La notte di San Giovanni – parte trentatresima

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La partita del debutto nel campionato di A1 fu uno strepitoso successo per Deborah, tanto che ebbe l’onore di essere considerata la MVP (Most Valuable Player) delle due giornate. Il coach ebbe più volte parole di riconoscimento verso di lei, per come aveva gestito la gara fino alla vittoria sulle campionesse d’Italia. Encomi doppiamente graditi, perché lui non si sprecava mai in lodi ma trovava sempre una sbavatura in una partita perfetta. I giornali sportivi del lunedì parlarono che era nata una nuova stella nel basket femminile. ‘A ventidue anni Deborah Secchioni esplode con giocate magistrali. La nazionale ha trovato la nuova Mabel Bocchi‘ titolava la Gazzetta dello Sport il 15 ottobre nell’articolo che parlava della giornata inaugurale del campionato. In pratica aveva preso per mano la sua squadra, ‘Aquile Rosa‘, nella vittoriosa sfida contro la ‘Familia Schio’ del duo Macchi-Masciadri, che rappresentano il meglio del basket femminile nostrano. La ragazza non era riuscita, nonostante gli elogi, a mitigare da quello stato di ansia che ormai l’aveva contagiata da due settimane.

Oltre a conquistare i titoli dei quotidiani sportivi, Deborah aveva avuto l’onore di essere copertina della rivista ‘Gossip Girl’ per merito di Marco. L’articolo interno era un ritratto a tutto tondo, dove il gossip era stato cacciato dalla porta, lasciando il posto a una rappresentazione lusinghiera della sua personalità.

In conclusione era stato un week end da incorniciare quello vissuto dalla ragazza.

Anna, la compagna di stanza, aveva notato il viso sofferente di Deborah e non riusciva a comprenderne i motivi. Avevano vinto una partita, dove nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulla loro vittoria. Lei era stata decretata MVP delle due serate, un riconoscimento ambito da qualsiasi giocatrice. Aveva avuto l’onore della prima pagina di una rivista che vendeva milioni di copie. Quindi avrebbe dovuto sprizzare gioia ed entusiasmo da ogni porro. Invece pareva assente, insoddisfatta e nervosa, quasi infastidita da tutte queste attenzioni.

C’è qualcosa che non va?” le chiese Anna, quando rientrarono in albergo dopo aver partecipato alla serata di gala con le premiazioni delle giocatrici.

No” rispose la ragazza laconicamente.

Eppure noto che c’è qualcosa che non va” disse la compagna, mentre si spogliavano per andare a letto.

Forse hai ragione. Dovrei essere felicissima ma c’è qualcosa che me lo impedisce. Non chiedermi cosa, perché non lo conosco nemmeno io!” fece Deborah, infilandosi sotto le lenzuola.

D’accordo. Forse lo stress del debutto e quei complimenti non ti sono stati d’aiuto. Beh! Ora dormiamo e ne riparliamo domani. Notte” affermò Anna.

Notte” rispose la ragazza.

Deborah si trovò a camminare per strade sconosciute, polverose e solitarie. Miao incedeva spedito come se si trovasse a suo agio in quelle lande sassose a tratti ricoperte da una folta vegetazione. Era nella tenuta giallo-blu della sua squadra: maglietta ancora zuppa di sudore della partita, pantaloncini di raso rosso e scarpe Jordan. Il sole era basso sull’orizzonte e illuminava delle vette che non parevano altissime. Aveva strane sensazioni. Procedeva spedita da diverse ore senza sentire né fatica né fame. Solo una gran voglia di bere.

Ma da quante ore cammino?” si chiese, osservando Miao, che stava innanzi a lei. Non riusciva a darsi una risposta certa. Provò a orientarsi col sole ma ben presto ci rinunciò. La polvere sollevata dal vento si appiccava alla pelle come una sottile pellicola grigia. Le labbra era gonfie, quasi spaccate dall’arsura e dal caldo.

La strada proseguiva dritta sull’orizzonte. A destra e sinistra nulla, solo petraia arsa dal sole. Qui le piante cercavano di vincere la sfida della sopravvivenza. Sullo sfondo di un cielo terso e limpido apparve un muro di verde.

Deborah camminava in silenzio senza pensare a nulla. Pareva in una bolla che la isolava del resto del mondo. Quasi senza rendersene conto entrò in quella parete verde, una selva che oscurava il cielo. Sentì le grida roche di animali sugli alberi e il ronzio di insetti, che non vedeva. Rallentò, perché i raggi del sole, ormai radenti all’orizzonte, non riuscivano più a illuminare i suoi passi.

Miao” disse con tono disperato, chiamando il gatto che pareva sparito alla sua vista.

Ascoltò solo l’eco delle sue parole ed ebbe paura. Si tastò le braccia scoperte e i pantaloncini che arrivavano alle ginocchia. Rise. ‘Non è certamente l’abbigliamento adatto per una passeggiata nella giungla’ si disse nel tentativo di infondersi coraggio. Era sola, abbandonata anche dal gatto. ‘Cosa fare?’ si chiese fermandosi un attimo per abituare gli occhi all’oscurità incombente.

Riprese a camminare di buona lena. ‘Devo trovare un paese, una casa per la notte. Non oso pensare di camminare col buio su questo sentiero umido e oscuro’ si disse, mentre sempre più a fatica riconosceva i contorni della strada. Del gatto aveva perso le tracce, inghiottito dalla verde tenebra della selva. Era scomparsa con lui anche la sicurezza nel cammino. L’ansia le suggeriva di mettersi a correre. ‘Correre? Sarebbe pura follia’ rifletté, cercando di calmare la paura che sempre con maggiore vigoria saliva, saliva fino al cervello.

Adesso udiva le voci misteriose della giungla, il rumore delle ali che sbattevano nell’aria, i rochi richiami di animali notturni. Questo minava sempre di più la sua determinazione a proseguire. Continuò a camminare ormai immersa nel buio e nei suoi pensieri. Le gambe si muovevano come automi senza che la sua volontà le comandasse. Un groppo alla gola le bloccava il respiro, mentre procedeva quasi in apnea. In distanza le parve di scorgere un lieve chiarore. Accelerò il passo, mentre quel baluginio di luce diventava sempre più netto. La cupola nera del verde degli alberi si aprì come d’incanto, mostrando un cielo stellato. Una casa era sulla sua destra, appoggiata sul prato che stava intorno alla strada. Si avvicinò e vide Miao che l’aspettava dinnanzi a un’apertura protetta da una stuoia che immaginò colorata. Era un insieme di assi di legno, coperti da paglia, senza finestre, almeno dalla visuale che Deborah poteva scorgere. L’aspetto non era invitante ma il buio e la sensazione di freddo vinsero i suoi timori e la spinsero ad avvicinarsi.

Ecco dove ti eri nascosto!” gli disse, inginocchiandosi per accarezzarlo.

Miaouuu” fu la risposta.

Sei un birbante” lo sgridò Deborah con dolcezza, accostandosi all’apertura.

Una mano grinzosa scostò quel tappetto, come per invitarla a entrare.

Muj oc#el1” sentì una voce profonda proveniente dall’interno.

Miao senza aspettare altro si infilò nel varco. Deborah rimase interdetta. ‘Che razza di linguaggio parlano?’ si disse incerta se rimanere fuori o accogliere quell’invito, composto da suoni del tutto sconosciuti. Si fece coraggio ed entrò.

Appena dentro la tenda tornò al suo posto, mentre lei spalancava gli occhi nel vano tentativo di vedere delle forme. Notò solo gli occhi giallastri di Miao e un puntino rosso che si muoveva ritmicamente in avanti e in dietro. L’olfatto percepì un gusto dolciastro non ben definito. Pensò che fosse quel puntino rosso a produrlo. L’udito ascoltò un respiro, anzi più respiri di diverse persone, senza che la ragazza riuscisse a indovinarne il numero. ‘Dunque più uomini sono in questa baracca’ rifletté. Allungò la sinistra e il tatto le fece percepire un piano ruvido ma non freddo.

Altre parole gutturali si arrampicarono nella sua mente. Non capiva cosa le dicessero. Il buio più totale le impediva di osservarne l’interno, bloccandola di fatto in quella posizione di attesa. Si fece coraggio e mosse un passo verso destra, perché prima aveva aveva tastato qualcosa a sinistra. Non trovò ostacoli ma l’impossibilità di conoscere la loro ubicazione la bloccarono di nuovo. ‘Ho paura’ pensò, subito scacciata dal pensiero che Miao non aveva avuto esitazioni a entrare. Se c’erano pericoli, non arrivavano dall’interno.

Yan tech huinyial2?” le chiese una voce, che lei associò a un volto femminile.

‘Che cavolo sta dicendo? Se dico sì, non so che mi aspetta. Se dico no, potrebbero offendersi’ ragionò, rimanendo in silenzio. Una posizione neutra né di accettazione, né di rigetto.

Una mano afferrò la sua sinistra, riportandola verso il piano ruvido. Con la destra avvertì un qualcosa che assomigliava nella forma a una ciotola. L’odore pareva buono. Prese con entrambe le mani la scodella e la portò alle labbra. Sentì il rumore del lappare di Miao. Un liquido caldo passò sulla lingua e poi nell’esofago. Il gusto era di suo gradimento ma forse era la fame e la sete che avevano compiuto il miracolo.

Poi sorso dopo sorso svuotò il contenuto della ciotola, mentre avvertiva una profonda sensazione di benessere.

Aveva appena finito di bere quel liquido piacevole, quando gli occhi tentarono di chiudersi, anche se lei si sforzava di tenerli aperti.

Alla fine prevalse il sonno e scivolò verso terra, sorretta da mani amiche.

1Entra in linguaggio maya ch’ol

2Hai fame? Traduzione del linguaggio maya ch’ol

0 risposte a “La notte di San Giovanni – parte trentatresima”

  1. Il tranquillo comportamento di Miao lascia ben sperare che si è finalmente giunti in un luogo amico. Certo il buio all’interno della tenda ed il sopraggiungere della notte non aiutano Deborah ad orientarsi ma qualcosa di buono è in arrivo. Per il momento rifocillata e con accanto il fido Miao potrà regalarsi qualche ora di sonno rigenerante, io resto con gli occhi ben aperti in attesa di leggere la trentaquattresima parte … non ho intenzione di perdermi il meglio proprio adesso! 😉
    Buona domenica Gian Paolo, un abbraccio

  2. Molto enigmatico e avvincente. Il tutto narrato con grande capacità di lasciare con il fiato sospeso. Le sensazioni provate da Deborah sono rese con accuratezza, si percepiscono il freddo, il senso di smatrimento, la paura e infine il sollievo del rifugio. Lo scarto con i capitoli precedenti, preparato con attenzione dalla progressione del ritmo, è sorprendente ed efficace.

    1. Mi aspettavo questa domanda. Non ho studiato la lingua maya, come non conosco i dialetti italiani 😀
      Quando scrivo qualcosa mi documento, cerco, reperisco fonti. In questo caso sono stato fortunato perché ho trovato abbondante materiale con frasi già pronte o parole o verbi. Da un lato la versione maya dall’alltro il significato in inglese o anche quello italiano. Ho trovato un databese inglese con oltre 50000 lemmi. Le frasi pronte per l’uso erano su una miniguida per turisti a tre colonne: maya, inglese, italiano per consentire la sopravvivenza nell’area maya.

        1. Amo curare il dettaglio. Nel racconto precedente l’ambientazione era nella mia città natale e dove vivo attualmente, eppure pur conoscendola a fondo ho verificato, ho raccolto notizie per rendere credibile la storia.

          1. E in fondo è affascinante, per quanto faticoso, piegare la fantasia alle esigenze del realismo, temperare gli estri mediante il confronto con la realtà. Le storie ne escono fortificate, i nessi risultano più saldi, premesse e conseguenze più strettamente connesse.

            1. Dovendo scrivere un qualcosa di solo fantasia, non reale, ovviamente lascio libera l’immaginazione. Quando scrivo qualcosa, anche se è un urban fantasy, allora il contesto reale nel quale si muovono i personaggi deve essere credibile.

  3. Il buio, l’enigma…avvincente! E poi some sempre la precisione e lo studio che metti nei tuoi pezzi! Sei bravissimo! Un abbraccio grande

  4. E’ molto bello il modo in cui fai vivere personaggi di fantasia in un contesto reale. Coraggiosa Deborah, credo che la tranquillita’ del suo gatto tranquillizza anche lei. Non ho mai avuto molta simpatia per i gatti, devo essere sincera, pero’ averne uno come guardia del corpo non e’ male, in fondo son “felini”!!!

    1. I miei personaggi di fantasia alla fine sono persone reali e tendo di farli vivere come tali.
      Sì, avere un gatto come guardia del corpo non è una cattiva idea. So che molti detestano i gatti e in particolare quelli neri. Proprio per riscattarli l’ho preso come simbolo.
      Grazie e una felice Pasqua a te e a tutti i tuoi cari

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