Il sogno del mare

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Fu di sera, già di buio; era ottobre. Il cielo era coperto. Il giorno avevamo vendemmiato e attraverso i filari vedevamo nel mare grigio avvicinarsi le vele d’una nave che batteva bandiera imperiale.” (Italo Calvino, Il visconte dimezzato. I meridiani – Arnaldo Mondadori Editore)

Marco era un ragazzino magro e ossuto come possono esserlo a dieci anni. Era in quell’età prepuberale in cui era ancora indefinito.

Era al mare ai primi di settembre, quando la stagione sta per lasciare il posto all’autunno. Il cielo era grigio scuro striato di qualche nuvola rossastra. Camminava sulla spiaggia deserta in attesa di rincasare per la cena serale, quando scorse una nave sull’orizzonte. Si fermò a osservarla scivolare snella.

Andava a vela come i vecchi vascelli, quelli di cui aveva diversi poster nella sua cameretta. Era incantato perché sembrava che volasse tra cielo e acqua, perché lì l’orizzonte si confonde. Si notavano solo le vele candide che si stagliavano sul grigio del cielo e due luci. Una a poppa e una prua.

«Chissà dove sta andando?» bisbigliò in un sussurro appena accennato.

Si ritrovò sul ponte di comando lucido a guidare quella ciurma indisciplinata, mentre il timoniere teneva la barra a dritta.

Si sgolava e imprecava ad alta voce. «Alzate la vela maestra! Mollate il fiocco! C’è troppo vento, virate a manca col vento contro!»

La sua voce roca e tagliente dava ordini secchi come schioppettate che arrivano diritti alle orecchie dei marinai.

Il veliero cavalcava agile l’onda bianca, pronta a scendere nell’incavo del mare e poi salire su quella successiva. La prua sottile tagliava il verde marino, mentre una danza di salti e tuffi l’accompagnava.

Marco era ritto come un fuso sulla plancia sferzato dal vento. Alle sue narici arrivava il profumo della salsedine.

«Marco! Che stai a fare imbambolato in riva al mare? La cena è pronta e si sta raffreddando!» Era sua madre che lo chiamava con tono di due ottave più forte del normale.

Il sogno svanì e corse veloce verso casa. Si tolse le scarpe piene di sabbia umida, si lavò le mani velocemente e si sedette tra Flora e Andrea, i suoi fratelli.

Sono passati quarant’anni dal quel incontro serale sulla spiaggia con un vascello che solcava le acque grige del Mar Tirreno. Ormai cinquantenne continua a sognare il mare, mentre osserva corrucciato il brulicare di uomini indaffarati e spenti che si agitano nelle vie della città dove risiede. Odia questa vita anonima e convulsa, ama l’aria aperta, il mare e la sua salsedine, i velieri senza essere ricambiato.

È in piedi davanti alla finestra del suo ufficio che domina la piazza del Mercato, pieno di bancarelle che vendono un po’ di tutto. Il suo sguardo si perde nell’orizzonte lontano alla ricerca del mare.

È marzo, ma il tempo per rifugiarsi nella vecchia casa delle vacanze in riva al mare tra i filari di vite e il noce dalle larghe chiome non è ancora arrivato. Deve aspettare maggio con le giornate lunghe e calde. Poi ogni fine settimana sarebbe corso là a respirare il profumo del mare.

Si strugge dalla malinconia e dal ricordo, perché non è potuto diventare un marinaio. I suoi vecchi non hanno voluto, doveva diventare Dottore, avere una casa in città, una moglie e dei figli belli come lui.

«Papà» disse un giorno di trent’anni prima, «anche all’Accademia navale divento Dottore».

Suo padre fu irremovibile. Doveva andare a Firenze all’università per diventare Dottore.

Marco chinò il capo. All’esterno sembrò rassegnato a seguire il diktat paterno, ma dentro coltivava l’idea del mare e della vita da marinaio. Rimase un sogno inespresso, perché al termine degli studi trovò Mara e la sposò.

Si trovava bene con lei, anche se il mare non le piaceva. Diceva che le incuteva paura e non sapeva nuotare. Mara ricambiò il suo amore verso Marco. Nacquero due figli belli che assomigliavano a lui. Sara e Andrea, come il fratello minore, morto giovanissimo.

Marco divenne uno stimato professionista con un ufficio in un vecchio edificio storico. Comprò una casa singola con un piccolo giardino nel quartiere più in della città.

Si rassegnò a malincuore a vivere fra cemento, auto, rumori e polvere in un’abitazione che molti gliela invidiavano, ma che a lui stava stretta.

A questi pensieri gli viene un groppo in gola. Lui ha soddisfatto i suoi vecchi ma dentro di sé si sente infelice. La casa in città l’ha comprata. La moglie c’è come pure i due figli belli come lui. Ha disponibilità di denaro ed è stimato e ricercato. Se suo padre fosse ancora in vita sarebbe felice di vedere il suo ragazzo che ha raggiunto l’obiettivo dei suoi sogni.

Marco per vedere il mare deve andare da solo nella vecchia casa delle vacanze. È spoglia e vuota dopo che i suoi vecchi uno alla volta in punta di piedi se ne sono andati nel piccolo cimitero in fondo alla strada.

Quell’abitazione non la ha voluta mai cedere, come le quindici pertiche di vigna ormai inselvatichitasi. Casa e vigneto sono tenuti in ordine da Giuseppe, il vecchio fattore.

Mara e i due ragazzi non hanno mai voluto vederla sperando che la vendesse.

Marco si mette là dove a dieci anni ha visto la nave con la bandiera imperiale. In quel punto all’orizzonte il cielo si confonde con il mare. Là il sole si inabissa colorando di rosso terra, acqua e cielo. Lui sta lì a bocca aperta per aspirare il gusto del sale che arriva da dietro le dune.

Ancora qualche settimana di supplizio a respirare cemento, poi da solo avrebbe preso quel viottolo polveroso che conduce alla vecchia casa senza luce e senza acqua. Con gli scuri incrostati di sale e le pietre rosse che sono imbiancate. È un casale troppo grande per lui ma avrebbe vissuto nelle stanze al pianoterra.

L’ampia cucina col camino di pietra che guarda l’orizzonte. Un tavolo rustico inscurito dal tempo. Qui sarebbe stato di vedetta, mentre mangia osservando il mare. La vecchia sala da pranzo col divano di cretonne liso e dai colori indefiniti. Questo è il suo letto. Avrebbe riattivato il camino per cuocere e riscaldare l’ambiente.

Sul fratino in cucina avrebbe scritto il suo amore per il mare alla luce della lampada a olio. Qui i ricordi di quaranta anni fa lo conducono per mano.

Abbecedario

Krimhilde e le fanciulle scomparse

Oggi Eletta Senso propone un abbecedario qui https://inchiostroneroweb.com/2024/02/12/abbecedario-3/

 

Ecco il mio.

A mo

B ere (in)

C alici

D orati.

E bbrezza,

F elicità,

G ioia

H anno

I mmensi

J oker.

K aiser

L udwig

M anca (per)

N onnulla

O biettivi

P er

Q uantificare

R isorse

S ulla

T erra (per)

U nico

V ero

W eekend,

X enofobo

Y ankee

Z ampognaro.

Il mistero del giardino di rose

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Rosewood è una ridente cittadina immersa nella verde pianura di Woodland. Questa si estende a ovest degli Spulucchi, che si vedono in lontananza. Case basse in legno circondate da giardini curati e recintati da siepi di photinia.

«Come stanno le sue rose, LeBron?» chiede Emilia, la giovane maestra, al signor Green, con le braccia appoggiate sul cancelletto di legno.

L’uomo, che ha il volto asciugato dal sole, si gira verso miss Taylor e sorride mostrando i denti ingialliti dal fumo della pipa.

Un refolo di vento scompiglia i riccioli biondi di Emilia e una ciocca gli copre un occhio, che con un soffio della bocca storta cerca di allontanare.

«Ancora un mese poi sarà una fioritura straordinaria» replica con voce soddisfatta LeBron.

Emilia agita la mano in segno di saluto e riprende a camminare verso la scuola dove i suoi ragazzi la stanno aspettando in aula.

Il vento soffia tra le foglie delle rose di Green, portando con sé un sospiro malinconico. Sembra un gemito di dolore che nessuno percepisce.

La Syracuse St. è una via che conduce fuori Rosewood verso la campagna. Non c’è quasi mai traffico perché poche persone la percorrono per uscire. Preferiscono la strada principale, Sunset BLVD., che taglia in due la cittadina. Al numero 15 di Syracuse St. c’è il cottage di LeBron Green e il rigoglioso giardino di rose. È un autentico paradiso curato con maniacale attenzione dal proprietario. LeBron è un ometto calvo tendente alla pinguedine, alto poco più di un metro e sessanta. Vive da solo dopo la morte della moglie Helen e la fuga in città della figlia Andrea.

È un mezzogiorno tranquillo come altri, quando Emilia di ritorno dalla Principal School passa dinnanzi al numero 15. Emilia è una giovane insegnante della Elementary School privata Regiswood. Bionda riccioluta, alta e slanciata. Ha praticato il basket con discreto successo nella Princess University di Woodland. Di origini per parte materna di Roma ama il giardinaggio e si ferma sempre dal signor Green per ammirare i suoi splendidi roseti.

Però quel giorno non è come quelli precedenti. LeBron giace riverso tra Double deligth e Moonstone in un lago di sangue.

«Oh, mio Dio!» esclama Emilia mettendo la mano davanti alla bocca. «LeBron è stato ucciso!»

Afferrato dalla borsa a tracolla il telefono compone il 911.

Si gira verso il cottage di Green e resta a bocca aperta. Al suo posto c’è un immenso prato verde.

Lancia un urlo e si mette ritta nel letto.

Gioco del lunedì come febbraio

Buon compleanno, newwhitebear!

 

 

 

 

Oggi si gioca con la Effe di febbraio proposto da Eletta Senso.

ecco il mio pensierino

Forse la febbre fa farneticare Fabrizio che finge di fare un figurone. Falsi figuranti forniscono fiori freschi alla folla festante. La fabbrica della felicità finisce nel fare fiasco per la fregata del freddo febbraio.

 

 

 

Limerick per un campione

Copertina Daniele

Eletta Senso per il gioco linguistico del lunedì ha proposto un limerick per Sinner o un campione a proprio piacere. Ovvero una filastrocca AABBA

Questa è la mia composizione

Sotto rete Sinner vince.                         A

Gioca a pallate e convince.                    A

Quant’è bravo, porca paletta!               B

Sembra sia nato con la racchetta!        B

Ha beffato pure l’occhio di lince!         A

Giochiamo con Joyce

La bambina senza nome

Oggi si gioca con Joyce e con Eletta Senso. Scrivere qualcosa anche di insensato usando la lettera B

Ecco cosa ha partorito la mia fantastica mente 😀

Al bivio per Benevento il bifolco brinda berciando «Benvenuto, briccone!». Brancola col bicchiere di birra per la badessa Birbante ma brama bere nella badia di Bari. «Bah! In barba al babau boicotto il babbeo di Berto Babbuccia!» Brinda con la bevanda e bacia la baby che lo bacchetta: «Bacchettone di un babbuino baciapreti!»

Benvenuto, babucco!

Nuova pubblicazione su Caffè Letterario

La bambina senza nome

Su Caffè Letterario ho pubblicato un nuovo post.

Lo potete leggere anche qui. E’ un capitolo di un vecchio romanzo scritto oltre dieci anni fa, che sto revisionando.

Buona lettura

Laura si accovacciò stringendo le gambe con le braccia e appoggiando il mento sulle ginocchia.

Chiuse gli occhi come per raccogliersi a pregare. In realtà pensò ai suoi genitori e cosa erano per lei.

Lei li amava e sua madre e suo padre la ricambiavano a modo loro. Se fosse amore, non l’aveva capito.

Augusto, il padre, era un uomo poderoso, alto e massiccio. Era un chirurgo di fama che soddisfaceva i capricci estetici delle donne facoltose. Tra convegni e vita in clinica non si vedeva quasi mai a casa. Quando c’era, Laura ricordava che era trattata come una ragazzina. Da certi dettagli sospettava che il padre avesse un’amante o forse anche qualcuna di più. Da dove arrivasse questa sensazione, lo ignorava ma erano gli atteggiamenti della madre, che rimproverava al marito le sue assenze fantasiose. Da lui Laura aveva preso la statura e i lineamenti del viso.

Sua madre si chiamava Marina, una bella donna dai capelli rossi e il viso lentigginoso. Era cresciuta nel collegio delle Orsoline che avevano lasciato il segno nella sua personalità. Niente sesso prima del matrimonio e molto poco anche dopo. Laura si chiese se questo fosse il motivo per cui suo padre la tradiva, come supponeva. Chiesa e signore di carità erano il massimo delle sue aspirazioni. La televisione era opera del diavolo, come affermava sempre sia con lei sia con le amiche bigotte. «Si vedono solo donne scollacciate e si ascoltano parolacce. Una vera perdizione per i giovani». Al massimo di ritorno dalla messa domenicale e dal rito della comunione si sintonizzava su “A sua immagine” a prendere la benedizione papale da Piazza San Pietro. Quindi in casa di certi argomenti non si poteva parlare. Rivelare cosa era successo tra lei e Roberto sarebbe stata una tragedia e sarebbe scoppiato il finimondo. “Per fortuna sono riuscita a tenerlo nascosto”.

Laura fino a diciotto anni non poteva muovere un passo se non era seguita dalla madre. Era stata fatta un’eccezione quando Laura aveva sedici anni. Era stato suggerito per irrobustire quel corpo gracile di svolgere un’attività sportiva. Marina si era opposta perché avrebbe preso autobus, tram e metropolitana senza il suo occhio vigile. Però quello che la preoccupava di più era la promiscuità che avrebbe dovuto frequentare. «Di sicuro perderà l’innocenza dei suoi anni» aveva sentenziato Marina rabbuiata in viso. «Finirà nel gorgo dei peccati all’inferno!» Augusto da bravo medico aveva dato il via libera superando le obiezioni della moglie. Così Laura aveva potuto andare in palestra, in piscina e al campo di atletica senza il fiato sul collo della madre.

«Con la maggiore età e la frequenza all’Università ho goduto di una relativa libertà. Però se loro erano in viaggio, i sermoni di mia madre erano terribili. Guai a chiamare un ragazzo in casa od organizzare festicciole. Non fare questo. Non fare quest’altro». Lei aveva annuito sempre.

«Sì, mamma. Uscirò solo per andare a lezione e poi sempre chiusa nella mia stanza». Sorrise al pensiero di tutte le volte che aveva trasgredito queste regole con Marco.

Un paio d’anni dopo l’inizio della loro relazione volle presentarlo ai genitori. «A mio padre è piaciuto subito per lo splendido fisico e i modi educati. A mia madre…». Aprì gli occhi e scoppiò in una fragorosa risata. Ricordava come l’aveva trattato quella volta. Un malfattore che le rubava la sua bambina. «E non ha mai cambiato idea. Anzi, quando ha saputo che non era più il mio ragazzo, ha commentato compiaciuta che quel mascalzone non ci fosse più a insidiare la mia innocenza».

Al pensiero di Marco due lacrime rigarono le guance di Laura.

Gioco del lunedì

La bambina senza nome

Oggi per il gioco del lunedì Eletta Senso ha proposto un metagrammo ovvero inserirre in un testo delle parole che differiscono per una lettera, o aggiungendo o togliendo una lettera.

Ho cominciato con la parolea ROSSE  e di seguito queste Rossi Mossi Mosse tosse toste coste ceste certe carte.

Ecco il testo che ho creato

Le ROSSE non le guida ROSSI ma sono miti che sono MOSSI con delle MOSSE di un gioco da tavolo. Hai una TOSSE di quelle belle TOSTE che hai preso sulle COSTE della Liguria. Prendi le CESTE con le mele di Celeste CERTE e non fare CARTE false.

 

Gennaio il nuovo gioco

La bambina senza nome

Oggi è lunedì ed Eletta Senso propone un tautogramma in G come gennaio

Giovanetta graziosa giocava coi grandi, guardando giocosa i gesti di Giovanna.

Il gatto si gingillava col gomitolo grigio e gabbava il gaglioffo con la gamella.

Giuseppe il galante si gingillava col guanto e un gambo di giacinto che giaceva sul giaciglio.

Il gavitello galleggiava nella gelida gabbia di ghiaccio.

Gennaio giunge gentile.

Il questionario di Proust

La bambina senza nome

Eletta Senso ha proposto questo simpatico questionario per conoscerci meglio. Le risposte in corsivo sono le mie.

  • Il tratto principale del mio carattere
 cancerino
  • La qualità che desidero in una donna saper accettare i tratti negativi del mio carattere
  • La qualità che preferisco in una donna saper parlare di tutto
  • Quel che apprezzo di più nei miei amici non essere invadenti
  • Il mio principale difetto essere ostinato e testardo
  • La mia occupazione preferita lavori creativi disegnare scrivere e leggere
  • Il mio sogno di felicità vivere sereno in salute
  • Quale sarebbe, per me, la più grande disgrazia guerre, violenze verso tutti gli esseri viventi e mancanza di rispetto per Madre Natura
  • Quel che vorrei essere quello che sono
  • Il paese dove vorrei vivere qualunque posto che mi dia serenità
  • Il colore che preferisco tutte le tonalità calde dal giallo passando al rosso e finendo all’arancione
  • Il fiore che amo orchidea ma farei un torto a tutti gli altri
  • L’uccello che preferisco pettirosso
  • I miei autori preferiti in prosa Calvino, Rodari e Cassola
  • I miei poeti preferiti Leopardi
  • I miei eroi nella finzione
  • Le mie eroine preferite nella finzione
  • I miei compositori preferiti
  • I miei pittori preferiti Van Gogh
  • I miei eroi nella vita reale le persone sincere che fanno le cose senza chiedere nulla in cambio.
  • Le mie eroine nella storia come sopra
  • I miei nomi preferiti Giuditta e Giuliana
  • Quel che detesto più di tutto ipocrisia e falsità
  • I personaggi storici che disprezzo di più sono troppi
  • L’impresa militare che ammiro di più nessuna
  • La riforma che apprezzo di più giustizia sociale ma è più un sogno che realtà
  • Il dono di natura che vorrei avere la pazienza e tolleranza
  • Come vorrei morire senza accorgemene
  • Stato attuale del mio animo serenità
  • Le colpe che mi ispirano maggiore indulgenza nessuna
  • Il mio motto non saprei