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Una storia così anonima – parte ventiquattresima

Autricum, 13 novembre 1307, ora dodicesima – anno secondo di Clemente V

Pietro è incerto, giunto dinnanzi all’imponente cattedrale dedicata a Notre-Dame, a Maria. É molto più grande di tutte quelle che ha visto finora con statue, rosoni e vetrate colorate. ‘La porta nord dov’è?’ si domanda, cercando un punto d’appoggio per orientarsi. Non può sbagliare, perché l’appuntamento salterebbe. Gira intorno a questa chiesa che appare smisurata. Osserva i simboli sui tre portali. Poi si incammina deciso verso quello che rappresenta la vita di Maria. Varca la soglia, si inginocchia per pregare. All’interno si sente l’odore di sego, delle candele che illuminano la navata, dell’incenso della funzione che si è appena svolta. Ai nasi più delicati è una mescolanza orribile, per Pietro è un odore familiare. Ricorda le parole del messaggio ‘percorrete la navata di destra verso il portale Ovest‘. Cammina con lentezza. Si sente solo il rumore del suoi calzari di cuoio. Nessun confessionale è aperto, nessun fedele è all’interno. La cattedrale appare agli occhi del frate in tutta la sua imponenza e ricchezza. Giunto in fondo, si gira verso Est, verso Gerusalemme. Si prostra di nuovo a pregare, prima di iniziare il percorso del labirinto.

Pietro si concentra: sa che deve percorrerlo per intero se vuol raggiungere il suo obiettivo: la placca centrale. Tuttavia deve fare anche il percorso inverso per tornare nel mondo dei vivi. I labirinti e queste chiese, dalle linee ardite e slanciate, sono il frutto dei suggerimenti dei suoi confratelli al ritorno della Terra Santa. Si sente a casa. Fatti pochi passi, gli sembra di essere già arrivato ma è solo un’illusione. La placca di rame centrale è lì a portata di mano ma il salto non è possibile. Deve seguire la via fino in fondo. Cammina con metodo. Passo dopo passo. A volte torna vicino al centro, a volte si allontana. Si ritrova accanto al punto di partenza. Pietro pensa di aver sbagliato qualche passaggio. ‘Forse ho saltato qualcosa’ si dice scoraggiato. Tuttavia la determinazione scaccia il pensiero di abbandonare l’impresa. Con maggior lena e risolutezza percorre un tratto che assomiglia a una foglia su un ramo prima del fiore. Sa che quel fiore è il punto di arrivo del suo pellegrinaggio. Vede le vetrate colorate dietro l’altare. Quello è l’oriente. Là c’è il tempio a Gerusalemme.

Qui inginocchiato, guardando il rosone davanti a voi, pregherete, prima di riprendere il cammino inverso‘ sono le parole che riaffiorano dalla mente. Dinnanzi a lui non ci sono rosoni. Si gira a sinistra verso il punto dove è entrato. Non è quello il punto di riferimento. ‘Come faccio a saperlo?’ si dice e si risponde da solo ‘Lo so e basta’. Continua la rotazione in senso antiorario, volgendo le spalle a Gerusalemme. ‘Eccolo’ esclama in silenzio. Si stende a terra e prega. Gli pare udire un rumore di passi. ‘Non può essere. La chiesa è deserta’ pensa, mentre riprende il percorso di uscita. Gli pare di rivivere la partenza del viaggio ma ben presto si accorge che la visuale è diversa, anche se ripercorre una via che ha già fatto.

É appena uscito dal labirinto e si sente più leggero come se si fosse appena confessato o fosse reduce dal pellegrinaggio in Terrasanta. Al suo fianco si materializza un prete, che lo affianca. Anche l’ultimo rigo del messaggio è diventato realtà.

Venite” gli sussurra il prete, che lo conduce a un confessionale immerso nel buio. “Vi confesserò e vi assolverò da tutti i peccati”. Mette la cotta sull’abito talare e ascolta Pietro, che si confessa.

“Mi perdoni, perché ho tanto peccato” fa il frate inginocchiato.
Il prete nel confessionale risponde: “In nómine Patris et Filii et Spíritus Sancti”.
Amen” aggiunge Pietro, che attacca col Confiteor.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístae, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sánctis et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatíone, verbo et ópere:” e si batte il petto per tre volte “mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptistám, Sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, ómnes Sanctos, et te, pater, oráre pro me ad Dóminum Deum nostrum”.  
Il prete lo ascolta in silenzio e al termine gli chiede di recitare tre atti di dolore, prima di impartirgli l’assoluzione.
Misereatur tui omnipotens Deus, et dimissis peccatis tuis, perducat te ad vitam æternam. Amen”. Quindi con la mano destra elevata in alto lo assolve.
Indulgentiam, absolutionem, et remissionem peccatorum tuorum tribuat tibi omnipotens et misericors Dominus. Amen.
Dominus noster Jesus Christus te absolvat: et ego auctoritate ipsìus te absolvo ab omni vinculo excommunicationis, suspensionis, et interdicti, in quantum possum, et tu ìndiges. Deinde ego te absolvo a peccatis tuis, in nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen”.

La confessione sarebbe terminata con la formula di assoluzione dai peccati ma il prete si rivolge a Pietro in maniera inusuale.

Chinate la testa e allungate le mani” gli sussurra.

Il frate obbedisce senza fiatare. Sente le mani del prete posarsi sul suo capo, poi si ritrova tra le mani una bisaccia di lino.

‘Dunque è questa la missione che devo compiere’ si dice il frate, legandola in cintura sotto il mantello.

Andate in pace” conclude il prete.

Ha appena finito di ricevere l’ostia consacrata, quando il chierico Philippe lo chiama.

Sono qua” risponde Pietro “vi raggiungo e andiamo a mangiare qualcosa”.

Autricum, 14 novembre 1307, ora terza – anno secondo di Clemente V

É mattino, quando Pietro e Philippe si mettono in cammino per raggiungere Poitiers. Fa freddo e il tempo minaccia neve. Il frate con la sua carta bretone si è fatto spiegare dal maniscalco il percorso migliore. Vuole raggiungere in fretta la sua meta per non incorrere in brutte sorprese. Non si sente al sicuro, finché non avrà raggiunto la curia papale.

Pietro si avvolge bene nel mantello bianco per proteggersi dal vento gelido che spira da nord. Ha coperto anche il suo bardo. Ama la sua fedele cavalcatura.

Il nostro inseguitore?” gli domanda Philippe.

Ci inseguirà furibondo” dice sornione il frate “Quando arriverà a Autricum, noi saremmo a destinazione”. E partono decisi verso la loro meta.

Poco dopo l’ora nona e prima che l’imbrunire faccia sera, entrano stanchi e infreddoliti a Poitiers.

Ricoveriamo i cavalli presso un maniscalco e poi si presentiamo presso la curia papale? Oppure…” fa il chierico, subito interrotto dal frate.

No. Prima rendiamo omaggio al cardinale Caetani, il nostro mentore, e poi pensiamo a noi” taglia corto Pietro.

I due viaggiatori chiedono udienza al cardinale, che li riceve nello studio rosso. Dopo i rituali saluti, Caetani chiede loro delle informazioni sulle difficoltà del viaggio. Un giro di parole per arrivare al punto focale della conversazione.

Siete stato trattato bene da Guillaume de Nogaret a Paris?” domanda a Pietro.

Il frate riflette, non risponde subito. Vuole calibrare la risposta. Non ha gravi motivi di lagnanze a parte il fatto che è stato costretto con la forza a deviare il suo percorso.

“Se non fosse stato che sono privato della mia libertà e costretto a stare in una cella senza il conforto dei sacramenti, posso dire il trattamento è stato buono” fa il frate con tono sicuro.

Il cardinale ha sperato che il templare si fosse lagnato ma così non è stato. Sente ostili tutti gli uomini del re. Vorrebbe indurre Clemente V a essere più deciso nel contrasto con le mire reali attraverso testimonianze e lagnanze. Però al momento ha un altro impellente necessità: vuole conoscere, se l’incarico ricevuto sia stato portato a termine e cerca un modo per giungere sull’argomento senza citarlo. Pietro intuisce che le domande hanno un secondo e più sottile fine e preferisce rompere gli indugi.

“Quando abbiamo lasciato Sens, ho confuso le strade. Ci siamo incamminati verso ovest, giungendo nella città di Autricum” comincia la narrazione il frate.

“Dunque vi siete persi?” chiede il cardinale, che trae un sospiro di sollievo, perché il frate sta affrontando l’argomento che desidera conoscere.

“Non esattamente, così” riprende Pietro. “Abbiamo allungato la strada. La colpa è mia, perché non ho voluto chiedere suggerimento sulla strada da seguire”.

Philippe non vuole permettere che il frate si prenda la responsabilità della deviazione. “In realtà siamo in due ed ero io la guida che doveva conoscere la strada”.

Il cardinale sorride, perché entrambi vogliono la loro parte di colpe. Però in questo momento la questione non gli interessa. Preferisce sapere se il frate ha ritirato l’oggetto a Autricum.

“É lodevole il vostro impegno di assolvere il compagno di viaggio. Tuttavia non è questo il nostro obiettivo. Era ed è quello di essere presso questa corte papale” dice Caetani per tagliare l’accenno di contrapposizione dei due protetti.

“Abbiamo visto l’immensa cattedrale Notre Dame, ricca di statue, vetrate e guglie. Qui ho potuto confessarmi e ricevere la sacra comunione”.

Il cardinale sorride. Il messaggio del templare è chiaro ‘sono stato nella cattedrale e ho ricevuto un oggetto segreto. Di questo solo io ne sono a conoscenza‘. Adesso li lascia liberi di riposare dopo la lunga cavalcata, perché quello che voleva sapere, lo sa.

“Vostra Eccellenza, vi chiedo umilmente dove possiamo ricoverare le nostre bestie, stanche e bisognose di cure?” gli chiede Pietro.

“Chiedete di Monsieur Bertrand, il mio maniscalco. Lui accudirà i vostri cavalli meglio di chiunque altro” dice il cardinale, affidandoli al suo segretario.

Poitiers, stanze del cardinale Colonna, 14 novenbre 1307, ora del vespro – anno secondo di Clemente V

Il cardinale Colonna è irritato e nervosamente si muove nella stanza. Non è riuscito a conoscere il testo del messaggio del suo arcinemico. ‘Quell’idiota di frère Alphonse non l’ha letto. Ha trovato mille scuse per giustificare la propria inettitudine. Non mi ha nemmeno informato che Philippe de Laurent stava tornando con un templare’ si dice, borbottando tra i denti.

Si domanda come questo frate sia sfuggito alle retate delle guardie del re. ‘Chi è?’ si domanda curioso ‘Chi è da godere delle protezioni di Roland de Bernard? Perché Lui l’ha ricevuto senza farlo attendere un solo istante?’

Il cardinale non vuole nominare nemmeno nei pensieri quel nome tanto odiato. Aspetta da un momento all’altro il ritorno di padre Georg con notizie fresche su questo monaco, che pare protetto da troppe persone. Sente bussare discretamente alla porta. “Avanti” dice con tono minaccioso e vede spuntare il viso del suo segretario.

“Entrate” esclama, accompagnando le parole con un gesto eloquente della mano. “Vi ascolto”.

“Non sono riuscito ad avere molte informazioni sul templare. Tutti tengono la bocca cucita, come se temessero chissà quali tempeste”.

Il cardinale sbuffa e pensa di essere attorniato da una serie di parassiti senza la spina dorsale. Raccolgono notizie inutili e mai quelle che gli interessano. Gli fa cenno di essere conciso. Padre Georg riprende la narrazione.

“Qualcuno dice che sia un templare famoso, quanto il gran maestro, Jacques de Molay. Altri dicono che deve assolvere una missione. Nessuno è stato in grado di dirmi chi sia esattamente. Pare che sia lombardo ma parla un latino forbito. Una fonte assicura che sia un intimo amico del pontefice. Ma è un solo chiacchierare e basta” conclude il discorso il segretario.

Il cardinale si siede sulla sua poltrona preferita. Medita sulle scarne e contraddittorie notizie. ‘Sì, forse è un templare ben introdotto nella curia papale’ riflette il cardinale. ‘Probabilmente è amico di Bertrand de Got. Questo potrebbe spiegare certe protezioni’. Però deve conoscere l’identità di questo templare. “Insomma avrà pure un nome questo monaco guerriero” esclama Colonna spazientito.

“Sì ma…” comincia padre Georg.

“Non riesci a eliminare dal tuo lessico i ma e i forse?” fa il cardinale, che sta perdendo la pazienza.

“Ho sentito dire questo nome: frère Pierre de Rodalis” afferma il segretario.

Colonna sta per replicare piccato, quando sente bussare alla porta. Fa un cenno a Padre Georg di andare a vedere chi è. Poco dopo ritorna con un messaggio.

“Proviene da Sens” fa in modo asciutto.

Il cardinale si siede alla scrivania per rompere il sigillo e leggerne il contenuto.

Sbianca e si lascia sfuggire una bestemmia.

Non passava giorno – cap. 4

foto personale
foto personale

La sera precedente Marco aveva offerto una cena a tutto il gruppo per festeggiare la laurea conseguita con tanta fatica a luglio, party rimandato più volte, perché non tutti gli amici non erano disponibili. Era stata una serata allegra e gaia con Marco e Laura al centro della festa.

Lui rideva e scherzava con la morte nel cuore, perché sapeva che questa sarebbe stata la cena dell’addio.

Lei era raggiante, mentre si stringeva al suo uomo, ignorando la tempesta che si sarebbe abbattuta la mattina seguente.

Marco a notte inoltrata la riaccompagnò a casa, anche se Laura avrebbe voluto trascorrere il resto della nottata con lui per completare i festeggiamenti. Lui si scusò. “Mi sento stanco con la testa pesante per il troppo bere” le aveva detto sulla porta di casa. Le diede un bacio appassionato, prima di lasciarla. “Alle dieci al solito posto sotto il cedro del Libano. Notte!”

Alle dieci, amore mio”, rispose la ragazza con un tono triste quasi presagendo quello che sarebbe successo tra poche ore.

Non aveva sonno, non sentiva la stanchezza della giornata convulsa. Nell’appartamento per terra valigie e borsoni, pacchi e pacchetti erano pronti per essere caricati sulla macchina. Il resto degli oggetti, quelli più ingombranti e non indispensabili, sarebbero rimasti nell’abitazione. ‘L’affitto è pagato fino a fine anno. Non c’è fretta’ si disse. ‘C’è tutto il tempo per organizzare con calma il trasloco definitivo’.

Marco abitava in un bilocale grazioso e soleggiato nella periferia di Milano, che occupava da cinque anni. Per Marco e Laura era diventata la loro casa, riempita giorno dopo giorno coi ricordi della loro presenza.

Si era sentito prosciugato nello spirito e privo di energie, perché l’euforia iniziale del ritorno a Ferrara stava scemando, mentre si aggirava per le stanze semi vuote. I dubbi avevano fatto capolino minacciosi e avevano oscurato la gioia della decisione. Aveva creduto di averli disciolti. Adesso erano tornati a galla. Motivazioni e dilemmi si erano presentati sempre uguali. L’amore verso Laura, l’impossibilità della ragazza di adattarsi a un’esistenza diversa da quella attuale. Per lei era come iniziare una nuova vita con nuove amicizie e nuovi ritmi, chiudendo un libro per iniziarne un altro completamente differente.

‘Amo Laura, ma non posso trascinarla a Ferrara” si era detto per rafforzare la convinzione che la scelta operata fosse stata quella giusta. Lei aveva idee grandiose sulla futura professione con molte e ottime offerte. Aveva solo l’imbarazzo della scelta.

‘Non posso chiedere di sacrificare le sue aspirazioni e se stessa per seguirmi e per seppellirsi in una città di provincia’ si era detto più volte. ‘Ferrara non può offrirle interessanti prospettive professionali’. Secondo la sua visione della vita il lavoro avrebbe dovuto essere vicino a casa. ‘Posso offrirle solo il mio amore, che difficilmente avrebbe compensato quello che manca’.

Per lui questi cinque anni a Milano erano stati una tortura. Non si riconosceva più. Aveva perso la capacità di decidere rapidamente e bene. Si sentiva molle e indeciso. La sua fortuna era stata quella di aver incontrato Laura e un gruppo di persone eccezionali che gli avevano dato la forza per superare i momenti di crisi più acuti.

Marco continuò a divagare nel suo muoversi per casa agitato e angosciato. Il flusso dei flashback sembrava un torrente in piena, spumeggiante e tumultuoso, pronto a dilagare nelle aree circostanti.

Passò una notte insonne, popolata da incubi e pensieri, da dilemmi e pentimenti. Erano le otto, quando Marco si riscosse dal penoso dormiveglia inquieto e affannato. Impacchettò gli ultimi oggetti prima di uscire.

L’aria fresca del mattino aveva alleviato in parte le difficoltà della mente a mantenersi lucida, aveva spazzato via la stanchezza. Si sentiva pronto ad affrontare la prova più difficile della giornata: Laura.

Si fermò al solito bar per il primo caffè della giornata. Lo sorseggiò con lentezza senza avvertirne il sapore amaro. Mentre sbocconcellava svogliatamente la brioche integrale calda, pensò che tra poco avrebbe salutato per sempre Laura. Camminò con lentezza, perché non desiderava arrivare in largo anticipo all’appuntamento, per ridurre al minimo l’angoscia dell’attesa.

Il tarlo del dubbio aveva continuato incessante il suo lavorio dentro la mente. Si era chiesto, se fosse giusto chiudere il rapporto con lei e quali probabilità avrebbe avuto di trovare una donna dolce e sensibile come lei.

‘Devo mostrarmi deciso nel troncare’ si era detto, avvicinandosi al parco. ‘La decisione di tornare a Ferrara è presa. Non posso tornare sui miei passi. Ogni domanda alimenta i dubbi’. Era lacerato dall’indecisione ed era timoroso di non riuscire a trovare parole e tono giusti.

Alle dieci in punto era sotto il secolare cedro del Libano su quella panchina che consideravano di loro proprietà. Qui avevano tante volte parlato del loro futuro, mentre si tenevano per mano.

Laura, come al solito, era in ritardo.

Fu spiccio. Dopo i saluti le disse semplicemente ‘addio’. Si allontanò senza mai voltarsi, perché un groppo gli serrava la gola e le lacrime erano pronte a scendere impietose.

Partì senza indugi per Ferrara. Giunto a casa dei genitori, sorpresi dall’arrivo inaspettato, Marco si rifugiò nella casa di campagna. Come un eremita rimase lì per diversi giorni nel tentativo di dimenticare Laura, godendosi gli ultimi scampoli di una estate, che non voleva cedere il passo all’autunno. Nonostante fosse lontano da tutti, dalle maldicenze e dalle domande pettegole dei conoscenti, non ci riuscì. Cercò di stemperare l’amarezza del vuoto che Laura aveva lasciato dentro di lui, ascoltando il silenzio dei campi, interrotto dal cinguettio degli uccelli. L’ansia di dimenticare quel volto lo svuotò. Tutte le certezze, che avevano corazzato la sua mente fino a quel momento, si dissolsero. L’incapacità di superare questo frangente mise a nudo la sua fragilità emotiva. Percepì che era giunto il momento di tornare in città per affrontare le domande scomode, alle quali non avrebbe saputo rispondere con precisione. Doveva giustificare delle scelte, che apparivano incongruenti e illogiche. Se non lo faceva adesso, non ci sarebbe più riuscito. Rischiava di avvitarsi su se stesso.

I genitori cercarono di capire i motivi del ritorno improvviso e senza preavviso. Ottennero solo risposte vaghe ed evasive, che percepirono come un alibi. Nonostante tutti gli sforzi avvertirono l’inutilità di conoscere i reali motivi e ci rinunciarono. Erano infastiditi dai commenti maligni degli amici e conoscenti, che avevano accompagnato il rientro di Marco dopo gli anni vissuti a Milano. Tuttavia speravano col passare dei giorni di venire a capo delle motivazioni concrete.

Una storia così anonima – parte ventitresima

dal web
dal web

Lione, 22 febbraio 2015, ore 19

Siamo stati seguiti da Ferrara” dice sottovoce Luca “Non voltarti! É fermo dietro di noi a circa duecento metri. Finge di guardare una cartina”.

Vanessa, che istintivamente si sta girando, si ferma a quell’ordine imperioso, lanciato dal compagno.

Sei sicuro?” fa la ragazza, allungando il collo verso lo specchietto laterale.

Se te lo dico, devi credermi” esclama sommesso il ragazzo.

E perché non hai detto nulla fino a questo momento?” lo rimprovera Vanessa un po’ acidamente.

Saresti stata male solamente. Non saresti stata capace di non voltarti indietro per vedere se era dietro di noi. Così l’abbiamo illuso di non esserci accorti di lui” fa Luca, che ha finito di studiare il percorso per raggiungere l’hotel.

Come ti permetti?” dice la ragazza d’istinto ma si corregge quasi subito. “Mi conosci bene. É vero, non avrei resistito alla tentazione di girarmi”.

Il ragazzo sorride, perché per una volta lei ammette di avere torto. Trova questa ammissione sorprendente. Quasi non la riconosce e si domanda quale finimondo meteo succederà tra poco. Neve? Pioggia? Vento? Lei invece è stizzita, perché confessare pubblicamente di non aver ragione non fa parte del suo ego. ‘Ormai l’ho detto e non posso rimangiarmelo’ si dice un po’ innervosita.

Cosa pensi di fare?” gli chiede Vanessa, cercando di mantenere un tono calmo.

Nulla. Raggiungiamo l’hotel, andiamo a mangiare e domani si parte per Parigi. Sulle tracce di Pietro” afferma Luca, avviando l’auto. “Mi raccomando, non voltarti”.

E lui?”

Non me ne frega nulla” afferma il ragazzo sorridente.

Sistemano i bagagli nella camera, che soddisfa visibilmente la ragazza. Elegante, raffinata e molto spaziosa. Luca, collegato al WiFi, rintraccia un autentico bouchon lyonnais, Les Culottes Longues, che è a due passi dall’albergo.

Authentique bouchon lyonnais, Les Culottes Longues est situé à deux pas de la place Bellecour dans le quartier d’Ainay, ancien repère des antiquaires. Dans un cadre convivial et rustique, difficile de passer à côté de cette magnifique culotte encadrée au mur. L’accès à la salle qui se trouve à l’étage se fait par un escalier en colimaçon tout en bois au centre de la pièce.
Créé en 1995 par François Paillet, David Cano a d’abord travaillé comme commis dans ce restaurant. Puis il a monté les différents grades et est ensuite devenu chef. C’est alors qu’il a décidé de racheter le bouchon en 2005. Ce défenseur de la tradition culinaire lyonnaise essaie sans cesse de nouvelles choses pour s’améliorer et progresser.
Impossible de ne pas succomber à sa salade lyonnaise, son saucisson ou son foie de veau. Réputé pour sa bonne chère, les maîtres mots de ce bouchon sont terroir, saison et région. Ambiance chaleureuse et traditionnelle sont de mise dans ce lieu si sympathique.
“Questo mi piace” dice Luca alla ragazza, che scorre ‘Suggestions du soir‘, la lista del menù.
“Ma sei sicuro di non aver preso una cantonata da turisti?” borbotta indecisa Vanessa.
“Fidati! Il mio sesto senso non sbaglia mai! Ho forse ciccato l’albergo?” domanda sornione il ragazzo.
“No, direi di no” replica la ragazza, che non gli vuol dare la soddisfazione di aver scelto un hotel di suo gradimento. ‘Ammettere due volte in una sera, che ha ragione, è troppo per il mio ego’ si dice per nulla soddisfatta.
“Quindi anche questo bouchon sarà ottimo” chiude il discorso seccamente Luca.
Fatti quattro passi, i due ragazzi si siedono a un tavolo del locale e si lasciano consigliare dallo chef David Cano per la sera.
“Ma esattamente bouchon cosa vuol dire?” chiede la ragazza.
“Sei tu che conosci il francese” si schernisce il ragazzo “ma secondo il sito dovrebbe essere l’equivalente di una nostra trattoria tipica, dove servono piatti regionali, certificati da www.lesbouchonslyonnais.org. Più o meno. Questo locale, sulla base di quello che sta scritto, ha un pezzo di carta che garantisce di non tradire le tradizioni lionesi dei bouchon. Cosa voglia dire in soldoni, non ne ho la più pallida idea”.
“Da noi le trattorie sono più alla buona” dice Vanessa, che si mostra sorpresa. La sala è accogliente e calda. Il personale è professionale.
Nell’attesa degli Entrees ordinati riprendono l’argomento del pedinamento.
“Il nostro uomo ci ha seguiti anche qui. Per l’hotel è rimasto fregato, perché abbiamo preso l’ultima stanza libera” fa Luca sornione.
La ragazza sobbalza e sta per fare una panoramica della sala, quando il ragazzo le prende il viso per scoccarle un bacio.
“Lasciami!” dice inviperita.

“Certamente, se mi prometti di guardare solo me. Per stasera. Domani hai libertà di scelta” fa Luca, senza accennare a sbloccare la faccia dalle sue mani.

Vanessa capisce che l’amico non scherza, è determinato nella sua azione. Nelle ultime ore non ha sbagliato un colpo. Non può ammettere di essere stata sconfitta. Ne va del suo orgoglio.

“Va bene. Ma adesso lasciami” dice con tono remissivo.

“Così mi piaci. E ora pensiamo solamente alla cena” fa Luca, liberandole il viso.

Il cameriere arriva con due piatti di antipasti differenti. Il ragazzo li osserva con cura. In realtà immaginava qualcosa di diverso. “Metà del mio piatto per te e metà del tuo per me” dice, dividendo i peperoni rossi immersi in una salsa dal colore indefinito.

“D’accordo!” afferma decisa Vanessa. “Quella salsa deve essere migliore rispetto a questa”. La sua Ou salade de Chevre chaud en feuille de brick sembra meno appetitosa di quella di Luca.

Mangiano di buon appetito, praticamente in silenzio, che Luca interrompe.

“Mi sto domandando perché quel simpatico bontempone, che pare un armadio, ci stia pedinando” sussurra appena il ragazzo “posso comprenderlo a casa nostra ma in trasferta no”.

Vanessa sorride ma non ha una risposta. ‘Dunque il misterioso pedinatore è facilmente riconoscibile’ si dice soddisfatta.

“Non riesco a formulare un’ipotesi accettabile” fa la ragazza “eppure un senso dovrà pure averlo”.

“Comunque pare avere un discreto numero di informazioni su di noi” continua Luca “telefono, domicilio, conoscenza delle nostre ricerche. Ora che la sua fisionomia è ben impressa nella mia mente, non mi pare che ci abbia pedinato sabato quando abbiamo girato nelle mattinata per Bologna. É talmente inconfondibile che lo ricorderei”.

Saldato il conto, si chiudono nella loro stanza. La stanchezza ha il sopravvento.

Non passava giorno – cap. 3

 

Foto personale
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Marco stava riordinando cassetti della sua scrivania. Era tempo che lo facesse. Nel frattempo doveva mettere ordine nei flashback, che si erano accavallati confusi nella memoria. Non sapeva neppure lui cosa stesse cercando. In realtà ne era perfettamente consapevole ma pensava di ingannare se stesso. Era un ricordo del liceo. Seduto, vuotò sul piano del tavolo il contenuto del cassetto.

Era un ragazzo, alto dal corpo muscoloso forgiato dalla pallacanestro che aveva praticato al liceo con discreto successo, mettendo a frutto un fisico robusto e una tecnica più che pregevole. La statura non gli aveva garantito di giocare a livelli superiori. Quindi al termine del liceo abbandonò questa pratica sportiva, che in compenso aveva fatto sbocciare alcuni tratti del suo carattere. La prontezza nel prendere le decisioni, la lucida calma per fronteggiare i frangenti più concitati, una visione d’insieme a tutto tondo nell’affrontare i problemi.

Superata la maturità con una discreta votazione, si era iscritto all’università a Milano, dove si era trasferito dalla sua città natale. Qui aveva fatto sognare diverse ragazze con il suo viso da bravo ragazzo pulito e sorridente. Tuttavia la scelta era finita su Laura, con la quale aveva fatto coppia fissa per tutta la durata degli anni universitari. Dopo la laurea non aveva voluto rimanere in una città, che non percepiva come sua. Aveva avuto la sensazione di essere rinchiuso in gabbia. Lui amava gli spazi aperti della campagna, il ritmo lento della vita. Nonostante tutti gli sforzi profusi non era riuscito a superare questa percezione negativa. Aveva preferito tornare a Ferrara.

Apparentemente questa decisione agli occhi di amici e conoscenti sembrava assurda per le prospettive future che la città gli poteva offrire. Qualcuno azzardò l’ipotesi che lui fosse un perdente, perché non era stato in grado di vincere nostalgia e paure. Più volte aveva riflettuto, se avesse operato una scelta consapevole e ragionata. La risposta era sempre stata affermativa, perché aveva privilegiato la sua vita futura all’immediato presente. Era stato per lui un passo doloroso, perché aveva avuto come contropartita la rinuncia a Laura, che amava e che avrebbe voluto come compagna di vita. Anche in quel momento si diceva che non avrebbe potuto costringerla a finire in una città, come Ferrara, piccola e provinciale, sonnacchiosa e chiusa alle novità. Sapeva perfettamente che lei non concepiva un posto, dove vivere e lavorare, diverso da Milano. Qui era nata e cresciuta, seguendo i suoi ritmi frenetici e stressanti. ‘Quali prospettive di lavoro può offrirle Ferrara?’ si disse, nel momento che maturò la scelta tornare. La risposta non poteva che essere una: avrebbero avuto molte difficoltà nel trovare qualcosa di professionalmente valido. Questo per lui sarebbe stato insopportabilmente troppo forte nei confronti della ragazza, perché ne avrebbe minato i loro rapporti.

L’alternativa era che lui rimanesse a Milano definitivamente. Una prospettiva che gli aveva creato molti dubbi e incertezze. Una vita di corsa non era quello che aveva immaginato per sé e l’eventuale famiglia. Se era sopportabile, vivendo da studente universitario, non lo riteneva tale nell’affrontare la quotidianità, costituita da lavoro, moglie e figli.

La decisione fu rapida e drastica. Un taglio netto senza ripensamenti.

Dal giorno del rientro aveva fatto piccoli lavoretti precari e saltuari, rinunciando a proposte professionalmente interessanti, che avevano il grave difetto di essere lontane da Ferrara. Dopo otto mesi era riuscito a trovare il posto che desiderava a Bologna. Era felice come un bambino al quale era stato regalato un nuovo gioco. Finalmente non sarebbe stato più di peso per i genitori. Aveva ragionato il giorno precedente che era giunto il momento di pensare seriamente a una ragazza, con la quale condividere le gioie e i dolori dell’esistenza futura.

Ancora poco, appena tre giorni lo dividevano dal nuovo lavoro. Poi avrebbe iniziato una nuova vita, scandita da levate mattutine, da treni di pendolari e perennemente in ritardo, dai ritmi del lavoro e da nuove amicizie. Era impaziente di esplorare questo aspetto ignoto del vivere quotidiano, di comprendere quali prospettive gli avrebbero riservato il futuro.

Marco era alla ricerca del vecchio quaderno di poesie, scritte durante gli anni del liceo. Era rimasto abbandonato, quando aveva iniziato l’università a Milano. Sul tavolo sparpagliati c’erano vecchie lettere sgualcite, fogli ingialliti di appunti scolastici, disegni e schizzi appena abbozzati, diverse fotografie a colori rovinate dal tempo.

Sotto stava una busta bianca, che pareva incitarlo ad aprirla. La prese in mano titubante, scostandone il lembo superiore libero.

Il cuore si fermò per un istante, quando ne vide il contenuto. Avrebbe voluto non notarla ma la mano aveva estratto le fotografie di Laura. Ricordi dolorosi, che in questi mesi aveva cercato di cancellare. Insieme alle istantanee c’erano un paio di fogli sciupati, vergati a mano con la scrittura minuta e senza fronzoli di lei. Erano le poche lettere che aveva conservato, mentre il resto era stato distrutto.

Il cuore prese a battere a mille, mentre un groppo gli bloccava la gola. ‘Perché ho conservato fotografie e lettere?’ pensò. ‘Non ricordo, quando le ho infilate nella busta. Pensavo di aver bruciato tutto per rimuovere le tracce di Laura’. Nella busta c’erano anche altri oggetti, che gli ricordavano i momenti felici della loro relazione ma implacabili riaprivano un capitolo doloroso, che credeva chiuso per sempre.

Si appoggiò allo schienale della sedia. Lasciò la busta sul piano del tavolo, carica di ricordi piacevoli e amari, dopo aver riposto il resto nel cassetto.

Temeva il riaffiorare di un fantasma, che pensava d’avere sepolto definitivamente otto mesi prima. Tuttavia adesso si stava materializzando sotto i suoi occhi. Immagini, parole e sensazioni si addensavano, come nuvole impazzite nella testa.

La mente tornò al 25 agosto dell’anno precedente. Stava nel parco nei pressi dell’università sulla panchina posta sotto il secolare cedro del Libano, che era stato il muto custode dei loro segreti.

‘Ho detto un addio senza spiegazioni, perché non volevo prolungare l’agonia della nostra relazione’ pensò. ‘Sono partito subito per Ferrara’.

I giorni successivi furono terribili perché la sensazione dello strappo aveva lacerato i pensieri e le azioni con mille tagli dolorosi. ‘Sono stato male’ ricordò. ‘La visione di Laura piangente e sconvolta mi ha perseguitato di giorno e di notte’.

Mentre scorrevano le immagini un po’ sfocate del film di quei giorni pieni di angosce e di sensi di colpa, si ricordò di aver deciso la distruzione di tutto quello che potevano rammentargli Laura. Le lettere, le istantanee e altri mille segni della loro relazione. Solo i regali aveva nascosto in cantina. Non aveva avuto il coraggio di gettarli. Per un motivo imperscrutabile aveva invece conservato la busta e il suo contenuto.

A distanza di otto mesi capì di essere stato un codardo, perché non aveva voluto affrontare i sentimenti, gli occhi e le parole di Laura. Fissò la grande busta bianca, senza avere la forza di toccarla, di aprirla per riesumare il dolore del distacco.

‘Avrò il coraggio di guardare di nuovo il contenuto?’ si domandò muto e angosciato. ‘Sarò capace di andare in cantina a cercare gli altri oggetti che mi ricordano Laura?’ Continuò a osservarla incapace di muovere le mani. Non si riconosceva. Incerto e confuso non voleva prendere una decisione. Lentamente prese fra le dita quel frammento di vita, determinato a scacciare i fantasmi e affrontare le sue paure. La mente tornò ai giorni dopo la laurea, perché rammentava con precisione ogni istante, ogni pensiero, ogni azione di quei momenti.

Era una fresca mattina di fine agosto, quando decise che era giunto il momento di rompere e di tornare a casa. Si era spento l’eco festoso della laurea, che avevano conseguito insieme a fine luglio. Non aveva ottenuto il massimo dei voti, ma il professore l’aveva elogiato pubblicamente per l’ottimo lavoro presentato. Si era laureato in Ingegneria Gestionale con la tesi ‘Come valorizzare gli asset di un’azienda editoriale in liquidazione coatta’.

Per scriverla era stato aggregato come stagista a una società di consulenza, incaricata di valorizzare e vendere gli asset di una casa editrice commissariata. Aveva lavorato duramente per oltre nove mesi, aveva imparato diversi aspetti di un’attività difficile, era maturato nel carattere.

Ne era uscito un lavoro pregevole. La società gli aveva offerto di entrare come consulente junior. Marco avvertiva dentro di sé che non sarebbe stato felice a Milano, perché non la sentiva sua. Preferiva la sua città, piccola a misura di uomo, dai ritmi lenti e tranquilli, piena di ricordi e monumenti antichi. Prese tempo per riflettere sulla proposta. Non si riconosceva nella persona che prendeva rapide decisioni sul campo di basket. Era tentennante e indeciso. Alla fine rifiutò, lasciando perplessi e delusi i componenti del team. Come se si fosse scrollato da dosso la paura, che l’aveva reso titubante, decise che era il momento di consumare l’addio.

Su questa proposta di lavoro era stato generico e reticente con Laura, perché temeva che lei avrebbe cercato di convincerlo a non rinunciare all’offerta allettante. Se lui l’avesse ascoltata, il tarlo del dubbio avrebbe ricominciato a lavorare dentro di lui. Il progetto del ritorno a Ferrara doveva decollare senza se e senza ma. Non doveva sfogliare la margherita del ‘parto’ o ‘non parto’. ‘Non potevo macerarmi in altre esitazioni, in nuove valutazioni dall’esito incerto’ rifletté Marco, ripensando a quei giorni.

Preso tra due fuochi, l’amore verso di lei e la sirena del ritorno, aveva trascorso gli ultimi mesi tra titubanze e incertezze.

‘Ho avvertito crescere dentro di me un astio ingiustificato e irrazionale verso Laura, che aveva un’unica colpa. Quella di amarmi’ concluse amaramente

Una storia così anonima – parte ventiduesima

dal web
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Sens, 13 novembre 1307, ora terza – anno secondo di Clemente V

Pietro e Philippe sono di partenza. Passano dall’arcivescovo per accomiatarsi.

Dòminus vobiscum” augura loro il prelato, impartendo la benedizione.

Deo gratias, allelùia, allelùia” rispondono quasi all’unisono, baciando l’anello vescovile.

Si avviano a uscire da Sens. Il frate nota uno strano cavaliere che staziona accanto alla porta, fingendo di conversare col comandante delle guardie. Non li degna di uno sguardo, resta immobile al loro passaggio, rimane assorto nella discussione ma è sempre vigile e attento a chi esce dalla città. Pietro non crede che Guillaume de Nogaret l’abbia lasciato andare senza mettergli alle costole un angelo custode. Quel cavaliere non ha le ali ma di certo è interessato a dove loro si dirigono. Nel messaggio il cardinale Caetani gli ordina di fare una deviazione e incontrare un prete di campagna, che lo attenderà tutti i giorni all’interno del labirinto. Il cardinale lo riceverà a Poitiers. Per eseguire l’ordine deve prima liberarsi dell’intruso. Si domanda se deve coinvolgere anche Philippe nei suoi piani. Ci sarà tempo, si dice, per capire come muoversi. Adesso il problema è il cavaliere.

‘Come far perdere le nostre tracce?’ si chiede Pietro. Lui si è procurato una mappa della zona, scritta in bretone. Senza le spiegazioni di qualcuno pratico dei luoghi e dei toponimi non è in grado di orientarsi, perché conosce solo vagamente i nomi latini. Superato il largo fiume che scorre a ovest di Sens, si avvia lungo una strada, resa fangosa dalle piogge dei giorni precedenti. Non è sicuro che sia la via giusta. Pietro sa che deve puntare verso ovest, verso la costa. Lui si sta muovendo in una regione ricca di boschi e di paludi, di fiumi e di laghetti ma totalmente sconosciuta.

Non è la strada che ho seguito per raggiungere Sens” mormora con timidezza il chierico.

Davvero?” dice Pietro, fingendo sorpresa. “Non sono pratico delle strade, né conosco la zona. Ma voi che sentiero avete preso?”

Con precisione non saprei dirvelo” replica Philippe. “Mi pare che puntasse più a meridione di questo”.

Tornare sui nostri passi non mi sembra il caso. Rischiamo solo di perderci. Al prossimo villaggio, facciamo una sosta e chiediamo informazioni” fa il frate, sapendo di mentire.

É l’ora sesta, quando raggiungono quattro case di legno, disposte lungo il sentiero, immerse nel bosco. Sono abitazioni molte povere, ricoperte da un tetto, che non appare molto stabile. Pietro scende da cavallo e bussa alla porta di quella che ritiene la più qualificata per ottenere delle risposte. Alla sua vista gli appare la migliore. Una selva di occhi di fanciulli si assiepano dietro le due finestra dell’abitazione. Lo scrutano incuriositi e timorosi. Non vedono troppo frequentemente dei cavalieri passare per il loro villaggio. Quello che li attrae maggiormente è quel largo mantello bianco con una croce rossa, cucita su una spalla. Non ne hanno mai visto uno. La porta si apre cautamente. Il viso di un uomo, incartapecorito dalla vita all’aperto, si sporge quel tanto necessario per osservare chi ha bussato.

Buona giornata, Messere” dice Pietro, facendo un profondo inchino. “Io e il compagno di viaggio, il chierico Philippe, vi chiediamo di poter entrare nella vostra dimora, perché abbiamo necessità di avere informazioni sul nostro viaggio”.

L’uomo rimane in silenzio, come se meditasse, incerto se richiudere l’uscio o spalancarlo. Tuttavia la curiosità ha il sopravvento. “Entrate” fa l’uomo con voce scontrosa, aprendo la porta.

Mentre il frate e il chierico, assicurati i cavalli alla staccionata, si apprestano a varcare la soglia, il piccolo villaggio pare animarsi all’improvviso. Volti e occhi compaiono alle finestre e dalle porte di tutte le case. Osservano incuriositi questi stranieri, vestiti in maniera singolare secondo la loro ottica. É tutto un domandarsi ‘chi sono? Da dove vengono? Dove sono diretti?’. Un cavaliere, che seguiva la coppia, si ferma al limitare del bosco, invisibile alla loro vista. Rimane immobile nell’attesa che riprendano il viaggio.

Dòminus vobiscum” dice il frate con un profondo inchino.

L’uomo lo guarda sbigottito. Non capisce il latino, a malapena conosce il francese. L’essere ossequiato come un re lo destabilizza. É la prima volta che qualcuno gli rende omaggio.

Monsieur,” fa ossequioso il frate “io mi chiamo Pietro e lui è il chierico Philippe. Forse ci siamo perduti”.

L’uomo è basito. ‘Mi chiama monsieur! Io umile contadino vengo trattato come il signor conte, che è il padrone di tutto quello che possiedo’ si dice, aprendo la bocca senza articolare una parola.

Chiamatemi Gustave” fa finalmente, quando la voce esce dalla gola.

Pietro sorride. Ha compreso l’imbarazzo del suo interlocutore. Sa di essersi conquistato la sua deferenza. Adesso è venuto il momento di abbassarsi al suo livello. Philippe guarda il frate e resta in silenzio. É ammirato per la sagacia del compagnio di viaggio.

Grazie, per avermi concesso la vostra amicizia.” fa il frate “Come vi ho detto, crediamo di esserci persi. Dobbiamo raggiungere prima Autricum, poi Limonum. Siamo sulla strada giusta?”

Gustave li guarda stupito, perché sono due nomi assolutamente sconosciuti. Scuote la testa in segno di diniego.

Non posso aiutarvi, messeri.” afferma contrito l’uomo “L’unica cosa, che posso dirvi, è che questo sentiero porta a una grande città con le mura merlate. Lì portiamo una volta al mese i prodotti della nostra terra che vendiamo al mercato e dove compriamo quanto ci necessita per il quotidiano”.

Pietro sorride. Dunque non mi sono sbagliato, pensa, sono sulla strada giusta.

Ma quanto dista questa città?” domanda con tono garbato il frate.

Se partite tra un’ora, la raggiungete prima del vespro” risponde Gustave.

Rischiamo di perderci nella foresta?” fa Pietro, che sta pensando a come depistare il cavaliere che è alle loro costole.

No. C’è un unico punto difficile a due ore di cammino da qui. La strada maestra si divide in tre, che portano in località differenti. Voi dovete prendere la via mediana” spiega l’uomo “Poi proseguite dove il sole tramonta. Non potete sbagliarvi. Il sentiero è ben tracciato. Non si presta a sorprese sgradite”.

Pietro è soddisfatto. Adesso sa dove costringerà il cavaliere a proseguire nella direzione errata.

Un ultimo favore, vi chiedo, Gustave” dice il frate “se avete acqua fresca e fieno per le nostre cavalcature. Vi ricompenserò per il disturbo con due monete d’argento”.

Philippe è sbalordito. Invece di chiedere cibo e acqua per loro, paga per dissetare i cavalli. Non hanno molte provviste e conservarle sarebbe meglio. ‘Come diavolo ha fatto a nascondere delle monete d’argento durante la prigionia?’ si domanda basito.

Acqua e fieno per le vostre cavalcature? Sarà un onore per noi fornirle. Ma se vi fermate posso offrirvi un semplice pasto che mia moglie e le mie figlie stanno preparando” dice Gustave con tono energico.

Non posso abusare della vostra cortese ospitalità. Ci sono sufficienti quanto necessita per i nostri cavalli” replica con tono gentile Pietro.

Il chierico sente i morsi della fame e al pensiero di partire senza mangiare nulla lo fa stare male. Tuttavia non osa contraddire il compagno di viaggio. Spera solo che cambi idea e accetti l’offerta dell’uomo.

Mi sentirei offeso e con me tutta la mia famiglia se un ospite se ne andasse, senza fermarsi al nostro desco” dice Gustave con tono impermalito.

Pietro, che vorrebbe ripartire subito, comprende che non può sottrarsi dallo stare a tavola con loro. “Non era mia intenzione apparire offensivo verso la vostra generosa ospitalità. Accettiamo di buon grado dividere il vostro cibo. Però vogliate prendere queste tre monete d’argento come ricompensa per la vostra gentile disponibilità” fa il frate, facendo comparire tre bolognini, come un prestigiatore alla fiera.

L’uomo osserva i tre pezzi e rapidamente li fa sparire in un sacchetto, legato in cintura. Ordina ai due figli maggiori di accudire alle due bestie, legate alla staccionata e alle figlie più piccole di apparecchiare la tavola.

Dopo essersi rifocillati e aver chiacchierato un po’ per non apparire scontrosi e scortesi, Pietro e il chierico si mettono in marcia, seguiti come un’ombra dal cavaliere a debita distanza. L’inseguitore controlla nel fango le tracce dei due cavalli.

Il frate resta in silenzio, finché non giunge al punto dove la strada si divide in tre direzioni, come aveva spiegato Gustave. Il monaco fa segno a Philippe di rimanere in silenzio e di seguirlo senza fare domande. Scende di sella, stacca delle frasche da un arbusto e indica al chierico di avanzare, mentre lui cancella le tracce alle loro spalle. Poi si dirige verso il bordo erboso della strada, avendo l’avvertenza di non lasciare impronte visibili.

Aspettatemi qui” dice sottovoce a Philippe, mentre raggiunge attraverso il bosco il sentiero che punta a meridione. Lo percorre per qualche centinaia di piedi di liprando, prima di ritornare nel bosco verso il punto, dove lo attende il chierico.

Ora procediamo nel bosco fiancheggiando la strada al piccolo trotto. Tra non molto riprendiamo la via maestra e ci mettiamo al galoppo per recuperare il tempo perduto” fa Pietro “Non chiedete nulla ora. Vi spiegherò tutto”.

Il cavaliere avanza con lentezza, perché non c’è la necessità di stare troppo vicino alla coppia da sorvegliare. La strada non presenta sorprese. É un sentiero largo e ben tracciato. Arrivato alla biforcazione, si chiede quale direzione hanno preso. Osserva le tracce sul terreno e nota che si dirigono verso meridione. ‘Se devono raggiungere Limonum, questa è di certo la via giusta. Le orme dei cavalli si dirigono verso quella direzione’ si dice, imboccando la via a sinistra. Il sentiero non presenta biforcazioni importanti. Quando dopo due ore di cammino ne incontra una, ha l’amara sorpresa di essere stato ingannato. Sul terreno non ci sono tracce recenti del passaggio di cavalli.

Impreca e ritorna sui suoi passi fino al punto della precedente biforcazione. Ha perso molte ore ma in particolare il buio è calato velocemente, rendendo difficoltoso l’esame del fondo del sentiero. Non trova tracce né in quella mediana, né in quella di destra. ‘Dunque sono entrati nel bosco per confondere le tracce’ ammette irritato per essere stato beffato ‘col buio di certo non sono in grado di capire verso quale direzione sono andati. Mi conviene tornare al villaggio e chiedere ospitalità per la notte. Domani mattina al primo albore riprendo la caccia’.

Pietro, quando arriva in prossimità della città merlata, spiega al chierico tutte le manovre misteriose che ha compiuto.

Dovete sapere che, da quando abbiamo lasciato Sens, un angelo custode ci ha seguito come un ombra, ovunque noi andassimo”.

Ma come lo sapete? Perché non me ne sono accorto?” domanda incredulo Philippe.

Non potevate accorgervene, perché siete giovane e con scarsa esperienza. Quando Guillaume de Nogaret mi ha lasciato libero a malincuore, per non urtare la suscettibilità dell’arcivescovo, immaginavo che mi avrebbe messo alle costole qualcuno. Così è stato” fa Pietro, avvicinandosi alla porta d’ingresso in città.

Ma voi come avete potuto accorgervene?” domanda stupito il chierico.

Mentre stavamo uscendo da Sens, ho notato un cavaliere che in modo discreto osservava chi entrava o usciva. La conferma l’ho avuta, quando ci siamo fermati per una breve sosta. Ho ascoltato il rumore di zoccoli alle nostre spalle. Attraverso il bosco sono ritornato indietro. Lui era fermo in attesa che noi ripartissimo. Dunque i sospetti erano fondati. Nel punto della via, nel quale mi avete visto fare strane manovre, l’abbiamo gabbato. Ora si starà chiedendo quale strada abbiamo preso. Però l’oscurità gli impedirà di mettersi in fretta alla nostra ricerca. Domani siamo a destinazione senza averlo alle nostre spalle”.

Perché siete stato in silenzio?” chiede Philippe, leggermente offeso.

Era inutile mettervi in apprensione” esclama Pietro, entrando in città. “La destinazione è Poitiers. Ci stanno aspettando”.

Il chierico mastica amaro. Avrebbe preteso maggior coinvolgimento negli avvenimenti. Tuttavia deve ammettere che il frate agisce con prudenza e non mette a repentaglio la sua vita.

Mentre voi cercate un maniscalco con stalla per i nostri cavalli e una locanda pulita e sicura, io vado a mondare i miei peccati nella Cattedrale, che si erge riconoscibile davanti a noi.” dice Pietro “Vi attendo lì”.

Il frate si avvia verso il luogo dell’incontro. Non sa se il prete ci sarà ad attenderlo. Nel messaggio del cardinale c’era scritto cosa doveva fare e nulla più. Ricorda a memoria il contenuto. Non ha chiaro quando questo avverrà.

Entrate dalla porta Nord e percorrete la navata di destra fino al portale Ovest. Volgetevi verso Est per iniziare il percorso del labirinto fino al punto centrale. Qui inginocchiato, guardando il rosone davanti a voi, pregherete, prima di riprendere il cammino inverso. All’uscita un prete vi affiancherà

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