Una sera di mezza estate Benedetta…

Copertina Daniele

Benedetta è annoiata. Sbadiglia e intreccia le mani dietro nuca. «È una serata noiosa» e guarda fuori dalla finestra senza vedere nulla. I vetri bagnati non riflettono luci esterne. Si alza e si sistema davanti al computer. Spera di trovare un diversivo per spegnere la noia. Naviga un po’ e poi si collega a Youtube.

«Di solito ci sono video interessanti ma stasera pare un mortorio» borbotta con tono affranto.

Si mette ritta, spalanca gli occhi, non ci vuol credere. «Moreno ha pubblicato sul suo canale un video che è stato visto 65891 volte in due giorni!»

Ricontrolla. Il numero è giusto, anzi si è incrementato di tre unità. Controlla i video precedenti e i numeri sono impietosi: due, dieci, ventidue, zero,…

«Ma cos’ha di tanto interessante da suscitare la curiosità di tanti navigatori?»

Clicca per vederlo. Durata venticinque secondi. Un titolo insignificante “Pratoline”. Le prime immagini sono tremolanti, quelle successive sfocate. Nessun audio, né sottotitoli. Una miseria di video. Riapre il video e non cambia nulla.

«Non è possibile che Moreno col suo video abbia attirato oltre sessantaseimila navigatori» esclama sgranando gli occhi. Il contatore delle visite continua a girare a ritmo folle. «È pur vero che ho dato tre esami massacranti ma è strano non aver sentito nulla dal gruppo. Domani chiamo Luciano. Di sicuro ne saprà di più.»

I ricci rossi si muovono al tempo di musica. Da Itunes sta ascoltando l’ultimo pezzo di Cassandra Wilson. Decide di scaricare l’intero CD sul Ipod. Domani se lo gusterà con le cuffiette mentre va in Università con la metropolitana.

Benedetta è stanca, anzi stressata per l’esame sostenuto in mattinata. Le si chiudono gli occhi. Lei dorme sulla parte sinistra del letto e sul comodino c’è una bella pila di libri che aspettano di essere letti. Prende quello che sta in cima rischiando di far franare a terra gli altri. Dondolano pericolosamente ma per fortuna restano al loro posto.

È una serie di racconti scritti da una scrittrice bengalese dal nome complicato. Sono le storie di giovani bengalesi, come l’autrice, che vivono in America. Alcune sono veramente stranianti, altre allegre. Benedetta ha iniziato a leggere la storia di Neha e Asim. La trama la prende talmente che immagina di viaggiare da Oakland, dove vivono, a Chittagong insieme a loro. In questa città sono rimasti i nonni materni, Hita e Shamsur. Hanno ricevuto un cablo che li ha informati che il nonno era morto e tra due giorni ci sarebbero stati i funerali con la relativa cremazione. I due fratelli non hanno molto tempo per aspettare un volo diretto. Puntano su Mumbai, da lì con voli interni sperano di raggiungere in tempo Chittagong. Un viaggio massacrante per i fusi orari e per le tappe intermedie. Alle sei di mattina, ora locale, arrivano stravolti a destinazione al Shah Amanat International Airport. Noleggiano una macchina con autista e dai finestrini osservano un paesaggio che non è più a loro familiare. Quartieri degradati e altri puliti, accattoni che dormono nei giardini, lussuose macchine e altre che sembrano uscite da un rottamatore. Una leggera nebbia dovuto allo smog e all’orario ovatta le immagini che appaiono sfocate.

Per Benedetta quel contrasto sono una novità. Aveva letto che in quell’area del sudest asiatico ricchezza e povertà stanno a stretto contatto ma non immaginava che fosse così scioccante. Osserva i due fratelli che anche loro sgranano gli occhi per la sorpresa. Vivono ad Oakland dove sono nati e cresciuti. Lei lavora come ricercatrice nel campus della locale università e lui è odontotecnico. Neha, la sorella più grande, propone a Asim di andare a Bhasam Char, visto che il funerale del nonno si tiene all’imbrunire. «Solo due ore di traghetto. Quando eravamo piccoli, siamo venuti per visitare i nonni che ci hanno portati lì in gita.»

Asim scuote il capo. «Ora è nonna Hita ad aver bisogno di noi. Non possiamo lasciarla sola.»

Neha sorride. «Hai ragione. Ma per mezzogiorno siamo di ritorno. Rimaniamo con lei tutto il pomeriggio.» Poi ordina all’autista di portarli al porto dei traghetti.

Sono a metà strada, quando un turbine sconvolge quel tratto di mare nella Baia del Bengala.

Benedetta apre gli occhi stordita. Intorno non c’è assolutamente nulla tranne la sabbia e una luce abbacinante. La t-shirt di cotone azzurra è appiccata alla pelle, mostrando i segni del piccolo seno. Mani e gambe sono ricoperte di sabbia finissima chiara. Si sente smarrita. «Eppure ero sul traghetto.» Geme, mettendosi seduta. Le ultime immagini sono sfocate. Il vecchio che le ha offerto un fascio di foglie di betèl come segno di rispetto e di buon auspicio, lo sguardo adulto del neonato che la madre allatta placidamente. Poi il cielo sempre più scuro, gli animali sulla barca agitati, schiamazzi di gabbiani. Due marinai con gli occhi iniettati di sangue urlano indicando che i giubbotti sono sotto, nella stiva. Lo scafo imbarca acqua, le urla, il terrore, poi il buio.

Si sente osservata. Si gira con lentezza in circolo. Strilla. «Ahhhh!» Chiude la bocca impietrita dal terrore. Una scimmia a qualche metro di distanza la guarda di sbieco. Si muove con calma, sperando di non eccitarla. Però in apparenza non ha intenzioni bellicose. «Ti sei svegliata! Da dove vieni?»

«Parli? Sei tu che parli?» Balbetta con voce incerta.

«E chi se no? Vedi qualcun altro qui? Ma senti questa!» Puntualizza la scimmia che dal tono sembra innervosirsi.

«No, no, hai ragione.» Si affretta a calmarla. «È che non ho mai sentito una scimmia parlare. Dove sono?»

La scimmia fa una smorfia. Forse voleva sorridere. «Non lo so! Ero Bhasar Chor, prima che scomparisse. Mi son svegliata qui come te qualche giorno fa.»

Benedetta strabuzza gli occhi. Tutto gli sembra incomprensibile come se vivesse un sogno impossibile. «Come, scomparsa?» Farfuglia incespicando sulle parole. «La guida sul traghetto ci ha detto che è nata cinquant’anni fa dal nulla…»

«La guida! La guida? Ma dove vivi? Lo sai o no che le variazioni climatiche originate dall’effetto serra generano fenomeni estremi sempre più frequenti?»

«Sì,sì, ma…»

«Lo Tsunami del 2004 ha spazzato città e isole intere. Un’amica a Pucket s’è vista annegare due dei piccoli senza poter farci niente.»

«Mioddio! Sì, sì ma…noi ora cosa facciamo?» Benedetta ricorda di non essersi presentata e allunga la mano ma la ferma a mezz’aria imbarazzata. «Benedetta.»

«Chiamami Challow.» La scimmia si muove facendole segno di seguirla. «Vieni che t’insegno ad acchiappare granchi e gamberi. Sarà la nostra colazione, pranzo e cena. Poi speriamo di trovare qualcosa per ripararci dal sole. Rischiamo di bruciarci.»

La t-shirt, che non ricorda di possedere, e i calzoncini corti con qualche strappo che mostrano l’intimo, si sono asciugati. Sente pizzicare la pelle. La sua carnagione candida sta diventando rossa.

Challow prende un granchio e glielo porge. Lei prova a mangiarlo dopo aver rotto il carapace e spezzate le chele. L’interno è dolce.

Alza gli occhi su, verso il cielo azzurro. Vede proiettata un’ora 9:43. È il soffitto della sua casa di Lambrate. Quasi le dispiace di non essere più con Challow, perché tutto sommato era simpatica.

«Peccato! È stato solo un sogno.»

Benedetta adesso è sveglia.

«Il video di ieri sera e il racconto della… Dai, telefoniamo a Luciano!»

Un’epistola in C

Per il gioco del lunedì Eletta Senso ha proposto una epistola in C

Cinzia Candida, come una candid camera. Convengo che convincerti a credere a Carlo è compito complesso. Certamente cerchi nella cabala il compagno calzante. Carlo è il classico comandante del complesso. Cinico, un po’ crudele comunque calibrato. Centellina il consenso ma comprende la congiuntura conveniente. Capisci come il caso congiuri contro di te? Il clima confacente è una celia da celare nel cuore.

Ciao Cinzietta mia.

Tua Clorinda

Per Luisa ho creato questo.

Crollasse il cielo ma di certo compilerò il cruciverba!

Carissima Clelia!

Le caselle celesti contengono il caso classico di cosa cerchi. Le caselle chiare comprendono i contenuti da chiedere con calibrati concetti da cerchiare a colori.

Capito?

Continuo con la cultura del canto. Certamente canti come un cherubino. Conosci le circostanze e le chiavi canore.

Concludo con la chiusa con un cenno di chiarezza.

Chiamami!

Ciao Clelia!

Tuo Corrado.

Due gatti per un caso – Elena Andreotti

Due gatti per un caso, l’ultima fatica di Elena Andreotti, è un breve racconto per ragazzi. È la storia simpatica di due gatti, che abbiamo già incontrato nei suoi libri, Cicerone e Duchessa. Non sto a parlare della trama, perché toglierei il gusto della lettura a chi volesse leggerlo.

Parlerò delle sensazioni che ho provato in questa veloce lettura. L’impressione è stata positiva per il modo garbato con cui i due gatti si propongono al lettore e per la bella morale che trasmette. Ai bulli si risponde con educazione e le persone, in questo caso una mamma gatto e la sua nidiata, in difficoltà si aiuta senza far pesare quello che si offre.

Credo che questa lettura valga per piccini e adulti.

Lo potete acquistare su amazon https://amzn.eu/d/5WZhF9k

I delitti di Fleat House di Lucinda Riley

Lucinda Riley è stata una scrittrice di successo di romanzi rosa prima che un tumore all’esofago non l’avesse portata al camposanto nel 2021.

Come molti sanno il genere rosa o romance o come cavolo si chiamano questi romanzi non sono mai stati troppo graditi da me. Ne leggo, per carità, ma di solito preferisco altre tipologie di libri.

Quando qualche anno fa Prime Reading mi propose il primo volume della saga ‘Le sette sorelle’, la storia di Maia, l’ho scaricato. Tanto non mi costava nulla, rimaneva nella mia libreria finché non lo restituivo. Se non mi piaceva mi era costato zero euro. L’ho cominciato a leggere con diffidenza ma l’ho trovato gradevole e sono arrivato alla fine in fretta. C’era qualcosa che mi aveva invogliato a leggerlo tutto d’un fiato.

Quando Prime Reading qualche mese fa mi ha suggerito un altro romanzo di Lucinda Riley ‘I delitti a Fleat House’ senza pensarci molto l’ho scaricato. È un giallo poliziesco, quindi molto distante dal resto della produzione di questa scrittrice. Questo almeno in teoria. Nella prefazione curata dal figlio Harry Whittaker si informa il lettore che questo libro scritto nel 2006, quindi prima della saga, non era mai stato pubblicato dalla Riley. L’ha proposto nella stesura originale non editata e fa parte di un gruppo di romanzi rinvenuti nei cassetti della scrittrice e usciti postumi. Fin dalle prime pagine ho capito che mi sarebbe piaciuto e nel giro di pochi giorni l’ho finito. Arrivato alla fine ho compreso il motivo per cui ‘La vita di Maia’ mi era piaciuto. È un romanzo rosa in superficie ma dentro ha l’anima del giallo ovvero una sorta di giallo vestito di rosa.

Questo invece è l’opposto un giallo con tocchi di rosa. L’anima della scrittrice non si è snaturata. È rimasta fedele al suo cliché di scrittura.

La storia è semplice. Jazz, una detective della divisione crimini di Scotland Yard di Londra, si è trasferita nel Norfolk abbandonando la sua promettente carriera dopo il divorzio col marito, che opera nella stessa sezione. Il suo vecchio capo la induce a investigare su un apparente episodio di morte naturale, che si vuol liquidare come un tragico incidente, nel collegio, Fleat House. A questa morte ne seguono altre due che in apparenza non sembrano collegate alla prima. Tra tocchi di rosa e intuizione felici, Jazz risolve tutti i misteri che hanno una radice nel passato. Le analogie con ‘La vita di Maia’ sono evidenti, anche se il contesto è profondamente diverso. Maia investiga per conoscere le sue radici e scopre che queste affondano nel passato. Qui Jazz investiga su episodi attuali che hanno avuto un’origine molti anni prima.

L’epilogo, anche se non detto chiaramente, è una rielaborazione molto minimale dell’originale scritta dalla Riley, e forse lascia un po’ a desiderare. Comunque a parte il finale, il ritmo narrativo è buono, i colpi di scena sono ben gestiti, le intuizioni di Jazz pregevoli. Solo alla fine si scopre chi ha operato i vari delitti e nulla ha lasciato intuire chi e perché.

Calligramma

La bambina senza nome

Eletta Senso ha proposto un calligramma ovvero una composizione che dà un’immagine grafica.

Ci provo

I

segni

del

destino

saranno

a

destinazione

quando

tu

dedicherai

per

me

le tue prose d’amore.

Newwhiteberar

Per Luisa ho scritto questo

Vengono

dal

mare

navigando

sicure.

Le vedi

in lontananza

Vele

giallo azzurre

sul naviglio arcobaleno.

Gli albratos

volano

intorno

per accompagnare

il loro viaggio.

Il porto sicuro

sta

poco distante

mentre il naviglio

scivola leggero

sul placido mare.

Niceville – recensione

 

 

Diverse settimane fa dal blog di Lorena Parma ho letto la sua recensione di Niceville, la trilogia di Carsten Stoud. La lettura del post mi ha incuriosito, così ho deciso di comprare i tre ebook di cui si compone la storia.

Sono un lettore onnivoro ma certi generi mi attraggono più degli altri. Però al termine mi sono chiesto: cos’è questa trilogia? Un thriller? Un giallo poliziesco? Un horror? Un urban fantasy? Un romanzo psicologico? Ammetto che c’è un pizzico di tutti questi e forse anche di altri che non ho citato.

Passiamo oltre.

Il primo volume si apre con una rapina milionaria condotta da un ex poliziotto radiato e un poliziotto in servizio, che di mestiere fa il cecchino. È questa è una linea narrativa che segue la sua strada. Poi il caso del ragazzino scomparso e ritrovato chiuso in una cappella del cimitero. Un pizzico di horror e forse di urban fantasy che vede impegnati Nick, un detective della polizia, e Kate sua moglie, un avvocato. E qui mi fermo per non fare spoiler e togliere il gusto della lettura a chi li volesse leggere.

I tre ebook, o libri di carta per chi ama sfogliare le pagine, sono in un certo senso autoconclusivi ma suggerisco di leggerli in sequenza senza altre letture in mezzo.

Dei tre il volume 2 è il migliore. Il primo l’ho trovato un po’ confusionario. Il terzo un po’ troppo impregnato di magia e alquanto improbabile. Il finale mi ha lasciato freddo.

Sono convinto che Stroud li abbia pensati sperando che diventasse una serie TV per Netflix e affini. Troppe linee narrative, troppi personaggi che appaiono e scompaiono senza lasciare tracce, troppi morti che vivono anche dopo morti. Insomma qualcosa stride un po’.

Per contro la sua scrittura è elegante, chiara e il lettore non fatica a immaginare le scene o immedesimarsi nei protagonisti.

In conclusione, anche se il mitico Stephen King l’ha elogiato, per il momento sta due gradini sotto.

Il sogno del mare

Su Caffè Letterario ho appena pubblicato un nuovo post.

Lo potete leggere anche qui.

Fu di sera, già di buio; era ottobre. Il cielo era coperto. Il giorno avevamo vendemmiato e attraverso i filari vedevamo nel mare grigio avvicinarsi le vele d’una nave che batteva bandiera imperiale.” (Italo Calvino, Il visconte dimezzato. I meridiani – Arnaldo Mondadori Editore)

Marco era un ragazzino magro e ossuto come possono esserlo a dieci anni. Era in quell’età prepuberale in cui era ancora indefinito.

Era al mare ai primi di settembre, quando la stagione sta per lasciare il posto all’autunno. Il cielo era grigio scuro striato di qualche nuvola rossastra. Camminava sulla spiaggia deserta in attesa di rincasare per la cena serale, quando scorse una nave sull’orizzonte. Si fermò a osservarla scivolare snella.

Andava a vela come i vecchi vascelli, quelli di cui aveva diversi poster nella sua cameretta. Era incantato perché sembrava che volasse tra cielo e acqua, perché lì l’orizzonte si confonde. Si notavano solo le vele candide che si stagliavano sul grigio del cielo e due luci. Una a poppa e una prua.

«Chissà dove sta andando?» bisbigliò in un sussurro appena accennato.

Si ritrovò sul ponte di comando lucido a guidare quella ciurma indisciplinata, mentre il timoniere teneva la barra a dritta.

Si sgolava e imprecava ad alta voce. «Alzate la vela maestra! Mollate il fiocco! C’è troppo vento, virate a manca col vento contro!»

La sua voce roca e tagliente dava ordini secchi come schioppettate che arrivano diritti alle orecchie dei marinai.

Il veliero cavalcava agile l’onda bianca, pronta a scendere nell’incavo del mare e poi salire su quella successiva. La prua sottile tagliava il verde marino, mentre una danza di salti e tuffi l’accompagnava.

Marco era ritto come un fuso sulla plancia sferzato dal vento. Alle sue narici arrivava il profumo della salsedine.

«Marco! Che stai a fare imbambolato in riva al mare? La cena è pronta e si sta raffreddando!» Era sua madre che lo chiamava con tono di due ottave più forte del normale.

Il sogno svanì e corse veloce verso casa. Si tolse le scarpe piene di sabbia umida, si lavò le mani velocemente e si sedette tra Flora e Andrea, i suoi fratelli.

Sono passati quarant’anni dal quel incontro serale sulla spiaggia con un vascello che solcava le acque grige del Mar Tirreno. Ormai cinquantenne continua a sognare il mare, mentre osserva corrucciato il brulicare di uomini indaffarati e spenti che si agitano nelle vie della città dove risiede. Odia questa vita anonima e convulsa, ama l’aria aperta, il mare e la sua salsedine, i velieri senza essere ricambiato.

È in piedi davanti alla finestra del suo ufficio che domina la piazza del Mercato, pieno di bancarelle che vendono un po’ di tutto. Il suo sguardo si perde nell’orizzonte lontano alla ricerca del mare.

È marzo, ma il tempo per rifugiarsi nella vecchia casa delle vacanze in riva al mare tra i filari di vite e il noce dalle larghe chiome non è ancora arrivato. Deve aspettare maggio con le giornate lunghe e calde. Poi ogni fine settimana sarebbe corso là a respirare il profumo del mare.

Si strugge dalla malinconia e dal ricordo, perché non è potuto diventare un marinaio. I suoi vecchi non hanno voluto, doveva diventare Dottore, avere una casa in città, una moglie e dei figli belli come lui.

«Papà» disse un giorno di trent’anni prima, «anche all’Accademia navale divento Dottore».

Suo padre fu irremovibile. Doveva andare a Firenze all’università per diventare Dottore.

Marco chinò il capo. All’esterno sembrò rassegnato a seguire il diktat paterno, ma dentro coltivava l’idea del mare e della vita da marinaio. Rimase un sogno inespresso, perché al termine degli studi trovò Mara e la sposò.

Si trovava bene con lei, anche se il mare non le piaceva. Diceva che le incuteva paura e non sapeva nuotare. Mara ricambiò il suo amore verso Marco. Nacquero due figli belli che assomigliavano a lui. Sara e Andrea, come il fratello minore, morto giovanissimo.

Marco divenne uno stimato professionista con un ufficio in un vecchio edificio storico. Comprò una casa singola con un piccolo giardino nel quartiere più in della città.

Si rassegnò a malincuore a vivere fra cemento, auto, rumori e polvere in un’abitazione che molti gliela invidiavano, ma che a lui stava stretta.

A questi pensieri gli viene un groppo in gola. Lui ha soddisfatto i suoi vecchi ma dentro di sé si sente infelice. La casa in città l’ha comprata. La moglie c’è come pure i due figli belli come lui. Ha disponibilità di denaro ed è stimato e ricercato. Se suo padre fosse ancora in vita sarebbe felice di vedere il suo ragazzo che ha raggiunto l’obiettivo dei suoi sogni.

Marco per vedere il mare deve andare da solo nella vecchia casa delle vacanze. È spoglia e vuota dopo che i suoi vecchi uno alla volta in punta di piedi se ne sono andati nel piccolo cimitero in fondo alla strada.

Quell’abitazione non la ha voluta mai cedere, come le quindici pertiche di vigna ormai inselvatichitasi. Casa e vigneto sono tenuti in ordine da Giuseppe, il vecchio fattore.

Mara e i due ragazzi non hanno mai voluto vederla sperando che la vendesse.

Marco si mette là dove a dieci anni ha visto la nave con la bandiera imperiale. In quel punto all’orizzonte il cielo si confonde con il mare. Là il sole si inabissa colorando di rosso terra, acqua e cielo. Lui sta lì a bocca aperta per aspirare il gusto del sale che arriva da dietro le dune.

Ancora qualche settimana di supplizio a respirare cemento, poi da solo avrebbe preso quel viottolo polveroso che conduce alla vecchia casa senza luce e senza acqua. Con gli scuri incrostati di sale e le pietre rosse che sono imbiancate. È un casale troppo grande per lui ma avrebbe vissuto nelle stanze al pianoterra.

L’ampia cucina col camino di pietra che guarda l’orizzonte. Un tavolo rustico inscurito dal tempo. Qui sarebbe stato di vedetta, mentre mangia osservando il mare. La vecchia sala da pranzo col divano di cretonne liso e dai colori indefiniti. Questo è il suo letto. Avrebbe riattivato il camino per cuocere e riscaldare l’ambiente.

Sul fratino in cucina avrebbe scritto il suo amore per il mare alla luce della lampada a olio. Qui i ricordi di quaranta anni fa lo conducono per mano.

Abbecedario

Krimhilde e le fanciulle scomparse

Oggi Eletta Senso propone un abbecedario qui https://inchiostroneroweb.com/2024/02/12/abbecedario-3/

 

Ecco il mio.

A mo

B ere (in)

C alici

D orati.

E bbrezza,

F elicità,

G ioia

H anno

I mmensi

J oker.

K aiser

L udwig

M anca (per)

N onnulla

O biettivi

P er

Q uantificare

R isorse

S ulla

T erra (per)

U nico

V ero

W eekend,

X enofobo

Y ankee

Z ampognaro.

Il mistero del giardino di rose

Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo post.

Lo potete leggere anche qui.

Rosewood è una ridente cittadina immersa nella verde pianura di Woodland. Questa si estende a ovest degli Spulucchi, che si vedono in lontananza. Case basse in legno circondate da giardini curati e recintati da siepi di photinia.

«Come stanno le sue rose, LeBron?» chiede Emilia, la giovane maestra, al signor Green, con le braccia appoggiate sul cancelletto di legno.

L’uomo, che ha il volto asciugato dal sole, si gira verso miss Taylor e sorride mostrando i denti ingialliti dal fumo della pipa.

Un refolo di vento scompiglia i riccioli biondi di Emilia e una ciocca gli copre un occhio, che con un soffio della bocca storta cerca di allontanare.

«Ancora un mese poi sarà una fioritura straordinaria» replica con voce soddisfatta LeBron.

Emilia agita la mano in segno di saluto e riprende a camminare verso la scuola dove i suoi ragazzi la stanno aspettando in aula.

Il vento soffia tra le foglie delle rose di Green, portando con sé un sospiro malinconico. Sembra un gemito di dolore che nessuno percepisce.

La Syracuse St. è una via che conduce fuori Rosewood verso la campagna. Non c’è quasi mai traffico perché poche persone la percorrono per uscire. Preferiscono la strada principale, Sunset BLVD., che taglia in due la cittadina. Al numero 15 di Syracuse St. c’è il cottage di LeBron Green e il rigoglioso giardino di rose. È un autentico paradiso curato con maniacale attenzione dal proprietario. LeBron è un ometto calvo tendente alla pinguedine, alto poco più di un metro e sessanta. Vive da solo dopo la morte della moglie Helen e la fuga in città della figlia Andrea.

È un mezzogiorno tranquillo come altri, quando Emilia di ritorno dalla Principal School passa dinnanzi al numero 15. Emilia è una giovane insegnante della Elementary School privata Regiswood. Bionda riccioluta, alta e slanciata. Ha praticato il basket con discreto successo nella Princess University di Woodland. Di origini per parte materna di Roma ama il giardinaggio e si ferma sempre dal signor Green per ammirare i suoi splendidi roseti.

Però quel giorno non è come quelli precedenti. LeBron giace riverso tra Double deligth e Moonstone in un lago di sangue.

«Oh, mio Dio!» esclama Emilia mettendo la mano davanti alla bocca. «LeBron è stato ucciso!»

Afferrato dalla borsa a tracolla il telefono compone il 911.

Si gira verso il cottage di Green e resta a bocca aperta. Al suo posto c’è un immenso prato verde.

Lancia un urlo e si mette ritta nel letto.

Gioco del lunedì come febbraio

Buon compleanno, newwhitebear!

 

 

 

 

Oggi si gioca con la Effe di febbraio proposto da Eletta Senso.

ecco il mio pensierino

Forse la febbre fa farneticare Fabrizio che finge di fare un figurone. Falsi figuranti forniscono fiori freschi alla folla festante. La fabbrica della felicità finisce nel fare fiasco per la fregata del freddo febbraio.