Il Viaggio – 3

Adesso aveva sei anni e vedeva la corte irregolare sommersa da assi e legname recuperato dalle vecchie case. C’erano due pezzi di marmo tondeggianti un tempo bianchi, ma adesso inscuriti dal tempo e dalla polvere. Forse facevano parte di vecchie colonne, che non sapeva dove fossero collocate.
“Erano la parte superiore o inferiore?” si interrogava senza troppa fretta, né curiosità, perché erano il mondo dei giochi assieme a due sedili di marmo rosato butterati dal tempo e dagli uomini.
Salire, scendere, saltare era il mondo della fantasia di bambino, che immaginava quali avventure doveva affrontare. Un lampo, un urlo di dolore era uscito dalla bocca, mentre la gamba sanguinava come una fontana. La corsa disperata al pronto soccorso, i pianti e le paure erano immagini vivide e reali, che scorrevano in sequenza sullo schermo in tre dimensioni della mente.
Il fasullo se ne stava in un cantuccio ben nascosto, ma pronto ad uscire allo scoperto infingardo ed falso, quando la malinconia avrebbe finito la pellicola.
Il filmato era irregolare, a strappi quasi singhiozzante, perché era consunto ed annerito dal tempo. Stava su un lettino guardando fuori dalla finestra un giardino ricco di magnolie imponenti dalle foglie verdi lucide, mentre piangeva in silenzio. La ferita era infetta, perché nella fretta avevano lasciato dentro una garza, mentre un uomo vestito di bianco scuoteva la testa e diceva “Speriamo”.
Avrebbe rivisto quelle magnolie altre volte, mentre lentamente la ferita diventava una lucida cicatrice ben evidente nel ginocchio.
I fotogrammi scorrevano veloci davanti agli occhi, mentre Luca bambino scendeva in strada dalla finestra della camera o scivolava incosciente sul corrimano delle scale. Era un discolo irrequieto sempre pronto ad arrampicarsi ovunque pensando a Tarzan e trascinava con se Gloria, che lo ammirava con due occhi dolci ed immensi.
Era solo nel dehor immerso nel caldo asfissiante di luglio e si concesse un intervallo per mangiare qualche boccone del panino che aspettava nel piatto.
Si chiese perché si era immerso nel flusso dei ricordi, che gorgogliavano sicuri nella mente, mentre il fasullo timidamente si affacciava fuori dal luogo segreto nel quale si era rintanato.
“Vergogna!” gli gridò il malinconico stizzito per la codardia dell’altra parte.
“Avete finito di litigare?” li riprese Luca irritato del continuo battibeccare delle due personalità che albergavano dentro di lui “Voglio ricordare e basta”.
La pellicola si era spezzata e doveva riattaccarla se voleva proseguire a vedere il prosieguo del film della sua vita. Non era facile, ma testardamente ci provava.
Il suo occhio stanco per il viaggio e per il sudore, che scivolava umido tra le ciglia, vide in lontananza dei bambini che disegnavano qualcosa sul marciapiede infuocato prima di iniziare un gioco chiassoso ed allegro.
Come per magia si sentì trasportare nella corte senza erba con un sicomoro frondoso e qualche aiuola maltenuta addossata ai muri. Era il suo regno da maggio ad ottobre con i giochi aiutati dalla fantasia, annaffiati da secchi d’acqua gelida, che dalle finestre venivano gettati con abbondanza per raffreddare la turbolenta gioiosità dei ragazzini.
Poi si concentrò su quel gioco tanto affascinate quanto inadeguato per le dimensioni della corte.
“Come si chiamava?” chiedeva aiuto al malinconico, perché il fasullo si era nuovamente nascosto.
“Ah! Bac e Pandon!” replicò con immediatezza la parte presente.
Era un gioco ricavato da un elemento povero: un vecchio manico di scopa, messo in un angolo in attesa di finire nella caldaia in minuscoli pezzi. Il pandon era una piccola scheggia di legno appuntita, che doveva essere colpita dal bac, il manico tagliato. La scheggia si alzava roteando prima di essere colpita al volo e mandata lontana. Però, c’era sempre un però nel gioco, perché se finiva su un vetro erano dolori.
Luca sorrideva beato e felice, ma era tempo di tornare ad Ersilia.

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