo. Si domandò chi fosse e perché fosse accanto a lei. Non lo conosceva, né l’aveva mai visto. Eppure era a pochi centimetri da lei e la fissava con intensità, come se si aspettasse qualcosa. ‘Cosa?’ si disse.

“Ha il viso pallido, signorina” disse in italiano senza inflessioni dialettali. “Si sente bene. La stavo osservando, perché qualche istante fa pareva svenuta”.

La ragazza rimase muta, mentre rifletteva su quelle parole. Era la prima volta che qualcuno la guardava, mentre mentalmente si trasferiva altrove, e le faceva notare il suo stato fisico. ‘É dunque così che appaio agli occhi di un osservatore esterno?’ ragionò, senza aprire bocca.

“Ma noto che il pallore mortale sta lasciando il posto a un colorito più sano. Sembra che il sangue abbia ripreso il suo ciclo vitale” proseguì l’uomo, che teneva tra le mani una rivista femminile del tutto sconosciuta.

Deborah abbassò gli occhi verso i suoi piedi e scrutò Miao, che continuava a ronfare beato. Pensò che questa persona non pareva costituire una minaccia, almeno nell’immediato. Il gatto non dava segni di irrequietezza. Questo era un primo effetto positivo. La tensione la stava lentamente abbandonando.

“Sono imperdonabile, signorina. Non mi sono presentato” fece, allungando la destra con gesto amichevole.

“Già” replicò Deborah laconicamente.

“Marco Designore” disse, continuando a tenere la mano sempre sospesa verso di lei.

“Deborah Marchini” rispose meccanicamente, mentre la stringeva con vigore.

“Noto con piacere che si è ripresa completamente. Forse è stata vittima del jet lag?”

“No. Semplice stanchezza” precisò Deborah che in altre occasioni avrebbe mandato a quel paese, chi avesse osato interferire nella sua privacy.

“Ne è proprio sicura? Non so dove sia diretta ma forse passerei dall’infermeria dell’aeroporto per un controllo della pressione e dei valori generali” insistette Marco, per nulla convinto da quella risposta.

“Non credo che ce ne sia bisogno. La stanchezza è svanita. Mi sento in piena forma” tagliò corto la ragazza, che provava un leggero senso di fastidio nell’ascoltare quelle parole.

“Non insisto ulteriormente. Non mi piace contraddire le persone, specialmente se non le conosco. Posso offrirle un caffè o quello che preferisce al bar” domandò cortese, mentre si alzava.

“Grazie. Mi rilasso ancora un po’ prima di affrontare il lungo viaggio verso Rio” disse Deborah, declinando l’invito.

“Bene. Vado a bar prima di imbarcarsi anch’io per Rio” fece l’uomo con un bel sorriso, mentre si allontanava.

La ragazza rimase senza parole, mentre riprendeva possesso del suo corpo. Lo osservò di spalle con attenzione, finché non sparì alla sua vista. Era di sicuro molto più vecchio di lei ma aveva un viso che ispirava fiducia. Alto, anzi molto alto. Fece un raffronto con la sua statura, che era ragguardevole per una donna. Capelli né lunghi né corti, dal taglio impeccabile. Le apparvero leggermente brizzolati, che gli conferivano un discreto fascino. Scosse la testa a questi pensieri su di lui. ‘Quasi non mi riconosco. Nutro troppa fiducia in Miao e abbasso le mie difese’ si disse, stiracchiandosi.

Alex si stava avvicinando al bilocale di Deborah, dopo essere stato liberato dalla sua prigionia. Sajana l’aveva molto rimproverato per quello slancio umano. ‘Per qualche tempo non potrai avvicinare nessuno. Poi si vedrà. Se cadrai in tentazione una seconda volta, tornerai fra gli uomini, perdendo tutti i tuoi poteri. Alex avvisato, mezzo salvato!’ fece la strega, quando lo aveva relegato in una spelonca oscura. Rimase lì per un periodo che non seppe quantificare a rimuginare su quel bacio strappato a Deborah. ‘É vero. Ho avuto un momento di debolezza ma…’ si disse, appoggiando la testa sulle mani a coppa. Stava pensando per quanto tempo sarebbe rimasto lì a scontare la sua mancanza, quando Sajana ricomparve in un alone di luce che mise a nudo lo squallore del posto.

“Alex” cominciò la strega. “Deborah si dovrà assentare per un mese dalla sua abitazione, lasciando incustodito il teschio di cristallo. Tu la dovrai sostituire”.

“Da quando?” domandò cauto.

“Dalla mezzanotte di oggi” e sparì lasciandolo al buio.

Alex pensò subito al piacere di annusare il profumo di quella donna, che impregnava gli oggetti della casa, ma subito fece ammenda. Non doveva cedere a queste tentazioni. Era il modo subdolo e sottile di Sajana per verificare se avesse riacquistato il controllo di se stesso. Scacciò ogni pensiero. Non poteva averne, se non voleva finire male. Aveva appena sgombrato la mente da tutto quello, che si riferiva a Deborah, quando si trovò davanti a un portone di un palazzo in una città sconosciuta.

Alzò le spalle in segno di indifferenza. Si guardò in giro. Solo una persona appoggiata a una macchina col motore acceso e per il resto buio appena mitigato da qualche lampione. In mano teneva un mazzo di chiavi, del quale ignorava la provenienza. Tuttavia conosceva lo scopo e il loro uso. Le provò tutte, finché una non fece scattare la serratura. Prese l’ascensore per il terzo piano, come se fosse guidato da un radar misterioso. ‘Dove sto andando?’ si chiese incerto, mentre ascoltava il rumore ovattato del motore. Poi rammentò quello che gli aveva detto Sajana.

Si fermò davanti a un uscio appena accostato, da dove filtrava luce. Era titubante se spingerlo o proseguire. Tuttavia era conscio che quello che stava dietro era la sua destinazione. Stava ancora decidendo il da farsi, quando udì delle imprecazioni sommesse. Entrò deciso, perché aveva compreso che qualcuno si era intrufolato nell’appartamento di Deborah senza essere invitato. Notò che un uomo dalla pelle olivastra tentava di spostare una teca che brillava sinistramente. Non riusciva né a spostarla di un millimetro, né a sollevarla. Pareva incollata sulla mensola col superAttack. Il ladro non si accorse della presenza di Alex tanto era impegnato nel tentativo di asportarla.

“Che ci fa qui?”

Alex lo apostrofò con durezza. Come risposta ricevette uno spintone, che lo fece scivolare a terra sorpreso, mentre l’uomo infilava di corsa la porta. Alex si rialzò confuso e si affrettò a chiudere l’ingresso, rimasto spalancato. Si accorse che per terra c’era una borsa, dalla quale affioravano degli oggetti.

“Oltre che fare il guardiano, mi tocca pure di fare il maggiordomo per rimettere ordine all’appartamento” si disse sorridente.

Simone rimuginava che forse era stato troppo superficiale nel liquidare Deborah, convinto che lei l’avrebbe cercato e implorato di recedere dal suo proposito. Con Gaia non era andata meglio. Rifletté che era stato lui a ingoiare l’amo con l’esca attaccata.

“Lei ha fatto di tutto per conoscermi. Poi mi ha lavorato ai fianchi, facendomi assaporare quel sesso che Deborah ostinatamente mi negava o me lo concedeva col contagocce. Io ci sono cascato e ho preso la testa. Gaia è stata più fredda di me, finché non è arrivato quello strano e inquietante episodio a casa sua”.

Seduto nel suo salotto, avrebbe desiderato una compagnia femminile.

“É inutile provarci con Deborah. Chiude la chiamata dopo due squilli. Più chiaro di così non si può”.

Richiamò dalla rubrica il numero di Gaia con la speranza che si degnasse di rispondere, anziché far squillare lo smartphone fino alla segreteria.

Vodafone. Servizio di segreteria. Se vuole lasciare un messaggio…‘. Imprecò e uscì dall’appartamento.

La notte di San Giovanni – parte venticinquesima

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Simone, dopo diversi tentativi infruttuosi di mettersi in contatto con Deborah, aveva desistito, perché aveva compreso che il taglio era stato drastico e non recuperabile. Deborah si inquietava, nervosa e irritata, ogni volta che vedeva comparire il viso di Simone sul display dello smartphone e chiudeva subito la chiamata, per fargli intendere che non desiderava per nulla sentire la sua voce. Miao approvava la determinazione della ragazza ed era la guardia armata contro qualsiasi intrusione nella sua vita. Decine di persone tutti i giorni la contattavano o tentavano di farlo ma lei ricordava il suggerimento di Sajana ‘lasciali perdere. Non farli entrare nella tua vita‘.

Alla sera, prima della ripresa degli allenamenti, con precisione svizzera alle ventuno Deborah lucidava la teca con cura certosina e accendeva una grossa candela colorata accanto alla custodia del teschio di cristallo. Sapeva con accuratezza la durata dell’accensione. Avrebbe potuto uscire e rientrare dopo tre ore per assistere agli ultimi guizzi della fiamma.

Il 10 luglio si ritrovò con le compagne in un centro sportivo nei dintorni di Milano. Era un posto rilassante, dotato di piscina e di molti spazi verdi intorno, oltre di una palestra funzionale e fresca. Dovevano affrontare la tournée sudamericana in una condizione atletica buona per non sfigurare contro squadre ben rodate dal loro campionato. Sostenevano due sedute quotidiane: una mattutina e una serale. Alla mattina si cominciava presto, quando la temperatura era ancora fresca, e si curava la preparazione atletica. Alla sera si lavorava col pallone nei tiri, nei gesti atletici, nei movimenti con o senza palla. Erano giornate impegnative sia mentalmente che fisicamente, perché dovevano recuperare uno stato di forma accettabile dopo la pausa estiva, eliminando tossine e ruggini. Dopo la ricca colazione di mezzogiorno, Deborah si rilassava ai bordi della piscina, ascoltando musica o leggendo qualche libro nell’attesa del turno serale. Molte delle sue compagne avevano deciso di fermarsi a dormire in un vicino residence piuttosto che rientrare in città. Lei aveva preferito rincasare. Non era un viaggio lungo, né stressante. E poi c’era la teca da custodire.

Deborah visse la prima serata di allenamento in uno stato di nervosismo incredibile. Non aveva chiaro come potesse rispettare il rito della candela alle ventuno. Sapeva che prima delle ventitré non si sarebbe potuto sganciare per correre a casa e non era detto che fosse veramente libera per quell’ora. Durante la sera continuava a osservare il tabellone luminoso segnatempo. Era talmente distratta che più di una volta il coach l’aveva ripresa. ‘Fa attenzione! La palla non è una saponetta viscida! Non vedi che stai intralciando le compagne!‘ erano i commenti più benevoli. Tuttavia la sua mente era altrove. Quelle parole scivolavano via sulla sua pelle come gocce d’acqua. Le sentiva e non le percepiva. Le ascoltava ma non rispondeva. Era in uno stato di catatonia, dove fisicamente stava sul parquet ma mentalmente era altrove. Era nel suo bilocale. Non sapeva come risolvere il problema della candela rossa, pronta per essere accesa.

Mancava un minuto alle ventuno, quando si recò ai servizi, interrompendo la seduta di allenamento.

“Di certo non posso volare fino a casa e tornare!” fece, bagnandosi il viso.

Alla ricerca di un suggerimento si rivolse al gatto che, come se fosse la sua ombra, la seguiva ovunque andasse. “Dico bene, Miao?”

Miaoouu” confermò il micio, agitando la coda.

“Cosa dici di fare?” gli chiese, guardandolo negli occhi.

Miouuoo!” le rispose.

“Concentrarmi?”

Miao scosse la testa da destra verso sinistra per confermare l’affermazione di Deborah. Lei convogliò tutte le sue energie psichiche su come raggiungere il teschio di cristallo e, come per incanto, si ritrovò nel suo bilocale. Accese la candela e ritornò da dove era partita.

“Stai bene?” Udì una voce che pareva venire da lontano. Si sentì strattonare bruscamente. Aprì gli occhi e vide Anna accanto a lei.

“Stai bene?” le domandò ancora una volta con voce accorata e ansiosa. “Hai una strana faccia, Sei bianca cadaverica come se avessi visto il diavolo in persona” aggiunse la compagna di squadra.

“Sì, sì. Solo un momento di stanchezza” fece Deborah, bagnandosi il viso con acqua fresca. “Oggi è stata dura riprendere gli allenamenti” disse e si avviò con lentezza verso il parquet.

Aveva capito, cosa avrebbe dovuto fare nelle prossime sere. Riprese gli esercizi con le compagne sollevata e serena. Adesso tutto le riusciva alla perfezione. Il coach non doveva più riprenderla.

Tornando a casa verso mezzanotte, accarezzò il gatto che fingeva di dormire beatamente sul sedile.

“Grazie, Miao! Ora so come fare. La lucidatura della teca la facciamo al nostro rientro” fece allegra Deborah.

Miaouuuu!” rispose sbuffando e sbadigliando.

“Ho capito! Nessun aiuto da parte tua. Tu assisti solamente, se non ti addormenti prima” replicò una Deborah sorridente.

Dopo una ventina di giorni di duri allenamenti e qualche partitella distensiva venne il gran giorno della partenza. Doveva trovarsi nel centro sportivo alle otto, dove avrebbe lasciato nel garage la sua classe A. Una leggera seduta di allenamento ginnico per sciogliere la muscolatura nella mattinata, il pranzo, un paio di ore di relax e infine il viaggio alla Malpensa per l’imbarco, una breve sosta a Francoforte prima del gran balzo verso Rio de Janeiro. Preparato un trolley leggero con poco bagaglio e messo in borsa il Sony Prs-T2 con un bel po’ di ebook da leggere tra voli e soste, Deborah, scortata dal fido Miao, si congedò dal teschio di Cristallo e iniziò la trasferta tra paure e curiosità.

Si domandò, mentre si stava recando alla Malpensa, come avrebbe potuto soddisfare il rito della candela e della lucidatura della teca. Se finora le era riuscito col prezzo di un grosso sforzo psichico, non era in grado di comprendere come sarebbe stata capace trasferirsi dalla cabina dell’aereo al bilocale e tornare indietro.

“Ma quando poi sarò in Sud America, come farò?” si disse osservando il panorama dal finestrino del pullman che la stava trasportando all’aeroporto. Mentalmente calcolò che sarebbe arrivata a Francoforte all’incirca tra le venti e le ventuno. “Forse posso farcela” si rincuorò, prima di chiudere gli occhi.

Gaia in quel mese di luglio si negò ripetutamente a Simone, che la tempestò di chiamate e sms. Era stata una brava pallavolista, convocata più volte in nazionale. Aveva vinto numerosi trofei con il suo club in Italia e in Europa. A trentacinque anni aveva detto che era meglio lasciare il posto ai giovani e aveva appeso le scarpette al classico chiodo. Chiusa la carriera sportiva, era rimasta nell’ambiente, sistemandosi dietro una scrivania, facendo valere la sua lucidità mentale e la sua capacità di gestione della squadra. Era alla ricerca di un partner affidabile e maturo. Simone l’aveva colpita sia perché era un bel ragazzo poco più alto di lei, che perché aveva dimostrato, nonostante gli oltre dieci anni di differenza, una maturità insospettabile per la sua età. Sapeva che frequentava da oltre due anni una giocatrice di basket ma questo dettaglio non aveva costituito per lei un intralcio, abituata a lottare sul campo e fuori. Infatti era riuscita nel suo intento: fargli rompere la relazione con Deborah e sostituirsi a lei. Tuttavia quello strano episodio notturno di fine giugno aveva lasciato un segno tangibile. Quella figura, che lei aveva riconosciuto come la ex di Simone, e quel gatto, del quale aveva intravvisto solo due enormi bottoni d’oro, l’avevano inquietata e non poco.

“Simone ha un bel da dire che è stata solo una forte suggestione, perché non era possibile che lei fosse lì. Non metto in dubbio che materialmente non poteva essere entrata in casa mia, senza che noi ce ne fossimo accorti. Ma quello sguardo penetrante e carico di odio mi ha marcato a fuoco la pelle, tanto che tuttora di notte sento la sua presenza” fece Gaia, chiudendo l’ennesima chiamata di Simone senza rispondergli.

Dopo quell’episodio cautamente aveva chiesto allo psicologo del club, se fosse possibile che una persona potesse trovarsi in due posti differenti allo stesso tempo, muovendosi come un fantasma. La risposta l’aveva spiazzata alquanto.

“Sì” le rispose, mettendola nel panico. “Ci sono persone che riescono a proiettare la propria immagine nella mente di un altro, facendogli percepire la sua presenza fisica. Naturalmente prove scientifiche non ci sono e dubito molto che se ne possano trovare. Sono fenomeni che sono catalogati sotto la parapsicologia e in particolare sulla psicocinesi o telecinesi a seconda dei gusti personali”.

Su questa chiacchierata informale rifletté a lungo. Fece qualche ricerca ma non riusciva a scrollarsi di dosso quello sguardo. Con Simone non avrebbe proseguito la relazione, se prima lei non fosse stata in grado di eliminare quella spiacevole sensazione. ‘É un vero peccato, perché lui è l’uomo migliore che abbia conosciuto finora sotto tutti gli aspetti’ si disse, chiudendo l’uscio di casa.

Deborah, seduta nella sala d’attesa dei VIP, era stremata per il grosso sforzo di rientrare in Italia nel suo bilocale e ritornare a Francoforte in attesa dell’aereo per Rio. Teneva gli occhi chiusi e cercava di regolarizzare il battito del cuore.

“Ce l’ho fatta anche stavolta. Ma è sempre più faticoso” fece la ragazza, masticando con lentezza una barretta di cioccolato fondente. Era pallida e cadaverica, come se da un momento all’altro dovesse svenire. Mentre le compagne erano sciamate al duty-free dell’aeroporto alla ricerca di qualcosa da comprare, lei era rimasta lì, decisa a rispettare l’impegno della candela. Ce l’aveva fatta, ancora una volta, pagando nel fisico un prezzo altissimo.

Si doveva ricomporre in modo presentabile, prima dell’arrivo delle altre. Mentre praticava esercizi di rilassamento, avvertì uno sguardo su di lei. Volutamente lo ignorò. Doveva riprendersi prima di poter scoprire a chi appartenesse. Miao era acciambellato ai suoi piedi e pareva dormire beatamente. Dedusse che non correva pericoli.

“Lui è un essere magico e questi viaggi nello spazio non gli danno noie. Diversamente da me” ragionò con gli occhi chiusi.

Percepì un movimento accanto a lei, come se una persona si fosse avvicinata. Tuttavia Miao non fece una piega. Continuò a ronfare pacificamente.

“Che strano! Di solito soffia minaccioso in queste circostanze”.

Socchiuse gli occhi in una minuscola fessura per osservare la poltrona accanto alla sua. Era vuota fino a pochi istanti prima ma adesso pareva occupata.

“É forse la persona che mi guardava intensamente pochi istanti fa?” fece, mentre li aprì completamente.

La notte di San Giovanni – parte ventriquattresima

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Simone, dopo aver fatto colazione con Gaia in Galleria Vittorio Emanuele, la salutò.

Ci vediamo stasera?” le domandò incerto, se gradiva da lei una risposta positiva o negativa.

No. Ho degli impegni. Mi faccio viva io”. Gaia lo liquidò con freddezza, dandogli un casto bacio sulla guancia. Quelle sensazioni sgradevoli della notte non si erano ancora dissolte e voleva meditare bene prima di impegnarsi con lui. Però era innegabile che qualcosa di strano fosse avvenuto, mentre lei era sveglia. Strano e inspiegabile. Se avesse provato a raccontare l’episodio a qualcuno, questi l’avrebbe osservata in malo modo, come si fa quando si compatisce una povera demente. Nessuno le avrebbe creduto, quindi era preferibile mantenere il silenzio sulla vicenda.

Simone si avviò a piedi verso piazza Missori, avvertendo che tra lui e Gaia si era alzato un muro di freddo. Riaprì lo smartphone, certo di trovare un SMS di Deborah o un messaggio vocale in segreteria oppure una chiamata senza risposta. Tuttavia rimase deluso. Tra i molti ricevuti non c’era quello della sua ex-ragazza. Scorse il registro delle chiamate, sperando di trovare una chiamata persa. Neppure lì trovò tracce che lei si fosse fatta viva. La segreteria era vuota. Deluso rimise in tasca il telefono. Una pessima premonizione gli faceva intuire che qualcosa era andato storto nel suo piano. Di due rischiava di non averne neppure una. Alzò le spalle e accelerò il passo.

Era quasi mezzogiorno, quando Deborah parcheggiò la sua Classe A nel box sotto casa. Raccolse la teca che conteneva il teschio e salì nel suo bilocale. Era caldo con l’aria stantia per essere stato chiuso due settimane. Diversamente dal solito non aprì subito le finestre per arieggiare gli ambienti. Aveva un bisogno impellente: doveva trovare un posto per la teca. Le istruzioni era state categoriche e chiare ‘Il posto non deve ricevere il sole direttamente, né essere al buio. Inoltre non deve essere visibile a nessuno‘.

Per loro è facile!” esclamò la ragazza che si aggirava in quei due locali alla ricerca della collocazione giusta.

Nulla. Nessun segno. Dunque né nella sala da pranzo né nella camera da letto doveva collocarla. Rimanevano il bagno, che però era cieco, e la cucina che dava sul retro del palazzo, esposto a nordest, e prendeva luce dalla portafinestra della terrazza. Si diresse verso quel locale, dove di solito trascorreva la maggior parte del suo tempo, quando era in casa. Una sensazione. Si fermò, come per ascoltare la voce del teschio. Un’altra sensazione. ‘Sì! Siamo nel posto giusto! Aveva ragione Sajana nel dire che avrebbe trovato da solo la collocazione!’ si disse tutta allegra.

Si guardò in giro. ‘Ma dove?’ fece, sedendosi sulla sedia. Non vedeva posti utili. La teca stava sul tavolo ma era pulsante. Sembrava che volesse comunicare qualcosa. ‘Cosa?’ si domandò, mentre l’ansia saliva. Non vedeva qualcosa che facesse allo scopo. Si alzò e cominciò ad alzare le tapparelle con misurata lentezza. Si sforzava di riflettere senza approdare a nulla. Un fiotto di aria calda umida irruppe nella stanza. Le due piante, lasciate sul terrazzo nella speranza che sopravvivessero, erano ingiallite e seccate. Scosse la testa. Di loro se ne sarebbe occupata in seguito. Non poteva sperare che avessero potuto resistere al caldo afoso di Milano senza acqua per quindici giorni. Si girò e fu fulminata da una visione. La teca si era spostata ed era finita accanto alla cappa sopra il piano cottura in un ripiano che una volta ospitava barattoli. Non si curò di conoscere la loro sorte. Ovunque fossero finiti, non sarebbero più ritornati nel posto originale.

Simone rientrò nel suo appartamento, sicuramente sproporzionato alle sue esigenze. A lui piacevano le belle cose e non voleva intristirsi nel solito anonimo bilocale o nell’ancora più modesto monolocale. Quindi aveva scelto un bel trilocale, ampio e luminoso, in una traversa di via Torino. Un palazzo pretenzioso con tanto di portiere gallonato. Col primo ingaggio se l’era comprato. Era soddisfatto a metà, perché gli piaceva vivere in un ambiente confortevole ma allo stesso tempo reputava di essere stato forse troppo precipitoso nell’acquisto. Era quasi certo di averlo pagato troppo. Tuttavia non capiva perché Deborah avesse scelto quel bilocale caldo e angusto, che gli dava un senso di soffocamento ogni volta che si recava là. Lei aveva rinunciato alla sua proposta di andare a convivere con lui. Aveva preferito restarsene per conto suo. ‘Forse è stato meglio così’ si disse, spogliandosi per farsi una doccia. Se avesse accettato, adesso avrebbe costituito solo un problema da risolvere e sarebbe stata d’impiccio.

Consultò ancora una volta Iphone senza trovare traccia della ragazza. Lo depose sul cristallo, che sorreggeva i lavandini del bagno, a portata di mano, nel caso che avesse chiamato, mentre era sotto il getto della doccia. Ripensò allo strano episodio della mattina a casa di Gaia.

Dice di avere avuto la sensazione che Deborah fosse stata ai piedi del letto a osservarli. No, non è possibile” fece, scuotendo la testa, mentre l’acqua calda scivolava sulla pelle.

Non riusciva a immaginare come avesse potuto introdursi nell’appartamento, senza che loro se ne fossero accorti. Per questo motivo era certo che che non ci fosse stato nessuno nella stanza con loro. Tuttavia aveva compreso che Gaia aveva cambiato umore e predisposizione verso di lui dopo quell’episodio singolare. Non poteva esserci solo suggestione ma anche qualcosa di vero nel racconto. ‘Ma cosa?’ si domandò, perché non era verosimile che Deborah si fosse introdotta in casa senza essere notata e se ne fosse andata indisturbata. ‘Un fantasma? Ma esistono i fantasmi?’ si disse, mentre con cura si asciugava ogni centimetro di pelle. Scosse ancora il capo. Non poteva credere a queste fantasie. Di sicuro tra lui e Gaia qualcosa si era incrinato. Non aveva la percezione di quanto ma per riconquistare la sua fiducia avrebbe dovuto sudare non poco. Per rendersene conto compose il suo numero e la chiamò.

La ragazza vide sullo schermo il numero di Simone. ‘Cosa vuole ancora?’ si disse. Da un lato esisteva la curiosità di conoscere cosa volesse ma allo stesso tempo non desiderava parlargli. Nell’incertezza se dare sfogo alla curiosità o alla promessa di meditare sul loro rapporto, lasciò suonare a lungo il Galaxy 4, facendo scattare la segreteria.

Perché non rispondi?” si domandò Simone, chiudendo la chiamata sulla voce che lo invitava a lasciare un messaggio.

Miao si aggirava silenzioso nel nuovo possedimento. Era piccolo ma di suo gradimento. Studiò quale parte dell’appartamento si sarebbe riservato. Poi decise. Il divano o la poltrona sarebbero state sue, come suo sarebbe stato il terrazzo della cucina. Guardò male quelle due povere piante rinsecchite e convenne che non ci sarebbe stato posto per qualcosa d’altro lì. Al massimo avrebbe tollerato Deborah e una sedia. Il resto era solo e solamente suo. Marcò il territorio con soddisfazione.

Ti piace, Miao?” gli domandò Deborah che aveva osservato tutti i movimenti del gatto.

Miaooo” rispose soddisfatto, alzando la coda.

La ragazza aprì le altre finestre per cambiare l’aria viziata nei vari locali, sempre seguita dal gatto. Aveva aperto l’ultima finestra, quella della sua camera da letto, quando sentì le note aspre dei Coldplay.

Vaffanculo” esclamò, chiudendo stizzita la chiamata. Era comparso il viso di Simone.

Cominciamo bene il ritorno a casa!” fece Deborah, gettando lo smartphone sul letto. “Cosa spera? Crede forse chye mi stia strappando i capelli dalla disperazione?” si domandò, uscendo dalla stanza.

Vieni, Miao. Dobbiamo recuperare il resto del bagaglio”.

Si avviarono verso il box per prendere dalla macchina valigie e borse. Dopo un paio di viaggi, salirono per l’ultima volta nell’appartamento. Deborah sbuffava e stava sudando copiosamente.

Non sei stato di grande aiuto, Miao!” fece la ragazza, aprendo la porta d’ingresso. Il gatto non rispose ma in compenso udì la suoneria con la dolce melodia dei Platters.

Vediamo chi disturba ancora, Miao” disse Deborah, mentre depositava le borse per terra.

Guardò lo schermo e vide diverse chiamate perse.

Oggi pare di essere molto gettonata, Miao” fece la ragazza, rivolgendosi al gatto. “Guardiamo chi mi cerca”.

Scorreva i diversi numeri chiamanti e le sovvenne quanto aveva detto Sajana ‘sarai cercata da molte persone‘. A quanto pare leggeva bene il futuro.

Stava facendo queste riflessioni, quando comparve nuovamente il faccione di Simone.

Non hai capito che non ti voglio più parlare” esclamò infuriata, chiudendo la chiamata.

Simone però non aveva intenzione di demordere. Uscì di casa per raggiungere a piedi il bilocale di Deborah in una traversa di Corso Italia. Suonò ripetutamente ma nessuno gli aprì il portone. Imprecando tornò indietro. La giornata odierna non era cominciata sotto buoni auspici. Percepì che con Deborah sarebbe stato assai arduo vedersi de visu, mentre con Gaia la relazione era partita col piede sbagliato.

Mi domando” fece Simone, aprendo l’ingresso del suo appartamento. “Mi domando quale diavoleria ha usato per impaurire così tanto Gaia. Lei non lo ammette apertamente ma quella visione l’ha scioccata non poco. Suggestione o telepatia? Non mi pare che Debbie abbia mai dimostrato di avere dei poteri in grado di penetrare nella mente delle persone. Tutto questo non ci voleva”.

Sfiduciato si abbandonò sulla poltrona preferita.

La notte di San Giovanni – parte ventitresima

dal web - locandina film
dal web – locandina film

In albergo Deborah lesse il messaggio di Simone, il suo ragazzo. Ebbe la conferma di quello che aveva ascoltato poco prima da Sajana. In poche parole l’aveva scaricata senza troppi complimenti. Piena di rabbia, nervosa si apprestava a digitare una risposta di fuoco, quando Miao si strisciò con dolcezza sulla sua schiena. Questo contatto la calmò quasi all’istante.

A lui penserò domani. Non merita una risposta immediata” fece, accarezzando il gatto, che ricambiò la gentilezza.

Simone era, come lei, un giocatore di basket e militava in una squadra lombarda di seconda fascia senza fama e senza gloria. Era stato un promettente giocatore nelle giovanili dell’Olimpia, le mitiche scarpette rosse, ma poi si era smarrito senza progredire e senza fare quel salto di qualità che gli allenatori gli avevano pronosticato. Era andato in varie formazioni delle leghe minori per fare esperienza, senza mai sbocciare, né migliorare. A venticinque anni viveva ai margini della pallacanestro che conta, diversamente da Deborah, che a ventidue anni voleva crescere e imporsi anche nella massima divisione. La vita da atleta lo infastidiva, perché preferiva divertirsi. Il suo futuro non era certamente roseo. Aveva preferito abbandonare gli studi in terza liceo. Di questo non era minimamente preoccupato e a chi glielo faceva notare, rispondeva che ci avrebbe pensato quando sarebbe venuto il momento. Deborah invece studiava al Politecnico per diventare informatica. Forse non le sarebbe stata utile la laurea ma a qualcosa poteva servire. Se non avesse sfondato nel basket, avrebbe usato quel titolo di studio per affrontare una nuova vita. Non ci stava a fare la perdente come Simone.

Devo imparare a controllare maggiormente le mie reazioni. Devo rimanere lucida anche quando le cose non procedono nel verso giusto. Mi serve nella vita e nello sport” si disse Deborah, mentre si preparava per la notte. Miao si era acciambellato sul fondo del letto e pareva già addormentato. Lei invece non aveva sonno. Le ultime vicende la tenevano sveglia e la facevano riflettere. Le parole di Sajana e della vecchia signora dai capelli bianchi continuavano a ronzarle nella testa. Si domandava nel buio della stanza come sarebbe riuscita a rispettare le istruzioni ricevute per il teschio. Non trovava una soluzione e preferì pensare ad altro.

Il comportamento di Simone l’aveva indispettita. Dovevano partire per la Svezia tra due giorni ma adesso era saltato tutto. Non le importava perdere la caparra dell’albergo e dei biglietti aerei, anche se questo le dava qualche pensiero. Era il modo con la quale l’aveva liquidata che bruciava.

Ora non pensarci più. Invece dei dieci giorni a Stoccolma te ne starai in relax a Milano con camminate mattutine e palestra alla sera per riprendere confidenza con pesi e altri strumenti ginnici. Devo essere tonica quando si farà sul serio” si disse, prima che il sonno la ghermisse.

Simone aspettava la risposta al suo messaggio ma questo tardava. Se non aveva sbagliato i suoi calcoli, Deborah si sarebbe attaccata la telefono per chiedere spiegazioni e urlare la sua rabbia.

Mi sono stancato di lei. Per Debbie esiste solo il basket. Guai questo. Quello non è adeguato a un atleta. Niente sesso, né alcolici. A letto presto. Insomma una lagna. Io voglio divertirmi ora che posso e non quando sarò vecchio” si disse, mentre osservava lo smartphone, che restava muto.

Si stava preparando per uscire con Gaia, la general manager di una squadra femminile di pallavolo. Davanti allo specchio si rasava con cura, sempre vigile a cogliere segnali di vita dal telefono, che invece rimaneva con lo schermo nero e silenzioso. Guardò l’ora.

Acc! Sono in ritardo. In dieci minuti devo attraversare Milano” fece, accelerando i preparativi. Uscì a precipizio e guidando sopra le righe, si fermò sotto casa di Gaia. Spense lo smartphone. Era inutile correre il rischio di una telefonata imbarazzante, mentre era con la nuova fiamma.

Ciao” le disse, accogliendola nell’auto. Una leggera sgommata e via verso un locale notturno nella Brianza. Di Deborah, della vacanza insieme a Stoccolma non c’era traccia nella sua mente. Adesso esisteva solo Gaia.

Deborah si muoveva in un parco che non conosceva. C’era una grande festa con bandiere a stelle e strisce in bella mostra. Si fermò. Qualcosa la colpì. Si avvicinò incuriosita. In una locandina era esposto un giornale, del quale ignorava l’esistenza. Cominciò a leggere la notizia in prima pagina. ‘Ancora un teschio di cristallo!’ esclamò mentalmente.

Independent Daily Newspaper– Duneland news and sports — Chesterton, Porter, Burns Harbor in Porter County, Indiana

Duneland Community Newspaper Since 1884
193 S. Calumet, Chesterton, IN 46304 219 926-1131

Mysterious robbery in the house that once belonged to Anne Mitchell-Hedges
Bill Homann, who married Anne Mitchell-Hedges in 2000, said he was the victim of a robbery, which tastes sensational. He was the keeper of the Crystal Skull, which had belonged to his wife, who died in April 2007. It is a controversial relic, because some speculate that it is a resounding fake, while others think that it dated Maya. As reported by the sheriff, McDonald, the man would have denounced the disappearance of the relic of Mayan origin. The skull was kept in a glass case, the opening of which is controlled electronically through fingerprints. In the night between 23 and 24 June has disappeared. Apparently the electronic lock has been forced, while the system of recording of the images did not show the presence of strangers. Yet, at 11 in the evening of June 23, we see clearly that the skull was inside the glass case. An hour after this appears empty. Images do not show how this could have happened. One particular oddity appears few minutes before the disappearance. It seems that there was a black cat who wandered nearby. The question is spontaneous. Is it possible that a cat can steal a skull that weighs many pounds?

The sheriff has opened investigations, which look difficult.1

La lettura la lasciò basita. Non era possibile, si disse, mentre si allontanava dalla bacheca, dopo avere letto la notizia. Riflettè sulle modalità di questo furto insolito, sugli orari, sulla presenza di un gatto nero. C’era in tutto questo qualcosa di familiare. Si agitò e si svegliò in un lago di sudore. Si alzò cercando di non svegliare Miao, che mostrò invece i due bottoni d’oro che aveva al posto degli occhi.

Dormi” fece Deborah, lisciando il pelo.

Da una bottiglia sul tavolo si versò un bicchiere d’acqua, che bevette con avidità. ‘Ancora un sogno strano’ si disse, tornando nel letto. Tuttavia il sonno se era andato. Notò che tra un po’ avrebbe albeggiato. Provò a chiudere gli occhi, ben consapevole che tra qualche ora si sarebbe messa al volante della sua auto per tornare a Milano. Questo le fece ricordare che Simone si era dimostrato un personaggio squallido. Non aveva avuto il coraggio di dirglielo di persona, quando sarebbe ritornata.

Di sicuro starà nel letto con un’altra donna!”

E lo vide che dormiva nudo accanto a una bionda che non conosceva. Osservò meglio e notò che appariva sveglia, come se avesse percepito la sua presenza.

Simone” disse Gaia, scuotendolo.

Che c’è?” fece il ragazzo, intorpidito dal sonno. “É già ora di alzarsi?”

No. É ancora notte. Però ho avvertito una strana sensazione” affermò allarmata la ragazza.

E mi svegli per una sensazione? Ma che razza di sensazione hai avuto?” domandò con la voce impastata di sonno e di alcol.

Non ridere” fece Gaia.

Cercherò di essere serio” replicò con ironia Simone leggermente indispettito.

Tu frequentavi una ragazza, quando ci siamo conosciuti”.

Sì ma lei è a Cattolica in vacanza” sottolineò il ragazzo, che non afferrava il nesso della chiacchierata.

Sarà ma era in fondo al letto che ci osservava” disse la ragazza, coprendosi col lenzuolo.

Simone prese a ridere sommessamente, scuotendo la testa.

Mi avevi promesso di non ridere” affermò seccata Gaia.

Certo”. E finse di essere serio.

Ma è stato un lampo. Un flash. Ma la sensazione di essere osservata mi è rimasta” concluse la ragazza.

Forse. No! Sicuramente è stata solo una suggestione” disse Simone, rimettendosi a dormire.

Gaia rimase con gli occhi aperti e con la sensazione sulla pelle che la rivale la stesse osservando. Strinse le palpebre, perché le pareva di notare accanto alla figura femminile due bottoni dorati. ‘No! Non c’è nessuno nella mia camera. Ha ragione Simone. É stata solo suggestione’ si disse poco convinta. Provò a sdraiarsi nel vano tentativo di prendere sonno. Quei due sguardi le erano rimasti appiccati e non sarebbero svaniti molto in fretta.

Deborah li guardò e ascoltò il loro dialogo. Un brivido percorse la sua schiena. Non le pareva possibile che potesse trovarsi in due posti distanti centinaia di chilometri. ‘Il teschio mi ha fornito magici poteri?’ si chiese insicura. Tuttavia adesso sapeva chi era la donna con la quale Simone era a letto.

Ora ricordo chi è. É quella smorfiosa che gli ha fatto gli occhi dolci, quando a maggio siamo entrati in un locale della Brianza. Lui ha affermato di non conoscerla ma l’impressione è stata diversa. Quel porco mi stava già tradendo anche in quel momento!” esclamò a bassa voce.

Affermò risolutamente che non meritava una risposta. Miao aveva fatto bene a impedirle di rispondere. Si girò e riprese a dormire. Questa volta senza sogni.

1Rapina misteriosa nella casa che fu di Anne Mitchell-Hedges

Bill Homann, che ha sposato Anne Mitchell-Hedges nel 2000, ha detto di essere stato vittima di un furto, che ha il sapore di sensazionale. Egli era il custode del teschio di cristallo, che era appartenuto a sua moglie, morta nel mese di aprile 2007. Si tratta di un reperto controverso, perché alcuni ipotizzano che si tratta di un clamoroso falso, mentre altri pensano che fosse di epoca Maya. Come riportato dallo sceriffo, McDonald, l’uomo avrebbe denunciato la scomparsa della reliquia di origine maya. Il teschio è stato mantenuto in una teca di vetro, la cui apertura è controllata elettronicamente attraverso le impronte digitali. Nella notte tra il 23 e il 24 giugno è scomparso. A quanto pare la serratura elettronica non è stata forzata, mentre l’impianto di registrazione delle immagini non ha mostrato la presenza di estranei. Eppure, alle 11 di sera del 23 giugno, si vede chiaramente che il teschio era dentro la teca. Un’ora dopo questa appare vuota. Le immagini non mostrano come questo sia potuto accadere. Una particolare stranezza appare pochi minuti prima della scomparsa. Sembra che ci fosse un gatto nero che si aggirava nelle vicinanze. La domanda è spontanea. E’ possibile, che un gatto possa rubare un teschio che pesa qualche chilo?

Lo sceriffo ha aperto le indagini, che si presentano difficili.

La notte di San Giovanni – parte ventiduesima

foto personale
foto personale

Non posso crederci!” esclamò, vedendo le due figure, che si stagliavano sul cielo arrossato della sera.

Ritornò sui suoi passi e si trovò al loro cospetto. Il gatto si strisciò dapprima con la testa, poi col corpo e infine con la coda sulle gambe di Deborah per manifestare la propria soddisfazione.

Non credevo che vi avrei più riviste!” esclamò la ragazza visibilmente contenta.

Non abbiamo potuto salutarti la notte di San Giovanni, perché avevano bisogno di noi dall’altra parte del mondo, nell’emisfero australe. Lo facciamo stasera” disse la signora dai capelli bianchi.

Ma se non venivo?” domandò la ragazza tra l’incredulo e il soddisfatto.

Saresti venuta. Non potevi non raccogliere il nostro invito” fece Sajana, che era rimasta in disparte silenziosa.

Deborah era basita. Lei non aveva ascoltato nessun richiamo. L’unico pensiero era rivolto al mattino successivo, quando, chiuso il trolley e qualche borsa, avrebbe preso la strada del ritorno a Milano. ‘Miaouuu‘ le ricordò che c’era un gatto nero acciambellato ai suoi piedi. E comprese tutto.

Bene. Ora sistemiamoci su queste sedie intorno al tavolo” disse la signora dai capelli candidi.

E come per magia, comparvero tre comode sedie in legno e un tavolo di ferro. La ragazza osservò tutto questo con gli occhi sgranati per la sorpresa senza proferire una parola. Si sedettero, mentre rapidamente le prime ombre serale rendevano scuro il panorama.

Tu sei stata designata da Anna Mitchell Hedges a conservare il teschio di cristallo” cominciò la signora dai capelli candidi.

Deborah aprì la bocca ma la richiuse subito. Aveva compreso che non sarebbe uscito nulla. Un brivido stava percorrendo la sua schiena.

Conservarlo al sicuro e non mostrarlo a nessuno” continuò Sajana.

Ma l’hanno visto in tanti la notte di San Giovanni!” fece la ragazza con tono alterato della voce.

Un sorriso comparve sul volto delle due donne. L’espressione cupa e distaccata si trasformò per un attimo in una gioiosa e rilassata.

No. Nessuno l’ha notato” disse la signora dai capelli candidi, scuotendo la testa per rafforzare l’affermazione.

Ma Alex?” domandò Deborah.

Lui fa parte del progetto e non conta. Anzi è stato punito per essere uscito dalle righe. Non doveva baciarti né guardarti con occhi innamorati” affermò con forza Sajana.

La ragazza era sempre più frastornata. Stava comprendendo che quella serata era stata fin troppo magica e aveva trasceso la sua razionalità. Era inutile tentare di decifrarla. Sarebbe stato solo un rompicapo intricato, intrigante e inspiegabile. Però comprese il senso del primo sogno, quello dove per la prima volta aveva visto Mike. Quello, che a lei era sembrato un incubo senza senso, adesso acquistava una sua valenza. Era stato il prologo a tutta quell’avventura che aveva vissuto in poche ore nella notte di San Giovanni. Adesso doveva solo ascoltare quello che queste due donne avevano da raccontarle.

Riceverai una chiamata e dovrai obbedire al richiamo” fece la signora dai capelli bianchi, riprendendo il filo del discorso interrotto.

Come faccio a riconoscerla?” chiese Deborah, che avvertiva di essere imprigionata nella tela del ragno, dopo essere stata catturata.

Non ti preoccupare. Saprai distinguerlo tra mille avvisi falsi. Non abbandonare mai Belzeblù. Lui sarà scorta e guida allo stesso tempo” spiegò Sajana, mentre il gatto nero sbadigliò e emise un ‘Miaoo‘ di conferma. “Ma parliamo di cose frivole. Hai trovato i due bacili?”

Sì! E ho fatto come mi ha suggerito. Mi sono bagnata il viso con l’acqua coi fiori di iperico e ho osservato le figure di cera nell’altro” disse la ragazza.

Bene. Quella persona raffigurata con la cera la incontrerai in un momento inaspettato. L’attuale persona ti pianterà in asso. Non ti crucciare. Lui meditava da tempo l’abbandono. Ora i tempi sono maturi” concluse Sajana, mentre lo squillo di un sms ruppe il silenzio della notte.

Deborah sapeva che era arrivato per lei ma adesso non aveva tempo di consultare lo smartphone. L’avrebbe fatto con calma in hotel.

Ma in realtà non ho visto un volto ma dei simboli. Se li ho interpretati giusti, non conosco nessun giornalista di cronaca rosa. A dire il vero non ne conosco per nulla” disse con tono ansioso Deborah.

Non ha importanza. É irrilevante questo dettaglio. Se hai visto correttamente i segni, quando meno te lo aspetti, farai conoscenza con lui. Ma ora parliamo del teschio” fece Sajana, chiudendo questo argomento di conversazione.

Mettilo in una teca trasparente. Il posto non deve ricevere il sole direttamente, né essere al buio. Inoltre non deve essere visibile a nessuno” disse la signora dai capelli bianchi.

É facile per voi dirlo, perché per magia fatte comparire o scomparire sedie e tavoli. Io abito in un bilocale a Milano. Due misere stanza più i servizi. E luoghi come quelli che ha appena descritto non ce ne sono” fece Deborah amareggiata.

Lo sappiamo. Ma vedrai che il teschio troverà da solo la sua collocazione” dichiarò con tono piatto Sajana.

Ammettiamo che sia vero ma la teca dove la compro?” chiese la ragazza tra il curioso e lo scetticismo.

Ecco” fece la signora dai capelli bianchi, facendo comparire una custodia trasparente delle esatte dimensioni per ospitare il teschio. “É di cristallo. Va lucidato come tutti i cristalli” concluse la signora.

Deborah spalancò gli occhi e deglutì in fretta con un piccolo gorgoglio. Si pose la domanda come avrebbe fatto per trasportarlo alla macchina. Le pareva malagevole e ingombrante. Non sarebbe stato facile il trasporto.

Non ti preoccupare, perché vedo correre in te scetticismo e perplessità. É leggerissimo come una piuma. Per gli altri sarà pesante come un macigno” aggiunse la signora dai capelli bianchi.

La ragazza lo afferrò con due mani e notò immediatamente la leggerezza del manufatto. Tutti i dubbi svanirono. Si domandava come fosse possibile che per lei fosse leggero, mentre per gli altri sarebbe stato un peso non indifferente. Era immersa in queste riflessioni, quando udì la voce di Sajana.

Nessuno deve conoscere l’esistenza di questo teschio. Neppure il tuo nuovo compagno. Dovrai osservare questo riserbo almeno fino alla chiamata”.

Ma tra venticinque giorni sono di partenza per Rio de Janeiro e resterò assente per oltre un mese. Chi lo custodirà?” domandò preoccupata la ragazza.

Alex veglierà sul tuo bilocale, senza che possa vederti” rispose Sajana.

Deborah aveva un’altra domanda che la inquietava.

Ma chi accudirà a Miao?”

Viaggerà con te” disse seccamente la signora dai capelli bianchi.

La ragazza spalancò gli occhi per la sorpresa. ‘Viaggiare con me? Ma è impossibile!’ si disse, prima di essere preceduta nella risposta.

Nessuno lo noterà. Nemmeno quando chiederai del cibo per lui. Ma ora parliamo di come preparare il teschio per l’incontro programmato” fece la signora dai capelli bianchi.

La ragazza stava per intervenire, quando Sajana iniziò a spiegarle come si doveva comportare.

Ogni sera alle 21 dovrai estrarre il teschio dalla sua custodia e metterlo al centro del tavolo. Sul lato destro accenderai una candela rossa su quel portacandele che il vecchio ti ha donato, visto che tu sei stata generosa con lui. Non dimenticarti mai di questo rito”.

Deborah deglutì vistosamente. L’orario le pareva inconsueto, perché significava che per quell’ora doveva essere a casa. Cascasse il mondo.

Ma non so se posso essere in casa per quell’ora. Talvolta abbiamo allenamenti serali. Altre volte è in corso la partita. Non sarebbe meglio trovare un altro orario?”

No” la gelò Sajana.

La ragazza sospirò. Questa storia cominciava col piede sbagliato.

Quando la candela avrà fatto il suo corso, riponi il teschio nella sua custodia e il portacandele in un luogo sicuro”.

Quando tornerai a Milano, noterai che molte persone vorranno fare la tua conoscenza. Ne sarai felice, perché prima nessuno ti notava. Tuttavia non farle mai salire nel tuo appartamento. Belzeblù sa essere feroce all’occorrenza. I suoi canini sono più micidiali di mille pugnali. Trova una scusa ma non accoglierle nel bilocale” affermò con decisione la signora dai capelli bianchi.

Deborah si sentì smarrita, prigioniera di eventi che la usavano come arma. E non poteva sottrarsi.

Stava per replicare infastidita da tutti questi grattacapi, quando vide dissolversi tutto. Nel buio erano rimasti solo lei e il gatto nero, mentre ai suoi piedi scintillava la teca.

La raccolse e senza dire niente si avviò alla macchina, seguita da Miao con la coda eretta.

La notte di San Giovanni – parte ventunesima

dal web
dal web

I rimanenti giorni della vacanza passarono lenti e senza grossi sussulti. Tra poco sarebbe rientrata a Milano. Una settimana ancora di relax, poi avrebbe ripreso gli allenamenti con la sua squadra. Avrebbe effettuato una tournée in America meridionale a fine luglio. Non sarebbe stata uno svago, una passeggiata, perché avrebbero incontrato le squadre più forti di quel continente nel pieno svolgimento dei loro campionati. L’aspetto positivo era che avrebbe visitato posti sconosciuti. Aspettava con impazienza di partire per il Brasile, la prima tappa.

Adesso voleva godersi gli ultimi scampoli di villeggiatura senza pensare a nulla. La notte di San Giovanni era un ricordo ancora vivo. Deborah pensò che non fosse ripetibile. Più rifletteva, più trovava assurdi tutti gli eventi nel quale era stata coinvolta. Si domandò che razza di magia era avvenuta in quella nottata strana. Il teschio di cristallo, ancora impacchettato, stava tranquillo nel trolley. Il gatto nero pareva invisibile agli occhi tutti. Eppure quando ordinava qualcosa per lui, nessuno muoveva obiezioni. L’atmosfera stregata di quella notte continuava a far sentire il suo influsso su di lei.

In spiaggia Deborah, sdraiata al sole, osservava quello che succedeva intorno a lei. Il gatto nero arrivava quando era il momento del pranzo a reclamare la sua presenza a tavola. Gina arrivava dopo di lei col figlio, Giuseppe, esattamente come faceva prima del 24 giugno. Non smaniava più per nuove avventure trasgressive. ‘Forse si è data una calmata’ si disse, osservando il figlio giocare sulla battigia con gli altri bambini, mentre la madre si rosolava al sole. Non rivide più Monica, né sentì nominare il suo nome. Sembrava essersi volatilizzata.

Tutto procedeva nella stanca noiosità di una villeggiatura di giugno. ‘Ancora una notte e poi si torna nella convulsa e piena di vita Milano’ si disse, girandosi su un fianco.

Stava pisolando come di consueto, nonostante l’allegro e festoso chiasso dei bambini e l’incessante cicaleccio delle madri, quando avvertì il morbido pelo di Miao, che si strofinava sulle sue gambe.

Ciao. Già in azione?” gli domandò Deborah, rizzandosi a sedere sul lettino.

Miaoo” fece il gatto, spalancando le fauci in segno di gradimento.

Ma è ancora presto per la cena” disse la ragazza, accarezzandolo sulla schiena.

Miaoouo” fu la risposta.

Ho capito. Mi trasmetti un messaggio. Dobbiamo tornare in albergo”.

Deborah strinse il felino al petto, che gradì questa prova d’affetto. Lo depose delicatamente sulla sabbia e cominciò a raccogliere le sue cose che infilò nella capiente borsa che l’accompagnava ovunque andasse.

Vieni” gli disse, avviandosi verso l’hotel.

Arrivati nella stanza, Deborah sentì il teschio pulsare. ‘Ecco perché Miao ha sollecitato il mio rientro’ rifletté, mentre si spogliava per fare la doccia.

Il gatto si sistemò in fondo al letto e prese a sonnecchiare ma sempre vigile e attento a tutto quello che succedeva nella camera.

La ragazza aprì l’armadio per scegliere l’abbigliamento per l’ultima sera a Cattolica. Era indecisa tra un abito azzurro leggero e un completo pantalone bianco e camicetta gialla.

Uhm!” mugugnò incerta, prima di scegliere il secondo. Rimase stupita della scelta, perché le sembrava troppo elegante. Qualcosa di misterioso le aveva suggerito quel completo. Scosse la testa, perché sapeva che a guidarla era l’istinto.

Il gatto nero si stirò pigramente, come se avesse approvato la decisione.

Infilò ai piedi delle comode ballerine, anziché le solite espadrilles di Toni Pons con una piccola zeppa. Fece questa operazione meccanicamente, quasi senza accorgersene.

Vieni, Miao. Si va a cenare” disse Deborah, rivolgendosi al gatto, che rimase immobile diversamente dal solito.

Non hai fame?” gli domandò stupita. Era la prima volta, da quando si erano adottati a vicenda che non mostrava interesse a scendere in sala da pranzo.

La ragazza non capiva il motivo del disinteresse. Eppure era certa che l’aveva invitata a prepararsi per la serata. Sempre fermo sul letto, senza aprire gli occhi e con le orecchie abbassate, trasmetteva un messaggio chiaro: stasera non si cena in albergo. Aveva approvato come si era vestita in maniera inequivocabile. Su questo Deborah non aveva dubbi, perché l’abbigliamento scelto non era il solito della passeggiata serale.

Andiamo fuori Cattolica, stasera?” fece la ragazza, che risvegliò l’attenzione del gatto.

Bene! Alzati pigrone! Prendo le chiavi della macchina e si parte!”

Il felino balzò giù dal letto e con la coda alzata si avvicinò alla porta.

Sei un malandrino, Miao!” disse, aprendo la porta della stanza per uscire.

Presa la macchina, Deborah gli domandò dove doveva dirigersi.

Miao

E va bene! La metà è San Giovanni in Marignano” fece la ragazza.

Miaooo” fu la risposta affermativa.

C’era ancora luce, quando Deborah parcheggiò l’auto nella piazza principale.

Però io ho fame e tu no?”

Miaooo”.

Vieni che cerchiamo un chiosco di piadine”.

Erano le nove di sera e c’era ancora luce. Le giornate di fine giugno sembravano non terminare mai. Il borgo pareva rimpicciolito rispetto a qualche giorno prima e sonnecchiava stanco nella calura serale. Il frastuono della festa era cessato e solo poche persone passeggiavano per le vie del paese. Un contrasto netto rispetto al 23 giugno.

Dopo aver cenato, Deborah seguita come un’ombra dal gatto arrivò al luogo dove aveva acquistato il teschio e ascoltato le parole della cartomante. La panchina era vuota e il luogo deserto.

Perché siamo arrivati fin qui?” fece la ragazza, rivolgendosi al felino.

Miao

Non ti capisco. Qui c’è il vuoto e non passa nessuno. La panchina è deserta. E non sento nessuna aura” disse Deborah, accoccolata sui talloni, mentre il gatto pigramente dondolava la testa.

Però Miao non aveva nessuna intenzione di spostarsi da lì, nonostante tutte le sollecitazioni della ragazza, che cominciò a camminare in su e in giù senza dire nulla. Lei continuava a domandarsi perché dava ascolto a un animale anziché alla propria razionalità. ‘Non mi riconosco’ rifletté dopo l’ennesima passeggiata di qualche metro. Stava decidendosi di tornare alla macchina senza indugi e senza aspettare il gatto.

Se vuole venire, bene. Altrimenti resta qui” disse, dando concretezza alla sua decisione.

Aveva fatto qualche passo, quando si sentì chiamare. Si voltò e rimase a bocca aperta.

WordPress ha dato i numeri

I folletti delle statistiche di WordPress.com hanno preparato un rapporto annuale 2014 per questo blog.

Ecco un estratto:

La sala concerti del teatro dell’opera di Sydney contiene 2.700 spettatori. Questo blog è stato visitato circa 11.000 volte in 2014. Se fosse un concerto al teatro dell’opera di Sydney, servirebbero circa 4 spettacoli con tutto esaurito per permettere a così tante persone di vederlo.

Clicca qui per vedere il rapporto completo.