Una storia così anonima – parte quarantaquattresima

Foto personale
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Fauçon, 29 novembre 1307, prima vigilia. Anno secondo di Clemente V

L’alba sorge su un mare grigio, solcato da onde biancastre. Il Fauçon beccheggia tranquillo, mentre avanza sicuro nell’affrontare la distesa del golfo del Leone, agitato dal vento di mistral. Il cielo plumbeo si confonde all’orizzonte con le acque dello stesso colore. Le nuvole non si colorano di rosa ma nascondono il sole che sta sorgendo.

Pietro si dirige a prua e si inginocchia verso levante, verso un’ipotetica Gerusalemme lontana, per recitare le orazioni del mattino. I marinai lo guardano incuriositi, mentre lavano il ponte di coperta.

Si preannuncia tempesta” lo informa il capitano, sistemato al fianco del timoniere. “Non temete. Sarà di poco conto”.

Le nubi si ingrossano sul golfo del Leone, che la caracca sta attraversando diretta verso Genova. Le onde si fanno più impetuose, mentre riducono la velatura per affrontare la burrasca in arrivo. Il Fauçon balla vistosamente, mentre in coperta stanno solo il timoniere e pochi marinai. É un tratto di mare infido, dove le tempeste sono violente e repentine, molto temuto da tutti i marinai. Navigare sotto costa può costare caro ma anche al largo presenta delle incognite. I venti cambiano spesso di direzione senza tanti preavvisi.

Pietro scende nella stiva dove è alloggiato il suo bardo. Controlla che sia imbragato bene e non compia escursioni pericolose. Gli accarezza il muso per tranquillizzarlo.

Il vento ha cambiato direzione e adesso spinge la nave verso levante, spinto dal vento di ponente. Come si è levato impetuoso, si calma a semplice brezza. Il mare continua a essere agitato, mentre le onde sono meno pronunciate. Il grosso della nuvolaglia punta verso le montagne alle loro spalle, mentre in lontananza si può scorgere qualche squarcio di sereno.

‘Il capitano’ pensa Pietro, allontanandosi dal suo bardo per risalire in coperta, ‘conosce bene il quadrante dei venti e la violenza delle tempeste’.

Altre burrasche violente e improvvise accompagnano il viaggio della caracca, finché dopo tre giorni scorgono a sinistra di prua la costa frastagliata, sulla quale si infrangono rabbiose le onde. Dietro si trova il porto di Tolone.

Facciamo scalo” dice il capitano, indicando che doppiata la punta si accosta verso terra. “Il Fauçon ha superato bene anche questo viaggio. Ma la velatura richiede qualche rattoppo e gli uomini un po’ di alcol e qualche donna”.

Pietro non si scandalizza nel sentire questo ma percepisce una nota di inquietudine. ‘Fermarci a terra per qualche giorno’ pensa il frate, ‘vuol dire ritardare il rientro in Lombardia’. Questo gli piace poco.

La sosta si prolunga più di quanto preventivato dal capitano. Il vento di libeccio spinge verso terra in maniera pericolosa col rischio di rimanere incagliati in qualche secca. Bisogna aspettare che cambi direzione.

Dopo una settimana dalla partenza Pietro sbarca sulla costa ligure in una rada vicino a Finale. Bacia la terra, mentre il Fauçon si allontana verso il largo per riprendere il suo viaggio. Il frate si mette in cammino, seguendo la costa alla ricerca di un punto per attraversare gli Appennini in modo facile. La neve non è ancora arrivata, perché le cime sono ancora scure e non imbiancate. Tuttavia il cielo non promette nulla di buono. Chiede notizie, si informa per evitare le strade impervie e sconosciute.

Un oste gli ha suggerito una via relativamente facile per passare nella pianura del Po. Il punto è la foce di un torrente, Acquasanta, da dove parte una mulattiera che lo costeggia. Il sentiero non è disagevole e il passo è a modesta altezza. Dopo due giornate di viaggio arriva alla foce all’ora sesta. Si ferma in una locanda per la notte, prima di affrontare il tratto di montagna che lo condurrà nella pianura del Po.

Il tempo tiene?” domanda alla locandiera, mentre attende la zuppa di verdure.

La donna scuote il capo. “Forse” dice, “il cielo non promette bene. Ma dove siete diretto?”

Di là dalle montagne” risponde Pietro, che non vuole dare molte indicazioni.

Se riuscite a passarle domani” fa l’ostessa, mentre gli pone davanti una scodella fumante e del pane di segale, “forse vi scansate una tempesta di neve. Le mie ossa sono doloranti e indicano che il tempo vira al peggio”.

Al primo albore il frate si rimette in viaggio, lasciando alle spalle un mare scuro increspato di bianco. Il vento è gelido e le nuvole compatte sono colore del latte. ‘É meglio mettersi in movimento’ pensa Pietro, avviandosi per lo stretto sentiero che costeggia il corso d’acqua. La salita non è ripida ma nemmeno dolce. Le nuvole avvolgono le cime. Il clima diventa più freddo per un insidioso vento che prende d’infilata la vallata stretta e tortuosa.

All’ora sesta si trova nel punto più alto della strada. Da lì comincia la discesa verso la pianura. Attorno alla locanda ci sono poche case di legno e qualche prato bruciato dal freddo. ‘É inutile proseguire’ si dice Pietro, entrando in quel posto di ristoro. ‘Sono stato fortunato, perché qualche fiocco di neve volteggia lieve nell’aria e questo riparo è quello che ci vuole. Domani di buon mattino e con le indicazioni dell’oste mi rimetto in cammino per raggiungere il monastero’.

Narbonne, 29 novembre, primo albore Anno secondo di Clemente V

Louis esce dalla locanda, dove ha trascorso la notte. Parte presto, se vuole intercettare il Fauçon, quando attracca. Il tragitto è lungo, costeggiando il mare, mentre il tempo non è promettente. Nuvole nere sono basse sull’orizzonte. Uscito dalla contea di Provenza, sa che deve contare solo su se stesso. In Lombardia non troverà di certo degli appoggi. Conta sulla fortuna e sul suo intuito per catturare quel frate, che pare imprendibile.

Bestemmia, mentre si avvolge nel mantello per ripararsi dal vento e dalle prime gocce di pioggia. Non può perdere tempo per sostare al riparo nell’attesa che smetta di piovere. L’andatura è rallentata dal terreno fangoso ma avanza con caparbietà.

Dopo una settimana arriva a Tolone per scoprire che il Fauçon è ripartito da poche ore. Impreca con violenza, perché arriva sempre con un attimo di ritardo. Spinge il cavallo al galoppo per raggiungere Genova, perché gli hanno detto che la nave è diretta verso quel porto. ‘Non ce la farò mai a essere più veloce di quella caracca’ si dice, avvolto nel mantello, che svolazza alle sue spalle, ‘ma ci devo provare’.

Dopo tre giorni arriva alla locanda, dove Pietro ha sostato per la notte. É l’ora del vespro e il buio ormai avvolge tutto. Si ferma per la notte.

É molto lontano Genova?” chiede all’ostessa nell’attesa del pasto serale.

No” risponde la donna, senza aggiungere altre indicazioni. Quell’uomo le appare arrogante. ‘É di certo un francese’ pensa. ‘E io non li posso vedere’.

Quanto?” continua Louis, che ha davanti una scodella fumante di zuppa.

Mezza giornata” dice l’ostessa, mentre si allontana.

Lui vorrebbe chiedere altre informazioni ma ha compreso che difficilmente riuscirà a ottenerle. Proverà domani con la fantesca, che gli sembra più malleabile.

All’ora seconda del giorno seguente, Louis scende per fare colazione prima di mettersi in viaggio verso Genova. A servirlo è una giovane ragazza, alla quale chiede alcune informazioni.

Posso chiedervi qualcosa?” dice il francese nel suo italiano stentato.

Sì” risponde la ragazza, abbassando lo sguardo verso terra, per nascondere il rossore dell’imbarazzo.

Si è fermato un frate? Un uomo avvolto in un mantello bianco con una croce rossa sulla spalla?” domanda senza troppe speranze. ‘É come cercare un ago in mezzo alla paglia’ pensa.

Sì” sussurra la serva.

Louis sobbalza. Si aspettava una risposta negativa. “Quando si è fermato?” l’incalza l’uomo, spera nel classico colpo di fortuna.

É ripartito ieri mattina al primo albore” dice la ragazza, allontanandosi.

‘Dunque quel maledetto frate’ pensa, ‘è in viaggio verso Bologna’. Termina velocemente la colazione per mettersi in viaggio al più presto. Il tempo minaccia pioggia e alla sua destra le montagne sono imbiancate.

All’ora nona è al porto di Genova, dove vede dondolare il Fauçon sotto la sferza del vento della pioggia. Passa in rassegna le bettole che spuntano numerose intorno alla darsena alla ricerca di altre informazioni. ‘Sì, il frate è sceso a Finale’ dice un marinaio che puzza di alcol e di vomito.

Tornato in città, si informa se ci sono punti di valico agevoli per raggiungere la via Emilia.

No” era la risposta invariabile che ascoltava. “Dovreste raggiungere Pontremoli o la marca di Toscana” gli suggerisce un mercante. “Da lì si possono scavalcare gli Appennini”.

Louis riparte verso sud per raggiungere la Toscana sotto una pioggia gelida e pungente.

Non passava giorno – cap. 26

Le linee parallele si incrociano
Le linee parallele si incrociano

Laura tornò con teiera e tazzine. Riempì le tazze e si sistemò su di lui come una gattina sulle gambe del padrone.

Marco restò in silenzio a osservarla, mentre con grazia versava il tè e si accoccolava su di lui. Era sempre più convinto che non fosse stata una buona idea quella di partire per Milano. Ormai c’era e non poteva sparire.

Sono passati otto mesi” cominciò Laura, “da quel giorno in cui mi hai detto quelle parole che mi hanno fatto male”. Non voleva ricordare quella data, che avrebbe voluto cancellare dal calendario.

Marco la guardò. Inspirò aria e cominciò a raccontare come aveva trascorso le sue giornate tra momenti di malinconia e ritorni al passato. Era stato un periodo travagliato, perché doveva ritrovare dentro di sé la serenità che aveva smarrito per strada. Aveva scoperto lentamente le radici e il mondo che aveva perso e dimenticato con gli anni di università. Con lentezza era uscito dalla nebbia, che gli aveva offuscato la vista. Aveva rimesso ordine ai pensieri, focalizzando gli obiettivi, che intendeva raggiungere. Adesso conosceva quali priorità doveva seguire.

Il processo era stato lungo e difficoltoso, perché troppi segnali discordanti giungevano tutti insieme nella sua testa. L’avevano confuso ma anche stimolato a proseguire. Non poteva rimanere prigioniero di qualcosa che non c’era più.

L’obiettivo primario era stato quello di cercare un lavoro vicino a casa, perché non voleva allontanarsi dal mondo, che stava ritrovando con fatica e incertezze.

Alla fine era riuscito nel suo scopo, perché da poco dopo mesi di ricerche, vissuti tra delusioni ed entusiasmi, tra speranze e frustrazioni, aveva trovato un buon posto a Bologna. Tra tre giorni cominciava per lui la nuova vita composta di treno e bus, di alzarsi presto alla mattina e coricarsi non troppo tardi alla sera.

Una vita semplice senza frenesie” disse a conclusione del lungo racconto “Sono stato casto, niente donne, niente alcol”.

Tacque per un istante per decidere se doveva parlare oppure no di Agnese. Scelse di raccontare, perché non voleva nasconderle nulla. D’altra parte con lei c’era più fantasia e immaginazione che circostanze concrete. Non comprendeva i motivi per i quali doveva tacere.

Una ragazza in effetti l’ho conosciuta nel frattempo” disse, facendo una brevissima pausa. Aveva percepito l’irrigidimento di Laura. “E’ strano che parli di lei, ma non voglio lasciare degli scheletri nell’armadio”.

Qualche giorno dopo il ritorno a Ferrara aveva preso la bicicletta per fare un giro. Aveva incontrato una ragazza ferma sul ciglio della strada con una gomma sgonfia. L’aveva aiutata a riparare il danno e poi si erano salutati scambiandosi i numeri di telefono. Era stata più che una meteora la reciproca conoscenza.

Si fermò un istante a prendere fiato, prima di proseguire con gli avvenimenti più recenti. A parte il nome, Agnese, non conosceva null’altro di lei, né dove abitava, né cosa faceva, né il suo status, né il cognome. Non l’aveva più rivista, né sentita, fino a questa mattina quando gli aveva proposto una uscita in bicicletta per il giorno seguente.

Ora sono qui” disse, “e non ho niente da aggiungere”. A questo punto tacque, aspettando in silenzio che Laura parlasse.

Lei appoggiò il capo sul suo petto rimanendo muta.

E’ il tuo turno” la incalzò Marco serio e deciso, mentre le baciava i capelli.

Laura alzò il viso e cominciò a parlare con voce roca e bassa per l’emozione.

In questi lunghi mesi Marco le era mancato moltissimo. Le erano mancati i consigli, il farla sentire sicura. In particolare aveva patito l’addio, perché era stato tanto frettoloso. quanto incomprensibile come lampi a cielo sereno. Sarebbe sparita, sprofondata in fondo al mare dello sconforto e della depressione, se Sofia l’avesse aiutata a tornare a galla, a respirare, a riprendersi la vita. La ricerca del lavoro l’aveva aiutata a dimenticare, a non pensare con assiduità a Marco. Si era guardata in giro, accettando alla fine di diventare assistente del product manager della linea montagna della società Grow&Co.

Tutto qui, niente di eccitante” disse concludendo il discorso.

Marco la guardò fissa negli occhi. “Sento” disse, “che hai qualche segreto che non vuoi rivelare”.

Lui aveva intuito che il racconto era monco, perché era stato troppo conciso sul come era ritornata alla vita.

‘Che importanza’ pensò, ‘poteva avere un segreto che temeva di rendere noto, quando c’erano altri argomenti da trattare, più frivoli e meno impegnativi?’ Marco giunse alla conclusione che era meglio concentrarsi sull’intimità attuale, senza pensare troppo al passato. Giudicò che fosse prematuro il momento per parlarne. Lo avrebbe estratto più avanti nel corso della giornata, se si fosse presentata l’occasione.

Laura a queste parole provò più senso di colpa che di dispiacere, perché Marco era riuscito a leggere dentro di lei l’incompletezza del racconto. Lui aveva parlato di Agnese in modo naturale senza nascondere nulla, pur essendo una conoscenza appena accennata e con un futuro incerto. Lei non era riuscita a trovare le parole e il coraggio per descrivere il corteggiamento discreto ma assiduo di Paolo e aveva taciuto. Combattuta tra il tacere e il dire, alla fine si convinse che ne doveva parlare. Raccolse tutte le forze per descrivere gli avvenimenti che la coinvolgevano con Paolo, perché era stato un qualcosa di più rispetto ad Agnese.

Come al solito hai ragione, non ti ho detto tutto“ disse mentre abbassava lo sguardo per non incrociare il suo, timorosa di non riuscirci.

Non sei obbligata a parlarne, qualunque sia l’argomento.” replicò Marco guardandola fissa negli occhi per indurla a aprirsi.

Laura a questo punto fu risoluta ad aprire l’anima come un libro aperto. “Non c’è nulla di disdicevole in quello che andrò raccontando”.

Dopo essersi chiusa in casa per una settimana come se fosse entrata in un convento di clausura, aveva trovato la forza di uscire con Sofia. Mentre erano alla Caffetteria del Corso avevano conosciuto due uomini, due amici, coi quali avevano trascorso la serata. Paolo l’aveva corteggiata senza che succedesse nulla, perché non percepiva alcunché verso di lui. Successivamente l’aveva rivisto a un pranzo organizzato dall’amico. Il risultato non era stato migliore della prima volta.

Ah” soggiunse Laura con un pizzico di malizia e ironia, “devi sapere che Sofia non è più single. Ha una relazione con l’amico di Paolo da quella famosa sera”.

Sofia ha un compagno? Quasi da non credere!” disse Marco ilare e sorpreso, interrompendo il racconto di Laura. “Avrei scommesso che sarebbe rimasta zitella a vita! Dunque ho perso la scommessa”.

Laura riprese il racconto, come se l’interruzione non fosse intervenuta. “Oggi prima che ti telefonassi, lui mi ha invitata a cena. Ma ho risposto seccamente di no. Come vedi niente da nascondere. Sono stata veramente sciocca a non parlarne subito”.

Poi si abbandonò sul petto di Marco singhiozzando silenziosamente.

Una storia così anonima – parte quarantatreesima

Il mio melo - foto personale
Il mio melo – foto personale

Rennes-le-Château, 28 febbraio 2015, ore quindici.

Vanessa e Luca, arrivati davanti alla chiesa, vedono quello che sta scritto sull’architrave dell’ingresso. ‘Terribilis est locus iste‘.

Non male come accoglienza” chiosa il ragazzo, facendo una smorfia di dolore. “Van, cosa pensi di trovare sotto l’altare?”

Niente” risponde la ragazza, accennando a un sorriso ironico.

Luca stringe gli occhi per la ferita che pulsa in continuazione. Se foste stato per lui, si sarebbe sdraiato sul letto a riposare. Risolto l’enigma della scritta, ha accusato un giramento di testa e una forte emicrania. ‘Dicono che sono i sintomi di pericolo’ pensa, mentre si veste. ‘Potrebbe indicare le complicazioni di un trauma cranico’.

Tuttavia Vanessa è stata irremovibile. “Andiamo” ha detto asciutta. Mme Monzon ha scosso la testa in segno di disapprovazione, quando li ha visti uscire. Per lei era un azzardo andare in giro dopo aver rimediato quella botta in testa. Velatamente ha consigliato Luca di andare in uno degli Association Audoise sociale et mèdicale della zona. “Non sono ospedali veri e propri” ha suggerito invano, “ma centri medici ben attrezzati e con personale preparato”. Una giornata di riposo però, secondo lei, gli avrebbe giovato, anziché sforzarsi per camminare. La ferita, secondo Mme Monzon, non era grave ma la botta non è stata lieve.

A Luca ogni tanto aveva dei capogiri con perdita di equilibrio, mentre si avvicinavano alla chiesa. Ha stretto i denti e ha cercato di non mostrare il suo disagio. Arrivati davanti all’ingresso, il ragazzo alza gli occhi per leggere la scritta e si deve appoggiare a Vanessa per non cadere.

Cos’hai?” gli chiede brusca la ragazza.

Ho perso l’equilibrio” mormora il ragazzo, varcando la porta.

Fatti pochi passi verso l’altare, Luca si siede sul banco in prima fila. ‘Devo riposare’ si dice, osservando statue e stazioni della Via Crucis. ‘Rischio solo di cadere da solo’.

Non vieni?” domanda Vanessa, avvicinandosi alla pedana, dove ha trovato la scritta. Scruta se vede qualcosa sotto l’altare. Una lastra, un qualsiasi segnale. Si volta per osservare l’amico, che è visibilmente pallido con gli occhi semichiusi. Alza le spalle e continua la sua esplorazione. C’è solo una lastra disposta in maniera stramba davanti all’altare con una strana iscrizione. La ragazza si abbassa tra le colonnine che sorreggono l’altare. Le sembra di vedere qualcosa. Un’ombra, una pietra smossa. Si gira verso Luca ma rimane impietrita. Alle sue spalle c’è Henri che li guarda minaccioso. Sta per urlare quando la figura scompare. ‘Ho avuto un’allucinazione?’ si chiede con viso terreo per la paura.

Cos’hai visto?” domanda Luca, che non osa girarsi. Il dolore alla testa gli impedisce qualsiasi movimento. Si fa forza per non svenire e si chiede se riuscirà a tornare alla gite.

Un fantasma” è la prima risposta di Vanessa, che scoppia in una risata nervosa.

Bene” dice il ragazzo. “Non devo preoccuparmi alle spalle”.

La ragazza si avvicina a Luca. Della lastra o di quello che dovrebbe occultare un oggetto non gliene importa più nulla. L’unico pensiero è uscire da lì. Il più in fretta possibile.

Hai trovato qualcosa?” fa Luca, accennando ad alzarsi.

No. Sì” farfuglia Vanessa con le mani che si muovono in maniera frenetica.

Luca non riesce a comprendere l’agitazione dell’amica che fino a pochi istanti prima ostentava una calma e un distacco quasi glaciale. Si alza ma ricade pesantemente sul banco, dove era seduto. ‘Non ce la faccio’ pensa il ragazzo. ‘Non ce la faccio, Devo stare seduto ancora. É stata una pazzia uscire in questo stato’.

Ma hai trovato qualcosa?” insiste Luca.

Forse. Ma…” tentenna Vanessa, che non osa voltare le spalle all’ingresso. ‘Quell’uomo ci perseguita’ pensa in preda al panico, vedendo l’amico stremato e incerto sulle gambe. Sa che Henri può diventare pericoloso per entrambi e lei non sarebbe in grado né di difendersi né difendere Luca.

Ma che hai?” dice il ragazzo, che immagina alle sue spalle una minaccia. Non ha mai visto l’amica così agitata. “Hai visto un fantasma?”

Magari” risponde Vanessa che gira intorno all’altare senza perdere di vista l’ingresso.

Si china sotto l’altare tocca la pietra, che pare mobile. La solleva e appare una cavità buia. Non osa infilare la mano, mentre con gli occhi tiene sotto controllo l’entrata della chiesa.

Luca” gli chiede, “ce la fai a venire qui?”

Ci provo” risponde poco convinto. A fatica si alza e avanza trascinando i piedi. Vede girare le statue, gli arredi. Si appoggia con le mani sull’altare per non cadere. “Mi spiace, Van. Più di così non riesco”.

Vanessa si guarda in giro e prende una candela che accende. Con quella tremula fiammella illumina la cavità, che appare vuota e minacciosa.

Non c’è nulla” dice dispiaciuta. “Niente” e rimette a posto la pietra. “Appoggiati a me” fa Vanessa, prendendo per le spalle Luca. “Torniamo alla nostra camera. MI dispiace. Non dovevo costringerti a uscire”.

Con passo incerto i due ragazzi escono dalla chiesa delusi e doloranti per avviarsi verso la gite.

Pierre è rimasto all’ombra di un muretto. Ha preferito restare defilato. La botta del mattino è stata dolorosa e non si sente in grado di affrontarli di nuovo. ‘Cosa cercavano sotto l’altare?’ si dice, pronto a sostituirsi, non appena se ne siano andati. LI vede uscire un po’ barcollanti. Sorride, perché nemmeno loro sono messi meglio di lui. Non hanno nulla né in mano, né occultato da qualche parte. Nessun rigonfiamento. Attende ancora qualche minuto prima di muoversi verso l’ingresso della chiesa. ‘La ragazza’ riflette, entrando, ‘era intorno all’altare. Come stamattina. Quindi cercava qualcosa che non ha trovato’. Ride sommessamente. Una risata storta per via della sutura alla lingua, che duole maledettamente. Si avvicina, ci gira intorno. Osserva quei segni che paiono rune sul bordo del piedistallo, dove appoggia l’altare. Guarda con attenzione sotto e vede una pietra smossa. La solleva, scoprendo una cavità buia. Non esita a infilarci la mano senza precauzioni. Non c’è nulla.

‘Merda’ si disse, rimettendo a posto la pietra. ‘Ora non so cosa cercavano’. Scuote la testa e si avvia verso Le dragon de Rhedae, perché percepisce che deve riposare. Le ferite dolgono non poco e la testa si fa pesante.

Non passava giorno – cap. 25

Entra in scena un nuovo personaggio che abbiamo conosciuto velocemente in precedenza. Agnese è la new entry. Cosa avrà da dirci? Per saperlo dovete leggere qui su Orsobianco.
Buona lettura a tutti.

Non passava giorno – cap. 25

foto personale
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Agnese aveva appena chiuso la seconda telefonata con Marco, quando si sedette sul divano, sentendo una lacrima scendere sul viso come la goccia di rugiada scivola leggera sul petalo di una rosa.

Dopo quel fortuito incontro con Marco nel settembre dell’anno precedente, aveva chiuso con Giulio, con il quale aveva convissuto quattro anni. Era stato un periodo più burrascoso di un mare a forza nove: litigi, rotture, riconciliazioni, tradimenti. Adesso che il rapporto tra loro era finito in maniera definitiva, per lei sarebbe stato difficile cancellare quel periodo dalla mente ma ci doveva provare, se non voleva impazzire.

I genitori non avevano mai visto di buon occhio quella relazione difficile e conflittuale, perché non ritenevano che fosse l’uomo adatto a lei. Però con la testardaggine tipica, di chi vuole rendersi indipendente e dimostrarsi capace di reggersi con le proprie gambe, era uscita di casa per avviare la convivenza con Giulio in un’abitazione che avevano acquistato insieme.

Agnese aveva un buon posto di lavoro, sicuro e vicino a casa. Lavorava nell’area marketing di un grosso centro commerciale ormai da oltre cinque anni dopo avere conseguito la laurea in economia. La sua grande passione era la bicicletta, che inforcava ogni volta che trovava del tempo libero. A lui non interessava perché non capiva la fatica di pedalare, quando in macchina stava comodo e arrivava prima.

Il giorno dell’incontro con Marco era stato terribile per lei: una litigata furibonda aveva sancito la fine di quell’unione tormentata e complicata, che era stata più spine che rose.

Agnese aveva preso la bicicletta per stemperare la tensione accumulata, forando in aperta campagna con il telefono inutilizzabile. Nel frattempo Giulio aveva caricato la macchina con le sue cose, andandosene per sempre. Al rientro aveva trovato la casa silenziosa, gli armadi svuotati dai vestiti come se fossero passati dei ladri.

Pianse per la rabbia e per l’affetto che provava per lui nonostante le difficoltà e le incomprensioni, che avevano tenuto compagnia alla loro relazione. Telefonò alla madre per informarla che Giulio se ne era andato.

Vieni immediatamente da noi” le disse col tono imperioso di chi non ammetteva repliche.

No, mamma” rispose con le lacrime che colavano copiose. “Questa è casa mia e resto qui. Stasera sarò da voi per parlare del futuro, del mutuo e di tutto quello che ruota intorno a me e a questa abitazione”.

Dopo avere tentato nei mesi successivi di ricomporre per l’ennesima volta la frattura tra loro e di trovare un accordo amichevole con Giulio, Agnese si accorse che stava sbattendo pericolosamente contro un muro invalicabile. Si rassegnò a considerare finita in modo irrevocabile quella relazione. Era del tutto inutile sognare la riconciliazione.

C’era il problema della casa da risolvere. Non fu facile raggiungere con Giulio un compromesso che potesse essere onorevole e soddisfacente per entrambi. Dopo strappi e ripicche lui rinunciò alla casa in cambio di un risarcimento economico, lasciando il mutuo a carico di Agnese.

Da due settimane avevano sancito l’intesa in modo ufficiale con scritture private, depositate presso un notaio. Agnese si era sentita finalmente libera di disporre della sua esistenza come meglio credeva senza vincoli e cappi. Così aveva riallacciato i contatti con gli amici, interrotti da tempo, assaporando una sensazione di libertà che aveva il gusto del gelato fresco in estate. Nella sua mente faceva capolino anche qualcosa d’altro. Dopo la chiusura definitiva con Giulio si sentiva pronta a ricominciare una nuova vita di coppia, perché grattacapi e contrattempi erano ormai alle sue spalle.

Quindi decise che era venuto il momento di approfondire la conoscenza con quel uomo alto e muscoloso, che era stato il suo angelo salvatore in quel lontano giorno di settembre, quando aveva forato in aperta campagna. Il suo istinto di donna unito a delle sensazioni positive le diceva che lui avrebbe potuto essere l’uomo giusto per lei.

Le giornate soleggiate e le ferie l’avevano spinta quel lunedì a telefonargli. Dopo la prima telefonata era euforica e allegra, fantasticava altri incontri e uscite insieme, mentre quella successiva l’aveva gettata nello sconforto.

Non aveva avuto il coraggio di dire ‘No, grazie, ma mercoledì non posso’ perché aveva percepito nelle parole della sincerità mai conosciuta finora. Il dubbio, che lui potesse riallacciare con l’ex ragazza, era troppo forte e tangibile per non essere preparata al peggio.

Si interrogava sui motivi per i quali Marco era stato reticente sui rapporti passati, rimandando ogni chiarimento a mercoledì. Rimaneva il tormento di una successiva telefonata, che annullasse il loro incontro in modo definitivo, perché era consapevole che cinque anni erano un periodo molto importante per essere cancellati con un tratto di penna. Di questo ne era ben conscia, perché la storia con Giulio, durata quattro anni, aveva lasciato tracce amare molto profonde dentro di lei. Anche se la storia era finita in maniera burrascosa, non era stata mai sicura che avrebbe saputo opporre una valida resistenza, qualora lui avesse tentato la riconciliazione. Lo aveva amato con tutti i suoi pregi e difetti.

‘Con gli uomini’ si disse, ‘non ho mai avuto fortuna. Forse è colpa mia, se li scelgo sbagliati’.

Chiuse gli occhi per non pensare a dopodomani.

Non passava giorno – cap. 24

foto personale
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Paolo dopo la telefonata era inquieto, non riusciva a stare fermo, continuava a pensare e muoversi nello studio senza costrutto con la mente che mulinava a vuoto. Aveva le stesse sensazioni di chi aveva visto il proprio negozio saccheggiato e distrutto da una folla inferocita: desolazione e rabbia.

‘Sono troppo nervoso oggi’ si disse, mentre si dirigeva verso la porta.

Percepiva la necessità di uscire e camminare a piedi. Doveva scaricare la tensione, accumulata nella giornata, perché Laura l’aveva stregato, avvolgendolo nelle spire della pazzia amorosa. Se si guardava allo specchio, non poteva che dire ‘Hai portato il cervello all’ammasso’.

Si fermò alla reception, comunicando che non sarebbe tornato fino a domani. Diede istruzioni, che lo potevano contattarlo, solo se avessero urgenza di comunicargli qualcosa. “Dev’essere qualcosa di terribilmente urgente” precisò, uscendo con l’impermeabile sul braccio e la borsa in mano. Dopo aver salutato, sparì giù per le scale.

Oggi“ disse una delle ragazze, strizzando l’occhio alla collega, “l’architetto è un po’ strano”. Un’altra replicò che era da diversi giorni che non sembrava lui. “Pare la controfigura di una persona totalmente differente dal solito”.

Tutte dicevano la loro opinione, perché avevano notato che ultimamente era irascibile e irritabile per un nonnulla. “Forse è innamorato!” dissero in coro, ridendo.

Ma dai! L’architetto innamorato?” replicò una di loro incredula. Provava gelosia, perché covava un innamoramento segreto non corrisposto. Non l’aveva mai visto con una donna fissa, anzi non l’aveva mai visto con una donna qualsiasi. Quindi non poteva essere innamorato. Dedusse silenziosamente.

Lui fece i cinque piani a piedi con passo svelto senza prendere l’ascensore, come era solito fare, e ben presto si ritrovò in Corso Vittorio Emanuele. Si guardò intorno per stabilire la direzione da prendere: Piazza Duomo o San Babila. Volse lo sguardo ora a destra ora a sinistra. D’istinto prese la decisione di procedere verso Piazza Duomo, perché non aveva chiare le idee su come trascorrere il tempo nell’attesa.

Il pensiero era fisso su Laura, che l’aveva colpito fin dal primo istante. Gli sembrava di percorrere un labirinto senza trovare la via d’uscita. Era uscito da poco più di un anno da una storia, che gli aveva fornito diversi insegnamenti. Aveva compreso che tra lui e la compagna non dovevano esserci più di quattro o cinque anni di differenza. Paolo aveva solo ventisette anni, quando aveva iniziato la relazione con Roberta, che ne aveva trentotto. Un bel differenziale che si era tramutato ben presto in un macigno. Lui ancora acerbo e inesperto, lei più smaliziata e matura. Inoltre aveva capito, e come lo aveva capito, che una storia con una donna separata oppure divorziata difficilmente poteva andare a buon fine, se lei aveva figli maschi. Roberta era divorziata con due figli già grandi. Uno di dieci e l’altro di dodici. Troppi ostacoli e troppe difficoltà si erano frapposte tra loro: la differenza di età, la maturità del carattere, i figli da gestire, incomprensioni e litigi.

‘Roberta è stata un incubo’ rifletteva con una punta di astio, mentre camminava lentamente. Ricordava che la novità di una donna matura nel pieno della fioritura sessuale era stata una rivelazione appagante. Se a questo dettaglio si aggiungeva la voglia di Roberta di dimenticare il divorzio, la relazione all’inizio era stata stimolante sia sessualmente, che psicologicamente. Aveva scoperto solo a posteriori l’inquietudine amara di dedicarsi a figli non suoi. Loro l’avevano considerato un intruso, perché non avevano accettato che Paolo si fosse sostituito o tentasse di sostituirsi al padre naturale. Lui, senza la minima esperienza in questo campo, aveva fatto una prolungata sequela di errori tanto lunga che il rapporto con loro si era tramutato in un conflitto permanente. Inoltre, pur riconoscendo in Roberta una donna dal carattere forte e deciso, si era accorto troppo tardi che lei pretendeva di essere accudita e protetta dal compagno. Lo shock di essere stata scaricata da marito per essere sostituita da una donna più giovane era stato un evento troppo traumatico da superare con le sue sole forze. Infine la grande responsabilità di crescere due figli in un momento delicato della loro esistenza l’avevano indotta a cercare in Paolo il surrogato del marito. Il nuovo compagno doveva accudirla e proteggerla, liberandola dalle incombenze del quotidiano. Questo tuttavia non era preventivato da Paolo, che non ambiva essere il sostituto di un’altra figura maschile o la sua fotocopia. Paolo voleva essere accettato per quello che era con i pregi e i difetti che portava in dote. Intuiti gli errori, che stava commettendo e prima che fosse troppo tardi, con una grande dose di cinismo aveva troncato la relazione, ignorando il dramma esistenziale di Roberta. Si disse che donne prive di storie di convivenze o di matrimoni in frantumi erano merce rara e pregiata da corteggiare senza indugi.

Guardò sconsolato l’ora: erano solo le quattro e ne mancavano altrettante prima dell’incontro con Matteo. ‘Cosa faccio?’ si domandò preoccupato e smarrito. Dopo una breve riflessione decise di puntare alla Caffetteria del Corso, dove sperava di trovare un tavolo appartato per ragionare su di sé, su Laura, sulla sua vita presente e futura.

Doveva fermarsi a riflettere, se non voleva finire in tilt.

Una storia così anonima – parte quarantaduesima

Carnevale - Foto personale
Carnevale – Foto personale

Rhedae, 25 novembre 1307, primo albore – anno secondo di Clemente V

Simon li ha salvati, sviando Louis. Li fa entrare in una vecchia abitazione adiacente al castello, non messa meglio del ripostiglio precedentemente usato. Le imposte sono marce, gonfie di umidità e non riparano per nulla. Il pavimento in mattoni rossi, almeno una volta erano di quel colore, è tutto dissestato, come il camino. Una vera desolazione. Marcel si guarda intorno e fa una smorfia di disgusto. ‘Di male in peggio’ si dice. Pietro appare disteso, incurante dello spettacolo poco edificante della casa, perché ha raggiunto l’obiettivo della sua missione.

Restate qui in silenzio” sussurra Simon. “Vado a recuperare quello che avete lasciato al castello”. Si avvolge nel mantello e torna fuori, mentre la neve sospinta dal vento fa mulinelli.

La notte trascorre veloce tra il dormiveglia e l’attenzione ai rumori provenienti dall’esterno. Manca poco al primo albore, quando Pietro si volge verso levante per iniziare il lento salmodiare delle preghiere del mattino. Marcel lo osserva con un misto di curiosità e ammirazione. ‘Quel frate’ si dice, sgranando gli occhi per abituarli al buio, ‘sembra fragile come un vetro ma invece è forte come il ferro temprato delle spade. Ha una forza d’animo incredibile e un intuito eccezionale’.

Simon si è raccomandato, prima di lasciarli, di non accendere luci o fuochi e di passare da lui, prima di riprendere il cammino. Pietro e Marcel escono dall’abitazione guardinghi. “Via libera” sussurra la guida, dirigendosi verso il cortile del castello. Ha smesso di nevicare ma il cielo rimane latteo. Un vento gelido da tramontana ha indurito la neve caduta nella notte. Scricchiola sotto le calzature dei due uomini, producendo un sinistro rumore. Bussano alla porta di Simon, che era pronto ad accoglierli.

In silenzio entrano a riscaldarsi. La notte è stata dura senza la possibilità di ripararsi dal freddo pungente, che imposte e porte non hanno trattenuto fuori. Ogni tanto hanno chiuso gli occhi per riaprirli quasi subito, sentendo gemere gli infissi sotto la sferza del vento.

Ho preparato qualcosa di caldo” dice Simon, indicando due scodelle fumanti sul tavolo. “Niente di speciale. Una zuppa di verdure con pane di segale”.

Entrambi ringraziano con un cenno del capo, mentre la bevono accanto al camino, che riscalda la stanza.

Grazie” dice Pietro, che con le mani prende i tocchi di pane, rimasti sul fondo. “Gesù e Maria Maddalena sapranno esaudire i vostri desideri”.

Marcel sorride, mentre Simon annuisce col capo. “In questa bisaccia” dice il cataro, indicando con la mano un sacco, “ci sono due pani e formaggio di capra stagionato. Non è molto ma vi servirà nel viaggio”.

L’uomo esce a controllare, se non ci siano occhi indiscreti in vista, e con un cenno della mano li fa uscire, augurando loro ‘Buon viaggio’. Resta sulla porta, finché non sono scomparsi, inghiottiti dal buio della scala che porta verso l’uscita segreta alla base dello sperone roccioso, su cui poggia il castello. Pietro copre il suo bardo con una pesante coperta di lana e si assicura che sia in buone condizioni per affrontare un viaggio per nulla facile.

Una pallida luce li accoglie all’uscita e con lentezza e prudenza affrontano il sentiero che li conduce lontano da Rhedae. Camminano senza parlare, tenendo per le briglie i cavalli, scendendo verso Couiza. Poco prima del paese, Marcel rompe il silenzio.

Dove pensate di andare?” gli chiede, mentre fanno una piccola sosta.

Verso la costa” risponde Pietro, che sta rifocillando il suo bardo. “Sarebbe mia intenzione imbarcarmi su una nave da carico diretta verso le coste liguri”.

Marcel si gratta la barba grigia, riflettendo sull’informazione. ‘Si potrebbe puntare su Ruscino verso mezzogiorno’ pensa la guida, ‘un posto sicuro sotto la protezione del regno di Maiorca. Si allunga la strada ma non si fanno brutti incontri’. La guida ragiona anche di raggiungere Narbona, dove c’è un porto importante, al riparo delle tempeste invernali. Tuttavia riflette che si torna in territorio, governato dal re capetingio. Quindi pericoloso per il templare.

Frare Pierre” inizia Marcel, pulendosi la bocca con la manica della giacca, “ci sono due strade. Una sicura verso sud, L’altra più a levante più pericolosa. Dove volete essere guidato?”

Quale è quella più facile da raggiungere?” domanda Pietro, fissandolo in viso.

Quella più pericolosa” risponde la guida. “Si torna in territorio governato dal re capetingio”.

Bene” dice il frate, “affronterò questo rischio. Se mi indicate la via, posso farcela da solo, così voi potete tornare alle vostre occupazioni”.

No” afferma Marcel, guardandolo in viso. “Vi guiderò io per strade prive di pericolo fino a Narbona”.

Sotto un cielo plumbeo i due viandanti si avviano verso la costa, che raggiungono dopo due giorni.

Restate qui” dice Marcel, facendo segno di fermarsi. “Arrivo fino a Port-le-Nouvelle alla ricerca di una nave da carico in partenza verso le coste liguri”.

Pietro si sistema in un posto riparato in attesa del ritorno della sua guida. É l’ora sesta, quando lo vede comparire.

Alla fonda c’è un caracco, Fauçon, che per l’ora nona è di partenza per Genova” lo informa Marcel. “Il comandante è disposto a darvi un passaggio fino a Savona. Non vuole avere grane nel porto di Genova”.

Mi sta bene” risponde pronto Pietro, alzandosi per mettersi in marcia verso il porto.

Marcel lo guida sicuro, evitando i posti pericolosi. Si presentano al comandante del Fauçon, che è pronto per imbarcare Pietro e il suo bardo. Riconosce nel frate un templare e gli fa un prezzo speciale. La caracca è stata a suo tempo una nave del Tempio, guidata da Roger de Flor. Adesso naviga tra la costa catalana e i porti italiani trasportando bestiame e altri beni. Viaggia sempre a pieno carico. La nave ha uno portellone laterale per favorire l’imbarco di cavalli o bestiame. L’Usciere viene chiamato. É un’imbarcazione tonda, dalla linea poco slanciata. Ha due vele quadre con una croce simile a quella dei templari e una triangolare sull’albero mezzano. Panciuta, con la poppa tondeggiante galleggia tranquilla vicino alla riva.

Mi date dieci scudi d’argento” dice il capitano, accogliendo Pietro. “Vi lascerò in un porto minore della costa ligure prima di Genova. Qui sono molto fiscali e non voglio avere noie con loro”.

Il frate annuisce, mentre conta il denaro pattuito. Poi si volta verso Marcel, che sta immobile col viso triste. Nei giorni, che ha accompagnato il templare, ha imparato a conoscerlo e apprezzarlo. Gli dispiace abbandonarlo ma sa che il suo compito è finito. Il frate lo abbraccia in silenzio in un lungo e commosso addio, prima di far scivolare una piccola borsa tintinnante nelle mani di Marcel, che vorrebbe ritirarle per evitare il contatto col denaro.

Prendete” dice il templare, stringendogli a pugno la mano. “Siete stato prezioso. Un vero amico”.

Il rude montanaro appare turbato dall’emozione, che cerca di mascherare, abbassando il cappuccio.

Presto” fa il comandante, che è impaziente di prendere il largo prima che il buio impedisca la partenza.

Viene abbassato il portellone laterale per far salire a bordo Pietro col suo bardo. Dopo averlo sigillato, mollano gli ormeggi e la caracca, sfruttando la brezza di terra, si avvia verso il mare aperto.

Rhedae, 25 novembre 1307, terza vigilia – anno secondo di Clemente V

Louis è infuriato. Qualcuno gli ha fatto credere che il frate stava fuggendo. Ha rincorso un fantasma, ha perso l’opportunità di mettere le mani sul templare, che pare sfuggirgli viscido come un’anguilla. Ritorna, digrignando i denti, alla chiesa, che trova vuota. Lo cerca al castello ma invano. ‘Dove si sarà cacciato?’ si domanda, muovendo nervosamente le mani sull’elsa della spada. ‘Le porte della città sono chiuse. Di certo non ha preso il volo’. La neve cade incessante, sia pure con minore intensità. Non sa dove cercare.

‘Di sicuro’ pensa, ritornando sui suoi passi verso il castello, ‘ha un complice tra questi eretici’. É ben conscio che la sua presenza infastidisce qualcuno, che non vede di buon occhio la presenza di un cavaliere francese nella marca catalana. Non crede che il frate sia uscito di notte da Rhedae sotto la bufera di neve e di vento. ‘Aspetterà il primo albore per andarsene’ si dice, mentre si reca al posto di guardia accanto all’unica porta per allontanarsi dal paese.

Quando albeggia, le guardie aprono i portoni. Louis, ben occultato, osserva chi esce e chi entra. All’ora sesta non ha visto la sagoma inconfondibile del templare. Sbuffa perché intuisce che ancora una volta il frate gli è sgusciato silenzioso tra le mani.

Ma se qualcuno volesse uscire non visto” domanda al capitano delle guardie, “potrebbe farlo?”

Il soldato riflette. Ha sentito delle voci che attraverso le segrete del castello è possibile uscire non visti. Però non sa come sia possibile e dove si esca.

Ci sono delle voci” comincia il capitano, “che dicono che esita un’uscita segreta. Dove sia non lo so. Parlano di un posto imprecisato del castello. Dove conduca, non mi è dato di sapere, ammesso che sia vero”.

Louis impreca, bestemmiando. ‘Sì’ pensa, ‘ha avuto aiuti. Da chi? Come?’ Nervosamente ritorna al castello per prendere il suo cavallo e mettersi all’inseguimento del frate.

Si ferma per la notte a Couiza, nell’attesa partire verso la costa. Secondo alcuni sarebbe probabile che si sia diretto verso Narbona. Louis sa di essere in svantaggio di una giornata ma conta di recuperarla strada facendo. ‘Se sono fortunato’ si dice, mentre consuma il pasto serale, ‘potrei trovarlo in attesa di un imbarco verso le coste liguri o pisane’.

Due giorni all’ora nona arriva al porto di Narbona, osservando un caracco che sta lasciando la costa verso il mare aperto.

Dove è diretta quella nave?” domanda a un marinaio, seduto davanti a una bettola.

Fauçon?” gli risponde, tracannando un boccale di vino.

Non saprei’ dice Louis. “Quell’imbarcazione che sta prendendo il largo” e indica il caracco con la mano.

Forse a Genova oppure a Pisa” replica l’uomo con un violento rutto.

Il cavaliere sa di essere arrivato in ritardo di poco ma in ritardo. Il frate ha preso il volo. ‘Difficilmente’ ragiona Louis, ‘riuscirò a intercettarlo, quando sbarca’. Poi va alla ricerca di un alloggio per la notte.

Una storia così anonima – parte quarantunesima

Interni - foto personale
Interni – foto personale

Rennes-le-Château, 28 febbraio 2015, ore dodici.

Allez-y, les enfants” urla Madame Monzon dal piano terra, “est servie”.

Anche se non ha capito nulla di quello che ha urlato la donna, intuisce che la pappa è pronta. Luca osserva Vanessa con sguardo interrogativo come dire ‘andiamo?’.

Eureka per cosa?” gli chiede la ragazza, incerta tra scendere per il pranzo e restare in camera per comprendere quella strana esclamazione.

Ci siamo” dice Luca con gli occhi che brillano per soddisfazione. “Ma possiamo parlarne anche a pancia piena. Il mio stomaco brontola”.

Vanessa scuote la testa, perché, quando si tratta del mangiare, Luca comprende tutto al volo. “Stai bene?” gli domanda, perché non è sicura, che l’amico abbia sciolto l’enigma, e pensa che voglia prendersi gioco di lei.

Mai stato meglio di così!” afferma il ragazzo, accennando una smorfia di dolore. Si era dimenticato del taglio in testa.

Sei un buffone” gli dice la ragazza, prendendolo sottobraccio. “Speriamo che il pranzo sia più leggero rispetto a ieri”.

In effetti è meno pesante con grande sollievo dei due ragazzi. Una garbura, la tipica zuppa di verdure casalinga, agnello con fagioli di Tarbes e la crème catalane per finire.

Vanessa non vede l’ora di terminare per rinchiudersi nella stanza con Luca. Quell’esclamazione di gioia continua a ruminarle nella testa. ‘Io non ci ho capito nulla’ pensa, mentre velocemente mangia la sua porzione di crème catalane. ‘Come ha fatto, Dio solo lo sa!’ Dà segni di irrequietezza, mentre Luca fa il gigione con la servetta. Vanessa lo guarda in tralice e gli molla una pedata.

Ahi!” esclama il ragazzo, squadrandola male.

Scusa” dice Vanessa, fingendo dispiacere, mentre con gli occhi gli fa segno di muoversi. ‘É ora di togliere il culo dalla sedia’ gli trasmette visivamente.

Luca ride. Ha capito il messaggio ma il caffè lo vuole bere prima di alzarsi. Madame Monzon li guarda e scuote la testa. ‘Ha detto che è solo un amico’ si dice, mentre accenna a Elionor, la ragazza che l’aiuta nella gestione della gite, di preparare in salotto caffè e l’amaro alle erbe. ‘Eppure bisticciano come due innamorati’.

Luca pare divertirsi a tenere sulle spine l’amica, che mostra impazienza nelle parole e nei gesti. Vanessa è furibonda, con gli occhi, che sembrano due lanciafiamme. Si accomoda nel salotto sul divano, mentre Luca si siede sulla poltrona di fronte. Poco dopo sul tavolino compare il vassoio con caffè e bicchierini di liquore. La stanza, ampia e luminosa con l’ampia vetrata, che guarda il giardino, che in questo periodo è brullo, le appare poco invitante.

Potevi risparmiarmi quel calcione” le sussurra, mentre con il braccio sulle spalle di Vanessa salgono in camera.

Te ne rifilo un altro, se non togli quella zampaccia” ringhia la ragazza, senza ottenere nessun effetto concreto.

Luca prende il computer dalla borsa, prima di sistemarsi sul divano. Vanessa è in tensione, perché la curiosità di conoscere cosa significano quelle lettere cresce di secondo in secondo.

Dimmi” gli dice, sistemandosi meglio accanto a lui, “come hai fatto a decifrare il messaggio”.

L’idea me l’hai lanciata tu” ghigna il ragazzo, mentre avvia il computer.

Vanessa strabuzza gli occhi incredula. ‘Io?’ si dice, cercando di ricordare quello ha detto prima di scendere. “Cosa avrei detto?” domanda la ragazza, aggrottando la fronte.

Hai parlato di un codice cifrato” la rimbecca il ragazzo con un sorriso ironico.

Vanessa scuote il capo. ‘Il colpo in testa l’ha rincoglionito del tutto’ pensa. ‘Per aver pronunciato un’affermazione ovvia, lui pretende di avere capito tutto’. Si adagia sullo schienale. ‘Luca non si smentisce mai’ riflette, perché ha compreso che stanno navigando ancora al buio.

Il ragazzo sorride soddisfatto. ‘Sono sulla strada giusta’ si dice, facendo l’occhiolino all’amica. ‘Un piccolo sforzo e ci siamo’. Armeggia un po’ coi motori di ricerca, prima di riprendere a parlare.

In quel periodo mi sa che non ci fossero molti modi per cifrare un messaggio” comincia Luca, prendendo una via molto alla lontana. “Così ho pensato…”.

Vanessa sbuffa insofferente. “Cerca di non spiegarmi tutta la cronistoria dei codici cifrati” dice, stringendo le labbra per reprimere l’ira che sta salendo. “Se ne ho voglia, vado su Wiki per studiarli con calma”.

Quanta fretta, Van!” fa Luca sornione, strizzando gli occhi. “Pensavo…”.

Pensa poco e concretizza” dice Vanessa, chiudendo e aprendo la mano sinistra nel segno inequivocabile di sintetizzare.

Uffa” sbuffa il ragazzo. “Cercherò di essere breve”.

É meglio per te” afferma poco conciliante la ragazza.

Dunque dicevo” riprende il ragionamento Luca. “Nel trecento credo che il codice di Cesare fosse quello più gettonato. Ma chi ha scritto il messaggio non l’ha usato”.

Vanessa si sistema meglio sul divano, avvicinandosi al computer. “Perché?” domanda curiosa, sbirciando lo schermo.

Sai come funziona?” le chiede, mettendosi si traverso per osservarla meglio.

No”.

Ti spiego” comincia Luca. Digita una parola ‘ARA’. “Se avesse usato quel codice, troverei ‘CUC’ o qualcosa di simile a seconda della traslitterazione usata”.

Translitterazione?” esclama Vanessa, spalancando occhi e bocca. “Che roba è?”.

Luca ride, osservando il suo viso sorpreso e sbigottito. “Ho usato il codice tre che prevede lo slittamento di tre posizioni nell’alfabeto. A diventa C, B è D, e così via. Nel nostro messaggio non si legge nulla che possa adattarsi a questa codifica”.

Vanessa rilegge la stringa e ammette mentalmente che la logica di Luca è ineccepibile. ‘Eppure ha gridato EUREKA, come se avesse scoperto tutto’ si dice per nulla convinta che l’amico abbia la soluzione in tasca. Lo guarda mentre scrive qualcosa alla ricerca di una dritta. Almeno secondo lei.

D’accordo” fa Vanessa, allungando le gambe, “ma cosa è stato usato?”

Luca non risponde subito, continua a lavorare col computer. “Diciamo un qualcosa di simile” comincia cauto, mentre scrive alcune righe di codice di programmazione. “Diciamo la tavola di Vigènere, anche se questa è arrivata duecento anni dopo”.

Vanessa strabuzza gli occhi. ‘Che cavolo va dicendo?’ pensa interdetta. ‘La botta gli ha fatto molto male!’ Lo guarda senza essere ricambiata, prima di sbottare. “Insomma cosa dice quella stringa?”

Pazienta un attimo” risponde Luca con un sorrisino sulle labbra. “Devo mettere a punto questo programmino”.

La ragazza si sposta verso una sponda del divano, irritata e silenziosa. ‘Mi ha fatto credere di aver risolto il grattacapo, invece…’ riflette, leggendo la stringa.

Credo di esserci” dice Luca con il viso soddisfatto. “L’alfabeto è quello latino e la chiave è ‘RHEDAE’. Ingegnoso il nostro scribacchino”.

Vanessa torna vicino al ragazzo visibilmente curiosa di scoprire il senso della frase. “Ma chi l’ha scritta” dice ridendo, “non aveva i nostri mezzi! Tanto di cappello”.

Luca solleva un sopracciglio, prima di immergersi nel suo computer. Dopo qualche minuto distende le braccia dietro la testa, soddisfatto del risultato. “Non sei curiosa di sapere cosa c’è scritto?” domanda il ragazzo.

Sì” replica Vanessa che pare seduta su un rosaio tanto si dimena per trovare una posizione comoda.

Ecco il testo decifrato ‘SUB ARA VOS REPERIETIS CINERACEA PETRA INFERA LIGNEA THECA DOMUS‘. Soddisfatta?”

La ragazza è allibita. La frase ha un senso compiuto ma non è persuasa, che sia la soluzione.

Se fosse vero quello che hai decifrato” dice, alzandosi, “dovremmo trovare riscontri sotto l’altare”.

Luca ride di gusto. “Pensi di trovare qualcosa?”

Sì” afferma decisa Vanessa, che si veste per uscire.

Rennes-les-Bains, 28 febbraio 2015, ore quattordici.

Pierre esce dal centro medico con un vistoso cerotto sulla guancia e la bocca un po’ storta.

Mi raccomando” gli ha detto il medico che l’ha curato. “solo cibi liquidi e usi una cannuccia. Il taglio alla lingua è profondo”.

Per quanto tempo?” si è informato l’uomo, parlando a fatica per i punti di sutura.

Domani l’aspetto qui per la medicazione” gli ha risposto, eludendo la sua domanda.

Guida con prudenza verso Rennes-le-Chateau. Il dolore non è scemato, anzi tende a crescere man mano che la puntura di anestesia locale perde di efficacia nei suoi effetti. ‘Quella gatta ha degli artigli non male’ si dice, mentre parcheggia vicino a Le dragon de Rhedae. “Però quel caprone del suo compare non è da meno come testa dura’. Non ha appetito e rinuncia a salire nella sua stanza. Decide di passeggiare per il paese per raccogliere le idee. La giornata non è ideale per camminare. Nuvole basse e qualche accenno di pioggia sconsiglierebbero chiunque ma non Pierre, che deve fare il punto della situazione in silenzio.

‘Il Gran Maestro è stato categorico su un punto’ si dice, mentre percorre le vie strette senza marciapiede del piccolo paese. ‘Devo scoprire cosa sanno sul tesoro dei templari e poi bloccarli. Come?’ Scuote la testa ma fitte dolorose gli fanno rinunciare quasi istantaneamente al movimento. La lingua duole con fitte acute che penetrano nervosamente nel cervello. I graffi, per nulla superficiali, fanno sentire la loro voce. L’effetto dell’anestesia è svanito, riattivando tutti i dolori assopiti. Si ritrova nello spazio vicino al complesso di Saunière a osservare la vallata dell’Aude, grigia come il cielo. Le cime dei Pirenei sono occultate da nuvole scure per effetto della luce calante del giorno.

‘Quella gatta mi ha fregato’ pensa, cercando di dominare il pulsare del dolore nelle ferite. ‘Mi ha fatto credere quello che ha voluto lei. Ma è stato quel grido Henri a mettermi in crisi’. Poi si avvia lentamente verso lo stradello che conduce alla chiesa. Erbacce crescono ispide ai lati e il prato non è messo molto meglio.

Vede qualcosa dinnanzi a lui e si irrigidisce.