Una storia così anonima – parte quarantottesima

Foto personale
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Abbazia di Valvisciolo, 15 gennaio 1308, ora sesta – anno terzo di Clemente V

Nell’ora sesta il quindici gennaio Pietro bussa al portone dell’abbazia. È una giornata grigia. L’aria fredda sferza il viso del frate, facendolo rabbrividire. Aspetta con pazienza che aprano la porta. È la prima volta che arriva a Sermoneta. Non si era mai spinto oltre Roma. L’abbazia, edificata nel dodicesimo secolo, era stata abbandonata per molti anni. Per toglierla dallo stato di abbandono è stata occupata dai Templari e restaurata. Pietro ne conosce la storia ma ignora, se troverà i confratelli del sud oppure altri monaci.

Il viaggio è stato lungo e faticoso, avversato dal maltempo. Era partito a metà dicembre dall’Abbazia di Chiaravalle sotto una fitta nevicata. Lo stato delle strade non gli ha consentito una marcia spedita, nemmeno dopo l’attraversamento del Padus a Placentia, perché alla neve si è sostituita la pioggia e la bruma invernale della pianura della Lombardia inferiore. Arrivato in prossimità di Bologna ha preferito evitarla per non rimanere bloccato nella magione, compiendo un largo giro verso le terre estensi, prima di raggiungere la via bolognese. Questa strada conduce alla vallata del Sieve, nella Romagna toscana, scavalcando un passo basso e agevole. Da quando ha iniziato a muoversi tra la pianura della Lombardia e le terre del sud, ha seguito questa via. La preferisce al valico di Monte Bardone più a settentrione e a quello dell’Alpe di Serra a meridione. la strada è una stretta mulattiera che tra castagneti e vegetazione di basso fusto avanza su dolci crinali. Sul punto più elevato c’è una locanda che i viandanti chiamano Hostaria. È il luogo dove sostano i pellegrini provenienti dalla via Romea ungarica, mentre si dirigono verso Roma. Sono circolate strane storie su questo punto di ristoro e di riposo. In più di un’occasione i templari romagnoli sono intervenuti per capire che fine avevano fatto dei viaggiatori spariti nel nulla senza trovare niente di anomalo. Durante un viaggio di ritorno da Roma Pietro ha ascoltato nella terranova di Fiorenzuola un racconto orripilante, che avrebbe tolto il sonno a chiunque. Queste voci narrano di viandanti, che, stremati dal lungo viaggio, trovano una locanda a prima vista accogliente sul crinale che separa le vallate della Sieve e del Santerno. È il punto di ristoro sognato nel lungo viaggio a piedi durante il loro pellegrinaggio. Tuttavia una triste sorte aspetta quei poveri diavoli, che invece di proseguire hanno deciso di fermarsi. La leggenda, perché secondo Pietro tale è, racconta che questi siano uccisi nel sonno e le loro carni sarebbero usate per sfamare altri viandanti. Pietro si è sempre domandato quanto di vero ci fossero in quelle dicerie. Personalmente non ha mai creduto a queste chiacchiere, perché non sono state trovate prove a sostegno della loro veridicità. Per quello, che è a sua conoscenza, non risulta che pellegrini di ritorno da Roma siano stati vittime di simili barbarie, né ha mai notato la sparizione di qualcuno in maniera misteriosa.

Il frate, nonostante questa storia di sangue e di orrore, si è sempre fermato in questa locanda e non ha mai notato nulla di strano. L’atmosfera, che qui si respira, non è cupa tenebrosa ma semplicemente triste. I gestori, una coppia di toscani di mezz’età, appaiono poco propensi all’allegria. Tuttavia la loro cucina è ottima. Pietro ha sempre preferito zuppe di verdure e piatti a base di vegetali, escludendo la carne. ‘Suggestione?’ si è chiesto il frate una volta durante una sosta nel viaggio di ritorno verso Bologna, mentre attendeva la consueta zuppa di cavolo nero e piselli. Anche durante questo viaggio verso Sermoneta ha sostato presso l’Hostaria, evitando come al solito la carne.

Per la prima volta da quando transita di qui, Pietro ha affrontato il valico nel periodo invernale, trovando neve e ghiaccio e molte difficoltà in più. ‘È pur vero che qualche mese fa ho attraversato le Alpi sotto la neve’ si è detto, mentre procedeva a fatica verso la locanda. ‘Ma le strade erano ben segnate. Qui è un tratturo appena abbozzato, dove con facilità ci si può smarrire, finendo in un dirupo’.

Arrivato stremato all’Hostaria, un’improvvisa tempesta di neve l’ha bloccato per diversi giorni, impedendogli di proseguire verso Aretium. Durante questa sosta forzata ha potuto osservare con calma il clima che si respira nella locanda. Non ha percepito nulla di strano e di torbido. I pochi viandanti, che soggiornavano con lui, non gli sono apparsi vittime sacrificali, né timorosi per la loro vita. Ripresa la marcia verso il fondovalle, il percorso è stato più agevole e meno impegnativo rispetto ai giorni precedenti. Ha potuto accelerare il passo senza gli impedimenti del cattivo tempo. Raggiunto Aretium, ha seguito la via Francigena che attraverso la Tuscia orientale conduce a Roma.

Mentre rievoca questo lungo viaggio, si apre una fessura nel grande portone dell’Abbazia. Un monaco vestito di bianco sbarra gli occhi, vedendo un templare bussare alla loro porta.

I vostri confratelli si sono ritirati nella grande commenda sul colle dell’Aventino’ dice il frate guardiano, osservando Pietro.

Il frate abbassa la testa come per annuire. In realtà è un deferente cenno di saluto. Le ultime vicende, nelle quali è stato coinvolto, gli hanno fatto intuire che anche in Lombardia e nell’area romana non tira aria salubre per loro.

Busso” inizia Pietro, prima che la porta si chiuda senza spiegazioni, “perché cerco un fratello. Berthod de la Roche. Mi hanno detto che si è trasferito presso questa Abbazia”.

Il monaco, che ha aperto parzialmente il portone, sta per richiuderlo, quando ascolta le parole di Pietro, e resta interdetto. Tace, perché gli appare strana l’affermazione del forestiero, che è per giunta un templare.

Forse il fratello non è più qui?” domanda il frate, preoccupato di inseguire un fantasma, non ascoltando nessuna risposta.

No” risponde il monaco, che ha ritrovato la parola. “Il fratello che cercate si trova in questo monastero”.

Potrei incontrarlo?” incalza Pietro, che respira più rilassato.

Per quale motivo desiderate vederlo?” chiede il frate, tenendo sempre socchiuso il portone.

Ho una consegna per lui” dice Pietro, cercando di fornire il minimo delle informazioni.

Cosa?” domanda di nuovo il monaco, ben deciso a non farlo entrare senza una spiegazione convincente.

Non posso rivelarlo” fa Pietro per non tradire il compito assegnato. “Il cardinale Caetani mi ha ordinato di consegnarlo solo nelle mani del fratello Bethod de la Roche”.

Pietro parla con calma senza sollevare il capo ma deciso a non rivelare l’oggetto da recapitare. Non mostra segni di impazienza, né assume toni arroganti. L’intonazione della voce è umile e bassa.

Aspettate qui” gli dice il frate guardiano, chiudendo il portone.

Dopo un’attesa, che a Pietro appare lunga, si riapre il battente per accogliere il templare e il suo cavallo. In silenzio lui segue il monaco, che dapprima lo conduce alle stalle e poi nel monastero. Nella sala capitolare seduto sullo scranno sta un monaco dalla corporatura imponente e dal viso carico di anni.

Pietro Roda, templare della commenda di Bologna” si presenta Pietro, inginocchiandosi davanti a quello che gli appare il priore dell’Abbazia.

Alzatevi” fa il monaco, accompagnato da un gesto della mano. “Dovete consegnare qualcosa a Berthod de la Roche?”

Sì, fratello” dice Pietro, mentre osserva con attenzione la figura che sta dinnanzi a lui.

Ebbene potete farlo” fa il monaco allungando la mano.

Il cardinale Francesco Caetani mi ha ordinato di darlo in consegna a Berthod de la Roche. Solo a lui, di persona” afferma Pietro per nulla intimorito da quella figura ieratica.

Sono io” afferma il frate, inarcando per un attimo una sopracciglia. “Non vi fidate?”

Non lo conosco” replica Pietro diffidente. “Potrebbe essere chiunque”.

Il monaco si alza dallo scranno e prende sottobraccio il templare. “Venite” e si dirigono verso il refettorio dell’Abbazia.

Arrivati all’ingresso della vasta sala, un monaco spalanca gli occhi nel vederli, mentre quello, che legge i salmi della Bibbia, si ferma. Tutti smettono di mangiare.

Abate Berthod” fa un cistercense anziano, “ci rende un grande onore sedersi alla nostra umile tavola”. E fa posto ai nuovi arrivati.

Dalle cucine arrivano due scodelle, due brocche di vino e due teli di lino, che avvolgono del pane bianco. Pietro e Berthod mangiano in silenzio, come ha già sperimentato a Chiaravalle. ‘Dunque lui è l’abate del monastero’ pensa il templare pulendo la scodella col pane. ‘Capisco anche la sorpresa degli altri monaci, perché non capita mai che lui stia a tavola con loro’. Se aveva la necessità di conoscere l’identità del misterioso Berthod, adesso ne ha la conferma senza il minimo dubbio.

Finito il pasto, sempre in silenzio, si ritirano nelle stanze del priore. Pietro senza dire nulla preleva da sotto la tunica il sacchetto, che ha custodito con molta cura, consegnandolo a Berthod.

Pisae, 18 dicembre 1307, ora terza – secondo anno di Clemente V

Luis è al cospetto dell’arcivescovo di Pisae, frate Giovanni. Cerca con parole semplici di spiegare i motivi della sua presenza.

Guillaume de Nogaret mi ha affidato il compito di arrestare e accompagnare a Paris un templare bolognese” comincia Luis non molto sicuro delle sue affermazioni.

L’arcivescovo appoggia il capo sul palmo della mano e medita sulle parole di questo cavaliere francese. Ha letto la bolla papale del 22 novembre, Pastoralis praeeminentiae, dove viene ordinato l’arresto di tutti i templari e la confisca dei loro beni, ponendoli sotto la tutela ecclesiastica. Tuttavia non comprende il senso delle sue affermazioni. ‘Per quale motivo’ pensa frate Giovanni, ‘un cavaliere francese della corona di Francia insegue e chiede l’arresto di un templare bolognese? Non è nemmeno sotto la mia giurisdizione’.

Dopo una lunga meditazione l’arcivescovo emette il suo verdetto.

Non ho ricevuto istruzioni sull’arresto dei templari della Lombardia inferiore” comincia cauto il prelato. “La bolla papale afferma che templari e beni devono essere posti sotto la tutela del Papa. Quindi non posso essere d’aiuto. Visto che la magione di Bologna dipende dall’arcivescovo di Ravenna, vi suggerisco di andare colà e chiedere udienza a Rinaldo di Concoreggio, che regge la diocesi ravennate”.

Detto questo congeda Luis, che ha capito di non riuscire a prendere il frate, abile nel muoversi e protetto dagli arcivescovi della Lombardia e della Tuscia.

Luis è ormai rassegnato a tornare in Francia a mani vuote.

Una storia così anonima – parte quarantasettesima

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Rennes-le-Château, 9 marzo 2015, ore nove.

Madame Monzon sinceramente è dispiaciuta per la partenza di Luca e Vanessa. Si era abituata al loro chiassoso ma educato modo di fare. Nonostante fossero giovani, hanno tenuto sempre in ordine le loro stanze. Puntuali nel rispettare gli orari, hanno onorato la sua tavola e la sua cucina. Aveva avuto nel passato tra suoi ospiti diversi italiani ma ne aveva ricavato un’impressione negativa. Sporchi, trasandati, senza regole e senza rispetto dell’altrui proprietà. Le stanze alla loro partenza erano in condizioni pietose. Asciugamani per terra, lenzuola macchiate di caffè. Un disastro. Questi due ragazzi, che potrebbero essere suoi figli, le hanno fatto cambiare opinione. ‘Non tutti gli italiani sono uguali’ si è detta, quando le hanno annunciato che sarebbero partiti la mattina successiva.

Il nove marzo, un lunedì, è il giorno della partenza. Luca porta nell’ingresso il loro scarso bagaglio, mentre Vanessa si attarda per controllare che la camera, che hanno occupato, sia libera e in ordine. Non le piace lasciare disordine dove ha soggiornato. Dopo avere dato un’ultima occhiata per assicurarsi di non avere dimenticato nulla, scende per salutare la proprietaria.

Ragazzi” dice Mme Monzon, mentre il suo occhio si inumidisce, “ragazzi mi dispiace vedervi partire. Mi tenevate compagnia con la vostra allegria. Di certo sentirò la vostra mancanza questa sera”.

Madame” risponde Vanessa, che le stringe le mani con calore, “anche noi abbiamo un po’ di malinconia nel lasciarla. Ci è sembrato di stare in famiglia, a casa nostra. Prometto che torniamo a trovarla. Ma ora dobbiamo tornare in Italia”.

Luca l’abbraccia con calore, rimanendo in silenzio. Non è molto bravo negli addii e preferisce tacere per non cadere nel banale. Poi salgono in macchina e partono per Bologna. Non si voltano per salutare ancora una volta Mme Monzon. Hanno gli occhi lucidi e un gran dispiacere nell’abbandonare la gite. Si sono trovati veramente bene nella decina di giorni di permanenza ma non possono tardare a rientrare. Sono rimasti fuori più del previsto.

Rimangono in silenzio, mentre dopo un paio di curve il paese sparisce dalla loro visuale. La giornata si preannuncia nuvolosa come può esserlo in marzo, quando sole e nuvole si alternano repentine in cielo. Arrivati a Couiza, si dirigono verso la costa. Madame li ha sconsigliati di tagliare verso Arques e fare delle strade secondarie. “Potreste perdervi” ha detto la sera precedente Mme Monzon. “Passate per Limoux per puntare su Carcassone. Poi prendete A61 in direzione Narbonne”.

Luca segue il suggerimento, anche se il navigatore gli ha indicato che il tragitto più breve è per Arques. In un’ora di strada raggiungono il centro storico di Narbonne, dove fanno una breve sosta in un bistrot prima di arrivare a Montpellier per il pranzo di mezzogiorno.

Da qui” dice Luca, mentre prende il caffè al termine del pranzo, “facciamo un’unica tirata fino a Mentone, dove pernottiamo. Il giorno dopo siamo a Bologna in cinque o sei ore, traffico permettendo”.

Vanessa annuisce, perché sa benissimo che le sarebbe difficoltoso far cambiare idea a Luca. ‘Poi ho voglia di dormire nel mio letto’ si dice, mentre assaggia il sorbetto al limone.

I due ragazzi si sono dimenticati di Henri. Nei giorni precedenti non l’hanno mai incrociato o visto di sfuggita. Così progressivamente hanno allentato l’attenzione. Luca aveva suggerito che Henri, finito KO, fosse sparito, anche se Vanessa aveva scosso il capo dubbiosa. Non si sono accorti che lui invece silenzioso li ha tenuti d’occhio e adesso è alle loro spalle. É un fantasma, la loro ombra che li segue passo passo.

Mentre defilato aspetta con pazienza che riprendano il loro cammino, Pierre riflette sugli ordini del Gran Maestro della Quercia. ‘É stato perentorio’ si dice, fumando una sigaretta. ‘Devi scoprire cosa conoscono del nostro segreto. Oak Island’s Priory deve rimanere ignoto a tutti. Mi ha detto con un tono che non ammetteva repliche’. Non importa chi dei due parlerà ma devi conoscere tutti i particolari e i dettagli, aveva aggiunto prima di chiudere.

Adesso deve organizzare bene il piano. Non può fallire, perché non saprebbe a quali conseguenze andrebbe incontro. ‘Meglio essere prudenti’ si dice, gettando il mozzicone fuori dal finestrino. Pierre punta sulla ragazza. ‘É tosta’ si dice, sfiorandosi la guancia non ancora perfettamente guarita, ‘ma è meno attenta rispetto al ragazzo che invece ha la testa dura’. Ride amaro, perché la lingua gli duole ancora e non poco. ‘Ma lui mi sembra meno malleabile rispetto alla compagna’. Si chiede dove tendere il tranello. Lungo il tragitto verso Bologna è più complicato, perché le occasioni ci sono ma meno fruibili. La può sorprendere nella sua abitazione. Sa dove abita e conosce il modo di introdursi senza essere notato. Per il momento gli è sufficiente seguirli senza farsi individuare. Se li perdo di vista, pensa, lisciandosi la guancia ispida per la barba che non può eliminare, so dove arriveranno.

Sono le due del pomeriggio, quando li vede sbucare dal ristorante per raggiungere l’auto posteggiata nelle vicinanze. Pierre mette in moto la sua e si appresta a continuare il pedinamento. ‘Se la sede del priorato’ riflette, ‘non fosse oltre oceano, porterei al Gran Maestro la fanciulla su un piatto d’argento. Allora sì, che ci sarebbe da divertirsi!’ Sadicamente pensa alle torture che la aspetterebbe. E lei non sarebbe molto felice di subirle. ‘Tutto a tempo debito’ conclude mentalmente, avviandosi lentamente alle loro spalle.

Per arrivare a Mentone servono circa quattro ore di viaggio, si dice Luca, mentre ammira le acque del Golfo del Leone alla sua destra. Accende la radio per ascoltare qualcosa.

Uffa” sbotta Vanessa. “Chiudi questo arnese. Se vuoi compagnia, te la tengo io”.

Luca sorride. ‘Immagino di cosa vorrà parlare’ pensa, spegnendo l’autoradio.

Di cosa parliamo?” chiede il ragazzo.

Del nostro frate, naturalmente” risponde Vanessa, sistemandosi sul sedile.

‘Come si voleva dimostrare’ si dice, prima di rispondere all’amica. “Cominci tu?” fa Luca con tono un po’ ironico, mentre non nota che da Montpellier una Mini blu li sta seguendo. Si è scordato completamente che Henri poteva essere alle loro spalle.

Non ho capito il motivo per il quale Pietro prima è passato per Chartres, poi Poitiers e infine è arrivato a Rennes-le-Château” comincia Vanessa.

Beh! A Rennes-le-Château sappiamo per certo che ha prelevato qualcosa” dice Luca, “oppure sbaglio?”

No, no. Non sbagli” afferma la ragazza. “Ma cosa ha prelevato? L’iscrizione indica una cassetta lignea. Ma il suo contenuto?”

Luca scuote il capo. Qualcosa non torna. Non comprende perché Henri li ha minacciati a Bologna e poi seguiti in Francia, tentando più di una volta di intercettare le loro conversazioni. Anche lo scontro nella chiesa di Rennes-le-Château gli appare immotivato. Per una frazione di secondo Luca si osserva alle spalle senza notare nulla di insolito. La guardia abbassata e la voglia di tornare alla vita di tutti i giorni gli fanno ignorare ogni misura di prudenza.

Non saprei darti una risposta. Il nostro cronista medioevale sembra parco di notizie al riguardo. Dice solo che al rientro in Italia Pietro si reca all’abbazia di Chiaravalle, vicino a Milano” dice il ragazzo pieno di dubbi. “Ma a fare cosa?”

E se invece li ha portati a Bologna?” insiste Vanessa, ignorando le parole di Luca.

Boh!” risponde il ragazzo, alzando le spalle perplesso.

In uno dei libri presi in biblioteca” fa Vanessa, mentre stringe gli occhi per aiutarsi a ricordare, “mi pare che sia stata trovata una misteriosa cassetta in una chiesa sull’Appennino”.

Forse mi sembra di aver letto qualcosa del genere” dice Luca poco convinto che si tratti della medesima cassetta. “Ma senza conoscere il contenuto, qualsiasi ipotesi è valida”.

Anche a Chartres Pietro ha prelevato qualcosa” dice Vanessa. “Forse l’ha consegnata a Chiaravalle”.

Probabile” ammette Luca stanco per la guida. ‘Ancora un piccolo sforzo, poi…’ si dice, muovendo il collo dolorante per sciogliere i muscoli della cervicale.

Arrivati sulla Costa Azzurra, all’altezza di Cannes sulla A8, il cielo limpido e il mare, che si sta calmando, li accolgono festosi. La distesa si tinge di rosso per il tramonto, mentre il sole cala alle loro spalle.

Ancora un piccolo sforzo” dice Luca, sapendo di mentire, perché manca ancora un’ora abbondante di strada, “e poi siamo a Mentone”.

Sì, negriero” replica sarcastica Vanessa. “Nemmeno una sosta per la pipì mi hai fatto fare. Se non arriviamo in fretta, sarò costretta a farla qui dentro”.

Hai problemi alla vescica?” le chiede ironico Luca.

No, ma una sosta avrebbe fatto bene” dice la ragazza, mostrandogli la lingua.

Prendi il mio telefono” le dice Luca. “Prenota a Mentone”.

Vanessa spalanca gli occhi verdi e apre la bocca per la sorpresa. “Prenoto? Sai già il nome dell’albergo?”

No” fa Luca ridendo. “Ne cerchi uno”.

La ragazza scuote i riccioli rossi, rimettendo nel portaoggetti il telefono. “Lo cerchi e prenoti tu” fa risoluta vanessa.

Va bene” concorda Luca. “A Nizza mi fermo e lo faccio”.

Sosta rapida” gli intima Vanessa. “Già qualche goccia mi è scappata”.

Luca ride, mentre imbocca l’uscita 50, Nice – Promenade des Anglais, per dirigersi verso il centro città. Nelle vicinanze del porto parcheggia e comincia a cercare un albergo a Mentone. Ce ne sono molti ma c’è un unico quattro stelle, neppure troppo caro.

Va bene il Napoleon Hotel o preferisci Le Dauphin?” fa Luca, fingendo di lasciare la scelta a Vanessa.

La ragazza sgrana gli occhi verdi e apre la bocca senza dire nulla, prima di esplodere un “Vaffanculo, stronzo! Che ne so quale dei due è il migliore”.

Perché?” domanda con fare ingenuo Luca.

E me lo chiedi?” replica con gli occhi stretti per la collera.

Ho capito, ho capito! Non farti alzare la pressione” dice con un sorrisino ironico il ragazzo. “Prenoto il quattro stelle”.

Che sarebbe?” chiede Vanessa, che si ricompone dopo lo scatto di nervi, stringendo le gambe. La necessità di urinare diventa sempre più impellente

Napoleon” fa Luca, mentre compone il numero. “Sul lungomare a un chilometro dal confine”.

La stanza c’è ma il posto macchina no. Attraversata Nizza, un’ora più tardi parcheggiano davanti all’hotel.

Siamo i signori Felici” dice Luca, presentandosi alla reception. “Abbiamo telefonato un’ora fa per una stanza matrimoniale per stanotte. Mi potrebbe indicare un posto nelle vicinanze, dove posteggiare la macchina senza prendere la multa?”

Vanessa con gli occhi spalancati e furenti freme, perché ha necessità urgente di un servizio e perché ha fatto credere che lei sia la sua compagna. ‘Me la paga’ si dice, stringendo le gambe per la necessità urgente di vuotare la vescica.

Tu sali” fa Luca, “mentre io vado a trovare il posto per parcheggiare”.

Pierre è fuori, poco oltre l’ingresso dell’hotel, in attesa sulla Mini.

Vanessa prende la chiave e chiama l’ascensore per salire in camera. Entrata, si precipita in bagno, dopo aver lasciato i bagagli vicino alla porta. Con frenesia si toglie i pantaloni e gli slip, che abbandona sul pavimento, senza controllare se il servizio è pulito a dovere. Non ne ha il tempo, prima di lasciarsi andare a una sofferta liberazione. Qualche goccia è comunque scappata, inumidendo le mutandine di cotone.

Sembra una piccola cascatella, mentre le sfugge dalla bocca un sospiro di sollievo. ‘Non avrei resistito un minuto di più’ si dice, indugiando tranquilla sulla tazza.

Sente dei rumori provenire dalla porta, mentre si asciuga.

Luca sei tu?” chiede senza ottenere risposta. “Non fare lo sciocco. Lo so che sei tu”.

Si alza ed esce dal bagno con gli indumenti in mano. Un passo poi il buio.

Non passava giorno – cap. 29

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Un nuovo capitolo si aggiunge a quelli vecchi e sono già 29. Per chi morisse dalla voglia di leggerlo lo può fare qui, su Nuovoorsobianco.
Buona lettura.
O.T. per qualche ritardatario che curioso volesse iniziare la lettura dal capitolo primo ecco qui il link. Poi basta selezionare il cap. 2 e via di seguito.

Non passava giorno – cap. 28

 

Le linee parallele si incrociano
Le linee parallele si incrociano

Il tè era ormai freddo, dimenticato da Laura e Marco, che parlavano di loro, delle sensazioni che avevano provato e superato durante la separazione. Sembravano due vecchi amanti, che si ritrovavano dopo una lunga lontananza con la speranza di riannodare i fili dei ricordi e dei sensi.

 

Marco, tra una pausa e un discorso interrotto da un bacio furtivo, rimuginava sui motivi che l’avevano spinto a correre da Laura. Lei aveva chiesto aiuto per risolvere un problema che l’assillava da tempo. Tuttavia l’argomento non era stato nemmeno sfiorato. Attese paziente che Laura lo introducesse, mentre la lasciava parlare senza interruzione.

 

Laura, come una folata di vento scompigliava pensieri e chiome in un turbinio di polveri e cartacce, all’improvviso cambiò il tema della conversazione.

 

Ricordò il primo rapporto avuto con lui.

 

Non era la prima volta che dormivamo insieme” disse Laura, mentre Marco faceva un cenno affermativo con la testa. “Ma solamente un anno dopo esserci conosciuti abbiamo fatto all’amore, mentre in precedenza mi avevi solo sfiorato con le mani”.

 

Marco aveva un ricordo nitido di quella volta e di come l’aveva assecondata, affinché accantonasse ansie e timori. Fece solo un sorriso senza interromperla. Preferiva ascoltarla e capire il motivo della richiesta di aiuto. Di sicuro, pensò, non è per ricordare quegli episodi ma devo essere paziente.

 

Non volevo stare nuda o spogliarmi in tua presenza” gli disse, arrossendo. “Lo facevo, mentre tu non c’eri oppure al buio accettavo che lo facessi tu”.

 

Marco annuì. Rammentava bene quelle manie, che le prime volte lo avevano infastidito. Col tempo le accettò come un gioco erotico.

 

Provavo vergogna a guardarti spogliato” aggiunse Laura, che abbassò lo sguardo con le guance rosse per la vergogna. “Quante piccole manie è stato costellato il nostro rapporto, senza che tu avessi mai dato un segno di insofferenza”.

 

Marco sorrise, perché sapeva che non era vero che lui avesse accettato senza fastidi quelle fisime. Tuttavia non le volle togliere l’illusione che fosse la verità.

 

Volevo il buio completo per fare all’amore. Al termine dovevo lavarmi per eliminare i segni del rapporto. Non riuscivo ad assaporare il gusto del piacere” gli disse con sincerità. “Mi rimaneva un senso di colpa che non ero in grado di gestire. Durava molte ore”.

 

Marco inarcò un sopracciglio per la sorpresa. ‘Questa confessione’ pensò, ‘mi coglie impreparato. Ero convinto del contrario’.

 

Laura proseguì nell’esternare altri dettagli, che Marco ignorava o non aveva compreso la natura.

 

Quando mi lavo le parti intime” disse senza guardarlo negli occhi, “provo un senso di vergogna. Le mani veloci passano sul corpo, mentre con la mente dovo pensare ad altro”.

 

Nella testa di Marco cominciava a prendere forma il motivo della misteriosa telefonata che l’aveva fatto accorrere da lei. Anche in questo momento, rifletté, non riesce esprimere con chiarezza il problema che la assilla. Deve fare un lungo giro di parole. Deve affrontare la questione, prendendola alla lontana, perché si vergogna delle sue paure.

 

Laura osservò il viso di Marco, che aveva il viso disteso, come se avesse già capito dove voleva arrivare con le sue parole. ‘Dunque ha intuito quello che gli voglio dire’ si disse rinfrancata. Trasse un profondo respiro prima di trovare la forza di aggiungere un altro tassello alle sue ammissioni.

 

É questo il tema sul quale voglio confrontarmi con te” fece Laura, facendo una pausa, prima di riprendere la confessione.

 

Tu non mi hai messa a disagio. perché hai compreso il mio stato d’animo confuso e incerto. Non hai mai forzato oppure imposto la tua volontà ma mi hai assecondata con discrezione nelle mie fobie”.

 

Marco annuì senza dire nulla. Non voleva interromperla o bloccare quello che stava ammettendo.

 

Col tuo atteggiamento sono riuscita” proseguì Laura, che adesso lo guardava senza remore negli occhi, “a vincere la mia personale guerra. Sempre in bilico tra la voglia di amare e le paure inconsce, che non riuscivo a dominare. Ero soggiogata dai mille tabù, ascoltati per molto tempo in famiglia”.

 

Laura fece una pausa nella speranza di sentire la voce di Marco.

 

Prosegui” la incitò. “Non voglio interrompere il tuo discorso. Parlerò alla fine”.

 

Questo incitamento le diede la forza di aprirsi ancora.

 

Con te mi sono sentita, sia pure in maniera effimera e passeggera, una donna piena di passione. Pronta ad amare ed essere riamata. Avvertivo forte il bisogno di sesso” proseguì Laura. “anche se ogni volta dovevo vincere il tumulto dei tabù che si agitavano dentro di me”.

 

Eppure dopo quella prima volta” disse Marco, “percepivo la tensione iniziale che si scioglieva, mentre facevamo all’amore”.

 

Laura sorrise ma doveva ancora confessare qualcosa, aprire la propria anima, sperando di non ferirlo con quanto avrebbe aggiunto.

 

In questi otto mesi” cominciò con cautela, “più di un uomo mi ha corteggiata ma li ho respinti tutti. Li ho allontanati, perché pensavo a te. Ma non solo per questo. Le paure sono riemerse prepotenti dal subconscio. Mi si è bloccata la psiche, rifiutando qualsiasi approccio maschile”.

 

Laura si fermò timorosa della reazione di Marco a questa rivelazione. Lui le fece un cenno di proseguire.

 

Il timore di non riuscire a superare l’impatto del letto” disse la ragazza rinfrancata, “è stato talmente intenso da annullare qualsiasi altra istanza”.

 

Dunque è questo l’argomento al quale dobbiamo trovare una soluzione?” chiese Marco. “É come vincere le tue paure?”

 

Sì. Vorrei parlarne con te, perché mi hai sempre capita” disse Laura rincuorata. Era riuscita a esporre il problema che l’assillava da tempo senza perdersi in giri di parole inutili. “Vorrei capirne il motivo, vorrei essere come tutte le altre donne”.

 

Marco aggrottò la fronte per il disappunto che l’argomento non verteva sui loro rapporti o su una richiesta di ricucire lo strappo. Però la distese quasi subito, perché la questione non intaccava la sua decisione di troncare la loro relazione.

 

Sono disponibile ad aiutarti per trovare una soluzione alle tue fobie” disse Marco visibilmente sollevato, “ma ne parliamo, quando Sofia se ne sarà andata”.

 

Il ragazzo fece una pausa prima di giustificare le sue parole.

 

Ora potremo avviare un discorso delicato, che è troppo lungo da completare, prima dall’arrivo di Sofia” fece Marco. “Stanotte lo affronteremo con calma trovando le giuste risposte“.

 

D’accordo” rispose Laura. “Adesso però desidero fare l’amore con te. É da mesi ci penso”.

 

Si” disse Marco, “ma alle mie condizioni”.

 

Va bene” acconsentì Laura senza riflettere, “anche se non le conosco”.

 

Marco chiuse porta e imposte, accese tutte le luci e la invitò a spogliarsi insieme a lui.

 

Laura rimase impietrita senza riuscire a dire nulla, mentre lo osservava a togliersi giacca, camicia, pantaloni, scarpe rimanendo con gli slip. Lui la guardò con durezza, stringendo i muscoli della mascella.

 

Avevo capito che volevi fare all’amore” fece Marco con tono ironico. “Visto che sei rimasta vestita, forse ho equivocato sulle parole, fraintendendoti”.

 

Detto questo, cominciò a rivestirsi.

 

Devo ammettere di avere commesso un errore venendo a Milano” disse Marco, stringendo gli occhi per il nervosismo. “É opportuno che riprenda la strada per Ferrara, prima che faccia buio”.

 

Laura lo osservò ipnotizzata e bloccata anche nelle parole, rimanendo in silenzio, mentre gli mancava solo la giacca da indossare. In quel preciso istante Laura si scosse dal torpore che l’aveva avvolta e cominciò a togliersi il vestito rosso ma lo fece come se facesse uno spogliarello.

 

Marco la guardò sconcertato.

 

Sembri l’emula di Kim Bassinger” esclamò, sgranando gli occhi. Quasi non la riconosceva in queste movenze sensuali.

 

Laura, rimasta con reggiseno e mutandine, scoppiò a piangere senza apparente motivo con le braccia, che cadevano flosce sui fianchi. Marco si avvicinò, la prese per mano mettendola a sedere sul letto.

 

Chiedi il mio aiuto, ma poi lo rifiuti” le disse. “C’è un segreto che non vuoi rivelare?”.

 

Senza aspettare la risposta di Laura, con delicatezza le tolse il reggiseno e la baciò con passione. La distese dolcemente sul letto, mentre i due corpi diventarono uno solo. Le lingue si cercarono, le mani accarezzarono la pelle e i capelli, mentre i gemiti preannunciavano la passione.

 

Marco disse sussurrando: “Sfilami gli slip, come farò con te”.

 

Laura bisbigliando rispose: “No, prima spegni le luci. Non riesco a vedermi nuda”.

 

Lui si staccò e la guardò serio. “Gli accordi erano che l’avremmo fatto alle mie condizioni. Le luci restano accese. Se hai cambiato idea, dillo che me ne vado”.

 

Laura si sentì perduta, in trappola. “Farò come vuoi”.

 

Adesso erano nudi con le luci accese. Lui cercò la sua bocca, poi scivolò dietro all’orecchio per scendere sui capezzoli e sempre più giù. La lingua esplorava, bagnava, la bocca succhiava e donava piacere. Lei sembrava passiva nel ricevere la passione che Marco trasmetteva.

 

Prese la sua mano con decisione, mentre la guidava senza esitazioni alla ricerca del monte di venere. Laura allargò istintivamente le gambe, mentre quelle di Marco cercavano i capezzoli.

 

Lentamente anche Laura divenne attiva, cercando il suo corpo. Tutte le paure sembravano svanire, come il buio sfuma al sorgere dell’alba.

 

Ti amo” sussurrò Laura.

 

Anch’io” fu la risposta di Marco, che si staccò da lei per spegnere le luci.

 

Un’ora di passione trascorse in un baleno. Fu indimenticabile per entrambi prima di giacere esausti nel letto a guardare le loro nudità.

 

Laura sorrise soddisfatta perché aveva compiuto un primo piccolo e timido passo per superare le sue paure.

 

Un storia così anonima – parte quarantaseisima

Tramonto - Foto personale
Tramonto – Foto personale

Monastero di Chiaravalle – 14 dicembre 1307 ora nona – anno secondo di Clemente V

Pietro la mattina del dieci dicembre si mette in cammino sotto una leggera nevicata. La strada è bianca e ghiacciata. Il frate ha seguito il suggerimento dell’oste, che gli ha consigliato di partire subito, senza indugi.

Se vi mettete sul sentiero che porta verso la pianura” gli ha detto, mentre depone sul tavolo latte e pane dolce per colazione, “in una giornata di cammino siete fuori dalle montagne. Da stanotte il tempo peggiorerà e rischiate di rimanere bloccato tra questi monti per non so quanti giorni”.

Il frate ha annuito, terminando di bere il latte di capra, appena munto, ancora tiepido. Ha chiesto qualche pagnotta dolce da mangiare durante il viaggio, prima di partire al primo albore sotto un cielo latteo.

Pietro, avvolto nel mantello bianco, mentre scende con prudenza verso fondovalle, riflette sulla missione che il Cardinale Caetani gli ha affidato. La sacca, di cui ignora il contenuto, ha un destinatario ben definito. Un monaco cistercense, Berthod de la Roche. Tuttavia le sue preoccupazioni sono rivolte verso la cassetta lignea, che conserva nella bisaccia. Non sa cosa farne. Non conosce la destinazione. ‘Conservatela con cura’ gli aveva detto il Cardinale. ‘Saprete riconoscere la persona a cui affidarla, quando si presenterà’. Una frase sibillina, che non dice nulla ma allo stesso tempo dà un’indicazione su chi la dovrà prendere in carico. Si domanda, se sarà in grado di portare a termine questo compito con successo. ‘Saprò riconoscere il destinatario di questo bene prezioso?’ si chiede Pietro, mentre continua la discesa verso la pianura di Lombardia. La neve scende a tratti copiosa e a tratti lieve.

‘Devo aver fede in Gesù, in Maria e in Maria Maddalena’ pensa il frate. ‘Non posso essere sopraffatto da pensieri negativi. Verrei meno al mio giuramento da Templare. Ogni missione sarà condotta a termine a sprezzo della mia vita’.

La giornata volge al termine, mentre le prime avvisaglie dell’oscurità incombono su di lui. L’oste gli ha detto che al termine del sentiero avrebbe incontrato un piccolo paese con una locanda pulita e accogliente. Però Pietro non ha incrociato anima viva, né abitazioni. Un cammino in piena solitudine in mezzo a un panorama spettrale. Non dispera. La fede lo sorregge mentre avanza con cautela lungo il sentiero tra due stretti contrafforti.

Pensa ai confratelli che ha lasciato nella magione di Bologna. Si domanda come se la sono cavata in questo mese. Il maestro era vecchio. ‘Sarà ancora in vita?’ si domanda il frate, mentre procede nell’oscurità sempre più densa. ‘Ma io riuscirò a tornare dai miei confratelli?’. Ancora un pensiero negativo. ‘Devo avere fede’ si disse, mentre gli pare di vedere delle luci in lontananza. Sprona il bardo, perché forse sono finite le sue ansie. É il villaggio che l’oste gli ha indicato, dove potrà trovare alloggio per lui e il suo cavallo. Una pioggia gelida ha sostituito la neve e le montagne sono alle sue spalle.

La mattina seguente al primo albore Pietro si rimette in cammino. Le strade sono un pantano vischioso che rallentano la marcia. Il bardo fatica ad avanzare e il Po è ancora lontano. Una pioggia silenziosa e battente lo accompagna nel suo viaggio verso il Monastero di Chiaravalle.

Tre giorni dopo verso il vespro Pietro è davanti al portone dell’Abbazia Sanctae Mariae Claraevallis Mediolanensis. Il complesso monacale è costruito per metà. Sono evidenti i lavori da compiere. La facciata della chiesa adiacente il monastero è incompleta, si notano delle impalcature nella zona posteriore. Intorno riaffiorano i vecchi acquitrini, che i monaci hanno bonificato nel passato e che il maltempo ha fatto riemergere. Il cielo è grigio, gonfio di pioggia. Picchia con energia il portone e attende con fiducia che qualcuno lo apra.

Sono un viandante che chiede riparo presso di voi” fa Pietro, quando il monaco guardiano apre uno spiraglio per vedere chi bussa.

Entrate” gli dice, spalancando il portone.

Che il Signore sia con voi” esclama Pietro che entra a piedi col cavallo.

Sempre sia lodato” è la risposta.

Il frate sistema il bardo nelle stalle, prima di recarsi nella cella che gli hanno offerto per la notte. É piccola e stretta, illuminata debolmente da un grosso cero. Addossato alla parete c’è un tavolaccio di legno con un pagliericcio, mentre da una minuscola finestra entra un po’ d’aria. L’umido delle pareti si confonde con l’umidità delle vesti, zuppe di acqua.

Pietro è stupito che nessuno lo presenti all’abate dell’abbazia. Conosce le regole ma pare che si siano dimenticati di lui, finché non ode i rintocchi di una campanella che invita i monaci nel refettorio. Esce dalla sua cella e raggiunge i monaci. Sono in fila indiana e passano davanti a una fontana, da cui zampilla un getto d’acqua sotto cui ognuno deterge con forza le mani. Pietro li osserva e aspetta con pazienza il suo turno. L’acqua è gelida ma nessuno ha un moto di brivido. Il frate raggiunge il refettorio, che è un’ampia sala rettangolare, suddivisa da due file di colonne, spoglia e scarsamente illuminata. Tre tavolate di solido legno di noce formano una U e stanno nel centro della stanza. I monaci prendono posto sul lato esterno. Pietro si siede in mezzo a loro. Il cibo è già servito in una scodella di stagno. Davanti sta una piccola brocca di terracotta, di cui il frate riconosce la misura di una hemina. É un’usanza di sua conoscenza. Vino o sidro di mele al posto dell’acqua, non sempre buona da bere. Una pagnotta di pane bianco sta accanto alla scodella. Una zuppa calda di verdure è il sommario pasto serale. Non si sente un fiato. Tutti in silenzio, mentre un monaco, posto nel mezzo dell’apertura della U, legge ad alta voce alcuni versetti della Bibbia alternati ai sermoni de Il Cantico dei Cantici di Bernardo di Chiaravalle. Pietro prima di iniziare a bere dalla tazza si osserva intorno. Sa che gli usi cistercensi nel refettorio hanno quasi un carattere liturgico e non vuole stonare. Afferra la scodella con le due mani per iniziare il pasto serale. ‘C’è tempo per chiedere di Berthod’ si dice, mentre beve un liquido dal colore informe. ‘Domani con le dovute cautele mi informo’. Pulisce con coscienza la stoviglia con un boccone di pane, finché non appare come se fosse stata lavata. Si pulisce la bocca con una pezzuola di ruvido cotone su cui sta appoggiata la pagnotta, dopo aver finito il contenuto della tazza oppure avere bevuto il vino dalla brocchetta.

Tre tocchi della campanella invitano i monaci nella piccola chiesa accostata al chiostro per le orazioni serali di ringraziamento del pasto serale. Tutti in silenzio si alzano e in fila indiana si avviano fuori da refettorio. Pietro li segue, anche se avrebbe voluto sistemarsi presso un camino acceso per asciugare i panni che indossa. Segue con devozione le lodi serali, si confessa e assume l’ostia consacrata. Adesso si sente più sollevato dopo essere rimasto per troppo tempo lontano dai sacramenti. Al termine della cerimonia tornano silenziosi nell’unica stanza, che funge da dormitorio comune, in attesa della sveglia del mattino. Pietro conosce bene la vita del monastero e senza fretta si ritira nella propria cella. Prima di distendersi sul tavolaccio sotto una ruvida coperta, si volta verso levante per ringraziare Gesù, Maria e Maria Maddalena per la giornata odierna. La stanchezza del viaggio vince la durezza del legno e il freddo umido che penetra nelle ossa.

Sei tocchi della campanella lo svegliano per ricordargli che le preghiere del mattino stanno per iniziare. Pietro si leva indolenzito ma riposato. Inginocchiato verso levante recita le sue solite orazioni prima di recarsi in chiesa. Osserva quei monaci, cercando di di individuare l’abate, il capo spirituale di questa comunità monacale. ‘Non sarà facile’ si dice Pietro, passandoli in rassegna. Sono vestiti tutti uguali nelle loro tuniche bianche. ‘Dovrò chiedere dell’abate a qualcuno. Da solo non sono in grado di individuarlo’. La regola di Bernardo è chiara. L’abate non consuma i pasti col resto della comunità, né dorme con loro. Ha una cucina che serve lui e i suoi ospiti e non partecipa alla vita comune. Quindi è difficile che sia fra i monaci in chiesa.

Pietro però non dispera che sia tra loro. Individua un monaco dalla lunga barba bianca, che si confonde con la tonaca. Si avvicina per assumere informazioni.

Siete l’abate di questa comunità?” domanda Pietro, quasi certo che non lo sia.

No” risponde stupito il monaco. “Lo cercate?”

Sì” fa Pietro, abbassando gli occhi con umiltà. “Pensavo che foste voi”.

Il monaco sorride, lusingato dall’accostamento. Gli fa un cenno di seguirlo, riprendendo la regola del silenzio che ha interrotto per rispondere. Usciti dalla chiesa, entrano nel chiostro del monastero e percorrono un lungo corridoio per arrivare alla sala capitolare. Durante il tragitto Pietro ammira l’eleganza delle colonnine e osserva i lavori che stanno facendo per erigere il campanile di fianco al tiburio. Al suo arrivo non ha compreso a cosa servissero i ponteggi che ha notato dall’esterno.

Ecco” fa il monaco, accennando col capo una porta socchiusa. “Qui trovate l’abate, Gerardo da Giussano. Sta aspettando i fratelli per il capitolo dopo le lodi mattutine”.

Pietro lo ringrazia, mentre bussa alla porta semiaperta. “Entrate” dice una voce dal tono fermo. Il frate spinge con cautela la porta di noce, varcando la soglia. La stanza è spaziosa, illuminata da grandi vetrate poste in alto. É di forma semicircolare, addossati alla parete stanno degli stalli con dei sedili di legno molto rustici e spartani. Al centro della stanza c’è lo scranno, alto e imponente, dove siede l’abate.

Avvicinatevi” dice il monaco, osservando Pietro.

Sono Pietro da Monte Acuto, perceptor della magione di Bonomia et Mutina” fa il frate, inginocchiandosi di fronte all’abate.

Il monaco gli fa cenno di alzarsi. “Vi ascolto” dice, appoggiando il capo sulla mano.

Sono qui” inizia Pietro, “su commissione del Cardinale Caetani, dovendo consegnare un oggetto al fratello Berthod de la Roche”.

L’abate rimane in silenzio, riflettendo sulle affermazioni del templare. La regola impone che qualsiasi oggetto destinato a un monaco debba essere consegnato a lui. Tuttavia c’è un impedimento che lo trattiene dal richiedere la consegna.

Fratello Berthod non è qui” dice l’abate.

É morto?” si informa Pietro sbigottito.

No. É in viaggio per il monastero di Valvisciola” fa l’abate. “Ma l’oggetto…”.

Non so cosa sia” lo interrompe Pietro. “É custodito in sacchetto, di cui ignoro il contenuto. Il Cardinale Caetani mi ha ordinato di consegnarlo nelle mani di fratello Berthod”.

Mentre Pietro sta parlando con l’abate, in silenzio la stanza si popola di monaci che si siedono negli stalli accostati alla parete. Capisce che è un momento di raccoglimento per la comunità e accenna ad allontanarsi. Non vuole creare disturbo con la sua presenza.

Restate” gli dice Gerardo, accompagnando le parole con un cenno della mano. Pietro resta in piedi alla destra dello scranno. Un monaco si alza per leggere il martirologio del santo del giorno. Oggi è San Giovanni, uno dei tanti Giovanni celebrati dalla chiesa. A seguire Pretiosa, l’orazione monastica mattutina, e una regola di Bernardo del loro ordine. Al termine della lettura l’abate la spiega ai confratelli, affinché la possano seguire senza errori.

Chi ha mancato oppure ha trasgredito le nostre Regole” disse l’abate con voce ferma nel silenzio assoluto della sala, “si faccia avanti per accusarsi”.

Pietro percorre con lo sguardo in modo circolare quel consesso che siede tacito, notando che qualcuno si agita leggermente rispetto al resto che rimane perfettamente immobile. Nessuno si leva per autoaccusarsi, nonostante sia chiaro la presenza di monaci, colti in flagranza di peccato.

L’abate ripete la formula di autoaccusa tre volte, prima di chiedere a qualche fratello se è a conoscenza di monaci sospetti di avere trasgredito le regole.

Pietro trova disgustoso questo modo di procedere, perché la delazione è più peccaminosa della trasgressione stessa. Nello stesso tempo capisce che questi monaci, che non hanno il coraggio di proclamare i propri errori, sono altrimenti da biasimare con fermezza. Ascolta in silenzio, continuando a muovere gli occhi circolarmente per osservare i loro visi.

Si alza un monaco che con voce ferma accusa un giovane monaco, Adalberto, di avere mancato la regola de Humilitate del fratello anziano, Bertrando. Nella sala non si sente nemmeno il respiro. L’abate corruga la fronte e chiede al giovane di alzarsi.

É vero?” gli domanda.

Sì” sussurra il monaco, con lo sguardo rivolto a terra.

Più forte” gli intima l’abate.

Sì” dice Adalberto con voce alta appena incrinata dalla vergogna.

Al giovane monaco vengono impartite tre vergate sulla schiena. Pietro assiste in silenzio alla punizione, che trova eccessiva per l’infrazione.

Nessun altro ha infranto le regole di questa comunità?” domanda l’abate, mentre con lo sguardo passa in rassegna gli stalli.

Un monaco si alza, incapace di guardare l’abate. “Io” dice.

Che regola avete infranto?” gli chiede.

Quater. Quae sunt instrumenta bonorum operum” confessa il monaco senza alzare gli occhi, aggiungendo. “Sesta, non concupiscere”.

Un leggero mormorio si leva dagli stalli, subito represso dall’abate. Dopo una breve riflessione gli comunica che per tre giorni starà in prigione e a digiuno con solo una brocchetta di acqua.

Pietro scopre che in una parte nascosta del monastero ci sono alcune celle adibite a carcere.

É quasi l’ora sesta, quando il capitulum viene sciolto e ci si prepara per il pasto di metà giornata.

Fratello Pietro” gli dice l’abate, “è usanza che gli ospiti mi facciano compagnia nel pranzo. Siete mio ospite. Così possiamo parlare con più calma. Quanto pensate di fermarvi presso di noi?”

Se non vi creo disturbo” risponde il frate, “pensavo la giornata odierna e la notte e riprendere il cammino domani dopo il primo albore”.

E così sia” concluse l’abate, alzandosi dallo scranno e avviandosi verso la propria cella con Pietro.

Apua, 14 dicembre 1307 ora nona – anno secondo di Clemente V

Louis percorre tutta la costa ligure verso la Tuscia. Il mare in tempesta ruggisce alla sua destra come un leone ferito. É grigio come il cielo e biancheggia contro la costa. Gli Appennini sono imbiancati fino quasi alla costa e solo le parti più basse si possono osservare, mentre il resto è avvolto nella nuvolaglia che si muove sospinta dal vento. Il percorso non è agevole e il tempo non aiuta la marcia. Il cavaliere è costretto a frequenti soste per ripararsi dagli scrosci di pioggia gelida che in certi momenti diventa nevischio. Chiede informazioni se il frate è passato o ha sostato in qualche locanda. ‘No, nessun monaco templare è passato o ha sostato qui’ è l’invariante risposta che riceve. Non riesce a capire dove sia finito. Pare che si sia volatilizzato, anche se gli sembra impossibile.

‘Eppure’ si dice dopo l’ultima risposta negativa, ‘da qualche parte deve essere transitato. Forse ha trovato rifugio da qualche parte in attesa che il tempo migliori. Non credo che abbia scavalcato gli Appennini dalle parti di Janua sotto una tempesta di neve. Sarebbe stato un pazzo. E lui non lo è. Inoltre facendo così, avrebbe allungato il viaggio di ritorno in modo considerevole’. Scuote la testa, mentre si avvolge ancora più stretto il mantello per ripararsi dalla pioggia insistente. Fa attenzione al sentiero fangoso per evitare di azzoppare il cavallo, il cui manto fuma per il sudore.

É l’ora sesta quando entra in Apua, uno snodo importante sulla via Romea. Infreddolito e affamato Louis cerca una locanda per riposare e una stalla per dare respiro alla cavalcatura, che accenna a zoppicare, perché nell’ultimo tratto ha perso il ferro del posteriore destro.

Pensa solo a riscaldarsi e a mangiare. Per le domande c’è tempo. Non ha fretta, perché ha capito che il frate ha seguito un percorso alternativo al suo. ‘Forse’ pensa, mentre col cucchiaio porta alla bocca tocchi di pane di segale e di maiale, ‘ha scavalcato gli Appennini più a nord per raggiungere la pianura di Lombardia. Ma dove?’ Ritiene inutile cercare di capire il punto, perché ormai gli è sfuggito e non c’è tempo per rimediare.

‘Devo arrivare al più presto a Pisae per parlare con frate Giovanni, l’arcivescovo, come mi ha suggerito il cardinale Colonna’ si dice, mentre pulisce la scodella con un pezzo di pane. ‘É un ecclesiasta fidato, che parteggia per il cardinale contro la fazione opposta. Di certo mi potrà dare delle indicazioni preziose o attivarsi contro quel frate’.

Comunque non rinuncia a chiedere se per caso il frate fosse passato di lì.

No” è la risposta in pratica uguale alle precedenti, “nessun forestiero è transitato da qui da diversi giorni. Né verso la Tuscia, né verso Sce Moderanne. Il tempo inclemente consiglia prudenza anche ai più temerari dei pellegrini”.

Dunque la sua intuizione è giusta. Non gli resta che parlare con l’arcivescovo di Pisae e poi decidere cosa fare. ‘Ormai il frate’ riflette Louis, ‘mi è scivolato tra le mani. É stato più abile di me’.

Una storia così anonima – parte quarantacinquesima

Ferrara- Angeli che suonano - Foto personale
Ferrara- Angeli che suonano – Foto personale

Rennes-le-Château, 1 marzo 2015, ore nove.

La notte è trascorsa tra incubi e dolori. Luca, quando ha aperto gli occhi alle prime luci che filtrano dalle imposte, ha emesso un sospiro di sollievo. Per non disturbare il sonno di Vanessa si era trasferito a dormire nell’altra stanza. Il taglio gli pulsa con fitte dolorose, l’emicrania non è né sparita, né attenuata.

‘Oggi’ si dice, aprendo con fatica le palpebre, ‘me ne sto a letto tutto il giorno’. Si gira sul fianco destro per trovare una posizione più comoda. Da qualunque parte si metta, percepisce che non va bene, a parte un sollievo momentaneo che dura pochissimo. Prova a concentrarsi senza un reale costrutto. Sente il respiro regolare di Vanessa attraverso la porta aperta. ‘Beata lei’ pensa Luca, girandosi su quello sinistro. ‘Chissà come sarà la giornata. Sole o nuvole?’

Si assopisce in un dormiveglia più calmo rispetto a quello della notte appena trascorsa. Vede Henri che scappa impaurito, scatenando nel ragazzo una grande ilarità. ‘Quel codardo’ riflette, ‘ha paura di noi!’ Vanessa lo strattona per una manica, chiamandolo “Luca, Luca”. La voce gli sembra impaurita e molto diversa da quella che ricorda. Luca finge di non sentire. Ride in silenzio. ‘Ora ti preoccupi?’ si dice con un motto di soddisfazione. ‘Ma ieri non intendevi ragioni. E mi hai costretto a uscire’.

Sente sempre Vanessa che lo chiama “Svegliati!”. Però gli occhi paiono incollati, perché non riesce ad aprirli. Qualcuno lo scuote. Gli viene paura. ‘Sto sognando oppure Vanessa mi sta chiamando?’ pensa, scollando le palpebre a una fessura.

Luca, Luca. Non fare lo sciocco” lo implora la ragazza. “Vuoi farmi prendere un coccolone?”

Finalmente gli occhi mettono a fuoco il viso della ragazza, mentre fa un grosso sbadiglio. Osserva il suo volto, che trasmette preoccupazione. La fronte aggrottata, le labbra stirate.

Calma, Van” dice il ragazzo sollevandosi a sedere. “Va a fuoco la casa?”

Vanessa lo abbraccia, stringendolo forte. Il viso si distende e un accenno di sorriso compare sulla faccia della ragazza. Luca la lascia fare, sentendo il suo corpo morbido aderire al proprio. L’abbraccio dura a lungo prima che lei dica qualcosa.

Mi hai fatto prendere un accidente” afferma Vanessa che si stende accanto a lui, tenendolo abbracciato affettuosamente. “Ti sentivo borbottare qualcosa senza senso e non riuscivo a svegliarti”.

Stavo dormendo beato” mente Luca, baciandola sul collo. ‘Che strano’ riflette il ragazzo. ‘Nessuna reazione. Anzi pare che le piaccia. Che mi debba dare un’altra botta in testa?’

La ragazza ride, perché ritrova quel Luca ironico e simpatico che l’ha sempre attratta e che ha cementato la loro grande amicizia. Si stringe con maggior forza all’amico e trova piacevoli quelle labbra sul collo.

Cosa pensi di fare oggi?” gli chiede, sollevando lo sguardo verso di lui.

Oggi è domenica” le dice. “Si santifica la festa, oziando”.

Ridono entrambi. Gli ultimi avvenimenti li hanno tenuti sulla corda, tesi e impauriti. Adesso pare che la bufera si stia allontanando.

Bene” esclama Vanessa. “Una settimana di relax. Speriamo che il tempo viri al bello per poter passeggiare nei dintorni”.

Saggia proposta e ottimo proposito” fa Luca, affondando il viso nei ricci rossi della ragazza. “Nessuna ricerca dei segreti di Pietro”.

Rimangono in silenzio, abbracciati con tenerezza. I loro respiri sono all’unisono come se fossero un corpo unico. Poi Luca interrompe l’atmosfera lieve e rilassante. “Credo che non abbiamo più nulla da scoprire in Francia” afferma il ragazzo. “Non rimane che tornare in Italia alla ricerca di altre tracce”.

Vanessa si stacca e lo guarda in viso corrucciata. ‘Quello sciocco’ pensa, ‘ha rotto l’incantesimo, parlando del nostro frate’.

Il nostro cronista” prosegue Luca, come se pensasse ad alta voce, “non ci viene più in aiuto. Pietro, dopo essere sbarcato e aver raggiunto la pianura padana, arriva a Chiaravalle senza trovare la persona a cui deve consegnare un sacchetto misterioso. A proposito cosa contiene?”

Vanessa sbuffa, perché stava bene accoccolata su di lui. Adesso deve rispondere alla sua domanda. “Non saprei” dice leggermente stizzita.

Poco importa” afferma il ragazzo. “Quello di certo è stato consegnato a Berthod de la Roche. Ma è il misterioso cofanetto che mi incuriosisce. Ricordi quello che Il cardinale Caetani ha detto a Pietro?”

No” sbuffa la ragazza in modo rumoroso attraverso la bocca. “É l’ultimo dei miei pensieri attualmente. Ma non dovevamo scordarci Pietro e tutto il resto?”

Luca ride di gusto, spalancando gli occhi. Per la prima volta Vanessa molla la presa, da quando si sono visti dieci giorni prima. Gli sembra quasi un sogno. Tuttavia è convinto che sia un fuoco di paglia. La riabbraccia con calore, rimanendo in silenzio.

Sentono Mme Monzon che li chiama. “Petit dèjeuner”. I due ragazzi si guardano e scoppiano a ridere. “Alzarci?” dice Luca, spalancando gli occhi. “In camera!” Poi si rivolge a Vanessa. “Van, dì alla …” si ferma, perché stava dicendo ‘grassona’. Si corregge all’ultimo istante. “a Madame Monzon che la voglio a letto”.

Ma dai!” esclama la ragazza. “É talmente gentile che non posso chiederle questo. E poi non fa servizio in stanza”. Si alza e aggiunge. “Tempo cinque minuti e il principino è servito”. Prima che Luca possa replicare, sparisce dalla camera.

La giornata si srotola lenta tra il letto e la sala da pranzo. Il tempo è ancora corrucciato ma pare che voglia virare al bello.

Nei giorni seguenti il ragazzo, pur fingendo improbabili dolori, si riprende e fanno diverse escursioni nei dintorni, dove si respira un aria di mistero. Aleggia tutto intorno il mistero del tesoro dei Templari. Tutto pare in funzione di questo. I divieti, le librerie, il museo e i piccoli paesi che fanno da corona a Rennes-le-Château.

Dopo una settimana rilassante i due ragazzi prendono congedo da Mme Monzon.

Rennes-le-Château, 2 marzo 2015, ore dieci.

Pierre è tornato a Rennes-les-Bains per le medicazioni. La lingua duole e i graffi si stanno rimarginando. Deve usare precauzione, perché il taglio è profondo. Maledice ancora quei due italiani, che l’hanno conciato male. Fatica a parlare e deve assumere solo dei liquidi.

É immerso nei suoi pensieri, quando sente squillare il suo telefono. Guarda il display e gli scappa un’imprecazione.

Hello” dice, aprendo la comunicazione. Immagina che la conversazione non sarà facile ma nemmeno piacevole. Conosce il motivo di quella telefonata. Avrebbe voluto che fosse più in là nel tempo ma sospira di fronte all’ineluttabile.

…”.

Sì, Gran Maestro. Sono ancora alle calcagna di quei due italiani”.

…”.

No” risponde con una smorfia di dolore. Parlare gli costa fatica. “Non hanno scoperto nulla. O meglio non hanno trovato nulla. Sono furbi ma spero di mettere un po’ di sale sulla loro coda”.

…”.

Cosa dice?” fa Pierre, sgranando gli occhi.

…”.

Se questo è il suo volere” dice, corrugando la fronte, “sarà fatto”.

Il tono di libero fa capire che la telefonata è chiusa. Resta a osservare il cellulare, ripensando a quello che gli è stato ordinato. Non riesce a crederci, come se fosse un gioco da ragazzi. ‘Ma quali rischi corro?’ riflette. ‘Fa presto lui a dire fa questo, fa quello. Però chi si mette nelle peste sono io. Mica viene il Gran Maestro della Quercia a salvarmi il culo’. Scuote il capo, mentre infila in tasca il telefono. Quello che gli chiede è grosso ma sa che non può opporsi. Adesso però deve pensare a rimarginare la ferita in bocca nel migliore dei modi, perché ci tiene a tornare a mangiare cibi solidi.

L’ordine del Gran Maestro della Quercia è perentorio. Deve mettere a punto una strategia che gli riservi il rischio minore. ‘Dove?’ si domanda. ‘Chi?’ e tutto non gli appare così semplice e in discesa. Per il momento può stare tranquillo. Non c’è urgenza, Tutto è sotto controllo. Mentre è immerso in questi pensieri, scorge in lontananza i due ragazzi. Gli sembrano due piccioncini innamorati. Sogghigna divertito, masticando amaro. Distende il viso, perché come un lampo ha chiaro la strategia da impiegare.

Non passava giorno – cap. 27

I tre cunicoli - su swashwords
I tre cunicoli – su swashwords

Lo stress per la storia finita male con Giulio a settembre dell’anno precedente aveva trascinato Agnese a sfiorare il disastro emotivo e fisico e aveva monopolizzato la sua mente nei mesi successivi. Risolto il problema, che l’aveva torturata per troppo tempo, in cima ai suoi pensieri c’era adesso Marco. ‘É vero che lo conosco in maniera troppo sommaria per sognare a occhi aperti’ si disse, pensando al prossimo incontro di mercoledì. In quel momento avrebbe saputo, se il suo intuito femminile aveva colto nel segno oppure aveva acceso solo fantasie inutili e pericolose. Con questi dubbi si addormentò sul divano.

Era già sera, quando aprì gli occhi, impastati di lacrime e rimmel. ‘Ho dormito’ pensò, fregando le mani intorpidite. Al buio cercò l’interruttore della luce, che l’accecò per una frazione di secondo. Si ricordò dell’appuntamento alle sette con gli amici. Guardò l’ora. ‘Sono già quasi le sette’ si disse. ‘Troppo tardi per raggiungerli’. E rinunciò a uscire.

Non aveva fame ma la tensione la indusse a mettere sotto i denti una mela rossa. Si sentiva sola e malinconica, non voleva cadere di nuovo preda della depressione. Nell’estate scorsa aveva rischiato di finire nel gorgo oscuro del male sottile, dal quale era uscita con fatica e molti sforzi. Rifletté che doveva fare attenzione a non ripiombare nella crisi.

Diede con rabbia un altro morso alla mela, mentre pensava che da oltre otto mesi non aveva avuto un rapporto sessuale. Da diverse settimane con grande fatica reprimeva gli stimoli, che si facevano sempre più insistenti. Quando la voglia cresceva, si parava dinnanzi ai suoi occhi il viso di Marco. ‘Non lo conosco. Non so chi sia. Eppure è sempre lui, che vedo’.

Percepì, mentre affondava con furia i denti nella mela, un desiderio prepotente di stare tra le braccia di un uomo. Non uno qualsiasi. Lo associava alle sembianze di Marco, mentre avvertì che il sesso si era inumidito. Le labbra si ridussero a fessura con un brivido a percorrerle la schiena, mentre ricordò uno degli ultimi travagliati rapporti sessuali con Giulio nell’agosto dello scorso anno. Ormai la loro relazione si era deteriorata in modo irreversibile e stava giungendo alla fine.

Era una calda serata, quando Agnese andò a letto con le sole mutandine, mentre Giulio era fuori con gli amici. Aveva il corpo caldo dentro e fuori per l’intenso desiderio di fare all’amore. Rimase sveglia in attesa del suo rientro. Quando lo udì, se le tolse e rimase nuda ad aspettarlo. Si pentì subito di questo gesto, perché aveva capito dalla voce che era alticcio e violento. Era troppo tardi per cambiare idea, quindi si rassegnò a subire passiva. Sperò che la sbronza gli avesse annebbiato la mente e la lasciasse tranquilla. Però quando Giulio la vide nuda, la prese senza troppe tenerezze. Non provò alcun piacere, mentre lui dopo il rapporto si addormentò, russando con l’alito pesante, impastato di alcol e fumo.

‘Piansi’ ricordò Agnese con gli occhi lucidi di lacrime in piedi vicino al bancone della cucina. ‘Non ebbi la forza di alzarmi per eliminare il seme, che lentamente era scivolato verso il lenzuolo, macchiandolo’. Mentre era sveglia, aveva riflettuto sulla sua vita che stava andando a rotoli per colpa di Giulio. Non era stata capace di darle una svolta definitiva e di trovare la forza di chiudere con lui. Il sonno tardava, perché la voglia era latente, come un mostro in agguato della preda. Quando sentì la mano di Giulio posarsi morbida sul monte di venere, un guizzo di piacere, che lui percepì chiaramente, la percorse fino alla testa. D’istinto divaricò le gambe, affinché potesse scivolare tra le cosce. Aveva sentito la sua mano frugare impertinente il sesso umido. Era pronta all’amplesso. Giulio senza nessuna delicatezza si introdusse dentro di lei. In pochi istanti lei raggiunse il culmine del piacere e avrebbe voluto interrompere il rapporto. Lui continuò rozzamente, finché altro liquido non le bagnò corpo e lenzuolo.

Nel ricordare quegli istanti Agnese provò adesso il medesimo desiderio di allora e cominciò a piangere in silenzio. Mentre le lacrime le bagnavano il viso, nella sua mente la scena mutò d’improvviso come se una magia avesse operato un miracolo. Corse nella camera da letto per infilarsi sotto le lenzuola, perché voleva proseguire nella sua fantasia erotica.

Era con Marco e Angela, così aveva battezzato l’ex, che la invitavano in un posto sconosciuto. “Vieni” le dissero, prendendola per mano.

Dove mi portate?” chiese con timidezza, mentre attraversavano porte e saloni, stanze e cortili. Nessuna risposta ma solo il loro sorriso a condurla attraverso un palazzo enorme e luminoso. Stava perdendo la cognizione di tempo e di spazio. Le sembrò di fluttuare nell’aria, come se il suo corpo fosse diventato immateriale. Mentre le fattezze di Marco erano nette e concrete, Angela sembrava eterea, diafana, senza volto.

‘Quale viso ha?’ si disse nel dormiveglia ‘Com’è? Dove sono?’

Non capiva in quale posto fosse. Si ritrovò in una grande stanza dalle pareti bianche e dal pavimento di lucido tek. Nel centro stava un letto a baldacchino, addobbato con fini lenzuola di lino ricamate. Spiccavano due cifre M e A sul risvolto di pizzo. Loro si spogliarono, depositando i vestiti su una poltrona di raso rosso. Agnese stava in piedi con indosso solo una camicia e gli slip. Percepiva imbarazzo a vedere quei corpi nudi che si infilavano nel letto.

‘Cosa sto a fare qui?’ si domandò confusa. ‘A scrutare l’intreccio dei loro corpi, a sentire i loro gemiti d’amore, a rubare attimi d’intimità a due persone sconosciute?’

L’immagine sfocò, mentre adesso era lei a godere i piaceri di Marco.

Poi sprofondò in un sonno pesante e senza sogni.

Facciamo il punto – aggiornamento delle mie pubblicazioni

Scrivere queste righe mi è costato qualche patema, perché mi sembra rubare un po’ della vostra attenzione. In particolare di abusare della vostra pazienza.
Veniamo al dunque. In questi giorni ho pubblicato il cartaceo de Le linee parallele si incrociano, come era mia intenzione dopo la pubblicazione digitale su Amazon, Smashwords, Mondadori, Ibook e tanti altri E-Store. La potete trovare qui su Amazon.it al prezzo di 8,30€.

Le linee parallele si incrociano
Le linee parallele si incrociano

Quasi in contemporanea ho pubblicato in digitale su Smashwords, Mondadori, Ibook e altri la versione rinnovata de I tre cunicoli a 1,77€ – prezzo di Mondadori – e la versione cartacea su Lulu a 11€. Per i possessori di Kindle si devono accontentare della versione mobi di Smashwords, perché Amazon ha rifiutato sia il cartaceo sia il digitale. Secondo loro ho usato materiale disponibile sul web e in particolare su newwhitebear.wordpress.com. Ovviamente ho contestato questa versione e ho ritirato i file, già pronti per la pubblicazione con tanto di ISBN. Un vero peccato perché il cartaceo sarebbe costato meno. Quindi ho ripiegato su Lulu. Comunque la mia esperienza Amazon è totalmente negativa. Non solo per questa odiosa discussione ma anche perché il due siti di autopublishing – Createspace e KDP Select – cercano di favorire le loro soluzioni a pagamento, ostacolando il fai da te. Pazienza.
I tre cunicoli - ebook
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I tre cunicoli - versione cartacea 11€
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Passiamo a un’altra notizia, che spero possa farvi piacere.
Dal 6 marzo al 12 marzo si tiene per il settimo anno la settimana internazionale dell’ebook, durante la quale autori e piattaforme offrono condizioni particolari per la lettura in digitale.
Quest’anno partecipo anch’io con i tre ebook pubblicati sulla piattaforma Smashwords
I tre cunicoli offerto in download gratuito in occasione della sua nuova uscita, anziché $1.99. Per scaricarlo usa il codice coupon VF93E.
Le linee parallele si incrociano viene offerto con lo sconto del 50% a $0.99 anziché $1.99. Per avere lo sconto usa il codice coupon LX67Y.
Goethe e la felicità nascosta
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Goethe e la felicità nascosta continua a essere in download gratuito.

Buona lettura