Capitolo 9

Cristoforo Messisbugo era indaffarato a correre tra il piano nobile e le cucine al pianoterra per sovraintendere al banchetto che la contessa Giulia Bevilacqua aveva organizzato per l’apertura del Salone d’Onore dopo gli ultimi lavori di pittura sul soffitto..
Non andava bene niente. In cucina le cuoche non preparavano i piatti come voleva lui.
“Quello stagnatello deve stare ben coverto. Se no, il bollore dell’acqua non è giusto per la minestra di Diamante” imprecava con la cuoca che aveva dimenticato coprire la casseruola.
“Quel capretto deve essere sbollanzato prima di togliere la pelle” urlava agitando il coltellaccio con la serva che doveva scuoiarlo.
Non andava meglio nell’apparecchiatura della tavola. La tovaglia non cadeva bene, i candelabri non erano disposti come si doveva, le bacinelle per lavarsi le mani erano insufficienti. Un piccolo disastro per lui così meticoloso nella cura dei particolari.
“I coltelli con le sue forzine non sono sistemati come vi ho insegnato! E dove sono i pironi? E i coltelli per trinciare? E i cucchiari per la minestra?” urlava inseguendo il domestico addetto alle posate, che fuggiva terrorizzato.
“Quei mazzoli di fiori sembrano buttati lì per caso” imprecava, aggiustando la loro disposizione, mentre la ragazza addetta ai fiori si mimetizzava tra le altre domestiche.
Era tutto un gridare, un rincorrersi, un controllare la lista delle vivande, degli oggetti della tavola, dei vini e di quanto serviva per un banchetto secondo le sue precise regole.
Era pignolo e iracondo, se non venivano rispettate le sue istruzioni. Però forse lo sarebbe stato anche se venivano seguite a puntino tutte le sue raccomandazioni. La confusione regnava sovrana con serve e servitori che si agitavano come tante marionette i cui fili erano mossi da mani inesperte.
Mentre fervevano i preparativi per il convivio, che sarebbe cominciato tra qualche ora, in un tripudio di voci cacofoniche, la contessa Giulia era nelle sue stanze con la cameriera personale che l’aiutava a prepararsi per la serata. Il caotico bailamme delle cucine non la sfiorava, né udiva il veloce scalpiccio di chi trasportava stoviglie e tovaglie dal piano terra al salone.
Anna, la cameriera personale, la stava pettinando contando una lieve filastrocca mentre con rapidi colpi di spazzola lisciava la lunga capigliatura scura della ragazza.
“Mi fai male” disse stizzita agitando le mani, come per difendersi da un nemico invisibile.
“Mi spiace, mia signora, ma nei capelli si sono annidati dei diavoletti che non vogliono andarsene” replicò bonaria e paziente. “Stasera dovete essere bellissima per essere la regina del banchetto”.
Giulia a queste parole si quietò e pensò a messer Giacomo, perché  quell’uomo la intrigava moltissimo, le piaceva anche se era a conoscenza che era già sposato. Quando l’aveva visto nella sala di lettura, non aveva resistito dal contattarlo e l’aveva trovato misteriosamente delizioso. Rifletté sullo stato dell’uomo, non libero sentimentalmente.
“Perché forse non ha mai tradito la moglie? Di sicuro l’avrà fatto. E lei è casta e pura? E quando la duchessa Lucrezia l’ha invitata a palazzo Costabili per i banchetti in onore dei suoi ospiti, si è forse comportata come una moglie fedele e irreprensibile?”.
Sapeva come andavano a finire quei convivi quando la duchessa chiamava a raccolta tutte le donne sposate della corte per rendere omaggio agli ospiti e al seguito. Nessuna di loro aveva mai parlato direttamente di quello che avveniva ma le voci correvano e non erano certamente benigne.
Il solo pensare a questi eventi l’aveva eccitata ancora di più. Stasera era lui l’ospite d’onore, del tutto ignaro di essere stato nominato tale da lei. Era intenta in queste riflessioni, quando fu distolta dalla voce di Ginevra Rangoni, una cugina di quarto grado, rimasta vedova da pochi mesi e ospite della sua casa.
“Cugina, non siete ancora pronta?”
Giulia si girò lentamente verso di lei e l’ammirò nella veste nera della vedovanza che faceva risaltare pienamente la bellezza sensuale della donna. Era uno schianto e sicuramente stasera al banchetto avrebbe ricevuto molte proposte. Si domandò se avrebbe rispettato il lutto oppure no.
“Ginevra, non vedete?” rispose asciutta con un bel sorriso. “Al banchetto mi offuscherete con la vostra bellezza. Sono quasi gelosa di voi e della vostra bellezza. Se fossi un uomo, vi corteggerei finché voi non avreste ceduto ai miei desideri”. E allargò le braccia per accoglierla.
“Cugina, mi fate arrossire con le vostre parole. Lo sapete che sono vedova da poco e sarebbe sconveniente cedere alle lusinghe degli uomini. Forse fra qualche mese, quando ..”.
Una breve risata accolse queste ultime parole.
“Nel buio della stanza non vi vede nessuno. Basta essere discreti nel raggiungere le camere da letto e poi ..” replicò la ragazza mimando i gesti dell’incedere furtivo. “Se il corteggiatore è anche un gran amatore, potete raggiungere l’estasi dei sensi. Le occasioni perdute sono perse per sempre” disse ammiccando verso la cugina, che ricambiò l’abbraccio.
Tra loro l’intesa era perfetta.
 
Il Duca si era ritirato nel suo appartamento. Stasera non aveva molta intenzione di visitare Lucrezia. L’avrebbe lasciata in pace. Però il viso di Laura continuava a danzare dinnanzi agli occhi. Tirò un cordone per richiamare l’attenzione del segretario che sentiva armeggiare nella stanza accanto. Un bussare discreto annunciò il suo arrivo.
“Bernardino” esordì Alfonso. “Mi dovete nei prossimi giorni eseguire una commissione”.
“Quale, vostra grazia?” chiese umilmente Bernardino de’ Prosperi.
“Dovete condurre una ragazza nella delizia di Belfiore”.
Il segretario rimase perplesso, perché non era consuetudine incaricarlo degli intrighi amorosi del Duca.
“Non è detto che la fanciulla accetti” disse incerto per smarcarsi da questo compito.
“E’ vostro dovere persuaderla” replicò in maniera tale che non ammetteva repliche. E lo congedò, ritirandosi nella camera da letto.
Fu una notte agitata dallo spettro di Laura che danzava dinnanzi agli occhi di Alfonso come un folletto impazzito. Il Duca la rincorreva nel labirinto verde del Verginese senza mai raggiungerla. Si sentiva prostrato, stanco e accaldato nonostante le rigida temperatura.
Si svegliò di soprassalto sbarrando gli occhi.
“Quella ragazza mi ha stregato” e riprese il sogno interrotto.
 
Giacomo ragionava su quello che aveva imparato in questa mezza giornata. Doveva organizzare le sue attività sulla base di queste informazioni per non commettere dei passi falsi. Non era semplice inventarsi dei ruoli in un mondo che non conosceva.
“Dunque ho una moglie, che si chiama Isabella. Una cameriera personale di nome Ghitta. Un fratello, Ercole. E pare che sia l’ingegnere del duca. Ma quale duca? Stasera sono stato invitato da una contessa simpatica e bella, della quale ignoro tutto. Non so dove siano le stanze di mia moglie. E’ possibile?”.
Ghitta lo lavò e l’asciugò con cura senza troppi imbarazzi. Anzi con malcelato piacere. Giacomo percepì un’eccitazione crescente verso questa ragazza spigliata e semplice. Però non aveva molto tempo a disposizione perché l’attendeva un viaggio verso la città, sicuramente non agevole.
“Madonna Isabella mi aspetta nelle sue stanze?”.
“Si, messere” rispose asciutta la ragazza mentre l’aiutava a infilarsi la calzamaglia pesante.
“Siete impertinente” disse l’uomo ridendo. “Se non avessi fretta ..”.
“Cosa mi farebbe?” domandò maliziosa, mentre gli porgeva il corsetto elegante di velluto e lana.
“Ne riparliamo domani”.
“Peccato. Sarei molto curiosa di conoscere perché sono impertinente” e continuò a lisciarlo tra le gambe.
“Ora basta. Andiamo da Madonna Isabella” troncò deciso.
Ghitta l’accompagnò fino alla porta prima di ritornare nelle stanze del padrone.
“Madonna Isabella” salutò Giacomo entrando. “Desideravate vedermi?” e salutò anche altre due donne che tenevano compagnia alla moglie.
Isabella distolse lo sguardo dalle carte che aveva in mano e si girò con lentezza verso l’uomo.
“Sì” rispose seccata da quell’intrusione che le aveva interrotto la concentrazione.
“Avete un nuovo servitore personale. Anzi una nuova serva, Ghitta. Ha preso il posto di Lorenzo, richiamato alle armi dal Duca. E’ una ragazza giovane e inesperta. Vi raccomando ..”
Giacomo sorrise senza mostrare apertamente quanto fossero fallaci le affermazione della donna.
“Vi raccomando di badare a lei come a una figlia. La casa è già troppo piena di bastardini da mantenere ..”
“Certamente, madonna Isabella” la interruppe l’uomo. “Sarà mia premura tenerla lontana dai servitori e metterla sotto la mia ala protettrice. Nessuno oserà sfiorarla”.
“Questo vale anche per te, messer Giacomo” concluse secca la donna.
“Ora se ..” riprese Isabella.
“Ho compreso il vostro messaggio. Tolgo il disturbo e torno a Ferrara” e senza attendere risposta uscì velocemente dalla stanza.
La carrozza lo stava aspettando.

22 risposte a “Capitolo 9”

    1. Cristoforo Messisbugo lo conoscevo come cuoco ducale della corte degli Estensi e per averci lasciato un libriccino su come predisporre i banchetti. Libro che mi sono letto nella copia anastatica. Non ero a conoscenza di questo particolare.
      Un grande abbraccio

        1. Ti ringrazio per l’apprezzamento ma non sono un professionista ma un misero dilettante, che ama scrivere cercando di coniugare fantasia e realtà.
          I risultati? Boh!
          Un grande abbraccio

  1. Verissimo un’altro capitolo molto ben scritto,conduce il lettore a non annoiarsi in nessun momento,scorre in modo piacevole e nel ritmo giusto…Mi piace…
    Ti auguro di passare un domenica soleggiata
    Un abbraccio
    Trisch

    1. Sono felice di piacerti. Scorre e ha il ritmo giusto? Bello, mi lusinga.
      La domenica è stata piovosa in mattinata ma nel pomeriggio è uscito un bel sole.
      Grazie
      Un abbraccio

  2. Ecco perché giudico questo racconto un fine caleidoscopio. Proprio per la ricerca del particolare che fa risaltare di una luce vivida la storia.
    Come vivace é l’aventura del nostro Giacomo, che parrebbe bene inserito in questo mondo così lontano sia per l’epoca e sia anche per l’età che vive.
    RIrovarsi giovane ed accudito, senza falsi pudori o quasi da una piacevole servetta non é da tutti. Un sogno segreto, che noi ometti abbiamo coltivato (chi più, chi meno, non nascondiamolo).Ciò che colpisce é quel suo quasi fanciullesco candore con cui si fa coinvolgere nella vicenda.
    Perchè in fondo viol conoscere come andrà a finire.
    Un po’ come noi, che ne siamo affascinati.

      1. Povero Giacomo. Che deve fare se non osservare e partecipare ove possibile, al mondo che lo circonda.
        Lo aiuta la sua curiosità e la voglia di conoscere.

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