Acrostico: Liberazione

Oggi 25 aprile, giorno che commemora la fine della guerra e un’Italia libera, Eletta senso per il consueto gioco del lunedì l’ha dedicata proprio a questo.

LIBERAZIONE

Ecco l’acrostico che ho pensato

Lanciamo

intensi

baci

e

rapidi

abbracciamo

zoe,

insieme

orgogliosi

noi

evitiamo la guerra.

Le fobie del mondo

C’è chi trema davanti ai vocaboli lunghi e chi soffre il telefono, i giornalisti e persino il flauto, chi ha paura della suocera, dei clown e dei colori ovvero tutte le fobie del mondo, che un sito americano ha catalogato con ben 1.500 patologie offrendo anche le cure. Of course, a pagamento.

“Noi siamo propensi a dare un’etichetta a qualsiasi cosa ci porti turbamento”. Questo suggerisce uno psicologo.

Lo spunto di questo curioso post me l’ha offerto Recensione53 e il suo post sulle fobie più diffuse.

Leggendolo mi sono ricordato di un vecchio pezzo di Repubblica scritto da Enrico Franceschini nel lontano 12 gennaio 2008 che ho riletto e ve lo propongo con qualche aggiustamento.

Paura delle parole troppo lunghe, paura dei clown, paura della suocera, del numero otto e del telefono sono le nuove fobie che affliggono l’uomo moderno.

Tutto sommato ci credo, perché ormai abbiamo paura anche della nostra ombra.

Non c’è da stupirsi se un sito web americano sostiene di avere un rimedio per ciascuna fobia. Rimedio, ovviamente a pagamento, perché gli affari sono affari! Quindi non solo ha catalogate tutte le fobie ma le ha ordinate in base alla loro lettera iniziale. Il numero? Indovinate quale? Ben 1500! Se noi eravamo rimasti alle “vecchie” claustrofobia (la paura dei luoghi chiusi), l’agorafobia (paura dei luoghi aperti) e aracnofobia (la paura dei ragni), adesso c’è da sbizzarrirsi e divertirsi a leggerle tutte.

E che dicono gli esperti? Per alcuni le paure bizzarre sono molto più frequenti di quel che pensiamo, ma c’è chi dice: «Ormai cerchiamo di dare un nome a qualunque cosa ci provochi turbamento».

Se per caso chi sta leggendo queste righe e non osa pronunciare il proprio nome, gli conviene non leggere quello che segue. Questa fobia si chiama “ippopotamostrosesquipedalofobia“. Attenzione! Questa paura colpisce anche chi è, o forse è meglio usare il condizionale, sarebbe afflitto quello che teme di pronunciare o leggere parole troppo lunghe e comincia a tremare ogni qual volta ne incontra una su un giornale, un dizionario o in bocca alla gente, sconvolti dall’abbuffata di sillabe una dietro l’altra.

Come ho scritto sopra un sito americano, www.ChangeThatsRigthNow.com, sostiene di avere il rimedio per ognuna delle fobie che tormentano l’uomo moderno e ha messo a disposizione di tutti noi l’intero catalogo che, uso di nuovo il condizionale, ammonterebbe a ben 1500 voci. Dunque molte di più di quelle generalmente note. E per la modica somma di 1500 dollari a fobia ci fornirà il rimedio per superare le nostre paure. Forse è la cifra che ci farà guarire 😅.

Potrebbe sembrare un’americanata, uno scherzo o un imbroglio, e forse non è escluso che lo sia, ma qualcuno ha preso sul serio quello che ha catalogato quel sito. La rivista scientifica britannica New Scientist, pur con una forte dose di scetticismo, le ha esaminate con una squadra di psicologi. Nel dettaglio ha scelto le più curiose fra le fobie citate. L’esito è finito a tutta pagina sul Times di Londra e da lì è rimbalzata sul tam-tam universale del nostro tempo, Internet. Ovviamente alcune di queste paure sono state demolite come la fobia delle parole troppo lunghe che forse non esiste, o perlomeno non si ha notizia di persone che ne soffrano. Ulteriore singolarità è che la cura suggerita dagli esperti del sito americano è la stessa consigliata anche per curarne un’altra, non meno originale di questa, la “coulrofobia“, la fobia dei clown, perché chi ne soffre farebbe meglio a stare alla larga dal circo 😅.

Tuttavia uno psicologo interpellato dal New Scientist concede che qualcosa di vero potrebbe esserci. “Non è poi così insolito avere delle paure bizzarre”, afferma Robert Endelmann, psicologo membro della National Phobics Society. “Si tratta sempre di retaggi ancestrali, che ci riportano agli albori della specie umana. Aver paura di queste cose poteva essere utile alla sopravvivenza dei nostri progenitori”.

La lista compilata dal sito Usa, bisogna riconoscere per smentire l’insigne studioso inglese, comprende fobie che i nostri progenitori certamente non potevano conoscere, come l’octofobia, la paura del numero otto, la telefonofobia, la paura del telefono, la xantofobia, la paura del colore giallo, l’aulofobia, la paura del flauto, la pentherafobia, la paura della suocera (che, ammettiamolo, sembra più ragionevole 😅), l’odontofobia, la paura dei dentisti (ragionevole anche quella e forse più comune della precedente). È possibile che il logorio della vita moderna, per citare un vecchio slogan pubblicitario, abbia aumentato il numero delle fobie di cui soffriamo? Il professor Endelmann non ne è del tutto convinto: crede piuttosto che oggi siamo più propensi a dare un’etichetta, insomma a dare un nome, a qualsiasi cosa che ci dia un turbamento. Però poiché le fobie nascono da un’esperienza traumatica, dichiara la psicologa Emma Citron, specializzata nel trattamento dell’astrofobia (la paura dei tuoni), a priori non si può escludere niente, o quasi. Il Times ironizza che stranamente il catalogo delle paure “online” non contiene la fobia dei “siti Internet ripetitivi” o delle “strategie di marketing idiote”. Un terzo psicologo, infastidito dalle domande dei reporter del quotidiano londinese, rivela di soffrire della “fobia dei giornalisti“.

Forse quest’ultima fobia che sarebbe la 1501 e ancora oggi senza nome, almeno mi risulta, è più diffusa di quanto possiamo immaginare specialmente tra i nostri politici.

Nota

Il sito americano è pienamente funzionante e riporta l’elenco delle fobie in rigoroso ordine alfabetico – ovviamente in lingua inglese. Visto che l’articolo che rimaneggiato e adattato ha la bellezza di anni quattordici e di certo il sito ha qualche anno in più, la sua longevità ci dice che poi hanno fatto business con queste fobie e lo stanno facendo tuttora.

Siamo a 15

È da poco che su Caffè Letterario è stata pubblicata la quindicesima puntata di Krimhilde e le fanciulle scomparse.

Per chi volesse la trova anche qui sotto. Buona lettura.

L’ultima avventura di Puzzone

Markus tiene con la mano buona un triangolo di ceci e pomodoro brillato, mentre osserva i fogli disposti sul tavolino, facendo attenzione a non macchiarli col sugo rosso.

Baldegunde in silenzio sembra scrutarlo con gli occhi semichiusi, mentre assaggia la zuppa di porri, cipolla e aglio speziato. Però in realtà se la sta gustando: è la sua preferita. Sa che poi l’odore dell’aglio speziato si fa sentire con vigore sollevando qualche smorfia di disgusto ma non gliene importa molto. Prova a concentrarsi sulle carte disposte sul tavolino. “Non ci capisco nulla. Semplici segni sulla carta”. Alza le spalle. “Ci sarà tempo per farmi spiegare il senso di quei tratti appena accennati”. Un altro vigoroso colpo di cucchiaio affonda nella scodella con un rumore sordo.

Markus si lecca le dita per togliere i residui di pomodoro ma non è soddisfatto del lavoro che sta facendo, perché le carte si spostano di continuo e deve risistemarle di nuovo. Questo gli fa perdere concentrazione e ricominciare da capo, se vuole scovare il famoso passaggio segreto. Si alza. Deve trovare qualcosa su cui appuntare i fogli per renderli fissi. Pensa alla tavoletta di faggio principino che si trova chissà dove nel ripostiglio insieme ai suoi attrezzi di lavoro.

Baldegunde cerca d’intuire i motivi dei movimenti del compagno per aiutarlo. “Di cosa va alla ricerca?” Riflette perlustrando con gli occhi la stanza senza successo, mentre lui sparisce nel ripostiglio.

Sorride vedendolo di ritorno con una tavola di faggio principino. “Ecco cosa cercava. Gli serve per fissare i fogli”.

Baldegunde riflette che gli avvenimenti della giornata hanno stimolato la fame, visto che di tutto quello che ha preso in mensa è rimasto solo qualche frutto. “Meglio così” Sospira prendendo due pomi d’arancio passito. «Ne vuoi uno?»

Markus solleva un sopracciglio mentre fissa con gli ultimi listelli di legno i fogli sulla tavola.

«Ma sì! Mi toglierà un po’ di sete».

Si ferma un momento per gustare il frutto e riposare la mente, appoggiandosi al divano di cretonne rosso. Una stoffa robusta ma morbida tessuta con lino di filo verde e canapa di cannabis.

Finito il frutto, si spostano sui fogli alla ricerca d’intuire quale di quei sentieri ha un senso e conduce alla meta. Markus è convinto che tra la dozzina di segnaposti solo uno farà al caso loro. Molti sono inseriti solo per far confusione e impedire di rintracciare quello buono.

«Ci sono ancora alcuni frutti se vogliamo».

«Cosa?» Markus risponde senza alzare gli occhi dai fogli su cui sta appuntando alcune freccette di legno mandorlino.

«Mele e pere. Una mezza dozzina. Una merendella, una zitella e una gamba fina, una pera volpina, una broccolina e una del curato».

Markus ruota leggermente a sinistra il capo per osservare la fruttiera di cristallo di rocca. Storce il naso perché gli sembrano tutti acerbi. A lui non piace la frutta non matura.

«Non mi paiono invitanti. La più matura mi sembra la mela gamba fina».

Baldegunde ride di gusto. Conosce bene il suo compagno e la risposta è in linea con la sua personalità. In effetti avrebbero bisogno almeno di un’altra settimana per maturare al punto giusto. Però in effetti la scelta è caduta su quella meno acerba. Sbucciata e tagliata a tocchetti la mette sul piatto di coccio grezzo con disegni geometrici blu oltremare. Per lei sceglie la pera volpina. È alquanto granulosa e di certo non matura sia al taglio sia al gusto. Spera che non le rimanga sullo stomaco.

Mentre la sua attenzione è concentrata su frutto, ascolta la voce del compagno. Solleva il capo e si netta la bocca con una salvietta di lino prudentino.

«Ci sono rimasti tre sentieri che hanno la possibilità di arrivare alla Prigione del Tempo Perduto. Potrebbero essere validi tutti e tre oppure uno solo».

Baldegunde allunga il collo sulle carte, mettendo da parte la pera volpina. “Tanto è acerba” e ride alla sua sciocca battuta.

Markus ha segnalato bene i tre sentieri e non le costa fatica seguirli. Il primo sentiero inizia dal villaggio Amori Perduti, l’ultimo posto abitato della terra di Mezzo prima che inizi l’area delle montagne innevate. “Potrebbe essere”. Il villaggio è molto vecchio e subito ricorda le leggende ascoltate quando era una bambina. Il secondo sembra nascere dal nulla ma prosegue oltre la roccia dell’impiccato. “Uhm!” Borbotta masticando rumorosamente una mela zitella tagliata fina. La pera volpina era immangiabile.

«Questo sentiero da dove parte? Sembra sbucato dal nulla e finire nel nulla» e ride per la battuta sciocca fatta, spostandosi di lato per osservare meglio.

«No, ha un inizio e una fine non visibile. Se ho interpretato bene le rocce della carta dovrebbe iniziare dalla foresta del Rombo tuonante. Quella grande foresta che sta a nord del Castello oltre il ruscello Ginestro. Non molto distante dal primo rapimento».

Baldegunde spalanca dapprima gli occhi per la sorpresa e poi corruga la fronte pensando alla vastità del luogo. Più di una volta ha condotto il quel luogo le allieve dragonesse a cavallo per fare addestramento e orientarsi senza strumenti. Tutti i sentieri appaiono uguali e se non avesse messo dei segnali si sarebbero perse moltissime volte.

«Ma è come cercare un ago nel pagliaio per trovare quello buono».

«Lo so!» Risponde con un bel sorriso. «Ma l’ago, se necessario verrà trovato».

«E come?» Baldegunde non è così ottimista come il compagno ricordando le difficoltà e i pericoli della foresta.

«Adesso è un dettaglio ininfluente sapere quale sentiero prendere nella Foresta del Rombo tonante, ammesso che parta in effetti da lì».

Poi la loro attenzione si appunta sul terzo che appare quello meno probabile. Parte da un punto d’ingresso delle montagne innevate.

«Uhm!» Borbotta Markus, osservando il possibile inizio.

«Ma di certo sarà presidiato! È il punto di partenza del sentiero principale che porta nel Cuore di ghiaccio, il principale villaggio dei nerd di montagna» Esclama stupita tenendo in mano una fettina di mela zitella.

Markus sorride all’uscita della compagna. Appare ovvio a tutti questo dettaglio vista l’importanza della strada.

«Se questo fosse il vero sentiero, la sua rappresentazione sarebbe ingenua perché qualsiasi curioso la percorrerebbe. Vuol dire che c’è il trucco».

«Quale?»

Markus l’abbraccia scoccandole un bacio sulla fronte. “Siamo una coppia formidabile!” Riflette riprendendo a osservare questa stranezza.

«Markus, cos’è questo strano segno?» Chiede Baldegunde indicando un tratto di penna, che parte dal vuoto e finisce nel vuoto, in apparenza senza logica.

Subito lo sguardo di Markus si concentra su quando ha detto la compagna. La stanchezza sparisce di colpo dal suo viso. Ha compreso che in realtà l’inizio è proprio in quel punto disegnato senza motivo come se fosse un errore del cartografo.

«Senza la tua intuizione avrei vagato nel nulla per giorni. Hai scoperto il vero punto d’ingresso. Lì ci sarà un passaggio segreto nascosto agli occhi di chi sorveglia la strada. Credo che questo sia il sentiero giusto».

Presa Baldegunde sottobraccio si dirigono verso la camera da letto. La stanchezza e lo stress si fanno sentire.

haiku di primavera

Elettasenso propone oggi, che è lunedì, la scrittura di un haiku. Ricordo la metrica degli haiku 5/7/5 ovvero le sillabe di ogni singola strofa.

il primo fiore del melo

haiku di primavera

Primule nate

nei campi incolti

ti raccontano.

gioco del lunedì: acrostico aprile

Al lunedì ElettaSenso ci ha abituati bene con un momento di svago linguistico.

Puzzone e il sottomura

Siamo in aprile e giochiamo con un acrostico che celebra questo mese.

Amiamo la

Primavera che

Riappare dopo un

Inverno

Libero da neve e

Estivo.

eccoci… è pronta la 14-esima parte

Su Caffè Letterario è stata pubblicata da poco la nuova puntata di Krimhilde e le fanciulle scomparse.

L’ultima avventura di Puzzone

Per chi fosse pigro la riporto anche qui. Buona lettura.

 

La strega Ampfel ha una strega per capello e la capigliatura è piuttosto folta. Quindi… Se la prende con il drago Michele che non è riuscito a portare a termine il progetto pianificato con cura. “Eppure conosceva i dettagli. Doveva intimidirla e io fare l’esorcismo zumba cadum per trasformarla in guscio vuoto. Mi sono fidata di un inetto”.

Il nerd di montagna trattiene il fiato perché l’ira che cova dentro incenerirebbe l’intero mondo se per caso aprisse la bocca.

In silenzio tornano ai monti innevati ognuno chiuso nei suoi pensieri.

Il drago Michele riflette che è stato preso in giro da una donna e questo gli ruga assai. Immagina gli sberleffi degli altri draghi. In particolare di Drago Mario, quello che odia con tutte le sue forze. Ricorda nitide le parole della strega Ampfel. «Devi spaventare la donna. Al resto penso io». Però è andata in modo diverso rispetto a quello concordato. “Mi ha preso per i fondelli… Eppure secondo la strega Ampfel era una facile preda. Sarà…”. Scuote il capo con vigore mentre calcia stizzoso un sasso che trova sul suo cammino.

La strega Ampfel è furiosa e al tempo stesso perplessa e preoccupata. Ha trovato strana l’atmosfera nella Caverna del Pozzo Maledetto. Spirava un’aura non amichevole. Percepiva pericoli che non vedeva. Però il comportamento della capitana delle dragonesse a cavallo è stato atipico, a tratti imprevedibile con quel alternare finte paure a mosse audaci. A mente fredda adesso gli appare come se sapesse in anticipo le loro mosse. “È come se ci leggesse i pensieri per aggiustare il comportamento da tenere”. Ricorda di averla frugata nella mente diverse volte senza risultati pratici: solo vuoto e basta. Però c’era anche qualcosa nell’aria che la minacciava da vicino. “Cosa?” Non è riuscita a comprenderlo. “C’eravamo solo noi tre ma l’avvertimento era palese. Una quarta persona? Non poteva essere invisibile e sfuggire alle mie ricerche”. Tuttavia il tarlo lavora perché la capitana era troppo sicura di sé nell’affrontarli. “Il compagno?” Scuote la testa mentre imbocca il sentiero presidiato dai nerd di montagna che si spostano di lato per farli passare. “Lui non si è mai visto né prima né dopo. Nessun odore umano ma solo di selvatici. Eppure…”.

Lei prende la via di destra che la conduce alla sua abitazione immersa nella neve. Ad accoglierla c’è l’apprendista strega Rotapfel che prende il mantello e gli stivali di cuoio ballerino.

«Non ho fame» brontola la strega Ampfel gettandosi sul divano rosso.

Se stamattina avrei mangiato un intero bue, adesso lo stomaco ha chiuso bottega e non vuole nulla. Quella donna mi ha tolto l’appetito”. Incrocia le braccia, abbracciandosi, e tenta di distendere la fronte aggrottata per il pensiero fisso della minaccia.

«Non mi sembra che quell’uomo conosca magie o pozioni da rendersi invisibili. Le mie spie al Castello dicono che sia un abile falegname e basta. Poi è sufficiente vederlo con quella mano di legno per capirlo. Eppure…». Borbotta a mezza voce chiudendo l’occhio sinistro. “E se avesse avuto delle imbeccate? Ma da chi? I miei informatori negano la presenza di persone in grado di produrre magie o preparare pozioni…”. La parola pozione le risveglia qualcosa nella mente. Esistono pozioni in grado di trasformare una persona e renderla irriconoscibile o invisibile. “Se fosse vero…” riflette sull’ultima ipotesi, “vuol dire che esistono delle persone che conoscono i segreti dei fiori e delle piante. E sono sfuggiti alle mie spie”.

Adesso è troppo stanca per attivarsi e chiude gli occhi. Sogna o meglio ha degli incubi. La capitana la imprigiona nelle segrete del Castello in una cella senza finestre. Il compagno senza viso passa indenne attraverso i loro controlli e riporta al Castello le ragazze prigioniere. Si sveglia in un lago di sudore. Sa d’aver visto il futuro e questo le mette terrore e ansia.

«Rotapfel!» Urla in preda al panico. «Preparami un bagno caldissimo!»

Mentre la strega Ampfel è terrorizzata dal suo futuro, il drago Michele rimugina su tutti gli eventi. Sono molte le stonature che trova. “Quando ho incontrato la capitana, lei conosceva molto di me. Sgrunt!” e un fiotto di aria incandescente esce dalla bocca e dal naso.

Un broccato rosso va in cenere. «Devo fare attenzione» mormora osservando il piccolo disastro combinato. “Dovrò ricomprarne un altro uguale se lo trovo e questo era pregiatissimo. Un bel fiotto di schei di montagna mi è costata la mia ira”.

Si siede sulla poltrona di pelle conciata nell’angolo sinistro della stanza per calmare l’agitazione interna. “Altrimenti brucio tutto”. Prova a riflettere sull’incontro della mattina. “Anomalo” è la risposta. “La capitana delle dragonesse a cavallo ha finto molto ed è stata sincera molto meno”. Sorride perché la speranza che avesse collaborato di sua spontanea volontà non è stata tra le opzioni disponibili. Però ricorda che a pelle il suo comportamento l’ha indispettito più di una volta. Un lampo. «Quella mano sinistra sempre dentro la salopette non mi ha fatto scattare nessun avvertimento ma ora appare sospetto. Che tenesse un amuleto? O cosa?»

Scuote la testa ma trattiene il fiato per non provocare altri danni. La sua casa è piena di bruciature e il mucchietto di cenere rossa glielo ricorda. Arriva alla conclusione che, se è arrivata tranquilla, vuol dire che non li temeva. È stata troppo sicura di sé per lasciarsi intimorire e di certo ha tenuto dentro la salopette un qualcosa che le ha dato facoltà superiori alle loro. “Ne devo parlare con la strega Ampfel ma ora non è il momento propizio”.