Una storia così anonima – parte trentatreesima

Foto personale
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Rennes-le-Château, 27 febbraio, 2015, ore diciassette

Elionor emette un sospiro. Non le piace che in paese la vedano parlare con uno sconosciuto. ‘Che cosa c’è di disdicevole?’ si domanda infastidita. ‘Alla fine chiede solo un’informazione’. Trae un profondo respiro, prima di rispondere.

Signore” dice la ragazza, osservandolo negli occhi, “qui di gite non ce ne sono molte. Nei dintorni ne può trovare diverse e assai accoglienti. Se proprio desidera qualcosa in paese, potrei suggerirle Le Dragon de Rhedae”.

Ma me lo hanno indicato come ristorante” la interrompe Henri.

Si, ha ragione, signore” risponde la ragazza, “ma se suona il campanello, i proprietari le aprono. Sono quasi certa che la ospiteranno”.

Elionor riprende a camminare con minor foga. Vuole arrivare a casa dove l’aspetta il piccolo Dani. Poi ha risposto a quello che le ha chiesto l’uomo.

Henri si rimette al suo fianco. Vuole altre informazioni. Prende dal portafoglio una banconota da cento euro. Spera che sia il grimaldello per capire come sia stato rifiutato da Madame Monzon.

La ringrazio per il suggerimento” dice l’uomo. “Però basta con signore. Mi chiamo Pierre”.

Elionor serra le labbra. Come si chiama, le interessa poco. Vorrebbe liberarsi di lui, quando con la coda dell’occhio vede quel foglio verde. Gli occhi brillano per un istante. Sa che le farebbero comodo. I soldi non bastano mai.

La voglio ringraziare per le informazioni” dice Pierre, allungandole il denaro. Con tono noncurante prosegue a parlare. “Mi domandavo come mai a Au temps perdu ci sia il pieno. Lei lavora lì, mi pare. Non ho osservato turisti o gitanti in giro per il paese. I parcheggi sono vuoti”.

La ragazza è affascinata da quella banconota. ‘Ne ho visto poche transitare per le mie mani’ pensa, incerta se accettare o rifiutare. Si chiede se commette un peccato nel prenderli. ‘Tutto sommato non devo rivelare segreti o parlare male di qualcuno’ riflette.

Ma in quanti sono alloggiati lì?” prosegue l’uomo, infilando il centone nella tracolla della donna.

Due” risponde con candore Elionor, che finge di non aver visto cadere il denaro nella borsa.

Due?” esclama Pierre sorpreso ma non troppo. Quella coppia è furba e finora ha scansato i suoi tranelli. “E per me non c’era posto?” le domanda.

Preleva dal portafoglio un biglietto da duecento euro. Visto il successo del primo centone, raddoppia la posta. Lo muove con noncuranza sotto gli occhi della ragazza, che avidamente ne segue il movimento.

Hanno preso tutte le camere” dice con parlata sciolta Elionor, che aspetta che anche la seconda banconota finisca nella borsa.

Ho capito” fa Pierre, che con mossa rapida infila il denaro nella tracolla. Forte del successo, ottenuto con le banconote, che hanno sciolto la lingua della ragazza, Henri si fa più deciso e intraprendente. ‘Forse seduti attorno a un tavolo riesco ottenere qualche altra notizia’ si dice. “Poi posso valutare come sfruttare la sua posizione nella casa’. Vede una caffetteria aperta ed esclama pronto. “Posso offrirle un tè, un caffè come ringraziamento?”

Elionor ha un momento di incertezza. Quell’uomo le piace. ‘É alto e ha l’aria vissuta’ riflette. ‘Non mi pare pericoloso’. Tuttavia il pensiero, che qualcuno del paese la veda alla caffetteria accanto a uno sconosciuto, la frena, perché questa possibilità è decisamente sicura. ‘Marc è geloso’ pensa con rapidità, ‘e non ci mette due minuti a bastonarmi per bene, se qualcuno gli riferisce che stavo al caffè con un uomo. Meglio rifiutare con cortesia. É più semplice spiegargli il motivo, per il quale ho parlato in strada con uno sconosciuto, piuttosto che la mia presenza in un locale’.

Si ferma e lo guarda in viso. “La ringrazio” afferma con tono deluso la ragazza. “A casa Dani e Marc mi aspettano. Senza offesa la devo lasciare. Sarà per un’altra occasione”.

A domani” replica Pierre, portando la mano alla fronte a mo’ di saluto. Sa che il giorno successivo sarà più facile parlarle.

Elionor si stacca dall’uomo e cammina in fretta, avviandosi verso casa.

Mentre Elionor e Henri sono fermi a conversare, Marco esce dalla gite. ‘Tanto non ci capisco nulla di quello che si dicono’ pensa, dirigendosi verso la sua macchina. Non è tranquillo. Quel Henri è nei paraggi. ‘Devo essere diffidente e attento’ riflette. ‘Già a Parigi ha tentato uno scherzetto, sventato appena in tempo’. Con lo smartphone verifica che non abbia messo qualche altra cimice. Sta girando intorno alla vettura, quando lo scorge insieme all’aiutante di Madame Monzon. ‘Sono certo che vuole acquisire delle informazioni’ si dice, portandosi fuori della loro portata visiva. Non osa avvicinarsi. Non vuole insospettirli. É troppo distante per ascoltare le loro voci.

Mentre sta facendo queste congetture, vede Vanessa che lo sta cercando con lo sguardo. Si fa vedere e le fa segno di tacere. Dà un’ultima occhiata in direzione di Henri. ‘É rimasto solo’ osserva, mentre si avvia verso l’amica.

Perché” comincia la ragazza ma Luca la stoppa con un bacio.

Andiamo” le sussurra in un orecchio, prendendola per un braccio.

Vanessa è rossa come i suoi capelli per la rabbia. Sta per dire qualcosa, quando viene preceduta dal ragazzo.

Ho dovuto farlo” le bisbiglia Luca in un orecchio. “Un centinaio di metri davanti a noi Henri e la servetta spagnola di Madame Monzon parlavano fitto. Non volevo che si accorgessero di noi”.

Cosa dicevano?” chiede sottovoce la ragazza, che ha capito il gesto dell’amico.

L’orecchio bionico non me l’hanno fornito” risponde in un sussurro Luca, ridendo alla sua battuta.

Stanno fermi qualche minuto in silenzio, lasciando che Henri si allontani verso la via principale del paese. Il cielo grigio si inscurisce in fretta. La sera cala con le sue ombre e le luci delle strade.

Che facciamo?” chiede Luca. “Stasera sfidiamo la fortuna e andiamo all’unico ristorante aperto oppure compriamo qualcosa per cena da consumare in camera?”

Vanessa scuote la testa e si stringe nel piumino. “Fa freddo” dice la ragazza, “ma due passi li faccio. Quel cassoulet sta navigando ancora nello stomaco!”

Il ragazzo la prende sottobraccio, mentre si avviano dalla parte opposta a quella che ha preso Henri. Camminano silenziosi fra strade strette e male illuminate. Arrivano in uno spazio con panchine e qualche rara automobile.

Sembra un paese disabitato” fa Luca, rompendo il silenzio che dura da tempo. “Non si vede anima viva o negozi. Quei pochi sono chiusi”.

Non è stagione per turisti, come ha detto la Monzon” afferma Vanessa. “Mi sa che dobbiamo ripiegare sull’unico ristorante aperto, se vogliamo cenare stasera”.

Il ragazzo si guarda intorno e vede un insegna ‘Au trèsor des saveurs – Produits régionaux‘. Sorride. “Forse abbiamo risolto il problema cena” fa Luca, indicando col viso la targa lampeggiante alla loro sinistra. Riempita una sporta di tessuto con formaggi, pane, affettati, vino e vino, si incamminano per la strada principale per ritornare alla gite.

Mi comincia a innervosire Henri” inizia il ragazzo, che con un braccio tiene la borsa delle vivande e con l’altro il braccio della ragazza. “Non riesco a capire chi sia e cosa vuole”.

Forse vuole impedirci di trovare qualcosa di importante oppure spera di fregarci” fa Vanessa, aggrappata al braccio di Luca.

Ma cosa?” continua il ragazzo, poco convinto della spiegazione dell’amica. “Pietro ha nascosto il tesoro della magione bolognese. Di certo non in questo minuscolo paese alle falde dei Pirenei”.

E se non fosse quello della commenda?” lo rimbecca la ragazza.

Luca sta in silenzio e medita su questa ipotesi. Fantasiosa ma anche intrigante.

Ammettiamo che sia così” dice il ragazzo, fermandosi un istante. “Ma cosa ci vuole impedire di trovare?”

Non è detto che sia questo l’obiettivo” fa la ragazza, rimettendosi in movimento. “Forse se leggiamo il finale della storia di Pietro, possiamo capirlo”.

Ma non è certo che sia così!” replica Luca, che scorge in lontananza la sua auto. “Ma Henri chi è veramente?”

Vanessa ride, appoggiando il capo sulla spalla dell’amico. “E se fosse del priorato di Sion?” afferma come provocazione.

Luca non riesce a trattenere una sonora risata, mentre scuote il capo. “Leggi troppi romanzi alla Don Brown!” esclama a voce alta.

Nell’ombra alle loro spalle Pierre ha un ghigno di soddisfazione.

Non passava giorno – cap. 14

Foto personale
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Marco guardò la busta sulla scrivania tra il curioso e l’atterrito. Non osava aprirla: voleva impedire ai ricordi di uscire. Era ancora vivo il pensiero verso Laura. Questo poteva permettersi di presentargli il conto. Altre donne stavano tentando la conquista del suo cuore, che era ben chiuso a chiave e non era facile da aprire.

Vinto il primo attimo di timore, lentamente e con cautela aprì la busta, sparpagliò le foto sullo scrittoio, accantonò i fogli, vergati da una mano femminile. Conosceva fin troppo bene e nei minimi dettagli tutto quello che rappresentavano. Tuttavia volle fingere di non sapere a quali circostanze si riferissero.

Erano le fotografie della gita a Grazzano Visconti di un anno prima quelle che Marco aveva sotto gli occhi. Le esaminò con circospezione, come se fossero infette o pericolose. Tuttavia aveva presente le sfumature di quella giornata particolare, l’ultima escursione compiuta assieme a Laura.

Le osservò, le passò con calma. Le riguardò con attenzione, mentre il fiume dei ricordi sgorgò prepotente dall’anfratto, dove l’aveva confinato.

Marco amava frequentare le feste in costume, le giostre e tutto quello che ricordava il passato. Brisighella con la sua festa medioevale, la notte incantata per San Giovanni con streghe e cartomanti a San Giovanni a Marignano, le quintane, le giostre, i cortei storici che popolano ogni borgo dell’Emilia Romagna, della Toscana, dell’Umbria, delle Marche. Per lui erano una gioia, un tuffo nel mare del tempo andato, che gli ricordavano libri letti con avidità, quando era ragazzo.

Dal momento in cui si era trasferito a Milano, non aveva avuto più le occasioni giuste per frequentare i luoghi che conservavano il folclore di ieri da tramandare alle future generazioni. L’impossibilità di assistere a queste feste in costume era un altro tassello che non si era sistemato al posto giusto e stonava nell’impianto generale della sua visione della vita.

Alla festa dell’ultima domenica di maggio a Grazzano Visconti non aveva mai partecipato. Rappresentava una stimolante occasione per conoscere questo borgo, che, dopo il restauro durato molti decenni, si stava riaprendo all’invasione dei turisti.

Per Laura era una novità assoluta, perché non conosceva questo mondo fatato e incantato; dunque rappresentava l’opportunità per immergersi nelle storie che affondavano le radici nel passato.

Si era documentata tramite il web sul borgo, sul castello, sul parco e sulla Giostra del Biscione. “Devi sapere che il castello di Grazzano ha il suo fantasma” disse, mentre rise divertita. “E’ una donna e si chiama Aloisa. Chissà se riusciamo a vederla”.

C’è poco da scherzare” fece Marco serio. “Ogni castello, ogni palazzo antico ha il suo fantasma. Se manca, non è antico”.

Laura rise per la credulità di Marco, perché era convinta che i fantasmi fossero il frutto dell’ignoranza e dell’irrazionale per inquadrare eventi sopranaturali o non spiegabili razionalmente.

Partiti di buon ora da Milano, si inerpicarono fino a Grazzano.

Il borgo già di prima mattina brulicava di turisti armati di flash e zainetti che sciamavano festosi e rumorosi tra le case e il parco.

Il castello non era visitabile normalmente. Tuttavia in via eccezionale in quel giorno erano state predisposte diverse visite guidate su prenotazione con un obolo di dieci euro a testa.

Marco mandò Laura alla Pro Loco per il ticket d’ingresso, perché la visita alla sala delle armi, al castello in generale, meritavano i dieci euro richiesti.

Laura non amava ascoltare la guida che spiegava e illustrava, perché si annoiava. Tuttavia quel giorno si lasciò contagiare dal gioioso entusiasmo di Marco.

Con la macchina digitale, regalata da Marco, Laura scattò innumerevoli fotografie, mentre lui con la vecchia e fidata Leica con otturatore fisso fece poche istantanee, quelle che erano meritevoli di essere impresse sulla pellicola. Per la ragazza quella macchina fotografica era un relitto fossile del paleozoico tanto era vecchia e obsoleta. Lei preferiva quegli scatolini digitali, dove era facile eliminare le istantanee più brutte.

A mezzogiorno andarono a mangiare all’Hostaria de la Giostra con un menù che più o meno recitava cosi:

Pasta della passione

Pasta dell’incanto

Polpa rovente

I nascosti

Straccetti opulenti

Fette di latte lavorato

Schegge d’or

Polvere di mandorle

Prugne in crosta

Acqua

Nettare rosso

In un clima festoso e sereno si divertirono a commentare la LISTA De La CIBARIA, un pasto molto piacevole e intrigante, profondamente diverso dai soliti che erano abituati a consumare in città.

Stanchi e felici sciamarono nel pomeriggio nel parco, un’enorme polmone verde, che li accolse con lo stupendo giardino all’italiana, dove al centro stava la fontana con la statua di Orfeo. L’aria profumava per le rose che coronavano il bosco di tassi, pioppi e tigli. Il rumore dell’acqua corrente accompagnava la passeggiata tra un tripudio di fontane e gorgoglii di ruscelli.

Arrivati nel labirinto verde, Marco decise di scuotere le certezze di Laura sui fantasmi e in particolare sul fantasma Aloisa. Si lasciò sfilare con la scusa di fotografare un gruppo di piante e si appostò non visto più avanti dietro l’alta siepe di carpino che delimitava il percorso.

Ehi! Si, proprio tu, ragazza dal rosso capello!” diceva Marco con la voce alterata da donna “Perché non hai lasciato un ricordino alla mia statua nella piazza del Biscione?”

Laura si fermò divertita e spaventata, guardandosi intorno senza vedere nessuno. Stava riprendendo il cammino, quando senti qualcosa che si muoveva nello zainetto sulla schiena, e si fermò di nuovo.

Ehi, tu! Parlo con te. Torna indietro e lascia il tuo braccialetto di stoffa come ricordo” udì distintamente, mentre ancora una volta qualcosa di inquietante si muoveva nello zainetto.

Marco!” gridò con un tono rotto dallo spavento “Dove sei?”

Ehi, tu! Non gridare, disturbi il mio sonno!” proseguì imperterrita la voce femminile. “Lascia il ricordino. Così posso tornare a dormire”.

Laura sentiva qualcosa muoversi e dei rumori non perfettamente decifrabili provenienti dalla siepe o da qualche altro punto del giardino. L’angoscia stava avendo il sopravvento, mentre era sul punto di piangere per lo spavento e di avere una crisi di nervi. Era ferma nel vialetto senza decidersi di spostarsi né avanti né indietro. Era paralizzata e incapace di muovere un passo.

Marco a stento si tratteneva dal ridere, quando decise che era giunto il momento di ricomparire: la commedia aveva raggiunto lo scopo previsto. Apparve innanzi a lei come un fantasma.

Oh!” urlò piena di terrore con un piccolo balzo di lato. “Dov’eri? Ancora un secondo e avrei avuto una crisi isterica!” e corse ad abbracciarlo.

Lui la baciò accarezzandole i capelli, la prese sotto il braccio e chiese con fare ingenuo: “Perché? Hai visto per caso il fantasma Aloisa?”

Non scherzare” disse la ragazza tremante per la paura. “Mi ha ordinato di mettere questo braccialetto di stoffa sulla statua in piazza del Biscione”.

Hai avuto paura? Non avevi detto che i fantasmi non esistono?” proseguì Marco calmo e sornione.

Beh!” affermò lei con voce tremula. “Mi sto ricredendo. Pensavo che fosse un’invenzione per attirare turisti. Ho sentito una voce che pareva provenire dall’oltretomba!”

Laura, rassicurata dalla presenza del suo uomo, disse, che il parco ormai l’avevano visitato, e lo supplicò di tornare indietro per lasciare il braccialetto sulla statua, prima di tornare a Milano.

Come vuoi” rispose Marco, trattenendo a stento l’ilarità che sentiva crescere dentro.

Laura depositò il braccialetto e ripresero la strada del ritorno.

Lui non ebbe mai il coraggio di svelarle il segreto che l’aveva terrorizzata.

Marco rifletté sulla storia del fantasma, che si tramandò di padre in figlio, intatta fino ai nostri tempi.

La gente del borgo aveva sempre rispettato e trattato con deferenza la figura di Aloisa, una donna del tutto simile a tante altre, che aveva avuto il torto di amare. Era morta per il dolore del tradimento del marito e non ebbe più pace, aggirandosi per il castello e il parco.

Di solito i fantasmi femmina sono fanciulle bellissime, uccise dal marito geloso o dall’amante abbandonato. Questa era bruttina, se guardiamo le statue disseminate nel borgo e nel parco”.

La leggenda narrava che le statue fossero state disegnate da un medium, il conte Giuseppe, la cui mano era impugnata da Aloisa. Sotto una di queste è riportata la scritta:

«Io sono Aloisa e porto Amore e profumo alle Belle che donano il loro sorriso a Grazzano Visconti».

‘Quel giorno’ Marco pensò, appoggiandosi allo schienale della sedia, ‘ho capito che tra noi c’era una visione totalmente diversa della vita. Lei, cittadina del mondo, attiva e razionale, sempre in movimento come Milano. Io, romantico e sognatore, che ama le piccole cose, le storie buffe di altri tempi. Il ritmo lento della vita è il sottofondo musicale che accompagna le mie giornate. Slow Food, trattorie di campagna, la bicicletta, le passeggiate: ecco cosa cerco’.

Da quel giorno cominciò a maturare l’idea di lasciare Laura e un mondo, che non gli apparteneva. Lei non avrebbe mai accettato l’idea di vivere questo stile di vita. Quindi prima di compiere una scelta errata, che li avrebbe portati vivere insieme in mondi differenti, era meglio chiudere. Gli era costato sofferenza e l’avrebbe fatta soffrire ma era la decisione corretta.

‘Ora’ rifletté ‘un’altra donna bussa alla porta. Non so se sia quella giusta ma condivide la medesima visione di quello che ci aspettiamo dal domani’.

Agnese si era fatta viva dopo mesi di silenzio, come il fantasma di Aloisa si presentava ai turisti invadenti che rompevano la sua tranquillità.

Non passava giorno – cap. 13

 

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Laura si stava riscuotendo dalle fantasie in cui quel racconto adolescenziale l’aveva gettata tra ricordi passati e quelli recenti con le ferite che minacciavano di riaprirsi dolorosamente. Si stiracchiò come una gatta annoiata e intorpidita dalla posizione scomoda. Cercò con lo sguardo qualcosa di più confortevole per continuare la lettura.

Da un angolo prese una vecchia sedia di legno impagliata, la portò vicina al cassettone aperto, dove facevano capolino altri pezzi della sua gioventù. Le vecchie Barbie, il sacchetto dei Puffi azzurri un po’ sbiaditi, una casa delle bambole scrostata dal tempo e altri oggetti gettati alla rinfusa.

Si sistemò comoda a continuare la lettura di quello scritto, che aveva sette od otto o nove anni. ‘Che importanza ha’ pensò ‘di conoscere quanto è vecchio!’

Era curiosa di leggere quello che scriveva quando aveva grandiose di idee come scrittrice di successo.

“….la prese e continuò a saltellare per il sentiero. Vide un cartello appeso al ramo più alto e prese l’ascensore per la cima sulle spalle di una farfalla gialla. ‘Ultimo piano, prego’ disse lo scoiattolo alla farfalla e volò su dinnanzi al cartello, che lesse ad alta voce.

Noi Signore di Milano e Conte di Virtù, Vicario Generale Imperiale, volendo compiacere per speciale grazia i nostri egregi e diletti Signori Giovanni Anguissola e Beatrice Visconti sua consorte, concediamo che nella loro proprietà di Grazzano, nel nostro distretto di Piacenza, possano far costruire liberamente e impunemente una fortificazione quale loro aggradi, nonostante alcuni decreti o nostri ordini emessi in contrario.

I mandanti osservino e facciano inviolabilmente osservare questo nostro scritto. In testimonianza della qualcosa abbiamo disposto che la presente sia compilata registrata e convalidata con il nostro sigillo.

Pavia, 18 febbraio 1395

‘Oh, perbacco – esclamò lo scoiattolo – dove sto andando? Questo cartello è interessante’. Chiese alla farfalla dai colori sgargianti un passaggio fino al sentiero. Leggera e svolazzante depose lo scoiattolo sulla strada. Lui non sapeva decidersi se a destra o sinistra. ‘Non fa niente’ pensò lo scoiattolo ‘tutte le strade portano a Roma’ e infilò quello di sinistra.

Ormai aveva scordato tutti i progetti della giornata ma lui viveva alla giornata. Squittendo e saltellando da un ramo all’altro se ne andò allegro, sperando di non trovare altre deviazioni, ma il rumore di acqua lo distrasse e deviò di nuovo dal cammino.

Vide un bel torrentello dalle acque limpide e fresche. Pensò che sarebbe stato una buona idea se avesse fatto un bel bagno.

Così si scordò del cartello appena letto e fece un tuffo da una piccola sporgenza nell’acqua gorgogliante.

Che meraviglia! Che bellezza fare un bagno in un torrente. Tre piroette in avanti, quattro salti all’indietro, un tuffo sbilenco di traverso e lo scoiattolo si divertiva come mai si era divertito prima. Scosse l’acqua dalla coda, si stropicciò gli occhi e vide uno spicchio di sole sul prato. Stanco e un po’ infreddolito si distese nell’unico punto, dove i raggi penetravano il bosco per asciugare la pelliccia. Aveva fame ma si era dimenticato di portare con sé noccioline e ghiande. Allora riprese il cammino verso… Se era dimenticato verso dove e quindi prese la prima deviazione, come al solito, e vide un altro cartello. Si avvicinò incuriosito, ma non distingueva bene le lettere. C’era una figura appesa al cartello.

Sembrava una donna ma non poteva essere una donna. Pazienza, avrebbe letto il prossimo, se ce ne era un altro. Alla deviazione successiva si fermò, era stanco di camminare e aveva fame. ‘Come risolvere il problema?’ si domandò un po’ immusonito lo scoiattolo ‘Non vedo cibo adatto. Proviamo a prendere la deviazione, chissà se mi porta da qualche parte’.

Arrivato a un muro alto cinquanta passi o forse meno, non era un ostacolo per lo scoiattolo perché sarebbe saltato in groppa a un’ape, che non gli avrebbe di certo rifiutato un passaggio. Così fece e si trovò traghettato di là. E vide la statua, alla cui base stava scritto, stavolta in chiaro

tratto dall sito www.grazzano.it
tratto dall sito www.grazzano.it

Non v’è Castello senza fantasma: quello di Grazzano è di sesso femminile.

Allora lo scoiattolo pensò ‘Sono in un castello! Lì troverò certamente qualcosa da mangiare’..”

Laura interruppe la lettura dei fogli ingialliti. “Sembrano segni del destino” disse sorridente. “Prima la vecchia foto di gruppo col vestito rosso e Marco, poi il manoscritto con la storia di Aloisa, il simpatico fantasma di Grazzano Visconti. Il prossimo cosa sarà?”

La mente tornò all’ultima domenica di maggio dell’anno precedente, quando lei e Marco decisero di andare a Grazzano Visconti. Era un paesino di 180 anime, arrampicato in val Nure sopra Piacenza, ricostruito in stile medioevale. Volevano interrompere la monotonia delle giornate tutte uguali per l’impegno della scrittura della tesi. Il Castello e il Parco erano finalmente visitabili. In quei giorni si poteva assistere alle giostre, al corteo storico e ad altre manifestazioni. Non aveva mai assistito a spettacoli del genere, mentre Marco, quando poteva, non ne mancava uno. Per lui non era una novità ma semplicemente aggiungeva un nuovo borgo con relative manifestazioni alle sue conoscenze. Nel depliant della Pro Loco, allegato ai fogli, c’era la curiosa storia di un fantasma che recitava così.

Il fantasma

Risponde al nome di Aloisa. Piccoletta, ben in carne, le braccia al sen conserte, dal suo basamento sito vicino alla piazza del Biscione occhieggia oggi verso i turisti. Le sembianze della statua che la raffigura sono fedeli al ritratto che fece di sé, guidando la mano di un medium nel corso di una seduta spiritica.

Narrò naturalmente la propria storia, che gli abitanti del borgo si tramandano:Sposa ad un Capitano di Milizia, perì di gelosia in seguito al tradimento del marito, e da allora vaga per il Castello e il parco:

“Io sono Aloisa e porto Amore e profumo alle Belle che donano il loro sorriso a Grazzano Visconti”

Di notte – così dice la storia che viene tramandata di padre in figlio – si rifugia tra la mura del castello e si comporta in maniera assai manesca, tirando i piedi e schiaffeggiando gli ospiti, a meno che questi le facciano dei doni, appendendo alla statua, posta in una stanza, collane e monili, che ne appaghino la vanità di spettro femminile.

Ecco dunque che la statua della Aloisa castellana sfoggia, con fare civettuolo i doni dei previdenti ospiti che – credere o non credere – hanno comunque preferito ingraziarsi lo spettro.

La storia della Aloisa, è stata al centro di una Mostra allestita al teatro del castello dedicata alle testimonianze e alle tradizioni del Borgo. Tra i giornali che si occuparono della manifestazione, la Stampa di Torino, il cui testo fu ripreso da una agenzia inglese e diffuso su diversi giornali. Successivamente il Sunday Express – quattro milioni di copie – ha incaricato il corrispondente in Italia di un servizio in chiave parapsicologica. Assistito da esperti del settore, il giornalista ha sottoposo le statue a diversi esami e alla famosa prova del “pendolino” alla fine il responso: “L’Aloisa risulta sorprendentemente viva. Si tratta di una donna che amò e sofferse molto”.

Molti altri sono i sorprendenti incontri con l’Aloisa.

Tra i più recenti quelli occorsi, in tempi diversi, ad un reporter di una stazione televisiva e al corrispondente di un quotidiano locale. Entrambi affrontarono l’argomento con manifesta incredulità.

Il primo riuscì a fotografare l’effige della statua solo dopo aver fatto opera di conversione – nel frattempo aveva però inceppato la fotocamera e avuto ripetuti guai con il lampeggiatore.

Il secondo raccoglieva, servendosi di un registratore, impressioni sullo spettro; alla fine delle interviste sulla pista magnetica risultarono le sole voci favorevoli alla Aloisa.

In questi ultimi anni l’Aloisa è assurta agli onori della cronaca anche come protettrice degli innamorati, una specie di San Valentino in gonnella.

Messaggi riconoscenti e omaggi floreali giungono infatti con frequenza all’effigie di Aloisa, da diverse parti d’Italia

Laura ricordò di aver lasciato una traccia del suo passaggio a Grazzano: un piccolo braccialetto di stoffa con inciso il suo nome. Marco l’aveva guardata corrucciato, perché riteneva la questione una superstizione del passato. Non aveva detto nulla.

La giornata era splendida, il posto era incantevole con quell’immenso parco pieno di alberi, di siepi e fiori, dove uno rischiava di perdersi nel labirinto verde. L’atmosfera del villaggio riportava le persone indietro nel passato, come una prodigiosa macchina del tempo. In un clima rilassato avevano trascorso la giornata. Era stato un toccasana, perché rompeva la tensione della preparazione della tesi. La macchina digitale, che Marco le aveva regalato per il compleanno, fece molte fotografie.

Si riscosse dai ricordi di quel giorno. ‘Quelle fotografie dove le ho messe?’ si chiese. ‘Rammento di averle stampate col computer. Le avrà Marco di certo. Lui amava osservarle sulla carta. Chissà se le ha conservate”.

Di quella giornata aveva conservato pochi ricordi, annacquati e sfumati. Non si pose il problema di ricordare le esatte sequenze della gita, perché gli eventi spiacevoli erano stati rimossi dalla memoria.

Una storia così anonima – parte trentaduesima

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Primi contrafforti dei Pirenei, 21 novembre 1307, ora terza. Anno secondo di Clemente V

Pietro è incerto se avvicinarsi a un villaggio, che ha intravvisto in lontananza durante una breve schiarita, oppure proseguire a tentoni alla ricerca della strada per Rhedae. É fermo in un bosco privo di foglie, su un sentiero fangoso e impastato di legno marcio, e sta riflettendo sul da farsi. La nebbia sta lasciando il posto a una leggera nevicata. Si stringe nel mantello, un tempo bianco ma adesso macchiato di fango, quando sente la voce strozzata di una donna che chiede aiuto e misericordia. Sprona il cavallo verso quelle disperate invocazioni e in una radura scorge un uomo che sormonta una ragazza, che cerca disperatamente di divincolarsi.

In nome di Gesù, Maria e Maddalena fermatevi e lasciate libera la donna” tuona con voce ferma Pietro senza scendere di cavallo.

L’uomo ha un sussulto di sorpresa e si alza quel tanto per consentire alla ragazza di correre verso la macchia, verso la salvezza con le vesti stracciate. Lui impreca, girandosi verso il frate, pronto a vendicarsi della perdita della preda. Vede un uomo a cavallo con un mantello bianco e una croce rossa sulla spalla. Ha un moto di stizza e di paura. Riconosce in Pietro un monaco guerriero, un templare, di cui hanno raccontato gesta eroiche e leggendarie in Spagna e in Terra Santa contro mori e saraceni. Sa che finirebbe per soccombere, se ingaggiasse uno scontro con lui. Preferisce battere in ritirata e si dirige velocemente verso il punto opposto, dove la donna è scomparsa.

Pietro non immaginava una simile reazione. Non pensa di suscitare tanto timore in quell’uomo grande e grosso da spingerlo alla fuga. Al piccolo trotto e con cautela si inoltra nella macchia bassa del sottobosco alla ricerca della ragazza. ‘Se era lì, di certo la sua abitazione è nei dintorni, non molto distante’ si dice, mentre la neve scende come tanti piccoli aghi di ghiaccio. Sente strappare il mantello e pensa di averlo impigliato in qualche ramo. Si blocca e si volta per districarlo ma vede una mano femminile che lo trattiene.

Uscite senza paura” fa Pietro cercando di scorgerla. Gli compare davanti una giovane fanciulla infreddolita, mezza nuda e scalza. Il frate toglie la coperta di lana grezza che ha usato per proteggere il suo bardo e gliela lancia.

Copritevi con questa e montate dietro di me” le dice. “Dove abitate?”

Un braccio incrostato di fango indica la direzione.

Limovicae, 18 novembre 1307, ora terza – anno secondo di Clemente V

Louis arriva a Limovicae, dopo aver puntato verso oriente. Ritornato sui suoi passi si è diretto verso meridione, sperando in una sorte migliore. Non ha trovato tracce di Pietro e impreca, bestemmiando. ‘Ancora una volta mi ha beffato’ pensa, mostrando al corpo di guardia una carta. I soldati scattano sull’attenti. É un personaggio importante da trattare con tutti gli onori.

Conducetemi dal balivo della città” fa Louis de Chevalier impaziente. ‘Sembra che si sia dissolto nel nulla’ riflette, mentre segue un drappello all’interno della città. ‘Nessun villaggio pare sia stato toccato dal frate. Possibile che li abbia evitati tutti? Come si è procurato il cibo per lui e la sua cavalcatura, alla quale sembra ci tenga molto?’ Scuote il capo infastidito, perché dubita di poterlo intercettare con facilità nei prossimi giorni. ‘Devo mettere in moto balivi e siniscalchi della regione meridionale per dare la caccia al fuggitivo’ pensa, mentre presenta le credenziali al baillie di Limovicae. Gli ordina di trasmettere l’ordine di cattura a tutta la zona verso est.

Louis decide di fermarsi per tutta la giornata. Deve far riprendere fiato al cavallo, sfiancato dalle lunghe corse dei giorni precedenti. Il giorno successivo si dirige verso la terra dei catari, dove il rapporto coi Templari è ancora forte. ‘Forse ha trovato rifugio lì, contando sulla loro protezione’ ragiona Louis, mettendosi in marcia. Ovunque passi, allerta il balivo o il siniscalco di ricercare Pietro e di condurlo a Parigi in catene. Batte tutta la regione dei catari inutilmente. Si dirige verso Montsegur, ben sapendo che la zona è ridotta a un cumulo di macerie da oltre cinquant’anni. É costretto a desistere, perché sta nevicando copiosamente. Va verso Limos. É arrabbiatissimo. ‘Quel dannato frate mi farà morire’ si dice, entrando nella cittadella. Il tempo pessimo gli consiglia di fermarsi qui, almeno per la giornata odierna. ‘Sono sette giorni che vago senza meta e senza costrutto’.

Primi contrafforti dei Pirenei, 21 novembre 1307, ora sesta – anno secondo di Clemente V

Pietro chiede il nome alla ragazza, che risponde: “Fabienne”. Si tiene stretta al templare per non cadere dal cavallo. Procedono lentamente per evitare le insidie del terreno che si è imbiancato per la leggera nevicata. Segue le indicazioni, finché non arrivano a una casa fatiscente sul limitare del bosco.

Siamo arrivati” dice Fabienne. “Abito qui con mia madre, che è malata. Ero nel bosco a raccogliere un po’ di legna e qualche radice e bacca, quando sono stata assalita da quel bruto”.

Pietro aiuta a smontare da cavallo la ragazza, che corre subito dentro la casupola. “Maman” fa Fabienne, “abbiamo un ospite. Mi ha salvato la vita”.

La donna risponde con voce flebile. “Non abbiamo nulla da offrire”.

Il frate si avvicina. L’ambiente è freddo e umido. Il fuoco arde debolmente. “Non preoccupatevi per me” afferma Pietro. “Esco alla ricerca di legna da bruciare e di qualcosa da mangiare”.

Poco dopo torna con rami umidi e delle erbe selvatiche, che ha imparato a riconoscere durante il suo viaggio da Limonum a qui. “Queste sono commestibili” dice ponendole sul tavolo. “Non conosco il nome ma danno forza”. Depone la legna bagnata vicino al focolare, affinché asciughi un poco prima del loro impiego. Recupera dalla borsa, appesa alla sella del bardo, dei medicamenti da dare alla donna febbricitante.

Il villaggio più vicino dove si trova?” chiede Pietro alla ragazza.

Limos è dietro di noi, a due ore di cammino a piedi” risponde Fabienne, indicando col braccio la direzione.

Rhedae, sapete dove si trova?” fa il frate, che alimenta il fuoco morente con la legna trovata.

La ragazza scuote il capo in senso negativo. “Però posso andare a Limos per informarmi”.

Buona idea” afferma Pietro. “Ma vi accompagno a cavallo. Fate prima e non correte il rischio di brutti incontri. Potete comprare qualcosa per voi e per me”.

Raggiunto il villaggio, Pietro rimane appartato in un boschetto vicino, mentre Fabienne raggiunge a piedi Limos, dove col denaro del frate compra del cibo e si informa sulla strada per raggiungere Rhedae.

Alla ora nona sono di ritorno alla capanna, che è più calda di quando l’hanno lasciata. “Maman” dice la ragazza allegra, “possiamo mangiare carne oggi”.

Mentre Fabienne prepara la cena, Pietro raccoglie dell’altra legna e altre erbe, sistema il suo bardo al riparo in un capanno, accanto alla casupola, dove trova fieno e qualche granaglia. É un riparo di fortuna ma la bestia sta al chiuso e al caldo.

Fabienne ha cotto il quarto di montone, acquistato a Limos, e ha preparato le erbe raccolte dal frate.

Pietro copre la donna con la coperta di lana grezza, che usa per il suo bardo, e si sistema con la ragazza vicino al focolare, dove scoppietta la legna.

Ascolto le vostre informazioni per raggiungere Rhedae” comincia il frate, mentre prende un piccolo boccone di montone arrosto.

Non è difficile” risponde Fabienne con la bocca piena, “basta seguire il sentiero sul quale eravate. Una mezza giornata a cavallo e siete arrivato”.

Ero sulla strada buona” replica Pietro che mastica qualche erba. Preferisce digiunare per non far mancare il cibo alle due donne per i prossimi giorni. ‘Un po’ di digiuno non fa male per espiare i miei peccati’ pensa il frate. Il cielo bianco latteo che minaccia neve sconsiglia a Pietro di rimettersi in marcia. ‘Stanotte dormirò con loro, se mi accettano’ si dice, allungando le mani verso il fuoco.

Fabienne accende un mozzicone di candela per illuminare la stanza. Osserva il cielo e scuote la testa. “Rimanete qui con noi” afferma decisa “É probabile che tra non molto nevichi”.

Grazie” replica Pietro, che esce ancora una volta a far provvista di legna e a controllare che il fedele bardo sia sistemato bene per la notte.

Limos, 21 novembre 1307, ora nona – anno secondo di Clemente V

Louis alloggia nell’abitazione della perpetua. Non ci sono locande e sfrutta il documento di Guillaume de Nogaret per farsi accogliere dal prevosto del villaggio. Gli abitanti lo guardano con sospetto. Rappresenta quel potere che loro mal sopportano. Il conte di Tolosa non è amato nemmeno lui, perché è stato imposto con la forza sessant’anni prima al termine della crociata contro di loro.

Va in giro a chiedere se hanno visto un monaco con un mantello bianco, “No” è la risposta corale di tutti. ‘Non è possibile’ si dice, ‘non è possibile che sia svanito nel nulla. Qui avverto ostilità e paura’. Sta facendo queste riflessioni, quando scorge una fanciulla che parla con un uomo. Non gli appare nella condizione di comprare quello che spunta da una bisaccia sulle spalle. É distante cinquanta passi. Si dirige verso di lei ma un carro gli taglia la strada. Quando la via è libera, la fanciulla è sparita. Si guarda intorno senza vederla. Ferma l’uomo con il quale lei ha parlato.

Ditemi” lo apostrofa con tono insolente e arrogante. “Chi è quella donna che era con voi poco fa?”

L’uomo, un contadino tarchiato e basso, alza le spalle e scrolla la testa senza rispondere.

Dico con voi!” urla Louis spazientito. “Vi faccio mettere ai ferri!”

Una piccola folla si raduna intorno a loro e volano parole dure verso di lui. Louis capisce che non ne ricaverà nulla. Si guarda intorno preoccupato, perché la situazione si mette male. Si divincola dall’assembramento, si allontana a passo svelto, seguito dagli sguardi furiosi degli abitanti. Rientrato nell’abitazione del prevosto, si informa dalla perpetua sui villaggi nelle vicinanze. Spera in una sorte più fortunata.

Ce ne sono diversi” dice la donna. “Seguendo il fiume verso meridione almeno altri quattro villaggi. Poi salendo sulle prime colline, passando il fiume altri due. Uno sulle rive di un torrente. Si va verso oriente. Qui comanda Gilles de Voisins”.

Ma l’altra?” domanda Luis, visto che la donna non la nomina.

É terra di Spagna. Appartiene alla contea di Catalogna” fa la perpetua. “É raggiungibile, seguendo la via verso sud”.

Ma come sono?” insiste Louis. “Grandi? Quattro case di legno in croce?”

Beh! Un tempo erano dei villaggi fortificati” prosegue la perpetua. “Poi con l’arrivo dei francesi è stato spazzato via tutto. Quello, che c’è, è quanto resta”.

Louis riflette. ‘Perché il monaco dovrebbe proseguire verso meridione, verso le montagne, difficili da scavalcare in questa stagione?’ pensa, prima di formulare un’altra domanda. “Ma verso oriente, verso il mare cosa c’è?”

La donna rimane in silenzio per un attimo. “Andando verso oriente si arriva a Carcasum, dove risiede il nostro vescovo”.

Louis ringrazia la donna. Tuttavia ha sempre un pensiero fisso. ‘Quella giovane donna, vestita di stracci e praticamente a piedi nudi, come poteva avere del denaro per comprare del montone e altro?’ ragiona. ‘Forse il maledetto frate l’aspettava fuori dal paese. Ma ora chissà dov’è’.

La giornata sta volgendo al termine. Il buio sta calando. Louis decide di partire domani al primo albore a perlustrare l’area. Non può tornare a Paris da Guillaume de Nogaret a mani vuote, mancando l’incarico ricevuto. Deve cercarlo e arrestarlo. Se si trova ancora nella contea di Tolosa, non ci sono grandi problemi. Tuttavia se si è rifugiato nella marca catalana, allora la situazione è più complicata.

‘Ma ora sediamoci a tavola dal prevosto a consumare un pasto caldo’ si dice. ‘Domani è un altro giorno’.

Una storia così anonima – parte trentunesima

foto personale
foto personale

Rennes-le-Château, 27 febbraio 2015, ore quattordici

Luca e Vanessa tornano sui loro passi verso il punto, dove hanno parcheggiato la macchina. Il cielo si è coperto di nuovo. Le nuvole basse avvolgono il villaggio. Un vento gelido arriva da nord a pungere le ossa.

Fa freddo” dice la ragazza, che si stringe il piumino addosso.

Il ragazzo sorride. ‘Tanto freddolosa, quanto calorosa’ pensa.

La casa sembra vecchia ma solida. A Luca sembra una di quelle abitazioni di una volta costruita con muri a secco. Nessuna insegna, solo un campanello e una piccola targhetta ‘Au temps perdu’. Dopo aver suonato, li accoglie una signora, che li fa accomodare all’interno. Il ragazzo la osserva. Non gli pare né giovane né anziana, di quell’età indefinita che sembra essere lo stereotipo della mezz’età.

Avete delle stanze libere?” domanda Vanessa.

Sì” risponde la donna, “potete scegliere quella che volete. Al primo piano un’ampia stanza matrimoniale con terrazzo privato. Al piano di mansarda due stanze una più grande e una più piccola”. Lei li considera due giovani sposi. ‘Una bella coppia’ pensa, mentre li osserva con attenzione.

Benissimo” dice la ragazza “le prendiamo tutte e tre”.

La donna li guarda interdetta. Non capisce il senso della risposta. “Ho capito bene che le occupate tutte e tre? In quanti siete?” Le domande le sono uscite così senza sforzo. ‘Eppure mi sembrano talmente giovani che non possono avere più di un figlio’ riflette, mentre tenta di comprendere la richiesta.

Sì, signora! Ha capito perfettamente” afferma la ragazza sorridente. “Siamo solo noi due”.

Madame Monzon, la proprietaria della gite, sembra stordita. ‘Sono in due’ pensa, ‘e occupano lo spazio per sei persone. Perché?’ Li osserva con sguardo interrogativo, passando dall’uno all’altra.

Vanessa intuisce che la donna ha delle perplessità. Gli occhi si sono riempiti di stupore e di incertezze. Prima che ponga altre domande, ne spiega le ragioni. “Vogliamo essere tranquilli che nessun altro prenda le due rimanenti”. Si interrompe per qualche secondo prima di proseguire. “Non desideriamo condividere con altre persone il soggiorno presso di voi. Il posto ci piace. Ha un’atmosfera particolare, immersa nel suo silenzio”

Madame Monzon resta per un attimo muta, prima di domandare per quanti notti si fermano.

Per il momento fino a domenica” replica Vanessa. “Domenica decidiamo se prolungare di qualche giorno la nostra permanenza”.

La proprietaria è soddisfatta. Non capita tutti i giorni di fare il pieno in un periodo decisamente morto. Nel periodo estivo c’è la coda di persone disposte a tutto pur di avere una stanza ma d’inverno non arriva nessuno. La coppia le appare simpatica e avverte che sta nascendo un bel feeling con loro. É tentata di applicare un piccolo sconto e si aspetta che contrattino il prezzo. Spiega le condizioni, consegnando un documento, dove sono indicati gli articoli del contratto che sottopone a loro.

Luca prende il foglio, lo scorre con gli occhi e naturalmente non capisce nulla. ‘Ci penserà Vanessa a leggerli’ pensa, mentre li ripiega con cura soddisfatto.

Firmano i contratti, pagano la tariffa week end senza chiedere un euro di sconto. Così i due ragazzi bloccano le tre camere del cottage, dal cui terrazzo si domina l’intera vallata dell’Aude, la vecchia contea di Razès, quando c’è bel tempo. Scelgono la più grande, quella al primo piano. Prima di salire per depositare i bagagli, chiedono altre informazioni.

Possiamo lasciare l’auto nella piazzetta che è di fianco alla casa?” chiede Vanessa.

Certamente. In questo periodo non ci sono turisti. Quindi si può circolare e parcheggiare senza troppe restrizioni” risponde Madame Monzon. “In luglio e agosto è vietato entrare in paese”.

Luca osserva l’espressione del viso dell’amica. ‘Non devo spostarla’ si dice con un moto di soddisfazione.

Nel piccolo giro di ricognizione in paese” fa la ragazza “abbiamo visto solo un ristorante aperto. Ce ne sono degli altri?”

Se vi accontentate della mia cucina” la interrompe la donna “possiamo accomodarci tra mezz’ora nella sala da pranzo”.

Vanessa traduce a Luca le ultime parole. “A me sta bene” dice il ragazzo. “Mi sembra di stare a casa”

D’accordo. Sarà un onore per noi, assaggiare i vostri piatti” le risponde la ragazza.

Recuperato il bagaglio, occupano la stanza del primo piano. É ampia e arredata con gusto. “Non è male” fa Luca. “Sarebbe anche luminosa, se questa nuvolaglia se ne andasse”.

Una rapida rinfrescata, un cambio d’abito necessario ed ecco i due ragazzi pronti per assaggiare la cucina di Madame Monzon.

Una giovane donna li serve a tavola. Ha occhi scuri e capelli neri. Secondo Luca è di origini spagnole.

Mangiano in silenzio. Vanessa apprezza quel secondo accompagnato da uno strano purè di patate. “Che piatto forte e delizioso” fa la ragazza, complimentandosi con la cuoca.

É un tipico piatto di questa regione” risponde Madame Monzon, visibilmente contenta per gli apprezzamenti. “Cassoulet con aligot”.

Luca mangia in silenzio, ascoltando distrattamente le chiacchiere delle due donne. Parlano un linguaggio che non capisce.

Sistemiamoci nel salotto” dice la proprietaria, al termine del pranzo. “Vi offro qualche dolcetto della zona innaffiato con vin moscato di Saint-Jeans”.

Si stanno trasferendo, quando sentono squillare il campanello.

Elionor” dice Madame Monzon “vai a vedere chi vuole entrare”.

Si sistemano intorno a un tavolino basso, sul quale stanno dolcetti e una creme catalane, una bottiglia di vino e tre bicchieri. Poco dopo la ragazza torna. “Madame” fa in un francese con una forte inflessione catalana. “Un signore chiede una stanza. É nell’ingresso”.

La donna si alza per andare a parlare con la persona in attesa. Luca e Vanessa sentono una voce maschile, che chiede inutilmente di essere ospitato, e una femminile, che con altrettanta fermezza gli risponde negativamente. I due ragazzi sorridono, stringendosi la mani. “Henri, ci riprova” sussurra Luca. “Questa volta gli è andata male” replica Vanessa. “Ora sappiamo com’è la sua voce” aggiunge il ragazzo. Si ricompongono sentendo i passi della proprietaria.

Parbleu!” esclama la donna, rientrando nella sala. “Incredibile! Un’altra persona cerca una stanza! In questo periodo dell’anno non viene un turista manco lo costringessero con una pistola alla tempia!”

Luca trattiene il riso. “Ma cosa è successo?” domanda Vanessa con faccia compunta.

É incredibile!” afferma la proprietaria col viso basito. “Sembra di essere in luglio con la fila delle persone che cerca una sistemazione”.

Ah!” fa la ragazza, afferrando un dolcetto. “Dunque qualcuno ha bussato alla porta! Ma se il paese è vuoto. Non credo che abbia difficoltà di trovare un alloggio”.

La donna la guarda e annuisce. “É quello che le ho detto. Ma lui insisteva perché voleva dormire qui! Incredibile!”

Per i ragazzi è evidente che alla signora non dispiace aver perso un cliente o uno potenziale. Si lanciano uno sguardo e sorridono.

Tutto sommato” prosegue Madame Monzon, mentre versa il vino nei bicchieri, “non mi dispiace averlo messo alla porta. Mi dava dei brividi, mentre parlava”.

Sollevano i calici per una specie di brindisi. Madame Monzon è curiosa di conoscere i motivi del loro arrivo a Rennes-le-Château.

Volevamo metterci sulle tracce di un nostro concittadino” inizia a raccontare Vanessa, che con gli occhi rassicura Luca. “Pietro da Bologna, un monaco, che partendo da Bologna è arrivato fin qui”.

Il ragazzo finge di seguire la conversazione ma si sente tagliato fuori per la mancata conoscenza della lingua. Osserva i volti per intuire cosa stanno dicendo dalle loro espressioni. Vede che Madame Monzon è perplessa. ‘Chissà cosa avrà detto Vanessa’ si dice sospirando.

Non ricordo la presenza di un monaco in paese” afferma la donna. “Ma quando è venuto?”

La ragazza sorride per reprimere la risata. “Settecento anni fa” risponde Vanessa.

Ecco il perché non lo ricordavo” esclama Madame Monzon, mettendosi a ridere. I due ragazzi si uniscono nella risata, anche se Luca non comprende bene i motivi di tanta ilarità. ‘Si sa’ pensa il ragazzo, ‘ che il riso è contagioso’.

Mentre prosegue la conversazione tra Vanessa e Madame Monzon con Luca, convitato di pietra, Henri attende paziente l’uscita di Elionor. Vuol conoscere i motivi del rifiuto, che gli ha impedito di restare accanto a loro. La vede uscire.

Henri abborda la ragazza, che ha un sussulto. Non si aspetta di vedersi comparire di fianco la stessa persona che ha tentato inutilmente di prendere una camera da Madame Monzon. Ricorda che è stato messo alla porta in modo sbrigativo dalla padrona e finge di essere irritata.

‘É un bell’uomo’ pensa, osservandolo con cura. Poi si pente subito di avere avuto questo pensiero. Accelera il passo.

Non voglio sembrarle il classico uomo che tenta un approccio con una bella ragazza” fa Henri in modo diplomatico, mettendosi di fianco a Elionor. Rimane in silenzio e osserva le sue reazioni. “Non conosco bene il paese. Anzi, a dire il vero, è la prima volta che ci vengo”.

La ragazza si ferma un attimo e lo guarda negli occhi, prima di riprendere a camminare con maggior lena. ‘Che vuole questo da me?’ riflette, perché non capisce dove vuole arrivare.

Henri intuisce che lo sta ascoltando, anche se finge di essere irritata. Riprende il discorso interrotto. “Un conoscente mi ha indicato come gite a Rennes-le-Château ‘Au temps perdu‘ ma sembra che sia tutto occupato” dice l’uomo con tono dolce. “Ora non so dove pernottare. Lei, di certo, potrà suggerirmi un altro alloggio”.

Elionor riflette che sarebbe scortese non rispondere. ‘Alla fine chiede solo un’informazione’. Continua a camminare ma si ferma un breve istante.

L’obiettivo è stato raggiunto – aggiornamento

Arcobaleno - foto personale
Arcobaleno – foto personale

Avevo scritto che avevo in mente qualcosa e dovevo essere meno presente sul blog. L’obiettivo era mettere in sel publishing un mio romanzo. Ebbene l’ho fatto ed è disponibile in prenotazione fino al 10 novembre e poi acquistabile sulla piattaforma Amazon – lo potete trovare qui, mentre su Smashwords è ottenibile da subito nei tre formati epub, mobi e pdf qua.

Qualcuno potrebbe chiedersi dove sta la difficoltà di auto pubblicarsi. In effetti bastarebbe un testo e una copertina e il gioco è fatto. Io ho cercato di generare un ebook in modo più accurato possibile, seguendo le specifiche delle due piattaforme. Il testo è ovviamente lo stesso. Ho posto particolare cura nel eliminare i refusi e gli errori ma dubito di averli tolti tutti. Ho revisionato il testo più volte ma in particolare è stato accettato sulle due piattaforme. Rimane un ultissimo tassello per smashwords, affinchè sia distribuito nei vari cataloghi. Su questa piattaforma sono rigidi e pignoli e tutte le virgole devo essere messe come vogliono loro. Niente di trascendentale è l’operazione conclusiva.

Diciamo sono soddisfatto del lavoro svolto.

Grazie a tutti voi che pazientemente mi leggete.

Aggiornamento del 9 novembre

Quelli di smashwords hanno certificato che l’ebook è vendibile su molte piattaforme tra cui  Ibook, Kobo, Barnes & Noble e tante altre. In Italia da feltrinelli. Una piccola soddisfazione, perché erano solo questioni di millimetri fuori posto 😀

Per il cartaceo ci sto ponzando

 

L'obiettivo è stato raggiunto – aggiornamento

Arcobaleno - foto personale
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