Non passava giorno – cap. 23

Foto personale
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La storia di Laura diventa sempre più intricata, perché coinvolge Sofia e Matteo loro malgrado. Ne farebbero a meno ma l’amicizia e altro … Volete saperne di più leggete la nuova puntata che potete trovare qui su Orsobianco.

Buona lettura

Non passava giorno – cap. 23

foto personale
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Sofia era distratta da un pensiero che non comprendeva nella sua pienezza. ‘Perché Laura ha telefonato a Marco?’ si chiese perplessa. ‘Perché lui si è precipitato immediatamente? Vogliono ricucire lo strappo?’

Non riusciva a concentrarsi in quello che stava facendo. La mente vagava tra dubbi e curiosità, mentre lei guardava in continuazione l’orologio, che pareva fermo tanto lentamente sembrava scorrere il tempo.

‘Basta!’ si disse, cercando di scacciare quei pensieri. ‘Basta con queste fantasie! Devo terminare la relazione entro stasera! Non ho scritto un rigo da quando sono rientrata. Penso sempre a loro. Accidenti! Quasi fossero i miei amanti che mi hanno abbandonata per strada’.

Si alzò dal tavolo con movimenti concitati, andando alla finestra per guardare fuori. Non doveva controllare nulla ma voleva ritrovare la concentrazione perduta. Era la domanda sul motivo del riavvicinamento tra Laura e Marco, che continuava a monopolizzare la sua mente. Sentì la suoneria del telefono. “Anche questo congiura contro di me!” sbottò ad alta voce, mentre leggeva sul display il chiamante. ‘Uffa!’ sbuffò innervosita. ‘Che vuole Matteo? Lo sa che non amo essere disturbata in orario di lavoro’.

Ciao“ esordì Sofia con voce acida.

Ciao” le rispose Matteo, che avvertì freddezza nella risposta. “Paolo è in crisi per Laura. Non so cosa fare. Posso chiederti un consiglio?”

Porca miseria!” esclamò Sofia e poi tacque. Valutò la situazione, che si presentava ingarbugliata e imponeva un’attenta riflessione. ‘Laura e Marco insieme, almeno fino a stasera’ pensò. ‘Paolo in crisi come un ragazzino ai primi innamoramenti che chiede per interposta persona aiuto a me. Io in pieno marasma esistenziale per colpa loro’. Tutto le appariva interconnesso senza trovare il filo che legava ogni aspetto del rebus. Cercò di decifrare la situazione senza successo. La testa sembrava che dovesse esplodere da un momento all’altro. Aveva un’importante relazione da terminare entro poche ore ma non riusciva a concentrarsi. Doveva dare una risposta a Matteo.

‘Non posso rimanere in silenzio in eterno’ pensò, mentre era alla ricerca delle parole giuste per la risposta al quesito. ‘Cosa ho fatto di male per trovarmi coinvolta in questa intricata storia d’amore?’

Scusa” disse, mentendo spudoratamente “Stavo riflettendo su quello che hai detto. La risposta è troppo articolata per dartela su due piedi. Rischierei nella fretta di passarti informazioni fuorvianti”.

Tacque un attimo prima di riprendere a parlare. “In questo momento sono impegnata con una grossa grana professionale” aggiunse, facendo una nuova pausa. “Lo sai che non voglio essere disturbata sul lavoro”.

Matteo era rimasto in silenzio per ascoltare quello che Sofia aveva da comunicargli. Non era una novità per lui che Sofia non desiderava essere disturbata durante la giornata su questioni private. Questo, ricordava bene, la innervosiva non poco ma aveva sperato che gli desse una risposta volante.

Scusami” rispose Matteo, “lo so di avere infranto una regola che ci siamo dati. Ma Paolo è troppo in crisi per attendere che tu esca”.

Sofia cercò di moderare il tono della risposta, perché d’istinto avrebbe voluto dirgli ‘E chi se ne frega se è rincoglionito!’. “Matteo” fece la ragazza, “non riesco a liberarmi prima delle sette per darti una risposta. Alle otto, come sai, sono da Laura per cena”.

Sofia lo sentì sbuffare. “Che ne diresti se vieni a dormire da me, così ne possiamo parlare con calma?” gli disse, anticipando le sue rimostranze. “Ti telefono, quando mi libero da Laura, e mi raggiungi a casa”.

Va bene“ sospirò Matteo, ritenendo inutile insistere, “anzi non va bene un bel niente”. Sono troppo amico di Paolo per abbandonarlo in questo momento, pensò Matteo.

Hai ancora qualcosa da dirmi?” fece Sofia, che voleva chiudere la conversazione.

No” rispose seccato. “Se non puoi ora, ne parleremo sotto le lenzuola. Ciao a stasera”.

Ciao” replicò Sofia, che pareva una tigre in gabbia, muovendosi nervosamente nella stanza.

‘Al diavolo!’ imprecò sotto voce per i pensieri che non smettevano di disturbarla. ‘Al diavolo anche questa relazione!’ si disse Sofia, chiudendo la cartellina sulla sua scrivania. ‘Neanche se mi legassero alla sedia riuscirei a finirla! Vado da Bob e gli dico che per oggi smetto. Non è giornata! L’avrà domattina o il giorno dopo, quando sarò riuscita a controllare le mie azioni e i miei pensieri’.

Uscì dall’ufficio con largo anticipo rispetto al solito per riflettere. Doveva raccogliere le idee, doveva capire, se il riavvicinamento tra Laura e Marco era definitivo oppure no. Doveva comprendere troppe cose, che non la riguardavano e nemmeno la sfioravano e si incamminò verso piazza Cordusio. Era coinvolta controvoglia in una storia intricata dalla quale non sapeva come uscirne.

Mentre camminava, sperò di analizzare con più lucidità la storia che coinvolgeva Paolo, Marco e Laura. Tuttavia più pensava agli avvenimenti delle ultime ore, più si rendeva conto che c’erano troppi punti oscuri, di cui non conosceva i contorni. Un profondo senso di frustrazioni l’assalì, mentre la curiosità lasciava il posto ai dubbi e alle domande insolute.

Una storia così anonima – parte quarantesima

Il castello Estense - foto personale
Il castello Estense – foto personale

Rhedae, 24 novembre 1307, vespro – anno secondo di Clemente V

Credo che sia meglio che ve ne andiate” dice Simon con voce atona senza guardarli negli occhi.

Sì” risponde Marcel. “Domani al primo albore ce ne andiamo”.

L’uomo scuote la testa. Non è questa la sua opinione. Sa di essere un sorvegliato speciale per i suoi trascorsi di cataro. Capisce anche le ragioni del suo amico, Marcel. Mettersi in viaggio col buio è pericoloso. Neve e ghiaccio sono nemici dei viandanti.

Però non potete restare qui” insiste Simon.

Dove?” chiede Marcel preoccupato, mentre Pietro è interessato solo al messaggio.

Di fronte” dice Simon, “c’è un ripostiglio che nessuno usa”.

Ma è possibile riscaldarlo?” ragiona ad alta voce Marcel. “Il freddo sarà pungente stanotte”.

No” replica l’uomo. “Quello, che posso darvi, sono delle coperte di lana e un po’ di cibo”.

Va bene” fa Marcel, che si volta a osservare Pietro, del tutto assorto nell’esaminare quello che ha trascritto. Il frate sembra essere in un’altra dimensione. “Almeno un lume o qualche candela per avere un po’ di luce” aggiunge come ultima richiesta la guida.

Simon chiude gli occhi e si concentra. La richiesta gli appare ragionevole. Al buio e al freddo la notte sembrerà ancora più lunga del dovuto. Sta pensando dove li tengono nel castello. Forse lo sa. “Aspettatemi qua. In silenzio. Se qualcuno bussa, non rispondete. Questa stanza deve apparire vuota in mia assenza”.

Marcel annuisce in silenzio, mentre attira Pietro accanto al camino. Devono fare il pieno di calore, perché tra poco saranno al gelo.

Il frate si sposta senza protestare. Continua a ragionare su quella stringa che apparentemente è priva di senso. ‘Quale codifica ha usato Paul?’ si domanda, dopo aver provato a usare il codice di Cesare. ‘La sequenza utilizza un sistema differente, più complesso. Le lettere in minuscolo di sicuro separano i nomi, anche se all’occhio inesperto non sembra’. Prende un pezzetto di legno annerito dal fuoco e comincia a costruire un diagramma su un lembo di stoffa bianca. É talmente assorto nelle sue attività, che non si accorge che Simon è rientrato e sta parlottando con Marcel.

Venite” gli dice la guida. “Dobbiamo spostarci da qui”.

Pietro lo segue docilmente. Attraversa il cortile innevato, mentre un leggero nevischio scende lieve dal cielo plumbeo. Marcel apre con lentezza una porta cigolante, cercando di ridurre al minimo ogni rumore. Accende un lume a olio che deposita nel centro della stanza polverosa. Muove gli occhi circolarmente. La vista non è esaltante. Addossata a una parete c’è una catasta di mobili vecchi, rotti e impolverati. Vistose ragnatele penzolano dalle travi del soffitto. Nell’angolo opposto ci sono diversi pagliericci disfatti, che mostrano il loro contenuto. Un tavolo traballante e tre sedie sfondate sono vicine a quello che una volta era un camino, che adesso è ostruito da pietre e altri oggetti.

Pietro segue Marcel, entrando nel ripostiglio e si guarda intorno. Desolazione, polvere e tanto freddo. Però in quel momento altre sono le sue priorità. ‘Devo decifrare questo messaggio prima che sia il primo albore’ si dice, mentre si sistema il mantello intorno al corpo. Dalla sacca che porta a tracolla estrae un copricapo di lana. Mette il lume sul tavolo sgangherato, accostando un sedia. Continua a lavorare sul suo diagramma senza molto successo. Sente dei rumori e alza lo sguardo. Marcel sta rientrando con coperte di lana e delle provviste, che posa sul tavolo.

L’uomo prova a prendere un pagliericcio da usare come letto improvvisato ma una colonia di topi infastiditi sciama per la stanza. “Forse è meglio non usarli” dice a bassa voce ma udibile da Pietro. “Chi riuscirà a dormire stanotte?”

Marcel sperava in un’accoglienza migliore da parte di Simon ma forse qualcosa è cambiato dalla sua ultima visita. Si avvolge in due coperte di lana, sistemandosi sulla sedia.

Mangiate qualcosa?” chiede la guida al frate, che scuote la testa per diniego. “C’è pane fresco e formaggio stagionato e una bottiglia di vino. Io ho fame e comincio”. Con un lembo di un telo ripulisce il tavolo dalla polvere e inizia a cenare, cercando di non fare briciole. ‘L’odore del formaggio risveglierà quella colonia di simpatici sorcetti’ pensa Marcel infastidito. Osserva il compagno che borbotta e scrive senza degnarlo di uno sguardo. Non capisce l’urgenza di leggere il messaggio ma forse il pensiero di lasciare Rhedae senza aver compiuto la sua missione è più importante della misera cena.

Marcel si sistema sulla sedia, tenendo d’occhio quel poco che è rimasto del mangiare. ‘Se il templare decide di digiunare, lo useremo domani, quando ce ne andiamo’ si dice. ‘Dove?’ E la domanda rimane in sospeso. É inutile pensarci. Domani sarà un nuovo giorno. Le palpebre vorrebbero chiudersi ma freddo e il pensiero dei topi lo tengono sveglio. Osserva il frate che pare incurante di freddo e fame e rimane sorpreso perché non sembra avere una costituzione robusta. ‘Eppure’ pensa Marcel, ‘è talmente concentrato che appare come un fantasma’.

Pietro, avvolto nel suo mantello, continua a lavorare appoggiato sul tavolo, che è rischiarato dalla tremula luce di una lanterna a olio. Ombre guizzanti appaiono deformate sulla catasta di mobili impolverati e rosi dai tarli. Dopo un tempo che appare lunghissimo il frate esclama sorridente “Ci sono!”, svegliando dal torpore Marcel.

Dobbiamo uscire” afferma con forza il templare. “Dobbiamo tornare in chiesa”.

Siete impazzito?” gli chiede la guida, svegliata da quell’improvvisa esplosione di parole. Gli occhi annebbiati dalla stanchezza e dal cattivo sonno faticano a mettere a fuoco la situazione. É irritato. Quest’uomo ha intenzione di farci finire nelle segrete del castello, pensa senza rispondere all’affermazione di Pietro.

Dobbiamo tornare in chiesa” ripete il frate, alzandosi.

No” replica Marcel innervosito.

Pietro lo osserva come si guarda un insetto fastidioso. “Se non volete venire ci andrò da solo” e si avvia verso la porta.

Fermatevi!” esclama la guida, presa dal panico. “Non potete avventurarvi fuori senza un minimo di precauzione”.

Pietro si ferma e lo guarda con un misto di stupore e di insofferenza. “Allora venite con me” dice. “So dove devo prendere quello che Paul mi avrebbe consegnato direttamente”.

Marcel scuote il capo. ‘Questo templare non c’è con la testa’ riflette, ‘ma non posso lasciarlo andare da solo’. Rassegnato, esce con Pietro nella notte. Le neve cade più copiosa e attutisce il loro passi.

La piccola chiesa appare ancora più spoglia di quello che è in realtà. Qualche candela rischiara e attenua le tenebre. L’altare sembra povero ricoperto da una tovaglia bianca senza ornamenti, che mostra quattro colonnine di foggia antica. Pietro si avvicina per osservare meglio quello che sta sotto. Una lastra bianca con delle iscrizioni in latino. Quelle non interessano il frate che fa scorrere la mano sui bordi. Sente che non è stabile come se qualcuno l’avesse mossa di recente. Incunea un dito su un angolo scheggiato e la tira verso di sé.

Marcel osserva in silenzio quello che il templare sta facendo. Non comprende bene le manovre ma lo guarda mentre si incunea sotto l’altare. ‘Forse ha trovato quello che cercava’ pensa la guida, avvicinandosi un poco.

Marcel” fa Pietro, girandosi appena un po’ verso il compagno, “mi aiutate a sollevare questo marmo?”

L’uomo si dispone dall’altra parte dell’altare e infila un coltello in una fessura tra la lastra e il pavimento. “Ora” dice sottovoce il frate, mentre con lentezza il marmo si solleva, lasciando intravvedere una cavità. Sono a buon punto, quando sentono sul limitare dell’ingresso dei passi pesanti. Lo sguardo di Pietro è eloquente, mentre la lastra torna silenziosa al suo posto. Senza fare rumore entrano nel confessionale immerso nel buio. Una luce tremolante rischiara un viso, che appare nel vano della porta.

Marcel osserva una fisionomia che aveva già visto, quando era al posto di guardia. Dunque il suo intuito non aveva fallito. Era la persona che aspettava al varco il templare. ‘Forse’ riflette, tenendosi in ombra, ‘spiega lo strano comportamento di Simon, che mi è apparso intimorito’.

Pietro trattiene il respiro. É quel cavaliere che lo segue da Paris. ‘Non demorde’ si dice infastidito, stringendo le labbra in una smorfia di stizza. Subito riacquista le sembianze normali, mentre mentalmente recita il confiteor. Sa di avere peccato di ira. ‘Se ho degli scatti di collera, Gesù, Maria e Maria Maddalena mi abbandoneranno al suo destino’ pensa il frate che dice anche un atto di dolore.

Louis si guarda intorno come se fosse alla ricerca di qualcuno. Si muove in silenzio, tenendo alta la bugia per illuminare una porzione più ampia della chiesa. Borbotta qualcosa di incomprensibile. Perlustra ogni angolo con attenzione, ascolta eventuali rumori. Si avvicina al confessionale. Pietro è pronto a scattare, mentre trattiene il respiro. Marcel si addossa al fondo, pronto a menare le mani. ‘Quest’uomo’ riflette, mentre avverte salire l’adrenalina dell’ira, ‘non mi piace. Ha uno sguardo cattivo’.

Louis è pronto a illuminare l’interno, quando ascolta dei passi che si allontano in fretta. Senza pensarci due volte, si dirige verso l’ingresso per gettarsi all’inseguimento di quei rumori.

Svelto” sollecita Pietra, scattando fuori dal confessionale. “Abbiamo pochi minuti per muovere la lastra”.

Senza porre indugi afferra la lastra che non aderisce bene al pavimento, sollevandola. Allunga una mano, estraendo una cassetta di legno, che infila nella bisaccia che porta sotto il mantello. Rimette a posto la lastra e si avvia, verso l’uscita seguito da Marcel.

La nevicata prosegue con un cielo lattiginoso. Pietro si guarda intorno. Non conosce il luogo e non sa che strada prendere. “Venite” gli dice sottovoce Marcel. “Dobbiamo raggiungere i cavalli”.

Come un fantasma si materializza Simon, che con un cenno del capo indica loro di seguirlo in silenzio. “Siete stati imprudenti” sussurra sottovoce l’uomo. “Quel cavaliere non aveva buone intenzioni. Ha seguito le vostre orme”.

Grazie” replica Pietro, facendo attenzione a dove posa i piedi.

Quella stanza non è più sicura” prosegue Simon, che li conduce in un’abitazione vicino al Castello.

Non passava giorno – Cap. 22

foto personale
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Erano le quindici e trenta, quando Marco suonò il campanello con lo stesso tremore che aveva provato il primo giorno di scuola a sei anni, al momento di varcare l’ingresso della scuola elementare Montessori. La casa di Laura era una via nei pressi di piazza Missori. Un vecchio edificio, inscurito dal tempo. ‘Riuscirò a mascherare quello che provo internamente?’ si chiese, pensando alle sue reazioni alla vista della ragazza, mentre avvertiva rumori di passi, che si avvicinavano al portone. L’ansia montava dentro di lui. ‘Riuscirò a trattenere l’emozione?’ si disse per rincuorarsi e darsi un contegno dignitoso. Agnese per il momento era ancora una conoscenza lontana, quasi una scommessa al buio senza nessuna sicurezza che potesse sostituire Laura nel cuore. Aveva portato nel borsone la busta bianca con fotografie e lettere, senza avere la certezza che le avrebbe mostrate.

Il portone si spalancò. La vide.

Il tempo retrocedette di cinque anni. Lasciò cadere a terra, quanto teneva i mano, e l’afferrò tra le braccia, stringendola al petto. Quasi la sollevò. Le loro labbra si cercarono con passione tra gli sguardi divertiti dei passanti. Sembrava che non dovessero staccarsi più. Laura era in punta di piedi, mentre lui la faceva dondolare in qua e in là come una foglia sul ramo.

Ah, l’amore cosa fa fare!” commentò un’anziana signora ad alta voce, mentre li osservava a baciarsi.

I giovani hanno i bollenti spiriti!” aggiunse un’altra, osservando come era vestita la ragazza.

La fresca giornata di aprile soleggiata e ventilata non giustificava il vestito leggero indossato da Laura, più adatto all’assolato luglio. Era l’abito rosso ritrovato in soffitta.

Laura non pareva avvertire il freddo della giornata, abbracciata a Marco. Il ragazzo raccolse la borsa abbandonata sul marciapiede e, stringendola, entrò in casa. Il portone si chiuse silenzioso alle loro spalle.

Marco non si aspettava questa reazione da parte sua, mentre Laura aveva sognato a lungo che si fosse avverato il sogno di riabbracciarlo. Il bacio interminabile aveva fatto palpitare i loro cuori, tanto che gli otto mesi di distacco parevano una parentesi provvisoria, durata un battito di ciglia.

Si sistemarono sul divano, tenendosi per mano come se avessero paura di perdersi di nuovo.

Mi sei mancato.” disse la ragazza, guardandolo negli occhi. “Mi sei mancato terribilmente. Da otto mesi aspettavo questo momento. Di rivederti, di parlarti, di assaporare le tue labbra. L’occasione è arrivata finalmente”. Il suo viso traspirava di una gioia repressa per troppo tempo.

Marco la fissò per via di quel vestito, che gli appariva magico. L’aveva stregato una seconda volta. Taceva e osservava, non aveva parole per esprimere i pensieri, mentre le labbra rimanevano chiuse. Calmò il tumulto che Laura gli aveva provocato. I sentimenti, che provava, avevano avuto il sopravvento sulla parte razionale. che gli consigliava prudenza e di trovare una scusa per non venire. Si domandò, se non fosse stata una mossa imprudente quella di precipitarsi qui. ‘Troverò la forza di restare fedele alla determinazione che mi vuole lontano da Milano e da lei?’ si disse, mentre era destabilizzato dalla vista di Laura. Era seduto con gli occhi che divoravano la figura adagiata vicino a lui, ammirandola, come se stesse osservando la Primavera del Botticelli.

Laura, intuiti i suoi pensieri, si alzò per mostrare civettuola la sua bellezza.

Marco a quella vista percepì di essere confuso e indeciso tra sentimenti di amore e razionalità della mente. Qualunque decisione avesse preso, sarebbe stata difficile e dolorosa per entrambi. Scacciò per il momento questi pensieri e si concentrò sulla sua figura.

Sei splendida” le disse, mentre la contemplava. “Lo sei sempre stata. Vieni vicino e raccontami tutto”. Marco rimase in attesa che parlasse, mentre la ragazza si rannicchiò sicura fra le sue braccia protettive.

Marco“ iniziò Laura, “non so da dove cominciare quanto vorrei dirti. Mi ero preparata ma ora sono confusa e frastornata nel realizzare che sei qui, accanto a me. I pensieri si accavallano senza un ordine preciso”.

Si fermò per riprendere fiato e proseguì con un discorso senza capo né coda, saltando da un argomento all’altro per la concitazione del momento. Distratta dalla vista di Marco, non resisteva dal posare lo sguardo su di lui, sulle sue mani, sul suo viso. Parlava confusamente. “Sono otto mesi che aspettavo questo momento” disse con occhi sognanti. “Non mi sono mai sentita sicura, come in questo istante”. Il tumulto interno stava scemando, lasciando il posto alla calma. “Capisci quello che voglio trasmetterti?”

Marco la baciò con dolcezza, mentre le sue mani accarezzavano i capelli rossi della ragazza. Le labbra di Laura, appena socchiuse, erano ansiose di afferrarne il sapore. Lui percepì il profumo di una donna, che lo inebriava. Non un’essenza artificiale ma qualcosa di vero e genuino. Era il medesimo odore che cinque anni prima aveva fatto scattare la molla dell’innamoramento. Adesso era diverso. Capiva che sarebbe stato difficile rinunciarvi per sempre, perché l’affetto non si era affievolito ma era maturato con la lontananza. Quel bacio aveva fatto venire i brividi a Laura, che si aspettava una risposta, che tardava ad arrivare.

‘Mi vuole trasmettere che mi ama ancora, anche se le ho detto addio?’ pensò incerto Marco, mentre soppesava il pensiero che altrimenti sarebbe uscito prepotente senza freni dalla bocca. Le parole rimasero confinate nelle mente. Percepì confusione dentro di sé, dopo averla ammirata col vestito rosso, che gli ricordò il 20 giugno di cinque anni prima, quando l’aveva vista per la prima volta. La reazione era stata la medesima. Disorientamento e attrazione.

Entrambi, insicuri per l’emozione di essersi rivisti, non avevano la lucidità di pensiero. “Stiamo in silenzio” suggerì Marco. “Plachiamo l’ansia. Facciamo rallentare i battiti dei nostri cuori”.

Si guardarono. Poi Laura si rifugiò sul petto di Marco, mentre l’abbracciava con vigore. I rumori del cuore si dissolsero nell’aria, i respiri si chetarono, mentre il trambusto interno si trasformava in placida quiete.

Laura, sentendosi protetta dalle braccia e dal calore di Marco, si appisolò serenamente. Lui rifletté sui motivi per i quali era a Milano. ‘Non ho avuto il coraggio e la forza di rifiutare con cortesia l’invito’ si disse. ‘Tutto diventa più difficile’. Strinse con forza la ragazza addormentata. ‘Tutto si complica. L’amore si è risvegliato, come un vulcano dormiente, senza che riesca a tenerlo a bada. Quel vestito mi ha fatto impazzire cinque anni fa. La magia si è ripetuta anche oggi’.

L’affetto verso Laura tornava limpido come otto mesi prima ma comprese che per lui un ritorno a Milano era impossibile. Sentiva la città matrigna ed estranea alla sua visione della vita. Non era pensabile che Laura potesse vivere a Ferrara, perché aveva la necessità di vivere le novità istante per istante, di sentire l’adrenalina salire nelle vene, come la frenesia della città. Questi pensieri mettevano ansia a Marco, che comprendeva l’inutilità della venuta a Milano. Si era mostrato debole verso di sé. Non era stato in grado di frapporre un argine robusto al desiderio di rivedere Laura. Aveva compreso che ne era innamorato. Questo gli provocava dolore.

Rifletteva e guardava la ragazza che dormiva fra le sue braccia, percependo che al risveglio sarebbe stato difficile resistere al suo fascino.

Laura aprì gli occhi, sgranandoli, come se fosse stupita di essere lì fra le braccia di Marco. “Ho dormito,” disse soavemente. “Era tempo che non dormivo con tanta serenità. Avevi ragione, quando hai detto che il silenzio avrebbe rimesso a posto le idee”. Si stiracchiò come una gatta dopo essere stata al caldo sul calorifero, sbadigliando.

Ti preparo un tè e poi parliamo” disse, alzandosi. ”Abbiamo molto da raccontarci. Devo aprire la mia anima, perché solo tu conosci la soluzione del problema”.

Lui annuì, anche se non capiva quale fosse la questione da risolvere.

Una storia così anonima – parte trentanovesima

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Rennes-le-Château, 28 febbraio 2015, ore dodici.

Il taglio al cuoio capelluto di Luca non è grande ma sanguina ancora, sia pur meno vistosamente e gli duole non poco. L’impatto col mento di Henri l’ha stordito ma l’adrenalina della paura gli ha dato le risorse per fuggire. Adesso che è al sicuro nella gite, il ragazzo avverte tutta la stanchezza che lo stress gli ha provocato.

Fammi vedere” dice Vanessa, spostandogli i capelli.

Luca fa una smorfia di dolore. “Vai con calma!” esclama.

La ragazza ride, gettando la testa indietro. Lo abbraccia sulle spalle. “Grazie, Luca!” fa, dandogli un bacio sul collo. “Senza il tuo provvidenziale intervento non saprei come sarebbe finita. Henri era veramente deciso col coltello”.

Luca si gira per guardarla in viso. Ha ricordi confusi dell’episodio. Non ha avuto l’avvertenza di fissare la dinamica degli eventi, perché era teso a liberare Vanessa dall’impiccio in cui versava. Ricorda solo di aver pronunciato “Henri”, scatenando la furia dell’uomo.

Però gli hai scattato una foto” dice la ragazza, che ha vivido il flash dello smartphone dell’amico.

Sei sicura?” le chiede Luca, che non rammenta il particolare. Prende il Samsung e scorre le immagini. “Hai ragione!” esclama sorridente. “Ecco il nostro uomo immortalato. Non è un granché ma almeno abbiamo una sua istantanea”.

Ridono i due ragazzi, che stanno scaricando l’adrenalina accumulata nella mattinata, mentre si abbracciano con calore. Si sistemano davanti alla grande finestra che domina la vallata, che appare grigia, avvolta nelle nubi basse. Hanno molte domande da farsi, molti quesiti da rispondere.

Dimmi” comincia Vanessa, “Non ci hai messo molto tempo a raggiungermi”.

In effetti avrei potuto evitare l’assalto di Henri” risponde Luca, sistemandosi meglio sul divano accanto alla ragazza. “Mi sono fermato a prendere uno schifoso caffè a poche centinaia di metri dal complesso di Saunière”.

Vanessa mostra nel viso sorpresa nell’ascoltare queste parole. Era convinta che Luca fosse al castello di Hautpoul e non dietro di lei.

Quando ci siamo divisi” spiega il ragazzo, “ho voluto verificare chi Henri stava seguendo. Supponevo che tu l’avessi alle tue calcagna. Quindi mi sono nascosto in androne senza vederlo passare. La mia intuizione era corretta e così ho puntato senza esitazioni verso il luogo dove eri diretta”.

Vanessa l’abbraccia di slancio. “Giusta intuizione la tua!” dice, sistemandosi sulle gambe del ragazzo. “Henri ha puntato sull’anello debole…”.

Debole, un corno!” afferma Luca serio. “Gli hai rifilato un colpo basso, che avrebbe ammazzato chiunque e per poco non gli cavavi un occhio!”

Beh! Non sei da meno” si complimenta Vanessa. “Hai una bella testa dura!”

IL ragazzo la stringe, mentre ridono allegri. “Ora ridiamo ma” dice il ragazzo, “poco tempo fa abbiamo tremato per la paura”. Una breve pausa prima di riprendere il discorso. “Piuttosto racconta cosa è successo in chiesa”.

La chiesa è orrenda” dice Vanessa. “Più che orrenda fa spavento. Statue e ambientazioni incutono paura”.

Arriva al sodo” fa Luca, che è impaziente di conoscere l’esatta cronologia degli eventi. “Poi parliamo delle sensazioni”.

La ragazza annuisce, mentre lo guarda negli occhi. “Stavo perlustrando l’interno, quando mi è caduto l’occhio su dei simboli sotto l’altare. Sembravano rune e sono incise sulla base su cui poggia”.

Dovremmo fare un nuovo sopralluogo” dice Luca. “Nel pomeriggio. Non credo che Henri abbia molta voglia di piantonare la chiesa”.

Vanessa scuote la testa per confermare le sue parole. “Se vuoi, possiamo tornarci con calma” afferma rilassata e decisa, “ma non credo serva andarci subito. Ho scattato delle foto di quel basamento”.

Si alza e dalla borsa estrae l’Iphone. Armeggia un po’, finché non si posiziona sulla prima istantanea.

Come vedi” dice la ragazza, allargando l’immagine con le dita. “Sembrano rune ma sono lettere antiche. Non sono molto visibili ma con un po’ di pazienza possiamo trascriverle sulla carta. Corrono intorno al basamento”.

Luca osserva le immagine, facendole scorrere avanti e indietro, allargandole per esaminare i dettagli. Vanessa lo guarda in silenzio, attenta a cogliere qualche mutamento nell’espressione dell’amico. Il suo viso non si increspa, nessun muscolo facciale si muove, l’occhio rimane ben aperto senza mutare di espressione. La ragazza sembra delusa, finché Luca non solleva la testa.

Sembrano lettere messe a casaccio” dice il ragazzo, che non riesce a comprendere il senso di quei segni. “Per essere antiche lo sono, salvo che non siano un clamoroso fake di Saunière per prendere in giro i cacciatori di tesori”.

Potrebbe anche essere un messaggio in codice, cifrato” suggerisce Vanessa.

Certamente” fa Luca, che torna a concentrarsi sulla misteriosa iscrizione, “ma senza la chiave è dura dare un senso compiuto a questo coacervo di lettere”.

Potremmo verificare quali codici crittografici erano in voga allora” afferma la ragazza.

Nel trecento o nell’ottocento?” chiede Luca con una punta di ironia.

Vanessa fa la faccia truce. A Luca piace sempre fare delle battute, pensa. A volte se stesse zitto, sarebbe meglio.

Dai!” dice il ragazzo dandole un buffetto sulla guancia. “Non prendertela”.

Cominciano a trascrivere le lettere. Su qualcuna baruffano. “É un E”, “No, è una B”. Dopo un paio d’ore ricavano una stringa, che appare incongrua.

«BNXkDREpDTCiOELMKEBTEBgTEKENATEAaPECKAiGNBMKAkHICVMApQHEKAiZLMQB»

Ma siamo al punto di partenza” afferma Luca, contrariato. “Le parole come sono suddivise?”

Vanessa si concentra, cerca di mettere a frutto gli studi di filologia, senza raccogliere le provocazioni di Luca. Osserva il foglietto sul quale è trascritta la stringa, riprende l’Iphone per esaminare di nuovo le immagini. Qualcosa le frulla per la testa senza riuscire a coglierne il senso.

Mentre la ragazza cerca una soluzione al problema, Luca grida “Eureka!”. Vanessa lo guarda con gli occhi sbarrati, pensando che il colpo in testa stia producendo i suoi effetti.

Rennes-le-Château, 28 febbraio 2015, ore undici.

Pierre ha tamponato con scarsi risultati il taglio alla lingua. Percepisce in bocca un gusto ferroso. Una percezione sgradevole. É piena di sangue. I due profondi graffi sulla guancia gli danno una sensazione di dolore sordo, pulsante. Cammina svelto per arrivare il prima possibile a Le dragon de Rhedae, perché desidera ripulire il viso e valutare l’entità della ferita in bocca.

La proprietaria quando lo vede, esclama “Gesù Maria, cosa vi è successo?”.

Nulla” tenta di minimizzare Pierre.

Nulla?” dice interdetta la donna. “Siete una maschera di sangue. Fermatevi che vi medico”.

Non esiste una farmacia? Un posto dove fanno medicazioni?” chiede Pierre, che avverte un dolore cupo e diffuso nel viso.

No” replica la proprietaria. “Si deve andare a Rennes-les-Bains”.

E se uno sta male?” continua Pierre, non convinto della soluzione.

Va fino a Limoux o a Quillan” risponde tranquilla la donna.

D’accordo” taglia corto l’uomo, che non urla per il dolore, mentre la donna disinfetta i graffi del viso.

Aveva dei begli artigli la donna che vi ha lasciato questi segni” ironizza la proprietaria.

Pierre grugnisce senza replicare. É più preoccupato per il taglio alla lingua, che sanguina abbondantemente. Dopo essersi pulito dal sangue in bocca, prende l’auto per raggiungere Rennes-les-Bains.

Mentre guida ripensa all’episodio della chiesa. Si domanda cosa stava facendo la ragazza intorno al basamento dell’altare. Capisce di essere stato imprudente e intempestivo nell’azione. ‘Sono uno sciocco’ si dice con un sorriso amaro, mentre sente la bocca riempirsi ancora di sangue. Non ha tempo di fermarsi per ripulirsi, perché desidera arrivare prima possibile per farsi medicare. ‘Non ha preso nulla’ pensa, ‘né ha deposto nulla. Probabilmente ha fotografato qualcosa. Se è lì da secoli, non è nulla di importante’.

Capisce di essere caduto in una trappola ma quei due lo stanno inquietando. Qualcosa gli suggerisce che non vanno a zonzo per la Francia solo per piacere. La sua missione è neutralizzarli. ‘Ma come?’ si dice, parcheggiando nell’area di accoglienza della struttura di Rennes-les-Bains. ‘Ma devo scoprire cosa hanno trovato’.

Spinge l’uscio ed entra.

Le linee parallele si incrociano. Cos'è?

Le linee parallele si incrociano
Le linee parallele si incrociano

Le linee parallele si incrociano.  Qualcuno storcerà il naso, perché matematicamente non è possibile, almeno è quello che si hanno sempre fatto credere a scuola ma se i piani sono nelle tre dimensioni questo è possibile. Così com’è possibile che le storie di  Marco e Marta che viaggiano in parallelo per un curioso scherzo del destino sono destinate a incrociarsi.
Ma chi è Marco? Marco Pinotti è un giovane precario alla ricerca di un lavoro, possibilmente stabile. É il periodo della grande crisi che abbiamo vissuto in questi anni.  Alla ricerca di un lavoro conosce marta, una giovane donna, che lavora in un’agenzia di lavoro interinale. Come nei migliori romanzi – e il mio appartiene a questa categoria 😀 – scossa una scintilla fatale. Da questo incontro casuale scocca la fiammata dell’amore che con complicità di un contratto a tempo permette ai due ragazzi di avviare una relazione sentimentale. Passa quasi un anno, tanto che pare ben avviata la stabilizzazione del loro rapporto. Ma non avevano preso in considerazione che la crisi c’è, non è un’invenzione. Anche la società dove Marco ha un contratto a tempo determinato è travolta ed è costretta a chiudere i battenti.
Ecco che il destino, il fato incombe! Come nell’antica Grecia il Fato era un dio o una dea immaginato cieco poiché interveniva a modificare il corso della vita degli uomini senza alcuna precisa ragione, così ci mette lo zampino. Marco risponde stizzito a un sms di Marta. Il Fato è invincibile e persino gli dei vi devono sottostare, come proclamò la Sibilla nell’Oracolo di Delfi. Così tra i due ragazzi , complice il fatto che oggi ci si parla solo attraverso i messaggi, l’incomprensione si trasforma in rottura. Se nell’antica Grecia il Fato viene personificato dalle tre Moire,  tra Marco e Marca acquista le sembianze di un incauto SMS.
Marco vorrebbe chiarire, spiegare, scusarsi ma Marta non ne vuole sapere, finché dopo l’ennesimo messaggio lo chiama. Sembra che il fraintendimento sia superato e che il bel tempo torni a sorridere tra loro. Ma il Fato è capriccioso e assume le sembianze di Carlo, un maturo uomo, che si interpone tra loro. I due ragazzi trascorrono la serata insieme per festeggiare il nuovo lavoro trovato e la pacificazione ma Marta ha la testa altrove e lascia perplesso Marco, che intuisce qualcosa senza lasciarla trapelare.  Ma il Fato si diverte a giocare con loro, seminando dubbi e nuove incomprensioni. Il ragazzo incontra nel nuovo impiego Elisa, una matura manager frustrata nella vita sentimentale. E’ ricca e facoltosa e lo invita nella casa di campagna, diventando il suo amante. Marta viene irretita da Carlo, che ama impersonare la figura di Master, e viene coinvolta in una relazione sadomaso. Le loro strade divergono e sono destinate a separarsi definitivamente, se tra i due giovani non ci fosse un patto di mutuo aiuto.
Ma Marco e Marta possono combattere il Fato, che piega anche gli dei? No! Dunque ancora i capricci di questa entità volubile e capricicosa fa sì che alla vigilia delle ferie d’agosto Marta chieda il soccorso di Marco per rompere la spirale di amore-schiavitù con Carlo. Il ragazzo la soccorre ma è combattuto tra mille dubbi: se proseguire il rapporto con Elisa, troppo diversa e troppo rischiosa per via della figlia, Alice, che ha avuto un rapporto di lolitismo con un amante della madre oppure l’amore verso Marta, che non percepisce più come un tempo per via delle troppe incomprensioni tra di loro.
Ma qui mi fermo. Perché? Il finale è a sorpresa.
Per chi volesse leggere e gustarsi il finale, passa da Amazon – se hai aderito a Kindle unlimited lo leggi gratis – oppure sei vuoi farti un’idea leggendo le prime 40 pagine passa da Smashword. Se lo vuoi leggere tutto oltre a Smashword, lo trovi anche su Ibooks, su Kobo, su Tolino, Barnes & Noble e Overdrive.


	

Le linee parallele si incrociano. Cos’è?

Le linee parallele si incrociano
Le linee parallele si incrociano

Le linee parallele si incrociano.  Qualcuno storcerà il naso, perché matematicamente non è possibile, almeno è quello che si hanno sempre fatto credere a scuola ma se i piani sono nelle tre dimensioni questo è possibile. Così com’è possibile che le storie di  Marco e Marta che viaggiano in parallelo per un curioso scherzo del destino sono destinate a incrociarsi.

Ma chi è Marco? Marco Pinotti è un giovane precario alla ricerca di un lavoro, possibilmente stabile. É il periodo della grande crisi che abbiamo vissuto in questi anni.  Alla ricerca di un lavoro conosce marta, una giovane donna, che lavora in un’agenzia di lavoro interinale. Come nei migliori romanzi – e il mio appartiene a questa categoria 😀 – scossa una scintilla fatale. Da questo incontro casuale scocca la fiammata dell’amore che con complicità di un contratto a tempo permette ai due ragazzi di avviare una relazione sentimentale. Passa quasi un anno, tanto che pare ben avviata la stabilizzazione del loro rapporto. Ma non avevano preso in considerazione che la crisi c’è, non è un’invenzione. Anche la società dove Marco ha un contratto a tempo determinato è travolta ed è costretta a chiudere i battenti.

Ecco che il destino, il fato incombe! Come nell’antica Grecia il Fato era un dio o una dea immaginato cieco poiché interveniva a modificare il corso della vita degli uomini senza alcuna precisa ragione, così ci mette lo zampino. Marco risponde stizzito a un sms di Marta. Il Fato è invincibile e persino gli dei vi devono sottostare, come proclamò la Sibilla nell’Oracolo di Delfi. Così tra i due ragazzi , complice il fatto che oggi ci si parla solo attraverso i messaggi, l’incomprensione si trasforma in rottura. Se nell’antica Grecia il Fato viene personificato dalle tre Moire,  tra Marco e Marca acquista le sembianze di un incauto SMS.

Marco vorrebbe chiarire, spiegare, scusarsi ma Marta non ne vuole sapere, finché dopo l’ennesimo messaggio lo chiama. Sembra che il fraintendimento sia superato e che il bel tempo torni a sorridere tra loro. Ma il Fato è capriccioso e assume le sembianze di Carlo, un maturo uomo, che si interpone tra loro. I due ragazzi trascorrono la serata insieme per festeggiare il nuovo lavoro trovato e la pacificazione ma Marta ha la testa altrove e lascia perplesso Marco, che intuisce qualcosa senza lasciarla trapelare.  Ma il Fato si diverte a giocare con loro, seminando dubbi e nuove incomprensioni. Il ragazzo incontra nel nuovo impiego Elisa, una matura manager frustrata nella vita sentimentale. E’ ricca e facoltosa e lo invita nella casa di campagna, diventando il suo amante. Marta viene irretita da Carlo, che ama impersonare la figura di Master, e viene coinvolta in una relazione sadomaso. Le loro strade divergono e sono destinate a separarsi definitivamente, se tra i due giovani non ci fosse un patto di mutuo aiuto.

Ma Marco e Marta possono combattere il Fato, che piega anche gli dei? No! Dunque ancora i capricci di questa entità volubile e capricicosa fa sì che alla vigilia delle ferie d’agosto Marta chieda il soccorso di Marco per rompere la spirale di amore-schiavitù con Carlo. Il ragazzo la soccorre ma è combattuto tra mille dubbi: se proseguire il rapporto con Elisa, troppo diversa e troppo rischiosa per via della figlia, Alice, che ha avuto un rapporto di lolitismo con un amante della madre oppure l’amore verso Marta, che non percepisce più come un tempo per via delle troppe incomprensioni tra di loro.

Ma qui mi fermo. Perché? Il finale è a sorpresa.

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Non passava giorno – cap. 21

foto personale
foto personale

Paolo telefonò a Matteo per parlare di Laura dopo l’ultima telefonata deludente. Lei gli appariva come una persona sfuggente e misteriosa, la mitica sfinge. Non riusciva a venirne a capo. Gli piaceva, lo intrigava ma rimaneva avvolta in un bozzolo di seta, inaccessibile e imperforabile.

La telefonata, ammetteva Paolo, era stato un autentico disastro. Si era mosso con l’impaccio e la disinvoltura da elefante in un negozio di cristalleria senza avere il coraggio di parlare con chiarezza e decisione.

Si rimproverava che doveva prendere l’iniziativa già alcuni mesi prima, dopo l’incontro a Cernobbio. Aveva ragionato come se Laura lo dovesse corteggiare, cercare, mettersi prona ai suoi piedi. In realtà era lui che la cercava e la desiderava. Una visione distorta della realtà.

Ciao” disse al pronto di Matteo “Affronto subito l’argomento: Laura”.

Dimmi, ti ascolto…” rispose l’amico, rassegnato all’ennesimo sfogo, cercando di dissimulare il fastidio di discutere ancora di lei. ‘Paolo non lo capisco’ pensò Matteo. ‘Non ha compreso che Laura non lo vuole’. Era sicuro che dopo Cernobbio avesse smesso di pensarla e i sei mesi di silenzio gli aveva dato la certezza ma l’argomento era ancora lei. Dunque, rifletté, nonostante tutti i proclami, sbandierati ai quattro venti, lui continuava a farci un pensiero. Immaginava già il tenore della telefonata.

Oggi, dopo quasi sei mesi, l’ho contattata” riprese Paolo “per invitarla a cena. E’ finita che mi ha messo giù il telefono. Sono deluso di me stesso”.

Matteo sentì un grosso sospiro dall’altra parte, mentre la voce di Paolo aveva ripreso a parlare. ‘Stento a riconoscerlo’ si disse rassegnato. Laura l’aveva stregato a tal punto che Paolo non riusciva a staccare il pensiero. “Non dirmi” disse Matteo, tentando di non ironizzare troppo, “che hai preso una sbandata tale da uscire di strada con la testa? Ci conosciamo da una vita. Non parlavi così nemmeno a quindici anni! Non sei più un ragazzino, ma un professionista affermato!”

Matteo, non scherzare!” lo interruppe Paolo con voce affranta, che non comprendeva quale particolare della ragazza l’avesse colpito: l’aspetto, i capelli rossi, la personalità ma forse era un mix di tutto questo. Matteo non poteva percepire il suo tormento. ‘É vero che una certa pigrizia mentale mi hanno impedito di contattarla in questi mesi’ si disse, ‘ma l’approccio è sempre fallimentare da qualunque parte lo si voglia osservare’.

Paolo provò a spiegare all’amico quali sensazioni la ragazza gli avevano stimolato e avvertiva che Matteo si tratteneva nel rispondergli per non esacerbare le sue pene amorose.

La telefonata proseguì per diverso tempo, finché Matteo non gli propose di incontrarsi a casa sua per discutere di Laura. Sperava di riuscire a farlo ragionare. Questa sera era libero, perché Sofia con un messaggio l’aveva avvertito che trascorreva la serata con Laura. ‘Senza di lei mi sento perduto’ rifletté. ‘Se dipendesse da me, l’avrei sposata l’altro ieri’.

Alle otto. Una pizza e una birra, buona musica e tante parole. Ciao” disse Matteo, chiudendo la telefonata.

Paolo pensò che, se l’amico aveva avuto il potere di calmarlo, dentro gli bruciava il rifiuto di Laura. Aveva sperato che in questi sei mesi avesse cambiato opinione, che il ricordo dell’ex fosse stato cancellato. Evidentemente aveva commesso un errore di valutazione nel progettare il loro futuro. Doveva pensare a una nuova strategia nell’assalto a Laura senza coinvolgere Matteo e Sofia, come intermediari o guardaspalle, doveva fare tutto da solo. Stasera ne avrebbe parlato con Matteo ma doveva diventare più aggressivo, trovare la chiave giusta per aprire il cuore della ragazza. Stentava a riconoscersi, perché nella professione era determinato e implacabile negli affondi, mentre con lei era irresoluto e indeciso.

Sofia nella pausa pranzo stava nel bar sotto l’ufficio, circondata dal frastuono delle voci di impiegati e funzionari, che consumavano il loro pasto con la voracità. Avrebbe desiderato invece pace e silenzio.

‘Oggi’ pensò, osservando attorno le persone, ‘vorrei essere servita da un cameriere per assaporare la lentezza del cibo. Invece sono qui a sgomitare per un posto. Sento gomiti che premono senza delicatezza. Percepisco che, come un avvoltoio appollaiato sulla mia spalla, qualcuno speri che gli lasci in fretta il posto. Ammetto, si disse sconsolata, che aveva ragione Marco, quando affermava che non si sarebbe mai adattato alla vita di Milano, troppo anonima e frenetica. É tornato nella sua tranquilla città di provincia a condurre una vita meno di corsa e più rilassata. Stasera gli chiederò come si vive in provincia. Chissà se un giorno non decida di abbandonare questa metropoli di stressati ed esagitati per una delle città che le fanno corona’.

Avrebbe desiderato rivedere Laura e Marco, riuniti di nuovo insieme. Sperava che, risolte le loro incomprensioni, sarebbero tornati come ai tempi felici dell’università. Giorni che le sembravano lontani e sbiaditi come un cencio lavato troppe volte. Rifletté che erano una bella coppia, mentre aspettava il tramezzino caldo ordinato, urlando per farsi capire.

‘Lui, alto e atletico, lei dalla figura snella e slanciata. Si amavano, come non avevo mai visto in altre coppie’ rievocò quei momenti felici e sereni.

Rammentava che Marco era rispettoso e non le faceva mai uno sgarbo. Non le diceva mai nulla di scortese, non alzava mai la voce, nemmeno quando nella concitazione del dialogo cercava di spiegare il suo punto di vista. Lei era single in quegli anni ma si era sentita sempre benvenuta tra loro, anche se a volte percepiva una punta di insofferenza da parte di Laura per la sua presenza come terzo incomodo. L’amica non le aveva mai voluto dire il motivo per il quale Marco se ne era andato all’improvviso ma forse non lo sapeva nemmeno lei con precisione. ‘Chissà’ rifletté Sofia, ‘se stasera conoscerò le motivazioni della loro rottura’. Era immersa in questi pensieri, quando il tramezzino le apparve dinnanzi fumante e vischioso.

‘Diamine, ero talmente concentrata a pensare a Laura e Marco’ pensò, ‘che non mi sono accorta che il mio pasto è servito!’ Sofia iniziò a mangiarlo ma ritornò con la mente ai pensieri che gli affollavano la mente.

‘Credo’ si disse, ‘senza sbagliarmi, che Marco volesse vivere una vita scandita da piccoli piaceri e da ritmi diversi. Laura si sarebbe adattata? Non lo so. Conoscendola, penso di no. Inizialmente avrebbe accettato per amore di Marco un lavoro di serie B, vivere in una piccola città dove i piedi e le biciclette sono il mezzo di trasporto più usato. Ma poi?’. Non terminò il ragionamento, perché avvertì un gomito piantato nella schiena. Ne aveva mangiato solo qualche boccone. Presa la bottiglietta dell’acqua quasi piena, depose il resto del cibo sul piatto, uscendo.

‘Meglio!’ pensò. ‘Digiunare mi farà bene’. Appena fuori dal bar respirò una bella boccata di smog, che la fece tossire. ‘Questa è una camera a gas! Come invidio Marco! Stasera chiedo asilo politico nella sua città. Ma come si chiama ‘sta città da favola dove l’aria è limpida e le persone camminano tenendosi per mano?’ Ridendo si avviò verso l’ufficio.

Le quindici erano passate da poco, quando Marco si diresse verso il garage in centro a Milano per parcheggiare la macchina. Sperava che ci fosse un posticino per lui e disponibile fino a domani sera. Sapeva che sarebbe stato difficile trovarne uno libero, perché era il più vicino a Piazza Duomo.

Ebbe fortuna e si avviò verso la casa di Laura, mentre rifletteva sull’impatto che avrebbe avuto su di lui, rivedendola dopo tanto tempo. Non era in grado di determinare quali sensazioni gli avrebbe provocato la sua vista. Si pose la domanda, se sarebbe stato in grado di ricacciare indietro il sentimento che provava per lei. In questi mesi gli aveva fatto compagnia di giorno e di notte, discreto e riservato.

Adesso con apprensione e qualche titubanza stava andando da lei per ascoltare i suoi problemi, senza immaginare l’argomento. Non intuiva quale segreto avesse custodito durante gli anni trascorsi insieme. Doveva pazientare qualche minuto, perché presto l’avrebbe scoperto.

Avvertì che dentro di lui affioravano delle sensazioni, mai scomparse, nei confronti di Laura.

Non passava giorno – cap. 20

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Ciao” disse Marco, “c’è un problema per domani”.

Di che genere?” chiese Agnese con apprensione. Immediatamente pensò a una pessima notizia.

Marco modulò la voce alle circostanze, prima di riprendere a parlare. “Vorrei spiegare, raccontare ma rischio di essere frainteso” fece, cercando le giuste parole, unite al tono della voce. “Credo di non essere in grado di esprimermi adeguatamente, senza ingenerare confusione e malintesi”. Fece una pausa in attesa delle reazioni di Agnese. “Ma ti assicuro che sono sincero, come lo sono stato in precedenza” concluse Marco.

Ti ascolto” disse la ragazza freddamente. “Parla senza troppi giri di parole, andando direttamente al sodo”.

Ti propongo di spostare la pedalata progettata per domani a mercoledì.” replicò Marco senza esitazioni e con tono franco e deciso. “Di per sé la richiesta non sarebbe problematica. Ma ti pregò. Ascolta con attenzione quello che ho da dirti. Poi prenderai la decisione che ritieni opportuno”.

Fece una breve pausa, sperando di udire la voce della ragazza, che rimase in silenzio. “Se la risposta fosse negativa” aggiunse, “ne sarei rammaricato. Però capirei il tuo rifiuto, perché sarebbe logico”.

Agnese si chiese dove volesse arrivare con quel discorso fumoso. Se era solo lo spostamento della data, non comprendeva il resto delle parole. Le sembravano spiegazioni inutili, perché la loro era una semplice conoscenza casuale. Tuttavia decise di dargli credito e di ascoltarlo.

Dimmi” replicò recisa ma col tono di chi era rassegnata di al peggio.

Marco si rinfrancò, perché Agnese non aveva chiuso il dialogo ed era disponibile a sentire le sue spiegazioni. La informò della telefonata di Laura. “Ho ricevuto mezz’ora fa una chiamata del tutto inaspettata, che mi ha colto di sorpresa” cominciò con tono calmo il ragazzo. “É la mia ex con la quale ho rotto otto mesi fa bruscamente senza troppe spiegazioni. Da quel momento non ci siamo più sentiti, né visti come se fossimo due estranei”.

Una breve pausa per riprendere fiato prima di aggiungere: “Avrei potuto dirti un’amica, ma sarebbe stata una pietosa bugia”.

Il tono delle ultime parole era sincero ma Agnese rimase in silenzio, ascoltando quello che aveva da dirle. Marco, rassicurato dalla mancanza di risposte sgradevoli, proseguì nel discorso. Gli aveva chiesto di raggiungerla a Milano con urgenza per parlare di un problema non ben specificato. Non era riuscito a sapere nulla di più di quello che le stava dicendo. Aveva percepito, che fosse preda di una crisi nervosa. Non aveva potuto rispondere negativamente alla sua richiesta, perché i cinque anni passati con lei non si potevano dimenticare con facilità. Per Marco veniva la parte più complicata della telefonata, perché doveva convincere Agnese della sincerità delle sue parole.

Se mercoledì ci vediamo, come spero” le disse, “ti spiegherò le motivazioni per le quali le ho detto addio. Sono leale con te e non nascondo nulla dietro veli o cortine di fumo”.

Tacque in attesa che Agnese parlasse. Non sentendo altro che il respiro tutt’altro che silenzioso, capì che non doveva metterle fretta. Avrebbe aspettato la risposta con pazienza. Marco era combattuto tra il pensiero di rivedere Laura e la voglia di conoscere di più Agnese.

Lei rimase zitta, incerta tra dirgli ‘No, grazie. Corri dalla ex e addio’ o ‘Si, va bene. Vediamoci alle nove al bivio dell’altra volta’. Non rispondere aveva poco senso perché le possibili risposte erano solo due. Si chiese se era meglio riflettere o affidarsi all’istinto per la risposta. Il fatto che lui rivedesse la sua ex ragazza le dava da pensare, che stava perdendo tempo ma percepiva un filo di sincerità nelle sue parole.

Marco intuì il disagio di Agnese dal prolungato silenzio e comprese pure le perplessità, perché avrebbe trascorso due giorni e una notte con Laura. Una risposta negativa gli sarebbe dispiaciuta, perché voleva conoscerla meglio dopo quella prima volta. Pensò che sarebbe stata una buona opportunità trascorrere la giornata con lei. Marco ribadì con forza che esprimeva quello che pensava senza nascondere nulla.

Agnese trasse un profondo sospiro. “Ti sento sincero. Meriti la fiducia che chiedi” gli rispose con la voce roca, spezzata dall’ansia e dalla paura, che i sogni sperati andassero in frantumi. “Va bene per mercoledì”.

Grazie“ rispose Marco rilassato, “spero di non deludere le tue attese”.

Ci credeva fermamente alle sensazioni che percepiva, perché nei prossimi giorni finalmente avrebbe eliminato dall’armadio gli scheletri, sgombrando il campo da equivoci o segreti, che avrebbero potuto diventare imbarazzanti e ingombranti in seguito. ”Alle nove di mercoledì” le disse.

Alle nove. Sii prudente, vorrei vederti” replicò Agnese, che si era ripresa dal momento di smarrimento. Le era sembrato di essersi persa in un bosco sconosciuto e folto dal quale adesso ne era uscita.

Marco riempì un borsone e partì per Milano.

Sofia lesse un nuovo SMS. ‘Alle tre vedo Marco. E’ con noi a cena. Laura’ e si chiese il motivo senza trovare una risposta logica.

Laura scese dalla soffitta coi fogli, il vestito rosso, che aveva trovato in una scatola di cartone. Dopo una doccia veloce, provò l’abito decidendo di indossarlo, perché si sentiva, come se avesse avuto addosso una corazza.

Seduta sul divano aspettò con impazienza l’arrivo di Marco.