Non passava giorno – cap. 8

 

foto personale
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Laura attese invano la telefonata di Marco nei giorni seguenti la partenza e ricominciò a vivere faticosamente tra inviti e colloqui di lavoro.

La ferita era aperta e non rimarginava per nulla. Dopo la serata trascorsa insieme cortesemente ma con fermezza si era sottratta alle attenzioni di Paolo. ‘Non è questo il modo per uscire dalla crisi per la rottura con Marco’ si disse. ‘Affrontando un’avventura con lui, so che sarà un’effimera storia’.

Il corteggiamento le faceva piacere, perché la faceva sentire viva. Tuttavia lo percepiva come un errore, perché avrebbe cercato di sostituire Marco con una persona che in questo momento non la stimolava per nulla. Paolo era una persona simpatica e intelligente, gradevole nella compagnia. Questo era insufficiente per trasformarlo in qualcosa di più.

Rifletté che nelle prossime settimane la lista dei pretendenti si sarebbe allungata e di certo non sarebbero mancate occasioni in futuro. Adesso doveva mettere ordine nella testa, che pareva come quella di un pugile groggy, e recuperare un minimo di equilibrio interiore, spezzato dal trauma per la rottura con Marco.

Le due amiche si vedevano e si sentivano, ma le loro strade stavano prendendo due direzioni diverse: Laura da single senza speranze, Sofia in relazione stabile.

Sofia dopo la laurea in matematica aveva trovato lavoro presso una società di consulenza informatica. Ben presto si era conquistata la fiducia dei superiori per le sue capacità professionali e per il carattere deciso e spiccio nell’approccio con la clientela, che era stato apprezzato da tutti. Non aveva avuto storie importanti ma brevi relazioni che morivano da sole per la sua personalità spiccata e forte, che non lasciava spazio al compagno. Lei li annichiliva e li riduceva a comparse. Sofia cercava uomini speciali pronti a raccogliere le sfide, che lanciava, creativi per compensare il senso di routine e di abitudinario del suo carattere, abili nel contrastare il suo decisionismo. Insomma desiderava un uomo che fosse un coacervo di tanti temperamenti diversi e contrastanti. Nessuno andava bene.

Tuttavia una svolta importante nella sua vita era scaturita dopo l’incontro con Matteo. Sofia aveva preso una sbandata paurosa per lui. Faceva coppia fissa, quando era disponibile. Gli effetti si notavano: il suo temperamento spigoloso si era addolcito. Aveva trasformato la sua personalità. Con Matteo era il primo e vero rapporto sentimentale che l’aveva coinvolta, stravolgendo un’esistenza, scandita da ritmi regolari e quasi metodici.

Era ancora vergine. ‘Se devo donare il mio corpo a un uomo,’ si diceva sempre ‘lui dovrà essere per forza il compagno della vita, la persona giusta secondo le mie aspettative’. Questo concetto lo ribadiva con forza anche con Laura. Tuttavia pur sentendo una forte attrazione fisica, evitò di fare sesso con Matteo: voleva essere certa che fosse il partner giusto.

Lui era stato attratto dalla personalità di Sofia, decisa e determinata, e dalla cultura vasta ed enciclopedica, che le consentiva di spaziare su qualsiasi argomento. Sofia era informata su qualsiasi tema, che trattava con proprietà e competenza. Trovava piacevole ascoltarla e dialogare con lei. Per questo motivo l’aspetto fisico era passato in secondo ordine. Matteo si era imbattuto fino a quel momento in ragazze scialbe e scolorite, con le quali faticava a intavolare una conversazione, che non vertesse sul sesso e sul gossip mediatico. Alcune di loro a letto erano delle autentiche bombe atomiche, perché parevano il kamasutra spiegato in pillole per le tecniche che adottavano. Queste relazioni duravano poco, perché, terminata la prima ondata di spinta erotica, non c’erano altri argomenti adatti a far lievitare il rapporto. Arrivato a trenta anni, come Paolo, e inserito come socio senior in uno studio di commercialisti, sentiva la necessità di trovare una donna da amare non solo nel letto ma soprattutto nel tempo libero. Spesso partecipava a cene di lavoro importanti e non poteva permettersi il lusso di trascinarsi dietro delle ragazze appariscenti tanto frivole quanto disinibite. Così agli occhi dei commensali appariva come lo scapolo d’oro impenitente, il single solitario e un po’ snob, poiché era rimasto praticamente l’unico a presentarsi sempre solo. Qualcuno con più malizia diceva: “Non l’ho mai visto con una donna. E’ sempre insieme con l’amico architetto, un altro single d’oro. Che sia gay?”

Questi commenti acidi e maligni lo ferivano a morte ma era impossibilitato a replicare con fatti concreti. ‘Non posso portare ai pranzi la Debby o la Vale’ si diceva amaramente, ‘loro sono capaci di farsi scopare dal primo commensale disponibile sotto il tavolo’. Quindi concludeva, che da gay finiva per diventare cornuto e mazziato.

L’incontro con Sofia sembrò offrirgli la classica scialuppa di salvataggio per mettere a tacere le dicerie. ‘Sofia ha una discreta serie di caratteristiche positive’ rifletté Paolo. ‘É una donna con un bel corpo, modellato dal nuoto, è intelligente quanto basta per di tenere in piedi qualsiasi conversazione. Ha un caratterino niente male che le permetterebbe di farsi un sol boccone di tutti i maligni’.

Non erano solo questi i motivi che lo rallegravano. Dopo quel fortuito incontro alla Caffetteria del Corso rifletté, se quella istintiva simpatia, che era sorta tra di loro, avrebbe potuto tramutarsi in qualcosa di più. Per lui era decisamente bella, una bellezza non vistosa o appariscente ma ricca di concretezza e sostanza. Ne era rimasto colpito fino dal primo istante in maniera non casuale. Era scattata una scintilla che adesso si era trasformata in un vistoso fuocherello, perché gli era piaciuto il modo gradevole di proporsi. Gli sembrava che anche Sofia ricambiasse la simpatia, perché questa era la sensazione ricevuta.

Conoscendola più a fondo, si convinse che sarebbe stata la partner giusta per lui. I loro caratteri era complementari. Sofia aveva una personalità decisa ed era una persona metodica e abitudinaria. Matteo era più timido negli approcci ma amava improvvisare e cercare le novità. Tuttavia non aveva altrettanto sicurezza che sarebbe riuscito a trasformare un’attrazione empatica in amore. Matteo giudicò, qualche settimana dopo il primo incontro, che fosse venuto il momento di uscire allo scoperto per verificare, se la reciproca simpatia era un bluff oppure realtà.

Matteo affrontò l’argomento una sera di fine settembre con l’estate, che tardava a lasciare il posto all’autunno e alle prime nebbie. Stavano sotto il pergolato di una trattoria sul lago di Como a cenare a lume di candela, quando le prese la mano.

Sofia“ cominciò Matteo. “Sento dentro di me una vocina che mi sussurra queste parole. Parlale col cuore in mano. Sarà buffo di questi tempi. Dichiarale il tuo amore. Sembrerà ridicolo e antiquato. Ma man mano che imparo a conoscerti meglio, capisco che ti voglio bene. Non oso dire che sia amore ma lo penso. Mi sento impacciato e un po’ fuori dal mondo di oggi nel pronunciare queste parole”.

Rimase in silenzio in attesa di una risposta.

Sofia deglutì nel tentativo di riacquistare la padronanza dei pensieri. Pensò di rispondergli di essere stata colta di sorpresa e di non essere in grado di affermare che anche lei lo amava. ‘Che parole vuole ascoltare da me?’ si disse in un attimo.

Ti amo” esclamò decisa, dopo aver superato un breve momento di smarrimento. Proseguì affermando che sentiva dentro di lei una strana sensazione che non aveva mai provato.

Dicono che è amore. Se questo è vero, allora è bellissimo!” concluse Sofia, che, alzatasi dalla sedia, diede un bacio sulle labbra a Matteo.

Erano entrambi incuranti degli sguardi maliziosi degli altri avventori, che ascoltarono curiosi le parole che la coppia si scambiava a voce alta.

Aggiunse che al ritorno a Milano lo invitava a casa per il brindisi della staffa a suggello della splendida serata.

Non mettersi in testa idee malsane” lo minacciò. “Il sesso è bandito almeno per questa sera”.

Matteo scoppiò in una risata fragorosa, che fece nuovamente voltare tutti verso di loro. “Di sesso ne ho fatto un’abbuffata talmente grande che ho fatto promessa di castità per i prossimi vent’anni!”.

Se è così” rispose maliziosa Sofia “e meglio chiudere qui la partita!”.

Non fraintendermi” replicò di buon umore Matteo, conscio di avere detto una baggianata. “I vent’anni si possono ridurre a giorni od ore, perché, sia ben chiaro, non è un voto vincolante. Ma una semplice scommessa con me stesso, che sinceramente vorrei perdere!”

Tornati a Milano, Sofia brindò con Matteo per l’inizio di una relazione voluta e sognata da entrambi. Teneva in frigo un Veuve Clicquot Ponsardin da stappare in una occasione speciale. Lei andava pazza per questo champagne dal gusto morbido e delicato con leggere bollicine, che amava regalare agli amici più cari o berlo in loro compagnia.

La voce sesso fu bandita dalle loro conversazioni. Si tenevano per mano come due ragazzini ai primi amori seduti sul divano di pelle azzurro Tahiri di Natuzzi illuminati dalla luce di Parentesi di Flos, mentre la notte avanzava decisa.

Una storia così anonima – parte ventottesima

dal web
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Poitiers, 15 novembre 1307, ora sesta – anno secondo di Clemente V

Pietro rientra nella sua stanza, trovandola sottosopra. La sacca da viaggio vuotata sul pavimento e completamente stracciata. I ricambi degli indumenti ridotti in brandelli. Anche la camera appare devastata. Il pagliericcio, su cui ha dormito, devastato, la piccola poltrona di velluto squarciata. Uno spettacolo da lasciare allibiti chi avesse visto lo scempio.

‘Cosa cercavano?’ si chiede, osservando quella desolazione. ‘Ma è tanto importante, quello che ho stretto in cintura, da provocare queste rovine?’ si dice, cercando di ridare una parvenza di ordine alla stanza. Prima di mettersi in viaggio dovrà procurarsi una nuova sacca e degli indumenti di ricambio. Sa che il viaggio sarà lungo e pericoloso. Chi gli dà la caccia, non arretrerà di un pollice. Tuttavia per il mobilio non può fare nulla.

Mentre esce, s’imbatte in Philippe. “Qualcuno mi vuole male” fa Pietro, mostrandogli la camera.

“Ma chi?” domanda il chierico.

“Non saprei” afferma il frate, scuotendo la testa. “Passo dal cardinale per salutarlo”.

“Partite? Così presto?”

“Sì, la commenda di Bologna mi attende. Il viaggio di ritorno sarà lungo e disagevole per il tempo” dice Pietro, abbracciandolo con vigore.

Philippe resta in silenzio. Si era affezionato a questo templare rude ma sincero. Il pensiero che parta e che difficilmente lo rivedrà, gli lascia nell’anima un vuoto e una profonda amarezza. Vorrebbe seguirlo ma non gli è permesso. Lo vede allontanarsi a passo svelto, mentre lui ritorna nella sua stanza.

Pietro si avvia senza indugi. Non vuol mostrare l’emozione che l’ha colpito e gli volta le spalle. Cancella dalla mente questo addio e si concentra sulla missione da compiere. É consapevole che anche i muri hanno orecchie e occhi. Cerca di mostrarsi disinvolto, fingendo di ignorare che qualcuno lo possa seguire. Salutato il cardinale, al quale narra gli ultimi inconvenienti, acquistato nella cittadina, quanto gli serve per il viaggio, compresa una rudimentale mappa per orientarsi, esce da Poitiers all’ora nona. Inizia la nuova avventura verso quel posto sperduto nel sud della terra dei Galli, dove un tempo vivevano i Catari. Cavalca spedito, perché tra non molto dovrà fermarsi. Le giornate corte di novembre e il cielo cupo di nuvole gli danno solo un paio d’ore di cammino.

Riflette. ‘Anche se non lo vedo, di certo quel cavaliere mi viene appresso e dovrò fare molta attenzione. Sono in un territorio nemico, dove a ogni passo si nasconde un’insidia. Il cardinale mi ha concesso un salvacondotto. Tuttavia servirà a poco’ si dice, mentre, arrivato a un villaggio vicino a un fiume, si ferma per la notte nella locanda de I Tre Cervi.

Poitiers, studio del cardinale Colonna, 15 novembre 1307, ora sesta – anno secondo di Clemente V

Il cardinale Colonna riceve Louis de Chevalier e ascolta quello che gli dice. Tiene il capo appoggiato alla sua mano e pensa che questo cavaliere sia un incapace. Non mostra i suoi pensieri ma annuisce ogni tanto.

“Cosa proponete di fare?” gli chiede brusco, interrompendo la lunga litania di scusanti.

“Di seguirlo, se abbandona questo palazzo” risponde Louis, che ha compreso che il cardinale è di umore tutt’altro che buono.

“Non avete dato prova di grande abilità” replica acido Colonna.

Il cavaliere resta in silenzio. Senza dubbio ha ragione. Gli è sfuggito di mano in un tragitto abbastanza facile. ‘Non è che qui mi sia dimostrato abile’ si dice, ‘qualsiasi cosa dica a mia discolpa, appare come un’ammissione di incapacità’.

“Non siete riuscito nemmeno a ucciderlo al primo albore nel silenzio di una notte buia” continua il cardinale a infierire su Louis. “Sono certo che entro domani tornerete con la coda tra le gambe, perché lui vi ha seminato”.

Colonna è irritato. Quel Pietro da Bologna ha aiutato il nemico, Bonifacio VIII, nella guerra tra le due famiglie. Nuovamente è ricomparso, protetto dall’avversario, cardinale Caetani, che è riuscito a toglierlo dalle grinfie di Guillaume de Nogaret. Il viso è una maschera di ghiaccio ma dentro bolle come la camera magmatica di un vulcano in eruzione.

Louis intuisce i pensieri malevoli del cardinale e onestamente non lo può smentire. Ritiene che il silenzio sia la migliore difesa, Però rischia di irritarlo ulteriormente, facendolo esplodere.

“Col vostro permesso” dice Louis de Chevalier “uscirei dal palazzo per attendere la preda”.

Il cardinale fa un gesto con la mano infastidito. “Andate ma se tornate a mani vuote, vi farò giustiziare”.

Il cavaliere fa inchino e si prepara a seguire Pietro. Lo vede uscire e poi rientrare. Non comprende quel muoversi ma attende fiducioso. Si sta annoiando, osserva due giocatori di dadi e si distrae. Alza gli occhi e vede il frate in fondo alla via. Impreca, raggiunge il suo cavallo e si pone all’inseguimento. ‘Il cardinale aveva ragione. Rischio l’ennesima figura da incapace’ si dice col cuore a mille. ‘Dove sarà andato? Non lo scorgo più’ fa, bestemmiando contro se stesso.

Prova a ragionare con lucidità, mentre raggiunge la porta di uscita. ‘Se sta facendo ritorno in Lombardia, potrebbe puntare o a est o a sud. Se invece…’. Impreca per la sua dabbenaggine. Chiede al sergente delle guardie se ha visto uscire un cavaliere con un mantello bianco. “Sì” gli risponde. “Che direzione ha preso?” insiste Louis, che scalpita per mettersi all’inseguimento. “Quella strada lì” gli risponde, indicando un sentiero fangoso, che taglia un fitto bosco. Senza ringraziarlo, Louis parte al galoppo all’inseguimento di Pietro. Le tracce sono nette sul terreno molle per la pioggia della notte. Raggiunge un villaggio posto sulla riva di un fiume. Ormai è sera. Di sicuro il frate si è fermato lì. C’è un’unica locanda. Non ha molta scelta. Non conosce l’area.

“C’è una stanza per la notte?” chiede alla locandiera, una donna dalla corporatura robusta quasi obesa e dai capelli scuri e unti.

“Sì. Due denari d’argento” dice, pretendendo il pagamento in anticipo.

Louis scende nella stanza dove servono la cena. Una graziosa servetta gli serve una zuppa di cipolle, carote e ceci, condita con pane nero di segale. Il cavaliere le fa un cenno col capo. Mette sul tavolo in bella vista una moneta d’argento. La ragazza si avvicina, incurante degli sguardi della locandiera. “Volete altro” gli chiede, avvicinando la mano alla moneta.

“Sì. Un’informazione” fa il cavaliere, spingendo con un dito il denaro sotto il palmo della servetta, che lo afferra saldamente.

“Cosa?” domanda sottovoce.

“C’è un monaco tra i vostri ospiti?”

“Sì” risponde sibilando, prima di riacquistare il tono normale. “Cosa vi servo?”

“Il piatto della locanda” risponde Louis, mentre compare un denaro d’argento.

“Montone e cavoli” fa la ragazza, alla quale brillano gli occhi alla vista della nuova moneta. ‘Il mio Claude sarà felice’ pensa.

“Va bene” dice il cavaliere, facendola rotolare sul tavolo. Gli piace. É graziosa e pare smaliziata. Una compagnia durante la notte non sarebbe male per migliorare l’umore.

“Cosa vuole da te quel forestiero?” dice la locandiera, che ha seguito con sospetto la conversazione.

“Cosa c’è dopo la zuppa” risponde, andando in cucina.

Mentre la ragazza serve il montone, Louis le sfiora la mano, insinuando il denaro tra le dita. “Avete degli impegni per la notte?” le domanda, mentre afferra la carne.

“Potrei essere libera per due denari” replica la servetta, mentre si allontana.

Louis sorride. ‘Mica stupida la servetta’ si dice, mentre strappa un altro lembo di carne. ‘Due denari li vale. Ha un culo sodo e ben tornito. Credo che mi farà divertire stanotte. Avrò modo di interrogarla, senza avere addosso gli occhi di quella grassona’.

Terminata la cena, il cavaliere chiede un bicchiere di vino rosso speziato con qualche dolcetto, che gusta lentamente. Non ha fretta e vuole tenere sulle spine la ragazza, che gironzola irrequieta attorno al tavolo, dove in bella mostra stanno tre denari d’argento.

“Vi aspetto” fa Louis, mentre le tre monete cadono per terra. La servetta si ferma a raccoglierle e finge di restituirle. “A dopo” gli dice sorridente.

Louis con calma si alza e paga alla locandiera la cena consumata, prima di ritirarsi nella sua camera.

Passa qualche ora, quando ode un bussare discreto. “Avanti” dice il cavaliere disteso sul letto. Dalla porta vede sbucare il viso lentigginoso della ragazza, che scivola velocemente dentro.

“Credevo di non vedervi stanotte” dice acido l’uomo.

“Non ho potuto prima” risponde la ragazza, che fa scivolare a terra la veste di lana, rimanendo nuda.

“Venite qui o vi prenderete un accidente” fa Louis, facendole posto accanto a lui. “Però prima di divertirci, voglio qualche altra informazione”.

“Non era nei patti” replica risentita la ragazza, già pentita di avere accettato l’invito.

“Però l’accordo era per due denari. Io ve ne ho dati tre. Un quarto è per le informazioni” afferma il cavaliere con decisione, abbracciandola. “Il monaco, non l’ho visto in sala? Per caso è partito?”

La ragazza non si sottrae all’abbraccio. Tuttavia vorrebbe monetizzare quello che gli rivelerà. “Un altro denaro e vi racconterò tutto quello che vi interessa”.

Louis ride, mentre con le mani le fruga il corpo. “Siete troppo avida. Rischiate di non ottenere nulla” le dice senza smettere di toccarla. “Ora rispondete senza indugio, se volete evitare guai”.

La servetta vorrebbe sgusciare fuori dal letto ma le mani robuste del cavaliere la inchiodano sul materasso di paglia. “Non costringetemi a usare la forza” le sibila nell’orecchio, mentre si mette a cavalcioni su di lei.

La ragazza trema. Ha capito di essere stata troppo imprudente. Ha ragione il cavaliere nell’affermare che l’avidità potrebbe perderla. Sente l’uomo che si scarica dentro di lei. Prende coraggio e parla. Sa che non può fare altrimenti “Gli ho servito una frugale cena in camera”.

“Così va meglio” risponde Louis, che con le mani le blocca le braccia. “La sua stanza dove si trova?”

“Al vostro stesso piano. Tre porte avanti” dice con la voce incrinata dal pianto.

“Suvvia, siate allegra. Vi divertirete stanotte con me” esclama Louis. “Se vi dimostrerete docile, altri due denari finiranno nelle vostre tasche”.

Non passava giorno – cap. 7

 

Foto tratta da compagniadelgiardinaggio.it
Foto tratta da compagniadelgiardinaggio.it

Sofia e Laura a Milano si sistemarono nel letto matrimoniale, per parlare di Matteo, delle loro paure e delle loro aspettative, di Marco prima di addormentarsi. La serata era andata in modo diverso da come l’avevano programmata. Ricca di avvenimenti inattesi e per certi versi movimentata.

Sofia era eccitata per avere conosciuto Matteo. Continuava a raccontare quello che si erano detti nella serata. Pareva caricata a molla. Era difficile per l’amica interromperla.

Laura era invece nervosa e depressa. Aveva compreso che Paolo l’avrebbe corteggiata, se lei gli avesse offerto l’opportunità.

Marco a Ferrara stentava ad addormentarsi per il tumulto interiore dopo il suo ritorno da Milano. Si girava nel letto e non riusciva a chiudere gli occhi. I pensieri erano per Laura. Non riusciva a dimenticarla. Era sempre presente nella sua mente. Lei lo guardava coi suoi occhi verdi per rimproverargli la rottura.

La notte finalmente calò nera su tutti, mettendo fine alla giornata, che pareva non finire mai. La stanchezza aveva vinto la battaglia del sonno.

Laura era con Marco. Stavano seduti nel parco dell’università sull’erba tappezzata di margherite bianche, stringendosi le mani. Lei con passione gli parlava dell’amore che provava. Si sentiva forte e senza timori, perché Marco le era vicino. Era felice come mai lo era stata in passato. “Ho passato un momento di incertezza e angoscia per la tua lontananza” gli disse. Le brillavano gli occhi per la presenza inaspettata del suo amore.

Ieri ti ho pensato con un’intensità tale che mi è sembrato che la testa esplodesse. Per magia sei qui con me” fece Laura, guardandosi intorno. “C’è troppa gente. Mi sento osservata, spogliata nel corpo, frugata nell’anima. Voglio stare sola con te”.

Marco raccolse una margherita, che mise tra le ciocche ramate dei capelli, che brillavano sotto il sole. “Vieni, andiamocene” le sussurrò nell’orecchio, mentre l’aiutava ad alzarsi.

Laura aspettava con impazienza che Marco la prendesse tra le braccia per sentirsi stretta forte a lui. Arrivati a casa, si abbracciarono e si baciarono con un’intensità che non ricordava.

Amore,“ gli disse “amore prendimi: sono tua. Dono me stessa a te, affinché i nostri sensi siano appagati”.

Si spogliarono in fretta ansiosi di accontentare il loro desiderio.

Sofia, agitata e appassionata, come una ragazzina al primo amore, smaniava con Matteo. Si trovavano in un giardino sconosciuto, immenso e solitario, con grandi alberi frondosi ed enormi aiuole piene di fiori. Il posto era indefinito, forse una miscela di tante località assortite insieme.

Camminavano lungo un viale, contornato da cespugli di rose canine bianche lievemente rosate. Sembrava che parlassero ma non si udiva nulla.

Sofia lo guardava in estasi, avrebbe voluto dire molte parole. Dalla bocca non usciva alcun suono a rompere il silenzio del posto incantato.

Matteo la conduceva sicuro e deciso all’interno del giardino verso un gazebo rotondo sotto la quale stava una panchina di legno di rovere. Un arco adorno di rose rampicanti e di gelsomino rustico lasciava libero l’ingresso: sembrava un’alcova nascosta, pronta ad accoglierli. Tenendole la mano con dolcezza, la condusse all’interno, che era illuminato da una spira di sole.

Sofia si strinse a lui a cercare protezione, perché soffriva nei luoghi chiusi. Rimasero a lungo sulla panchina strettamente abbracciati, mentre si scambiavano degli intensi baci. Sentiva le mani di Matteo che l’accarezzavano con dolcezza infinita. Le dita leggere esploravano il suo corpo, mentre lei appoggiava le sue sul petto di lui. Sentiva il desiderio crescere, salire dalla mente, esplodere dentro di sé.

Marco era con Laura in un luogo indistinto e sconosciuto. Era agitato e nervoso, mentre scorreva immagini, composte di frammenti e di ricordi, che si alternavano in un turbine vorticoso.

Laura, ho bisogno di sentire la tua voce, il calore delle tue parole” borbottava incerto, come se fosse stata lei ad abbandonarlo.

Per incanto si trovò in un posto sfumato nei contorni e ignoto ai suoi occhi, sembrava uscito dal libro delle favole tanto era affascinante e seducente. Era una città come Milano a misura d’uomo. Strade ampie si aprivano davanti a lui. Le persone camminavamo a piedi o in bicicletta senza fretta e con il sorriso sulle labbra senza nessun timore, perché le auto erano state bandite Qui tutti si conoscevano e si rispettavano. Ebbe un senso di smarrimento. Incredulo e perplesso si chiese, dove fosse. In lontananza una donna dai capelli rossi avanzava e spariva tra raggi di sole e ombre trasparenti, ‘Chi sei?’ si domandò. ‘Laura non abita in questa città misteriosa e straniera’.

Grandi ontani fiancheggiavano la strada. Una siepe di photinia dalle belle foglie verdi e rosse separava la sede stradale dal marciapiede. A destra e a sinistra giardini e abitazioni di modeste dimensioni guardavano Marco, che camminava verso quella donna misteriosa.

‘Si, è lei, Laura! La donna che sogno tutte le notti’ si disse Marco sorridendo. ‘L’ho abbandonata piangente su una panchina qualche giorno fa’. La ragazza appariva radiosa, bella come mai l’aveva vista prima.

Laura, “ sussurrò Marco “Laura sei tornata! Ti sto aspettando”.

Aspettava un suono, che non arrivava. Voleva cogliere un suo segno, mentre il silenzio, che rimbombava nella sua mente, lo tormentava.

Ora ti vedo, ti sento, ti tocco” le disse deciso e sincero “dammi la mano ed entriamo nel giardino d’inverno”.

La strinse con dolcezza e la condusse nel giardino d’inverno. Era un posto fatato, ammantato di pulviscolo bianco. Una panchina appena imbiancata di polvere, che sembrava neve, li aspettava, impaziente di ascoltare i loro segreti. Una brezza fresca tolse il bianco candore, lasciando nudo il legno di rovere. Questo era il posto magico, dove si rifugiavano gli innamorati in cerca di pace e silenzio.

Laura, “ bisbigliava Marco all’amata, “dove sei stata?”.

La guardò con gli occhi dell’innamorato. Tuttavia lei continuava a tacere.

Ti ho attesa” le disse “ho aspettato dal giorno nel quale ti ho lasciato sotto il cedro del Libano. Non sei venuta, perché sei irritata con me?”

Marco,“ rispose con un sussurro Laura, “sei tu che devi chiarirmi perché mi hai abbandonata. Sei tu, che dovevi chiamarmi e dirmi ‘Amore, perdonami! Ritorno da te.‘. Io ti avrei perdonato”.

Il sogno svanì. Marco a fatica aprì gli occhi. Sapeva di avere sbagliato.

Non trovo la forza di telefonarti per dire ‘Amore, perdonami!‘”.

Non poteva farlo, perché la sua esistenza era qui per sempre.

Amore, perdonami!”

Sofia e Laura si svegliarono con un sussulto con le mani e la bocca che cercavano gli amanti.

Laura, “ disse ridendo Sofia, “perché mi stai baciando? Io non sono Marco!”

E tu, “ rispose lei assorta e insonnolita, “ mi hai scambiata per Matteo! Mi hai sfiorati seni e sesso!”

Oh, no. Facevo questo? Perdonami. Stavo sognando Matteo. Eravamo in un posto incantato e mi sono lasciata trasportare” replicò Sofia non troppo imbarazzata.

Anch’io ho reso troppo realistico il mio sogno e ti ho scambiata per Marco” aggiunse Laura con le guance imporporate dalla vergogna.

Risero a lungo e si lasciarono cullare nuovamente dal sonno.

Una storia così anonima – parte ventisettesima

dal web
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Paris, 23 febbraio 2015, ore ventuno

Luca e Vanessa dopo la cena a Le Sarah Bernhardt passeggiano verso il ponte Pont au Change. Il ragazzo sa che dietro di loro si muove un uomo, sempre meno pronto a nascondersi. Non ha paura. ‘Perché dovrei averne?’ si dice sicuro di sé. ‘Ho l’impressione che ci segua per capire le nostre mosse. Cosa sappiamo del tesoro dei templari bolognesi. Non immagina come brancoliamo nel buio’.

Luca sorride al pensiero appena formulato, mentre cinge le spalle di Vanessa, che lo guarda in malo modo,

“Calma, giovanotto!” esclama la ragazza, che si sottrae alla presa. “Quello che è avvenuto stanotte è un episodio isolato, che non si ripeterà. Quindi niente atteggiamenti di possesso”.

Il ragazzo sottolinea la fine dell’affermazione dell’amica, battendo la mani. “Nessun possesso” afferma Luca “ho pensato che potesse darti sicurezza”.

“Hai pensato male” replica stizzita Vanessa, già pentita di essersi lasciata andare con l’amico.

Luca alza le spalle e si discosta dalla ragazza. ‘Meglio così. Nel caso che Henri voglia compiere qualche gesto strano, ho entrambe le mani libere’ ragiona, mentre arrivano sulla Ile de Cité. In silenzio arrivano davanti alla cattedrale di Notre-Dame, illuminata a giorno.

“Non si respira la stessa aria di quando Pietro era da queste parti” dice Luca, mentre osserva uno specchio che riflette chi sta alle loro spalle. Lo vede, disposto nell’ombra. ‘Non demorde Henri’ pensa con una punta di apprensione.

I due ragazzi girano per un po’ in silenzio, prima di fare ritorno all’hotel, dove alloggiano. Sono stanchi per le notti insonni a Bologna e per quella di follia a Lione, il lungo viaggio in macchina. Stremati si gettano nel letto e si addormentano subito.

Luca sogna in maniera convulsa gli avvenimenti nel quale si è trovato coinvolto. Osserva Henri vestito da templare, come gli era apparso a Bologna. Ha una strana voce. La stessa della telefonata. Lo ammonisce: “Rinunciate alle vostre ricerche”. Lui vorrebbe chiedergli il motivo ma cambia lo scenario. Si sente sussurrare qualcosa in un orecchio. “Luca, c’è qualcuno nella stanza”. Sta per dire qualcosa, quando una mano femminile gli tappa la bocca. “Sta calmo e non parlare. Vediamo cosa fa” continua quella voce familiare, bisbigliando con un filo di voce.

Luca si sveglia. Non è un incubo ma realtà, quando apre gli occhi e avverte il corpo caldo di Vanessa, appiccicato al suo. La mano della ragazza continua a premere sulle labbra. Si sta abituando al buio della camera, mentre avverte dei rumori, come se qualcuno stesse rovistando alla ricerca di qualcosa. Una figura indistinta sta esaminando il contenuto dei loro bagagli. Poi, come se fosse rimasto soddisfatto, furtivamente esce dalla stanza. Il ragazzo sa chi è. ‘É Henri, che ci ha fatto visita’ pensa, mentre avverte che il corpo teso di Vanessa si rilassa e si discosta.

“Mi piaceva” dice Luca, allungando una mano verso di lei, che pronta gli rifila un buffetto.

“Tieni le mani a posto” ringhia la ragazza, soffiando minacciosamente. “La prossima volta è un sonoro ceffone. Sono pronta a rifilartelo anche per meno”.

“Come sei permalosa” replica il ragazzo. “Potevo farlo mentre c’era Henri”.

“É meglio che tu non ci abbia provato” esclama Vanessa per nulla accondiscendente. “Va a controllare, se ha preso qualcosa”.

Luca mugugna qualcosa, accende la luce e ispeziona che tutto sia presente e in ordine. “Subcomandante Van, roger” afferma divertito il ragazzo. “Se cercava pc, chiavetta, scanner, è capitato male. Sono al sicuro nella cassaforte della stanza. Nelle nostre sacche ha trovato calzini e mutande e neppure puliti”.

Vanessa non è convinta del tutto. Era troppo soddisfatto, quando è uscito. ‘Qualcosa ha trovato’ si dice. ‘Ne sono certa’.

“Hai guardato bene?” fa la ragazza, che si solleva dal cuscino. “Ha rovistato a lungo. Però sembrava soddisfatto, uscendo”.

Luca sbuffa e scuote la testa. ‘Se non ci crede, San Tommaso’ pensa ‘ci guarda lei’. Ricontrolla con meticolosità tutto. Nella sua sacca non manca nulla. Nel trolley della ragazza non lo sa. “Non conosco cosa avevi preso con te. Per me è tutto in ordine” afferma Luca, leggermente infastidito. “Potrebbe averti sottratto delle mutandine. Ci sono dei depravati che collezionano mutande da donna, specialmente se usate”. Lui ridacchia per la battuta.

“Dai, brontolone. Vieni sotto le coperte a scaldarmi” dice Vanessa addolcita.

Il ragazzo rapido si infila nel letto, spegnendo la luce. “Però dovresti scaldarmi tu, dopo che mi hai costretto a raffreddarmi” esclama Luca, mentre si abbracciano.

Lo smartphone mette fine ai loro sogni. “Ma è ancora notte” esclama il ragazzo, che tiene la ragazza rannicchiata sul suo petto. Vanessa mugugna qualcosa, senza spostarsi di un millimetro dalla sua posizione. Lui è ormai sveglio e ha sbirciato l’ora. Sono le otto di mattina. ‘C’è tempo per alzarsi’ si dice, mentre riflette sull’incursione di Henry. ‘Apparentemente non ha preso nulla. Però ci credo poco che abbia corso questo rischio solo per la curiosità di esaminare i nostri bagagli’ pensa, mentre accarezza i capelli di Vanessa. ‘Se per caso ha messo una cimice con GPS per registrare le nostre conversazioni e monitorare i nostri spostamenti?’ Luca si ripromette di verificare, non appena si alza. Poi si ricorda di avere un’app sullo smartphone che permette di verificare la presenza di cimici. Lo afferra e la lancia. ‘Se c’è, emette un bip’ riflette.

Muove con lentezza il braccio in tutte le direzioni. Sente un suono acuto e due grevi. ‘Ci siamo’ si dice ‘qualcosa ha trovato’. Punta lo smartphone in altra direzione. La segnalazione cessa. Ritorna al riferimento che ha preso mentalmente. Il suono riprende. Stringe gli occhi per vedere cosa c’è in quella posizione. Il chiarore non gli permette di osservare con chiarezza l’oggetto. Intuisce solo che sono i loro bagagli. ‘Dunque ha messo qualcosa nelle nostre cose’ fa soddisfatto, chiudendo l’app.

Ricorda che avevano chiesto la colazione in camera. ‘Tra non molto la femme de chambre farà la sua comparsa’ ridacchia il ragazzo al pensiero della mattina precedente. Non ha finito di pensare a questo che sente un discreto bussare alla porta. Con delicatezza Luca sposta Vanessa, che appare immersa in un profondo sonno. Si alza, indossa un paio di jeans e apre la porta.

“Buongiorno” dice lui in italiano.

Bonjour, messieurs. Voici votre petit-déjeuner” risponde lei in francese, deponendo sul tavolo il vassoio.

Uscita la cameriera, il ragazzo si avvicina al trolley della ragazza per verificare quello che l’app ha segnalato. Con delicatezza passa la mano all’interno, scorrendo alla ricerca della cimice. In un angolo, ben nascosto avverte l’oggetto, che toglie con delicatezza e precauzione. É una piccola scatolina nera, facilmente occultabile. Un vero gioiello. ‘Devo fare attenzione’ si dice, mentre lo ripone sulla valigia ‘non deve credere che l’abbiamo individuata’.

Prende dal tavolo un blocco di carta dell’hotel e la biro. Scrive un messaggio per Vanessa. Lei continua a dormire. ‘Ci vuole delicatezza’ si dice, avvicinandosi. La scuote con dolcezza. “Van, la colazione è pronta” fa Luca, tenendo in bella vista il foglio.

Lei si gira, voltando le spalle. ‘Le maniere dolci non hanno effetto’ pensa ma non osa svegliarla bruscamente. ‘Il caffè freddo non mi piace ma berlo da solo ancora meno. Pazienza’ borbotta il ragazzo, che estrae il computer dalla cassaforte. Deve agire con prudenza. Ricorda che questi oggettini sono molto sensibili e captano anche i sospiri. Riprende lo smartphone per scoprire altro sullo scatolino. Sente Vanessa mugugnare. ‘Era ora che ti svegliassi!’ si dice, avvicinandosi a lei.

“Ciao! Buon giorno, Van” fa Luca, mostrando il biglietto.

“Azz!” borbotta, drizzandosi a sedere.

“Dormito bene?” chiede il ragazzo, vergando qualcosa d’altro sul foglio.

“Sì, un sonno lungo e senza interruzioni” replica la ragazza, che legge sul foglio ‘Brava! Ottima risposta’.

“Ti servo la colazione a letto?” fa il ragazzo, muovendo il capo per diniego.

“No. Mi alzo. La facciamo comodi al tavolo” risponde la ragazza, scendendo agilmente dal letto.

Chiacchierano, danno informazioni imprecise e banali, mentre quelle più importanti sono scritte sul blocco. Fatta la doccia, decidono di fare una giornata da turisti a Parigi. Louvre, i medaglioni del meridiano di Parigi, qualche bistrot e molto relax. Luca, usando vetrine e specchi, verifica se Henri li sta seguendo nelle loro scorribande parigine. Per prudenza hanno lasciato gli smartphone nella macchina. Ne hanno acquistato uno con una sim francese. Il computer è con loro.

La mattina seguente partono per Chartes, non prima di avere ispezionato la macchina, che appare pulita. Appena fuori Parigi, in una stazione di servizio, infilano la cimice nell’auto di un ignaro turista italiano e fanno un lungo giro prima di prendere la strada giusta.

“Ci scommetto che tra qualche giorno sarà alle nostre calcagna” dice Luca sorridendo “quando scoprirà che l’abbiamo beffato”.

“Dove pensi, che lo ritroveremo?” chiede Vanessa, che canticchia allegra.

“Credo a Poitiers” risponde il ragazzo.

“E se noi puntiamo subito lì?”

“Ma il labirinto di Chartres non me lo voglio perdere” afferma Luca. “Poi possiamo puntare subito su Poitiers, anche se si viaggia di notte”.

“La tappa successiva?” fa Vanessa, cercando una stazione sull’autoradio.

“Non lo so” risponde il ragazzo. “Dobbiamo leggere il seguito della storia”.

Alle nove della sera i due ragazzi sono in hotel a Poitiers, stanchi e affamati. Una veloce cena e poi la lettura del racconto di Pietro.

Oggi pane casareccio

foto personale
foto personale

Oggi pane fatto in casa. Mattinata di lavoro.
foto personale
foto personale

Farine, lievito madre, acqua e altro per rendere attraente il prodotto finale.
Pane nero, pane al kamut e al grano saraceno - Foto personale
Pane nero, pane al kamut e al grano saraceno – Foto personale

Pane nero, pane bianco al kamut, pane al grano saraceno.
foto personale
foto personale

Poi frutti di bosco, fichi freschi, olive nere, noci, sesamo, papavero, finoicchina. Ho dimenticato qualcosa? Sì! I pomodorini del mio piccolo orto e chicchi di uva fragola.
Il cestino con uva fragola - foto personale
Il cestino con uva fragola – foto personale

Poi tutto nel forno. Peccato non avere un forno a legna.
foto personale
foto personale

Colp d'occhio - foto personale
Colp d’occhio – foto personale

Poi tutti a tavola!

Non passava giorno – cap. 6

In assenza del reblog, inspiegabilmente scomparso, vi lascio il link della nuova puntata della storia, di Laura, Marco, Sofia, Matteo, Paolo e Agnese. Agnese la conoscerete tra poco. Intanto gustatevi, si fa per dire, questo nuovo capitolo.
Buona lettura

Non passava giorno – cap. 6

dal web
dal web

Marco adesso ricordava, perché quella busta era finita nel cassetto. Era appena tornato dalla casa di campagna. Voleva mettere ordine nella sua stanza, ingombra di libri, che aveva portato da Milano. Si lamentava che ne aveva troppi per la libreria, diventata di colpo troppo angusta.

‘Dove li metto questi?’ borbottò infastidito. Teneva faticosamente in mano due grossi tomi di organizzazione aziendale. Mentre li maneggiava, scivolarono fuori dei fogli ingialliti e una busta bianca.

Ebbe un moto di stizza, perché ne conosceva il contenuto. Li raccolse da terra. “Devo buttarli!” ringhiò contrariato. La vista della busta lo mise di pessimo umore, perché gli ricordava Laura e l’amore che provava per lei. Non li gettò, perché erano un pezzo della sua vita. Così li infilò nel terzo cassetto dello scrittoio per nasconderli.

Dopo il suo ritorno Marco provò a dimenticarla, a cancellarla dalla mente senza successo. Era sempre presente per rammentargli i cinque anni di Milano.

Due anni prima era arrivato a Ferrara con Laura con l’intenzione di presentarla ai genitori. Loro erano rimasti affascinati dalla bellezza unitamente alle sue doti di intelligenza e cordialità. Sarebbero stati felici, se la relazione fosse sfociata in qualcosa di più di una calorosa amicizia, perché erano convinti che fosse la donna giusta per il loro Marco. Ci sperarono finché quel lunedì di fine agosto non era giunto senza preavviso con la macchina piena di valigie, libri e borsoni. Intuirono che c’era stata una rottura irreparabile tra loro e non chiesero nulla di Laura.

Marco si rese conto in quel frangente di non essere in grado di controllare il suo umore, nero come l’inchiostro di china. Era furioso con se stesso, perché da codardo scappava dai suoi fantasmi. Rispose con monosillabi appena accennati alle domande dei genitori, che furono più intelligenti di lui. Capirono che non era il momento adatto per conoscere i reali motivi del rientro. Tuttavia lui continuò a fuggire. Non desiderava confrontarsi con la realtà. Si trasferì nella casa di campagna, dove sperava di ritrovare la tranquillità e la serenità interiore smarrita. Si sentiva naufrago in isola sperduta dell’oceano, avendo come riferimento quell’immensa distesa di acqua che si confondeva col cielo.

Ai suoi genitori dispiacque che quella ragazza dai capelli rossi simpatica, riservata e gentile non fosse più la compagna di Marco. Lei aveva compiuto il miracolo di trasformarlo giorno dopo giorno da introverso e taciturno a sereno e loquace. Dovevano rassegnarsi, perché conoscevano quanto Marco fosse ostinato e testardo nelle scelte. Lui ammetteva di aver commesso degli errori nelle sue decisioni. Tuttavia guardava avanti alla ricerca di nuove soluzioni senza nutrire rimpianti per il passato.

Dopo diversi giorni di eremitaggio nella casa di campagna ritornò in città senza che l’umore fosse migliorato di molto, anzi tendeva a chiudersi sempre di più su se stesso. Faticava a uscire, a incontrare i vecchi amici, a riprendere la solita vita, se ne stava chiuso nella stanza come un orso incupito. Marco imbronciato cercava disperatamente di scacciare quel viso pallido e quegli occhi mobili e vivaci senza riuscirci. Erano sempre lì, presenti giorno e notte. Questa situazione durava ormai da otto mesi.

‘Fortunatamente tra poco avrò altro a cui pensare’ si disse, mentre si distese sul letto. Marco aveva paura a chiudere gli occhi, perché immediatamente si cristallizzava l’immagine di Laura. Era da tempo che trascorreva insonne le notti. Faticava sempre di più a tenerli aperti.

‘Devo chiamarla per spiegare con chiarezza le motivazioni della rottura’ si disse nel dormiveglia, ‘oppure vado a Milano e ci parliamo di persona?’

Marco si poneva questa domanda da tempo, senza mai prendere la decisione di farlo. Anche questa indecisione non apparteneva al suo carattere e rimandava al giorno dopo la decisione di procedere al chiarimento. Il sonno arretrato e lo stress accumulato ebbero il sopravvento. Si addormentò, mentre il volto di lei lo osservava con severità come rimprovero del suo comportamento.

Matteo e Paolo sollevarono delle obiezioni a trasferirsi nella casa di Sofia. “É meglio passare la serata in trattoria. Hai meno da lavorare e possiamo chiacchierare con più tranquillità” disse Paolo, spalleggiato dall’amico. I quattro ragazzi si diressero verso una trattoria in Brianza.

Laura si sentiva triste e depressa col pensiero fisso per Marco. ‘Perché ha rotto? Perché ha detto quelle parole?’ Percepiva che non le aveva detto la verità. Si domandò quali reali motivi l’avevano indotto a ritornare a Ferrara, abbandonando Milano, rinunciando a quella proposta di lavoro interessante già pronta e solo da sottoscrivere. ‘Ne abbiamo discusso. Sembrava d’accordo nell’accettare, ma invece’ rifletteva, rannicchiata in un angolo della macchina di Sofia. Non parlava e non partecipava alla conversazione. Pareva un corpo estraneo, presente solo fisicamente.

Paolo, sempre più indispettito dal suo comportamento, prevedeva che sarebbe stata una serata inutile e irritante. ‘Sono qui e non posso fare nulla’ pensò. ‘Non ho altra alternativa che accettare l’assenza di dialogo e fare da compagno a un fantasma melanconico e triste’. Rifletteva in silenzio sulla strana situazione che si era creata. Se fosse stato per lui, le avrebbe salutate alla Pasticceria del Corso, chiudendo una serata poco stimolante. ‘Non potevo costringere Matteo a rifiutare’ si disse ‘visto che tra lui e Sofia c’era stato fin da subito un buon feeling’. Era uscito con l’amico per dimenticare un recente episodio, che l’aveva molto distratto e depresso. Paolo era da poco uscito da un’esperienza non proprio edificante con Roberta, una donna separata, possessiva e assillante. Aveva capito troppo tardi, perché il marito l’avesse piantata in asso. La donna sosteneva il contrario che era stata lei a mollarlo. Tuttavia, anche se lei aveva spergiurato di avere deciso in autonomia di lasciarlo, adesso capiva che non era la verità. Di questa relazione aveva un solo buon ricordo: l’unico aspetto piacevole era stato il sesso. Il resto era stato una frana.

Confrontando le due donne, trovò che Laura appariva dolce, tranquilla e senza tanti grilli per la testa. Era l’esatto opposto di Roberta. Due personalità differenti.

Paolo ammise che Laura si era sforzata di essere gentile con lui. Tuttavia il distacco e la freddezza delle parole era stata fin troppo evidente da poter essere ignorata. Lei era assente nelle conversazioni, vi partecipava svogliatamente, rispondendo a qualche domanda più per educazione che desiderio di scambiare due parole. Loro restavano muti, immersi nei loro pensieri, mentre Matteo e Sofia chiacchieravano allegri e distesi.

Paolo tra uan riflessione e un’altra osservò che Matteo era euforico per l’incontro con Sofia. Lui era alla ricerca di una donna, che sapesse donare se stessa e dominare le sue incertezze. Fin dal primo approccio aveva trovato Sofia rispondente all’identikit, che aveva pensato.

La sera si concluse a mezzanotte col rientro in città. Finalmente Laura e Paolo poterono salutarsi senza dirsi arrivederci. Erano ansiosi di andarsene coi loro pensieri, i loro problemi, con i loro sentimenti calpestati.

Laura e Sofia, l’una accigliata, l’altra euforica, potevano parlare di loro e dei loro dilemmi senza la presenza di Matteo e Paolo.