Matteo e Micaela

Micaela riprese a frequentare il cantiere, a prendere appunti, a rendersi utile al gruppo di lavoro al quale era aggregata, ma percepì subito che qualcosa stonava con Marco, perché non era nulla come prima. Quando gli sguardi si incrociavano, si soffermavano un attimo, poi si fissava altrove, come se si volesse nascondere un segreto. Quando si parlavano, capitava che lui dicesse a Micaela “Lei faccia…” subito corretto da “Tu fai…”.
Tanti segnali erano captati che qualcosa si era rotto nel meccanismo. Questo da un lato la rammaricava perché percepiva freddezza e una punta di astio, dall’altro lato le faceva comprendere che aveva avuto abbastanza intuito nel respingere quel appena accennato corteggiamento. Si domandava incerta e dubbiosa cosa sarebbe avvenuto se avesse accettato di uscire quella sera.
Questi pensieri ronzavano nella testa come vespe impazzite distogliendola non poco nel prestare attenzione a tutto quello che avveniva nel cantiere. A volte si accorgeva che perdeva pezzi dei loro discorsi o rimaneva indietro rispetto a loro. Sentiva su di sé gli interrogativi dei componenti del gruppo che con gli sguardi si domandavano i motivi del brusco cambiamento e dello scarso interesse che lei mostrava.
Si impose di scacciare dalla propria testa tutto quello che non era attinente all’attività che stava svolgendo, esattamente come erano stati cacciati i mercanti dal tempio. Matteo era lontano e non costituiva un motivo d’affanno perché per diversi giorni non avrebbe dovuto pensare a lui. Quello che stava facendo era interessante e molto di più di quello che aveva pensato inizialmente, Il materiale raccolto per la tesi era copioso e di buona fattura, tanto che sarebbe stato difficile scegliere e sfrondare per limitare il numero di pagine.
Le rimaneva un grosso rammarico perché intuiva che sarebbe stato improbabile per lei una volta laureata entrare nello studio AccaKappa a causa di Marco.
“Pazienza” si disse più di una volta facendo mente locale su questo dettaglio “Esistono altri studi di architetti dove posso incominciare con l’apprendistato”. Di certo l’esperienza che stava maturando in questo progetto, la tesi che presagiva più che buona sarebbero stati un valido passpartout per aprire diverse serrature importanti in campo professionale.
Però quando pensava a questo le sembrava di assomigliare alla volpe della famosa favola di Esopo, perché non era questo l’epilogo che aveva a lungo sognato.
Tra qualche giorno Matteo sarebbe tornato da Roma, dove era per motivi di lavoro. Quindi era giunto il momento di concentrarsi su di lui.
Si erano sentiti per telefono al suo rientro dopo la vacanza a Madonna di Campiglio, ma era stata quasi una formalità. Lei era impegnata con un battesimo, lui doveva riordinare la casa dopo quasi tre settimane di assenza prima di riprendere il lavoro. Micaela non aveva mostrato nel tono della voce soverchio entusiasmo, era stata un po’ freddina. Si era interessata alle ferrate, alle passeggiate nei boschi, alle località visitate con domande monotone, prive di mordente, perché tutto sommato non provava grande curiosità nel conoscere quei posti. Matteo aveva risposto con calma, moderando la voce, trattenendo lo spirito guerriero e possessivo che affiorava pericolosamente dalla palude della sua personalità. Stava facendo un enorme sforzo per tenere a bada il carattere egocentrico e geloso nel tentativo di rispettare quanto si erano detti qualche giorno prima.
La telefonata proseguì stancamente finché Matteo risolutamente non vi pose fine, accennando ad un ipotetico e pressante impegno che richiedeva la sua presenza.
“Scusa, Micaela” disse alzando il tono della voce da dolce e appena sussurrata ad aspra e decisa “E’ arrivato pochi minuti fa un messaggio del capo, che mi chiede un incontro urgente. Non ho fatto in tempo a mettere piede in casa, che subito ha urgenza di parlarmi. Non poteva aspettare domani in ufficio”.
“Non ti preoccupare” rispose Micaela più distesa e rilassata, perché ormai aveva esaurito tutto il bonus di domande e di argomenti da trattare e cominciava ad essere in affanno.
Matteo, chiusa la telefonata bruscamente perché era diventato un melenso gioco delle parti che non stava portando da nessuna parte, cominciò a riflettere sul loro rapporto. Si chiedeva se aveva senso proseguire, perché la percepiva lontana, distaccata, quasi indifferente. Micaela non gli sembrava più quella donna determinata e volitiva che aveva conosciuto nel supermercato dell’Arcella, con la quale aveva avuto quello scontro verbale in Piazza delle Erbe. Ora appariva molliccia, poco reattiva, diversa da come l’aveva immaginata nel corso delle lunghe passeggiate in solitario per i rifugi del Trentino. Se la aspettava grintosa, pronta a sfoderare le unghie, invece si era limitata a poche domande banali ed inutili sulle vacanze senza approfondire nulla.
Micaela aveva ancora il telefono in mano accovacciata sulla poltrona della sua stanza mentre si interrogava sulle sensazioni provate sentendo la voce di Matteo. Percepiva strane impressioni che stavano tra l’indifferenza e l’incredulo, perché non aveva riconosciuto nessun afflato amoroso od emozione dentro di sé. Lei era stata asettica e distaccata nel parlare, ma lui sembrava un altro, la pallida controfigura dell’uomo tutto nervi e determinazione che aveva conosciuto.
“E’ vero” si disse “E’ vero che non c’è stato il minimo sentimento nelle mie parole. Però lui è stato misurato anche troppo nelle manifestazioni d’affetto. Sembriamo due estranei che non hanno niente da dirsi”.
Si erano lasciati senza chiedersi o promettersi di vedersi nei prossimi giorni. Aveva quasi il sapore di un addio anziché di un arrivederci. Poi era arrivata la telefonata che le annunciava che Matteo sarebbe stato lontano da Padova per almeno dieci giorni.
Questo le aveva tolta molta ansia, perché avrebbe rimandato a più avanti tutti i chiarimenti come se non sapesse quello che il cuore e la mente avevano già deciso.
(Capitolo 19)

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