Capitolo 7

Giacomo, dopo essersi accomiatato da Giulia e Ginevra, dandosi appuntamento per la sera, cominciò a girare per le vie intorno alla Cattedrale.
Era smarrito perché non riconosceva quasi nulla né vie né abitazioni. Una carrozza chiusa lo attendeva nei pressi di Palazzo Paradiso per riportarlo a casa.
“Quale casa?” si domandò perso mentre percorreva via Gorgadello facendo attenzione ai numerosi rigagnoli che come torrentelli scorrevano verso il Palazzo Ducale.
“E a casa chi troverò? Una moglie? Dei figli? Fratelli e sorelle?” continuava a riflettere un po’ angosciato.
Il timore di non sapere cosa avrebbe trovato, la quasi certezza di non conoscere il proprio cognome erano il viatico che gli faceva compagnia in questo girare in una città che non riconosceva come propria, almeno in gran parte. Percorse un tratto di strada verso la chiesa di San Francesco, che scorgeva in lontananza. Qualcosa di familiare finalmente gli rischiarò la vista.
“Quale palazzo mi ospiterà stasera? Qui sembrano tutte nuove costruzioni. Giulia ha parlato di quello che occupa un isolato in Voltapaletto. Però qui sono tutti immensi e freschi di calce. Il cocchiere saprà condurmi sicuramente a quello giusto. Mi sento fuori posto, anche se pare che tutti facciano a gara per mettermi a mio agio”.
La sera declinava rapidamente e le strade diventavano buie in fretta. Giacomo si affrettò a tornare dove stazionava la carrozza. Non si sentiva sicuro nell’oscurità incipiente.
“A casa” disse una volta salitovi mentre si abbandonava sul comodo sedile di raso rosso. “Tanto lui sa dov’è la mia casa in questa epoca. Io no”. Era una sensazione strana quella di non conoscere chi era in questa epoca.
Lentamente si avviò verso la Zuecca che risalì per uscire da Porta San Giovanni. Quello che lo stupiva era che la strada era più stretta di quel che ricordava. Adesso era un immenso cantiere sia a destra che a sinistra, che confondeva i suoi ricordi. Raggiunse la porta che era già chiusa e vigilata dal corpo di guardia. All’imbrunire dunque le porte cittadine venivano sprangate fino al sorgere del nuovo sole. La carrozza si fermò, mentre il cocchiere confabulò col capitano. Un lento cigolio avvertì Giacomo che i soldati stavano aprendo il portone per consentire l’uscita. Percepì che si era rimessa in moto dall’andamento saltellante delle ruote sul terreno irregolare.
Scostò la tendina per scrutare fuori ma osservò solo buio e un accenno di bruma che si levava dai campi. Le strade gli erano sconosciute o quanto meno non identificabili con quelle che conosceva. Qualche misera abitazione sorgeva qua e là ai bordi ma su tutto regnava oscurità e foschia.
Si domandava come il cocchiere riuscisse a guidare senza perdersi ma in particolare si chiese con quale coraggio avrebbe affrontato il percorso inverso per raggiungere il luogo del convivio.
Lui continuava a sentirsi fuori posto ma scacciò questo pensiero, perché voleva scoprire le motivazioni per le quali era piombato in un secolo che non gli apparteneva. Si concentrò sui rumori che ascoltava. Per le azioni ci sarebbe stato tempo.
Il lento battere degli zoccoli del cavallo, il cigolare delle ruote sul terreno irregolare, gli sbalzi della carrozza sulle asperità della strada furono i compagni di viaggio di Giacomo, immerso nei suoi pensieri.
Avvertì che la carrozza si era fermata di nuovo.
“Siamo arrivati?” rifletté scrutando fuori. La sagoma di una chiesetta compariva alla sua destra, mentre in lontananza si vedevano dei fuochi tremolanti che illuminavano un viottolo.
Il cancello cigolante si aprì e la marcia fu ripresa.
“Messer Giacomo, siamo arrivati” udì la voce ormai familiare del cocchiere mentre si apriva la porta per scendere.
Giacomo osservò la facciata della sua abitazione senza riuscire a memorizzare nulla.
“Ci sarà tempo per osservarla meglio. Ora le ombre impediscono di vederne i contorni”.
Accompagnato da un domestico con un grande candelabro raggiunse quella, che suppose, fosse la sua stanza.
Una graziosa serva gli portò dell’acqua calda e gli disse: “Madonna Isabella vi aspetta nelle sue stanze”.
L’informazione lo fece riflettere.
“Dunque sono sposato”. Era una nuova indicazione che si aggiungeva alle altre. Lentamente il mosaico avrebbe mostrato il disegno complessivo.
La ragazza, vestita con panni di lana ruvida, l’aiutò a togliersi il mantello e il farsetto. Poi versò l’acqua in un bacile elegante e dai riflessi metallici, invitandolo a immergervi i piedi che strofinò con forza.
Giacomo si domandò chi fosse questa serva e le chiese chi era, perché gli sembrava un viso nuovo.
“Sono Ghitta, messer Giacomo, per servirla” rispose pronta mostrando un viso furbo e pulito.
“Zucola mi ha assegnato a lei in sostituzione di Lorenzo, che è stato arruolato nell’esercito del Duca”. Precisò con una punta di orgoglio.
“Zucola? Lorenzo? E chi sono costoro? Servi? Domestici? Qui tutto si complica e si fatica a capire il nesso tra nomi e mansioni” rifletteva Giacomo, sbottonando un corpetto con le maniche.
La ragazza continuò a parlare, a spiegare mentre l’aiutava a togliersi gli indumenti.
“Sono la figlia di Antonio, un contadino di messer Ercole, vostro fratello. Oggi è il mio primo giorno. Sarò la vostra cameriera personale”.
Giacomo si fermò un istante a riflettere perché oltre che a una moglie aveva anche un fratello.
Ghitta afferrò la calzamaglia per sfilarla e nel farlo toccò le parti intime emettendo un gridolino tra lo stupore e la gioia.
“Quanti anni hai?” le chiese, un po’ infastidito, anche se quel tocco aveva risvegliato qualcosa di sopito.
“Diciotto, messer Giacomo. E non sono ancora maritata perché mio padre non ha i soldi della dote” rispose pronta.
Raccolse tutti gli indumenti e sparì velocemente in una porta.
C’era qualcosa che non quadrava mentre era rimasto praticamente solo con un camicione di lana.

26 risposte a “Capitolo 7”

  1. Ciao Gian Paolo, ti seguo… seguendo anche ser Giacomo.
    La storia man mano è sempre più interessante. Iniziamo a scoprire anche moglie e fratello e poi…
    Cosa ci farai ancora “assaporare”?…
    Comunque, non ricordare nulla della propria vita è certamente un forte disagio, che lascia
    l’anima e il cuore in balia dell’ignoto.
    Un grazioso weekend per te
    Mistral

  2. Bene, hai ripreso!
    Il quadro inizia a delinearsi: una moglie e una ragazza a quanto pare un po’ sfacciata. Certo, per lui non è una situazione facile. Si trova come chi avesse di colpo perso la memoria.
    Capitolo molto buono.
    Un abbraccio!

  3. Questo viaggio nel passato è sempre più avvolgente, mi piace.
    Giacomo varca nel buio non sa cosa l’aspetta… e ti dico che anche io sono mooolto curiosa.
    Sei talmente bravo nel descrivere la tua storia in un mondo così antico che mi dà l’impressione di viverla assieme a Giacomo…
    Un abbraccio e un sereno fine settimana
    Trisch

  4. Lo so che domani c’è il classico pesce d’aprile. Ma è sufficiente prendere tutto in allegria.
    bella l’immagine e grazie per il commento.
    Un bel pesce d’aprile ti aspetta.
    Gian Paolo

  5. Sono capitato qui leggendo commenti su altri blog ed ho letto questo capitolo del racconto che ho trovato molto interessante e di gradevole lettura.
    Tornerò a leggere il racconto dall’inizio per darti altre mie impressioni.
    Per ora ti saluto

  6. Mi piace proprio questo Giacomo. Si trova a vivere in un momento che non gli appertiene eppure non si mostra né pavido, né eroico. Solo curioso e prudente Curioso di scoprire e prudente nell’arrivare alla scoperta.
    Ci hai aperto un mondo lontano, affasciante dove le storie della realtà e della fantasia convivono in armonia.

    1. Hai colto nel segno. Giacomo è curioso e nello stesso tempo prudente. Forse ho riverberato in Giacomo qualcosa di me.
      E’ un esercizio difficile far coesistere realtà storica e fantasia. Non so se ci riuscirò.

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