La nuova casa – seconda parte

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foto personale

Iniziò la ricerca nella città attuale, che era cara, carissima e non consentiva con le disponibilità economiche di acquistare una buona casa nel centro storico salvo non andare in periferia tra caseggiati anonimi. Senza perdersi d’animo pensò di spostare le sue attenzioni sulla città di origine. Non era facile trovare qualcosa. Tra web, annunci immobiliari e sopralluoghi era complicato districarsi. Tutti prometteva meraviglie ma alla fine non mantenevano le premesse e le promesse. L’unico aspetto positivo erano i prezzi, decisamente più bassi. La disponibilità di immobili era buona, non altrettanto la qualità.

Dopo visite, incontri uscì una discreta abitazione. Nuova, ancora da rifinire, con un giardino di buone dimensioni. A Giuliana piaceva. Era una casa ricavata dalla ristrutturazione di un vecchio casale padronale con annessa chiesetta e fienile, vicinissima al centro storico. Però Paolo non era molto convinto per qualche misteriosa intuizione. Non era disposta male, su due livelli, di dimensioni adeguate alle loro necessità. Tuttavia secondo lui aveva due problemi: un ingresso infelice e l’accesso alla zona notte attraverso la cucina. Inoltre i due bagni non lo convincevano: erano stretti e lunghi. Uno era cieco. Giuliana si era innamorata della chiesetta sconsacrata, prospiciente la casa. Sarebbe diventata un ufficio o un monolocale. La trattativa andò avanti per diversi mesi, serrata con rilanci da entrambe le parti. Al ribasso da parte mia, a trovare un punto di incontro da parte del venditore. Il tira e mola durò, finché non si arenò sull’ultimo prezzo. Il venditore si era rimangiato l’ultima offerta. Ci fu un tardivo tentativo di ricucire, quasi un anno più tardi, ma ormai era fuori tempo massimo.

Con pazienza si ricominciò senza trovare nulla. Stavano per gettare la spugna, quando scovarono una possibile occasione. Una casa immersa nel verde, molto particolare, vicino alla città. Una zona residenziale tranquilla con altre abitazioni similari. Dalle finestre si poteva osservare la campagna ben curata, coltivata a erba medica e frumento: un autentico spettacolo. La posizione era tranquilla, non sembrava nemmeno che a pochi chilometri potesse scorrere il traffico convulso cittadino. Fu una trattativa veloce, anzi fin troppo.

Paolo ricordò i momenti che avevano preceduto il trasloco, mentre affrontava la parte più faticosa. Dopo l’abitazione era il turno di cantina e garage, zeppi di altri sei o sette traslochi. Sembravano un pozzo di San Patrizio, non finivano mai di vomitare qualcosa. Nuovi viaggi in discarica, selezione di oggetti da trasferire nella nuova casa. Noleggio di furgoni per il loro trasporto. Insomma pareva che non finisse mai. Poi fu il turno del vecchio appartamento vuoto ma sporco. Pulizie, nuove fatiche, un aggirarsi con lo sguardo smarrito in quelle stanze che per anni era stato il loro regno. Un groppo alla gola per l’emozione, quando per l’ultima volta si chiusero alle spalle la porta di ingresso. Il passato era dietro di loro, il futuro era distante molti chilometri.

Adesso c’era la fatica di vuotare gli scatoloni, di riempire i mobili vuoti, di riordinare tutto quanto. Le soluzioni studiate a tavolino non andavano bene, si dovevano trovare nuove disposizioni. Sembrava di confezionare la tela di Penelope: si creava di giorno per disfare di notte. I mobili si spostavano di continuo, gli oggetti pure. I nervi erano a fior di pelle. Niente pareva nel posto giusto. Si provava e si riprovava nel tentativo di far quadrare la sistemazione. Quello che prima ci stava, adesso non più. Sembrava che lo spazio fosse rimpicciolito o gli oggetti ingranditi. La sera ci coglieva stanchi, anzi troppo.

Non sembrava di finire mai, come se per incanto continuassero a uscire oggetti, libri, piatti dai contenitori che invadevano la casa. E il posto per collocarli era sempre più insufficiente. I mesi passavano ma le stanze erano sempre ingombre di scatoloni semi vuoti, che disegnavano sentieri obbligati

Un sabato nebbioso di dicembre andarono in centro per distrarsi dopo l’ennesima settimana di fatiche. La città era addobbata a festa, perché tra qualche giorno sarebbe stato Natale. Il traffico era più caotico del consueto. Trovare un parcheggio era problematico. Paolo le lasciò sull’angolo della via che portava nella piazza più bella, quella prospiciente la cattedrale e si mise alla ricerca di un posto. Dopo diversi giri infruttuosi lo trovò. Non era comodo perché era distante dal punto di incontro ma era sempre meglio di niente.

Pazienza, bisognava pazientare, non sempre era possibile parcheggiare vicino. Con passo svelto si avviò verso il grande magazzino, dove era fissato l’appuntamento. Faceva freddo, perché la nebbia penetrava nelle ossa. Come minuscole frecce pungeva il viso e bagnava i capelli.

Camminava svelto, immerso nei pensieri che svolazzavano leggeri nel capo senza una meta precisa. Entravano, sostavano e poi in silenzio se ne andavano senza lasciare nessun ricordo.

Varcata la soglia del grande magazzino, si sentì chiamare. «Paolo». Si volse e vide una signora non più giovane, che lo fissava incredula. Quel viso, quella voce non gli dicevano nulla ma il nome con cui era stato contattato, la parlata gli erano familiari. Era bassa di statura, coi capelli scuri sciolti sulle spalle. La pelle, le rughe mostravano che poteva avere all’incirca la sua età. La scrutò socchiudendo gli occhi nella speranza di pescare tra i ricordi quel volto. Se aveva pronunciato il suo nome, significava che lei lo conosceva. Erano uno di fronte all’altro, guardandosi in viso.

«Sei tu?» fece con un filo di voce uno sguardo ansioso.

«Si», rispose Paolo, che si sforzava di dare un nome a quella faccia.

«Sono Marinella. Ti ricordi di me?» pronunciò quelle poche parole con timore ma piena di speranza.

Paolo allora ricordò, anzi un fiume di ricordi gli tornarono alla mente.

«Si! Come stai? E’ tanto tempo che non ci vediamo!» disse con un sorriso, pensando a quei giorni, quando era un ragazzo, che frequentava ancora il Liceo.

L’ultima frase proprio non ci stava, perché non poteva essere altrimenti. Paolo era rimasto a lungo lontano dalla sua città. Rimase stupito, perché non pensava che qualcuno potesse riconoscerlo dopo tutti quegli anni.

Lei lo incalzò con più sicurezza, rinfrancata nel flashback di non essersi confusa. «Dove sei stato?» e guardando la mano vide la fede, aggiunse «Sei sposato?»

«Ho girato per l’Italia» spiegò Paolo con un sorriso. «Ora sono tornato definitivamente». E dopo una breve pausa. «Si, sono sposato ed ho una figlia ormai grande».

Paolo pronunciò queste poche frasi, mentre nella sua mente la ricordava ragazza. Aveva avuto una breve ma intensa storia, quando erano ancora al Liceo. Quanti anni erano passati? Aveva perso il conto o meglio non era in grado contarli con esattezza ma forse si rifiutava di farlo. «E tu?» Sapeva che si era sposata qualche anno più tardi dopo la fine della loro relazione.

«Sono divorziata. Ho avuto un figlio dal quel romagnolo», disse con tono carico di rancore senza nominarlo, «e faccio la nonna. E tu?»

«No, non sono nonno» replicò divertito, quasi scusandosi di non esserlo.

Paolo avvertiva nelle parole di Marinella un misto di delusione e di rimpianto. Lui voleva concludere il loro colloquio, che ormai aveva ben poco da dire. Aveva esaurito la spinta iniziale. Il solo pensare di riallacciare quella vecchia amicizia non era plausibile. Questo era chiaro per entrambi.

«Mi ha fatto molto piacere averti rivista» fece Paolo, stringendole la mano. «Scusami se non ti ho riconosciuto subito».

Si salutarono, andando in direzioni opposte.

Paolo raggiunse Giuliana che stava osservando la scena, mentre Marinella percorse pochi metri all’interno del grande magazzino, fingendo di interessarsi alle borse. In realtà osservò, dove andava e chi incontrava. Lo guardò con un pizzico di invidia, forse lo aveva sempre amato, pentita di averlo lasciato. Poi uscì e se ne andò, dopo averlo guardato per l’ultima volta con molta attenzione. Si sentiva sola e forse avrebbe voluto riannodare quel vecchio contatto, che le ricordava tempi felici ma non era possibile.

Giuliana chiese chi era quella signora. «È Marinella. Mi ha riconosciuto dopo tutto questo tempo. Evidentemente non sono cambiato molto».

Mentre parlava, Paolo pensò. “Proprio ieri sera ho aperto il quaderno delle vecchie poesie e sicuramente ci sono anche quelle che avevo scritto per Marinella”.

Infreddoliti per la cappa nebbiosa, si avviarono verso casa senza più ripensare a quel incontro fortuito e singolare.

FINE

SECONDA e ULTIMA PARTE.

La nuova casa – prima parte

30042007

foto personale

Tutto cominciò per caso. Era una fredda sera di dicembre tra Natale e Capodanno, Paolo stanco per la lunga giornata si sedette al suo tavolo e ripensò agli ultimi tempi.

Erano diversi mesi che la sera lo coglieva affaticato e non sempre, anzi quasi mai, poteva sedersi al suo tavolo a pensare e rilassarsi con le sue occupazioni preferite.

Abitava in una bella casa, silenziosa e nuova, dopo essere tornato nella sua città. Stava pian piano riscoprendole sue radici, riallacciando i ricordi sfilacciati dal tempo.

Pensava e ricordava questi ultimi mesi, così intensi e snervanti. Dapprima la preparazione del trasloco dei mobili e degli oggetti. La vecchia casa era piena di scatoloni anonimi e vuoti da riempire coi ricordi. Con metodo si toglievano gli oggetti dai mobili, si incartavano e si riponevano nei contenitori. Si numeravano, indicando sull’esterno la provenienza: libri dalla libreria nera, piatti dal mobile nero, vestiti dall’armadio bianco. Tutto a memoria futura.

Sembrava un rituale. Alla sera si toglieva la polvere dai vestiti e dalla bocca, secca e arida, stanco e assonnato. Per diverse settimane fu un rituale quotidiano, mentre gli scatoloni sembravano sempre insufficienti a contenere tutto, crescendo di numero. “Dove li metterò nella nuova casa?” pensava preso dallo sconforto. “Non c’è posto per tutto, dovrò eliminarne un bel po’ e con loro i ricordi associati!”

Con molta tristezza Paolo caricava nella macchina quello che non intendeva portare con sé e lo depositava nella discarica pubblica. Ogni viaggio una sofferenza, un volere non ricordare quello che andava inghiottito negli enormi contenitori divisi per tipologia di rifiuto conferito.

Quanti viaggi! Quanta fatica! Quanto dolore! Quale gioia nel ritrovare il vecchio quaderno di poesie, scritte tanti anni prima, quando era ancora un ragazzo! E le vecchie tempere ancora belle e brillanti, che sembravano uscite dalle pennellate di ieri, tanto erano attuali!

Arrivò il gran giorno. La mattina di buon ora gli uomini del trasloco vennero a smontare i mobili, a imballare le ultime cose, a raccogliere la moltitudine di scatoloni. Loro erano lì silenziosi e malinconici nell’attesa di essere trasportati nella nuova casa. Questo si consumò entro mezzogiorno.

Paolo chiuse il portone della vecchia abitazione, prese la macchina e si diresse verso la nuova casa, dove avrebbe atteso il camion con i suoi ricordi. Arrivò senza aver consumato il pasto: non aveva fame. Svuotato dalla tristezza.

La vecchia casa era ormai deserta. Era un edificio nel centro storico, nella piazza più bella circondata da alberi maestosi e carichi di storia. Aveva soffitti alti. Quanto erano alti! Che sofferenza quando si doveva cambiare una lampadina, appendere una nuova luce! L’ingresso dava su una stanza enorme dal soffitto affrescato con decori invernali dai pavimenti a mosaico colorati con un bellissimo disegno centrale. Di fronte alla porta appariva un camino di marmo bianco. Sulla sinistra si accedeva all’altra stanza, anch’essa ampia e spaziosa come la precedente. Aveva un’acustica particolare e l’avevano chiamata “la stanza della musica”.

A Giuliana piaceva, anche se vi trovava mille difetti. Era buia (le piante da appartamento dopo poco morivano). La vista dava su case con intonaco ormai scolorito e un tantino fatiscente. La strada stretta mandava molti rumori soprattutto di sera. Eravamo assediati dalle installazioni dei condizionatori, che non erano rumorosi, ma sollevavano molta polvere. Poi i piccioni sporcavano i davanzali.

A lei piaceva però stare in quella casa, perché la sentiva sua, come una parte di se. Aveva il pregio di essere al centro della città: si scendeva e si era subito a passeggiare fra piazze e portici. Non c’erano molti servizi, ma tutti quelli che servivano stavano comodi e vicini.

Una volta l’anno, per il patrono della città, eravamo sommersi da mille rumori festanti, da mille odori, che si mescolavano tra loro in un guazzabuglio di sensazioni ora piacevoli, ora sgradevoli. La gente si accalcava fra le bancarelle a comprare qualcosa di inutile, da accatastare insieme con quelli degli anni passati: era una tradizione e guai a non osservarla! Anche Paolo e Giuliana, sull’ora di mezzogiorno passavano in rassegna le bancarelle variopinte e odorose, quando la calca umana era intenta a mangiare. Questo anno hanno comprato quattro cuscini rosso fuoco da portare nella nuova casa, mentre Paolo ha acquistato un bonsai da una cinesina, che parlava a gesti. Non ha resistito fino al trasloco. Poi erano andati per la consueta visita nella Cattedrale a pregare il Santo Patrono e ricevere l’ultima benedizione.

In quella casa dagli alti soffitti affrescati non potevano più restare: era troppo costosa. Non era loro e desideravano acquistarne una dove trascorrere i restanti anni della vita da lasciare in eredità alla figlia come ricordo.

-Prosegue con la seconda e ultima parte –

Non passava giorno – Cap. 48

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La storia è terminata. Un lungo capitolo con i sei protagonisti che si confrontano tra loro e con le loro paure. Se volete conoscere gli ultimi avvenimenti, dovete andare su NuovoOrsobianco per leggere le righe conclusive.
Vi ringrazio per la pazienza avuta nel seguire questa storia.
A presto e buona lettura.
PS la foto è personale